LA SALVAGUARDIA DEL TERRITORIO NEGLI ANTICHI STATUTI TALAMONESI (seconda parte)

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Dati storici sulla popolazione ai tempi degli statuti:

Il Vescovo di Como Feliciano Ninguarda nella sua visita pastorale in Valtellina del 1589, subito dopo la stesura degli Statuti del 1562, annota i seguenti dati: ...il centro di Talamona conta circa 200 famiglie tutte cattoliche  eccetto il medico… A mezzo miglio oltre Talamona c’è Serterio con circa  50 famiglie tutte cattoliche…un miglio a monte c’è la chiesa di S. Giorgio con il paese dello stesso nome, che conta  40 famiglie…a un miglio abbondante da Serterio, ai piedi del Monte c’è Nimabia con circa 15 famiglie sparse. Su un altro monte..c’è Campo con  90 famiglie tutte cattoliche. A due miglia..c’è Tartano con  65 famiglie, tutte cattoliche…a un miglio e mezzo oltre…c’è Sparavera con poche famiglie.  …Questa comunità (di Talamona) annovera…oltre  4.000 anime, tutte cattoliche.

 

Mi sembrano opportune tre annotazioni e un piccolo glossario di alcuni termini non più in uso:

1) La Valtellina nel 1589 era sotto il dominio dei Grigioni che cercavano di diffondere il protestantesimo e la visita del  vescovo Ninguarda doveva servire a contrastare la deviazione religiosa con un censimento preciso delle famiglie cattoliche, e soprattutto con una pastorale che sostenesse la fede dei valtellinesi. Dalle cronache, non risulta che la visita del vescovo ci sia stata anche in Valchiavenna.

2)  Le frazioni permanentemente abitate, chiamate  vicinìe o anche vicinanze, erano sicuramente molte di più di quelle elencate, che  sono state raggruppate, per necessità di cronaca. Non sono elencate ed esempio: Premiana Alta, Premiana Bassa, Dondone, Faedo alto e basso, Civo, Sassella e altre minori che pure erano abitate.

3)  Come si può vedere, la popolazione, escludendo Tartano e Campo, era  abbastanza numerosa, anche se inferiore a quella attuale, che  ora non sta più sulla montagna.

Piccolo glossario:

Isola: località in riva sinistra dell’Adda, alla base del conoide.

Tenso: proprietà generalmente boschiva o forestale bandita: territorio vincolato, regolato da leggi comunali,normalmente assai severe.

Premestino: Terreni a pascolo comunali, aperti a tutti e regolati dagli ordinamenti comunali.

Masseria : famiglia  e abitazione di agricoltori in proprio.

Vicinìa o vicinanza: contrada o frazione del comune.

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Sono certo che tutti i “talamun” hanno letto gli Statuti.

Ci sono però delle parti, come quella che parla del territorio e della sua salvaguardia e conservazione che sono importanti ancora adesso, per tutti noi che amiamo il nostro paese. In più, sono molto attuali in periodi come il nostro di continuo assalto al territorio e  di spreco indiscriminato  del terreno, soprattutto di fondovalle con speculazioni che sono sotto gli occhi di tutti, anche a non voler fare gli ambientalisti a tutti i costi.

Basta  percorrere la Valtellina per rendersene conto.

Vale la pena allora di tornare, con la memoria, alla saggezza dei nostri padri “legislatori” che, nella stesura degli statuti, si sono occupati in modo particolare della salvaguardia del loro territorio, sia montano, sia di fondovalle.

Appare evidente la loro convinzione di considerarsi custodi e non unici proprietari di un patrimonio ricevuto in affidamento, con il dovere di tramandarlo ai discendenti nelle condizioni migliori possibili, almeno così come lo hanno trovato, se non migliore.

E’ da tener presente che tutti i boschi e i pascoli erano comunali.

Ecco allora che gli Statuti  provvedono, oltre che a regolamentare la vita civile e religiosa della comunità, anche alla “…difesa del territorio,  e regolano l’uso dei pascoli, dei boschi e delle acque…” su tutta la giurisdizione comunale che, tra l’altro, è molto diversificata con valli, pendii più o meno ripidi e zone pianeggianti, anche molto distanti tra loro.

Su questi argomenti, che sono condensati nel quarto dei sei temi, o capitoli, in cui è suddiviso il testo, è illuminante, esaustivo e chiaro il  commento  di padre Abramo Bulanti, che ha avuto il grande merito di tradurre  il testo latino, come sappiamo,  tanto che vale la pena di  leggerlo, per chi non lo avesse ancora fatto, e di rileggerlo, per coloro che l’ avessero già scorso.

Lo ripropongo all’attenzione di tutti coloro che vorranno leggerlo nella sua integralità, certo che Padre Abramo mi vorrà perdonare questa piccola invasione nel suo testo.

Gli articoli 68-86 trattano esplicitamente i problemi della conservazione  del patrimonio forestale e dei provvedimenti che i saggi (prudentes) uomini di Talamona prendono affinché i boschi, le selve e le piantagioni siano rispettati e aumentati e perché il disboscamento indiscriminato non sia causa di frane e di impoverimento.

Ecologisti ante litteram, gli amministratori comunali dimostrano di conoscere perfettamente il territorio e il suo valore ambientale.

Curano il bosco perché è fonte di prodotti indispensabili: legname da opera, legna da ardere, foglie da strame, ma sanno anche  che “la grande cupidigia” di pochi può diventare povertà di molti. E perciò leggi severissime ne regolano la conservazione.

E’ facile immaginare le selve, i boschi, le foresta della Talamona del ‘500 come immensi giardini fitti di piante, puliti della legna secca e delle foglie morte, attraversati da sentieri comodi e perfettamente agibili.

Questa parte dello Statuto potrebbe essere presa ad esempio per una politica ecologica e costituire una lettura assai proficua per tutti coloro che hanno a cuore la conservazione del territorio e dell’ambiente naturale.

Il primo provvedimento riguarda il “tenso” di S. Giorgio. Il bosco di Premiana e San Giorgio è tensato già da molto tempo: “non si trova nella memoria degli uomini”. La nuova ordinanza lo dichiara ancora tensato, e per sempre, unitamente ai luoghi di Gromo, Ronco e Bonanotte, perchè i suddetti luoghi “ non rovinino e vadano alla malora”. I bosci delle predette località devono rimanere intatti: è proibito bruciare, tagliare, scortecciare, sbroccare alberi di qualsiasi specie, sotto pena di lire 6 imperiali per ogni pianta tagliata e di soldi 10 per ogni ramo asportato. E questa ordinanza sia osservata “con destrezza e precisione”.

Constatato che la cupidigia di certe persone metteva a repentaglio boschi e selve, creando le premesse per frane e scoscendimenti che minacciavano campi e beni del Comune e dei privati, i “prudenti uomini” di Talamona avevano già mandato degli esperti a vedere, a rendersi conto e a tensare, a loro discrezione, selve e boschi e a mettere “termini” ai pascoli o premestino, per evitare risse e liti, specialmente nelle zone di confine sugli alpeggi. Una commissione di uomini, nel 1559, aveva provvisto di termini, ponendo le croci, dividendo chiaramente il premestino dagli alpeggi, e tensato alcuni  boschi. Ora in quei boschi tensati dalla commissione e ben segnalati, è proibito qualsiasi taglio di piante o di rami e asportarli, per nessun motivo. La multa è salatissima, tre scudi aurei per ogni pianta, uno scudo per ogni ramo tagliato e portato via, da ripartirsi così: un terzo al comune, un terzo al console o ai sindaci, e un terzo ai denuncianti dei contravventori, e senza alcuna remissione.

In questo boschi tensati tuttavia, gli abitanti del comune, per proprio uso, possono raccogliere e portar via, senza pena, rami e legni caduti e secchi.

Gli alpeggiatori non devono sconfinare con le mandrie oltre i termini fissati: se sorpresi oltre i confini segnati, pagheranno tre scusi aurei ogni volta e per persona, oltre il danno causato a terzi stimato dagli ufficiali comunali. Non si può asportare dagli alpeggi il letame, che deve servire per concimare i pascoli. E in  particolare si ordina di non deteriorale gli stabili dell’alpe, ma anzi di averne cura e di migliorarli senza per questo, richiedere ricompensa. I danneggiamenti agli stessi sono severamente multati. E’ consentito bruciare i cespugli verdi (s’ciosseri), le immondizie e i brughi, ma solo per fare pascolo e avendo cura di non causare franamenti.

Ritorna spesso questo richiamo alle “ruine” che dovevano preoccupare assai le amministrazioni comunali, perchè, insieme alle pietre dei fiumi, erano causa di deterioramento del territorio e di sconvolgimento dell’ambiente naturale.

L’art. 71 richiama un’ordinanza del 1539 e ribadisce il tenso privato dei pascoli e dei prati nel piano e suo monti, ma solo quelli a catasto ed estimo. In un periodo congruo dell’anno, non specificato, queste proprietà private devono essere tenute chiuse e nessuno vi potrà far pascolare mandrie di nessuna specie: in caso contrario si pagherà 40 soldi imperiali pe ogni bestia grossa e 7 per ogni piccola. E’ chiara l’allusione al fatto che i prati e i pascoli, anche quelli privati, devono “riposare” e rifarsi. (continua)

 

                                                                               Guido Combi

 

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