GIOVEDI’ LETTERARI IN BIBLIOTECA

TALAMONA per due giovedì di febbraio e due di marzo

 

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QUATTRO INCONTRI ALLA SCOPERTA DEGLI AUTORI VALTELLINESI E DELLE LORO OPERE di Antonella Alemanni

In principio erano i focolari dove gruppi di uomini si trovavano per raccontarsi le giornate, fatte prevalentemente di battute di caccia. Poi sono venuti i simposi greci, i banchetti romani, le corti del medioevo e del rinascimento e più avanti i salotti e i caffè mentre nei contesti contadini per secoli e secoli si è avuta la realtà delle veglie con tutti che stavano nelle stalle a raccontarsi le storie e la vita. La casa Uboldi si propone come una particolarissima sintesi di tutte queste realtà, ne evoca gli echi di serata in serata, di evento in evento durante i quali si è parlato di tutto. Dall’ arte alla memoria storica, dagli sport di montagna ai viaggi, disquisizioni religiose e persino lezioni di astronomia oltre naturalmente la letteratura. Siamo pur sempre in una biblioteca e la biblioteca è fatta in primo luogo di libri da presentare, commentare, condividere, libri di cui discutere con chi li ha scritti per arricchirsi e aprire nuovi orizzonti, nuovi percorsi. È con questo spirito che il gruppo dei volontari della biblioteca ha voluto proporre questo ciclo di serate denominate GIOVEDI’ LETTERARI che ricordano anche nella dicitura un sapore di altri tempi quando animare salotti era una sorta di moda, un fenomeno di costume cui chi voleva essere dentro lo spirito del tempo doveva attenersi (pare che anche Margherita di Savoia quando stava al Quirinale organizzasse in casa sua degli eventi, dei salotti culturali che in tutta Roma erano diventati famosi proprio con la dicitura di giovedì letterari). Ed è così che a partire da giovedì 4 febbraio, un giovedì si e uno no fino al 17 marzo, ci si è ritrovati alle 20.30 per dare spazio e voce a quattro autori che attraverso racconti, poesie e riflessioni vogliono proporre ciascuno la propria personale visione del Mondo.

 

per leggere intero articolo click qui:   giovedì letterari 2

ALLA CASA UBOLDI UN PUNTO SU FURTI E TRUFFE

TALAMONA 10 dicembre 2015 incontro con le forze dell’ordine

 

CON IL LUOGOTENENTE ANTONIO SOTTILE DELL’ARMA DEI CARABINIERI UNA SERIE DI DRITTE PER TUTELARE I NOSTRI DIRITTI E LE NOSTRE PROPRIETA’

di Antonella Alemanni

Nonostante la tv e i canali di comunicazione in genere dedichino ampio spazio a queste tematiche dispensando consigli e talvolta proponendo simulazioni, la questione dei furti in casa e delle truffe, perpetrate soprattutto a danno degli anziani, è una questione perennemente d’attualità della quale sembra non si parli mai abbastanza. Ed ecco perché anche il comune di Talamona ha voluto dedicare un incontro informativo a riguardo questo pomeriggio alle 14.30 alla Casa Uboldi, un’incontro nato dalla specifica collaborazione tra l’Assessorato per le Politiche Culturali e l’Arma dei Carabinieri.“Un incontro facente parte di un ciclo che coinvolge vari comuni allo scopo soprattutto di informare le fasce più deboli, quelle che vengono più facilmente colpite da questo tipo di reati” come ha sottolineato Fabrizio Trivella, sindaco di Talamona, nell’introdurre il luogotenente Antonio Sottile, nuovo comandante della stazione dei carabinieri di Morbegno che dopo i ringraziamenti ha cominciato il suo intervento sottolineando il particolare interesse delle forze dell’ordine a creare una campagna informativa intorno a queste tematiche “non solo per cercare di individuare e consegnare all’autorità giudiziaria i responsabili di tali azioni, ma anche perché questi ultimi, nei casi più recenti di truffe, stanno cominciando a palesarsi come forze di polizia”. Una campagna che, come ha ribadito il comandante riprendendo le parole del sindaco “si rivolge in particolar modo agli anziani perché sono le fasce più deboli e dunque più esposte a questo tipo di reati, avendo capacità di difesa limitate rispetto ai giovani sia dal punto di vista delle reazioni mentali che di quelle fisiche”. Il comandante si è anche premurato di fornire delle dispense scritte con i punti salienti delle sue spiegazioni in modo da fornire al Gruppo Anziani, intervenuto all’incontro di oggi, uno strumento concreto di conoscenza e di difesa. “La figura del truffatore si è evoluta nel corso degli anni” ha poi ripreso a spiegare “ha imparato a presentarsi al cittadino sotto varie vesti. In questi ultimi anni si è camuffato principalmente sotto le vesti di rappresentante di enti pubblici dunque dipendenti dell’ENEL piuttosto che dell’IMPS e via dicendo, ma si sono verificati anche, nella nostra provincia, degli episodi in occasione dei quali i truffatori si sono qualificati come carabinieri, finanzieri, in generale come membri delle forze dell’ordine. Questo naturalmente ci spinge a intervenire per evitare che possa essere pregiudicata la fiducia del cittadino nei confronti di questi enti, cosa che succede facilmente nel caso di chi subisce una truffa da un soggetto qualificatosi ad esempio come carabiniere. La prima cosa da dire a riguardo è che, perlomeno in Valtellina sono rarissimi, se non nulli del tutto gli episodi in occasione dei quali un carabiniere o altro funzionario delle forze dell’ordine si potrebbe presentare a casa vostra da solo e in borghese. I carabinieri, poliziotti o finanzieri in servizio indossano sempre la divisa riconoscibile e si presentano in casa dei privati cittadini per motivi validi, di certo non per verificare la validità del denaro tenuto in casa o l’effettiva purezza e autenticità dei preziosi. Questi sono tra gli stratagemmi utilizzati dai truffatori per introdursi in casa, un punto su cui riflettere per capire come riconoscere sicuramente un truffatore. L’attenzione che bisogna avere va posta non solo dentro casa, ma già andando in posta o in banca a ritirare la pensione. Questo perché è dimostrato dalla casistica degli episodi che si verificano che la scelta della vittima avviene già al di fuori di questi uffici o davanti allo sportello del bancomat”. Un truffatore individua facilmente i soggetti che possono essere potenziali prede perché deboli fisicamente e/o mentalmente. A questo punto il comandante Sottile ha citato un caso avvenuto a Sondrio di un’anziana che poco dopo essere rientrata a casa coi soldi della pensione ritirati all’ufficio postale, ha sentito suonare il campanello e si è trovata davanti un soggetto con un improbabile cappello riportante lo stemma dell’arma che dopo essersi qualificato come carabiniere, ha chiesto di vedere i soldi facendole credere che all’ufficio dove era stata le avevano dato dei soldi falsi. Egli l’aveva pedinata dall’ufficio fino a casa e poi si è mostrato molto gentile, disponibile ad andare egli stesso all’ufficio a risolvere la questione senza scomodare la signora che così si è lasciata convincere a consegnare i soldi che poi il finto carabiniere si è portato via sparendo poi nel nulla naturalmente. “gli anziani tendono a tenere tutti i loro soldi in casa sebbene non abbiano grandi necessità che implichino grandi disponibilità di contanti” ha sottolineato il comandante “bisognerebbe che si convincano a depositarli in banca o in posta, o quantomeno a detenerli nei luoghi più sicuri della casa che non sono cassetti, comodini o vasi dove possono essere facilmente trovati. Se in casa c’è un quantitativo minimo di contante, anche nel caso in cui si verificassero episodi di raggiro il danno sarebbe più contenuto. Se poi quando si effettuano i prelievi agli uffici ci si accorge di soggetti che destano dei sospetti è meglio non andare subito a casa, ma entrare in un bar o comunque confondersi tra la gente cercare qualcuno che possa assistere e dissuadere il truffatore dall’entrare in azione. Chi truffa tende a mettere in atto i suoi piani quando le persone sono rientrate in casa e sono sufficienti dei piccoli accorgimenti per impedire comunque al truffatore di agire. Il primo è quello di non aprire la porta, interloquire dal terrazzo piuttosto che dal citofono, dalla finestra da dietro la porta chiusa o aperta solo con la catenella. Evitando di aprire si pone davanti al truffatore un ostacolo notevole, perché una volta che il truffatore riesce a farsi aprire sa già quali strategie mettere in atto per portare la sua truffa a compimento, attraverso piani ben congeniati che chi truffa è in grado di modificare anche in corso d’opera, a seconda delle specifiche situazioni che si presentano. Oltre ad evitare di aprire bisognerebbe evitare di far capire al truffatore ce si è soli in casa è meglio sempre essere pronti a dichiarare l’imminente ritorno di un parente in modo da togliere al truffatore tutte le possibilità di agire. La tecnica dei truffatori procede a step. Il primo è accertarsi che la persona da truffare sia sola in casa, il secondo consiste nel riuscire a entrare in casa e a quel punto sa adeguarsi alle varie situazioni, a seconda che il truffato sia uomo o donna o che il truffatore sia uomo o donna il tutto per farsi consegnare i soldi o quantomeno farsi dire dove i soldi sono custoditi per riuscire poi a prenderli di nascosto. Nel momento in cui chi si presenta dichiara ad esempio di essere dell’ENEL  e di dover effettuare la lettura dei contatori, bisogna sapere innanzitutto che la lettura dei contatori è automatica e che in ogni caso per queste operazioni non si è tenuti mai a mostrare la bolletta e poi bisogna cercare di prendere tempo di farsi dire dal presunto funzionario da che ufficio viene così da chiamare e verificare. Ad ogni possibile stratagemma dei truffatori bisogna essere pronti a controbattere. Così come non è possibile che impiegati dell’ENEL richiedano di mostrare la bolletta altrettanto non richiederanno versamenti. Se qualcuno si presenta parlando di bollette non pagate e richiedendo l’immediato versamento delle somme, quelli sono senza ombra di dubbio dei truffatori, perché nel caso di bollette non pagate arrivano i solleciti per posta non vengono mandate persone a riscuotere” A questo  punto il comandante ha chiesto alle persone del pubblico di raccontare eventuali aneddoti, anche solo avvistamenti di persone sospette e quasi tutti avevano qualcosa da dire, ma non sempre si trattava effettivamente di situazioni poco pulite, a volte le persone avvistate erano semplicemente tecnici che effettuavano rilevamenti senza la benché minima intenzione di avvicinarsi a persone o case. In alcuni casi ascoltare questi aneddoti si è rivelato utile per fare ulteriori considerazioni, la più importante delle quali è stata quella di porsi con atteggiamento di diffidenza nei confronti di qualsiasi sconosciuto che viene a suonare alla porta, annunciare sempre l’intenzione di chiamare le forze dell’ordine e farlo per davvero. Già da come la persona che abbiamo di fronte reagisce a questa nostra difesa si può capire con chi si ha a che fare: una persona che davvero è stata mandata da un qualche ente pubblico e non ha nulla da nascondere accetterà il controllo dei carabinieri i quali identificheranno la persona stessa e saranno in grado di identificarla anche per successive segnalazioni in modo da tranquillizzare i cittadini; una persona che invece si dimostra nervosa, cerca di scappare e riesce a dileguarsi prima che arrivino i controlli non è mai chi afferma di essere. Inoltre i funzionari di enti pubblici (come i soggetti preposti a proporre nuovi contratti energetici a domicilio) devono seguire tutta una serie di regole, devono comunicare al comune la presenza sul territorio, di modo che si possa informare la polizia locale e inoltre le autorità devono disporre delle generalità di tutti questi soggetti. Questo perché i truffatori sanno bene che per determinati servizi ci sono enti che mandano effettivamente persone a domicilio e sperano di approfittare dei dubbi di chi li riceve per poter agire. Ma se il cittadino nel dubbio non perde la lucidità fa attendere il soggetto fuori casa e nel frattempo verifica, allerta le forze dell’ordine si ha sempre modo di sventare i piani di chi ha cattive intenzioni. L’importante è togliersi i dubbi subito. Non tutto quello che si vede è per forza sospetto, ma è meglio verificare certi dettagli nel momento in cui si presentano piuttosto che, come accade molto spesso, quando l’evento è già avvenuto. Qualcuno ha raccontato di telefonate sospette e non è un mistero che le truffe passano spesso anche da quel canale senza bisogno di una persona che si presenti fisicamente in casa. Nel corso di queste telefonate spesso vengono richiesti dati sensibili. Chi effettua queste telefonate molto spesso, pur affermando il contrario non si trova nemmeno in Italia e utilizza questi dati per mettere in atto illeciti. Infine la testimonianza di un uomo circa un furto subito in casa ha offerto lo spunto per passare all’altro argomento oggetto dell’incontro, i furti nelle abitazioni appunto, una realtà che in Valtellina, essendo una zona relativamente tranquilla si sta scoprendo solo da pochi anni e per fortuna, almeno per ora, non con le modalità aggressive riportate dai notiziari che si verificano tuttalpiù nei grandi centri urbani, nelle zone residenziali eccetera. Nonostante tutto è necessario imparare a fronteggiare questo fenomeno, a dargli il giusto peso, perché si tratta comunque di eventi in grado di creare danni che si protraggono nel tempo e non soltanto dal punto di vista economico, ma anche morale e psicologico, nel fatto di vedere invaso il proprio spazio, di veder violata la sua intimità, di vedersi sottrarre oggetti importanti che rimandano a legami affettivi. “Avrete certamente appreso dai giornali e dai notiziari locali che la lotta contro questo fenomeno si è fatta particolarmente intensa da parte delle forze dell’ordine” ha ripreso a spiegare il comandante “una lotta che ha portato ad un discreto numero di arresti, soprattutto di cittadini albanesi e ha permesso di capire in che modo operano questi gruppi che si specializzano nei furti in casa. Formano gruppi di tre persone chiamati in gergo batterie. Tra queste uno ha compito di autista e di palo mentre gli altri due eseguono materialmente il furto. Queste bande però, contrariamente a quanto si pensa, non effettuano appostamenti di giorni, non spiano di nascosto i nostri movimenti per individuare il momento opportuno. Nel 99% dei casi non è così. Si tratta si di ladri di mestiere che dunque hanno una certa esperienza e hanno dei metodi precisi, ma questi metodi consistono innanzitutto nella scelta della zona, preferibilmente zone residenziali di villette e case isolate, non certo condomini dove ci sono più movimenti di persone a tutte le ore ed è altissimo il rischio di essere scoperti. Una volta scelta la zona, devono poi scegliere un obiettivo preciso e un periodo propizio. L’inverno è un periodo ottimale perché viene presto buio e se in casa c’è qualcuno c’è la luce accesa dunque scarteranno le case con le luci accese dentro” ecco perché il comandante ha consigliato di tenere sempre una luce accesa in almeno una stanza, anche quando si è fuori casa, una luce che faccia pensare ai ladri che c’è qualcuno in casa anche se non è così (questo però crea dei problemi in materia di consumi energetici e di surriscaldamento globale; è di questi giorni la conferenza di Parigi sul clima che dice chiaramente che la temperatura della Terra non deve più aumentare pena sconvolgimenti ecologici inimmaginabili scomparsa di habitat e di specie animali già a rischio, la cui vita vale molto di più di quella dei ladri di mestiere contro i quali si dovrebbero adottare misure un po’ più crudeli ndr). “una volta scelta la casa” ha proseguito il comandante “il passo successivo dei ladri consiste nel cercare di capire se in casa c’è un sistema d’allarme. A questo proposito bisogna dire che è bene per tutti dotarsi di allarmi e soprattutto di accenderli perché c’è gente che denuncia furti e poi si scopre che l’allarme era spento. Si crede che se ci si assenta pochi minuti da casa non può succedere nulla e invece la realtà è che il furto è questione di minuti non di ore. C’è chi invece non li accende perché possono partire anche accidentalmente e producono rumori molesti”. A questo punto c’è stato chi ha voluto sapere la classica questione che tutti si pongono almeno una volta nella vita: come comportarsi se siamo in casa e sentiamo i ladri che entrano? “La casistica dei furti sul nostro territorio dimostra che non ci si trova di fronte a bande aggressive che entrano in casa e non si limitano a rubare, ma brutalizzano anche gli abitanti qualora li trovassero presenti” ha puntualizzato subito il comandante “questo fenomeno è una realtà che per ora riguarda altre zone, Milano e dintorni tuttalpiù. Dunque la prima cosa importante è non lasciarsi prendere dal panico, non perdere la lucidità. Queste persone entrano dalla porta-finestra che è l’infisso che offre minore resistenza e lo forzano servendosi di un grosso cacciavite da 30 cm che lascia tracce riconoscibili e che i ladri sanno infilare nelle cerniere che dunque vengono forzati con pochi colpi, senza nemmeno fare troppo rumore a volte. Quando poi si accorgono di essere scoperti scappano. Dunque il consiglio è gridare, minacciare di chiamare i carabinieri o la polizia. Questi soggetti non hanno alcun interesse a rimanere dopo aver compiuto il furto e nemmeno a terminare il colpo una volta che ci si è accorti di loro. Se il colpo va male in una casa ne scelgono un’altra dopo essersi tempestivamente allontanati. Addirittura per assicurarsi la fuga bloccano l’ingresso con una chiave o un catenaccio così rientrando il proprietario trova la porta bloccata, cerca di forzarla, fa rumore e nel lasso di tempo in cui realizza che potrebbero esserci dei ladri in casa questi se ne vanno. In questo contesto è determinante che anche i vicini abbiano gli occhi aperti. Si vuole stimolare una sorta di senso civico che porti a pensare anche per gli altri non solo per sé. Certo è un senso civico molto difficile da sviluppare, perché nel momento in cui si è testimoni di un reato, bisogna presentarsi in tribunale, riconoscere una persona arrestata, i cittadini potrebbero avere timore a prendere posizione, però anche da questo punto di vista si può stare tranquilli in realtà, perché nessun testimone di eventi simili ha mai ricevuto minacce o ritorsioni di un qualche tipo. I ladri mettono in conto che qualcosa possa andare storto e si tratta quasi sempre di persone non residenti che arrivano con dei visti turistici e una volta compiuto un determinato numero di furti in una zona, si spostano in un’altra e si spostano in continuazione, assoldati da organizzazioni con sede nel milanese perlopiù che li pagano come ladri operai in base al bottino che riescono a raccogliere, per poi sostituirli spesso. Questo non vuole essere un modo per creare pregiudizi verso gli stranieri, ovviamente ci sono anche italiani che commettono queste azioni”. Il ladro può essere chiunque e può essere anche il più insospettabile e dovunque lo si può incontrare. Qualcuno tra il pubblico ha raccontato degli aneddoti personali che fanno capire come molto spesso, proprio come dice il proverbio, è l’occasione che fa l’uomo ladro, tra la folla e nei luoghi pubblici soprattutto. “l’importante è denunciare e non subire passivamente questi atti” ha chiarito il comandante “nel momento in cui entrano in casa e siamo presenti, bisogna prima di tutto farli scappare e poi allertare subito le forze dell’ordine”. A questo punto ha cominciato a farsi strada nel pubblico una certa dose di indignazione. Qualcuno ha voluto sapere precisamente le pene previste per queste persone e se tali pene poi si rivelino effettivamente deterrenti “il codice penale prevede pene precise per questo tipo di reati” ha risposto il comandante “pene che dipendono dal trovarsi di fronte ad un soggetto già noto alle forze dell’ordine oppure no, un soggetto che abbia dei precedenti, che sia recidivo e dipende anche quanti sono questi precedenti, quanto sono gravi. In genere in seguito al primo arresto e in assenza di precedenti sono due anni con la condizionale, il che significa che il soggetto viene arrestato e dopo il processo rimesso in libertà e questo è garantito indipendentemente dalla nazionalità”. E se, una volta rimesso in libertà, il ladro torna a colpire, si è chiesto qualcuno “può capitare che una stessa casa sia oggetto di più furti” ha risposto il comandante “ma questo non perché i ladri si accaniscono, ma perché la casa in questione è collocata in un luogo particolarmente buio, isolato, è senza allarme, è incustodita e dunque più bande di ladri giungono a ritenerla particolarmente idonea al loro scopo. Di solito c’è una zona più esposta in ogni comune e si tratta sempre di zone che rispondono a queste caratteristiche suddette. Bisogna investire sui mezzi di difesa passiva (oltre ad assicurarsi di aver chiuso bene ogni porta, finestra o altro possibile accesso), allarmi soprattutto, che possono essere accompagnati da impianti di videosorveglianza i quali però, da soli servono a poco . ormai gli allarmi si trovano nei supermercati a prezzi abbordabili. Non bisogna sottovalutare l’importanza degli animali domestici, anche quelli piccoli, tenuti nelle gabbiette” e a questo punto il comandante ha descritto il caso di una donna che è stata svegliata nel cuore della notte da un animaletto che teneva in casa, porcellino d’India o simile, che ha avvertito la presenza di un ladro in casa e agitandosi nella gabbietta ha allertato la padrona e messo in fuga il ladro in questione che ha abbandonato la sua attrezzatura “a seconda dei periodi e del gruppo di ladri si riscontrano più tecniche di scasso” ha spiegato il comandante “non soltanto col cacciavite dal retro, ma anche praticando buchi sui vetri delle finestre con trapani a mano relativamente silenziosi e inserendo poi dal buco dei marchingegni che permettono di girare la maniglia della finestra. Il tutto cercando di produrre il minor rumore possibile. Chi fa furti di notte sa che si introduce in un’abitazione dove i proprietari sono facilmente presenti e dunque sa che deve fate il possibile per non farsi sentire. A questo proposito un altro mito da sfatare è la convinzione che i ladri utilizzino un qualche tipo di sostanza soporifera per addormentare gli abitanti della casa. Ci possono essere solo due modi per mettere in atto questo: il primo è impregnare un fazzoletto di una qualche sostanza e premerlo sulla bocca, ma in quel caso la persona si accorgerebbe e ricorderebbe il giorno dopo questo fatto; il secondo modo consisterebbe nel diffondere nell’ambiente un qualche gas soporifero che però costringerebbe i ladri ad indossare delle protezioni per introdursi in casa. dunque nessun ladro cercherà mai di anestetizzare le persone presenti in casa. Se ci si sveglia col mal di testa cio è dovuto allo stress causato dall’aver subito un furto”. Nel mentre il comandante spiegava, in più d’uno tra il pubblico sentiva il bisogno di intervenire per raccontare delle esperienze dirette oppure sentite dire che permettevano di confermare quanto detto o di fare nuove considerazioni. “Un’altra tecnica usata che non fa rumore consiste nel rompere la serratura” ha ripreso a spiegare il comandante “una tecnica che si può sventare applicando dei chiavistelli, catenacci, eccetera proprio perché i ladri non sono interessati a produrre rumore, cercano di evitarlo e dunque tali protezioni, che non si possono forzare in silenzio, li farebbero desistere. Un’altra cosa importante da tenere a mente è che i ladri si comportano anche a seconda del bottino che intendono fare. Ci sono quelli che una volta introdottisi in casa arraffano tutto il più possibile di quello che trovano e ci sono quelli che ricercano specificatamente valori e oro piuttosto che denaro contante o attrezzature specifiche. C’è chi si specializza con le auto di lusso o che se le ritrova facilmente a portata anche se molto spesso le auto vengono prese esclusivamente perché sono un mezzo per assicurarsi la fuga, perché molto spesso i ladri vengono accompagnati da chi li ha assoldati solo all’andata e non più al ritorno. Va detto inoltre che per la maggior parte i ladri quando entrano in una casa non sanno di preciso cosa troveranno. Sta a noi impedire loro di trovare cose che destino il loro interesse come ad esempio chiavi bene in vista, denaro e preziosi facilmente scovabili”.

L’ultima parte dell’incontro è stata riservata esclusivamente al pubblico che ha espresso ulteriori perplessità, opinioni dando luogo anche ad accesi dibattiti. C’è chi ha fatto notare il fatto di ricevere telefonate a ogni ora portando l’attenzione sul fatto che i dati sensibili tramite internet sono facilmente acquisibili perché basta acconsentire al trattamento dei dati e questi si diffondono (c’è da dire che per certe cose come lo scarico legale di programmi o altri dispositivi viene bloccato se non si acconsente al trattamento dei dati e così l’iscrizione a siti, gruppi, forum a concorsi, tipo letterari o fotografici ndr). C’è chi ha fatto notare come, chi si spaccia per carabiniere o poliziotto riesce a procurarsi divise false che sono indistinguibili da quelle vere. Il comandante assicurava che le divise false sono riconoscibilissime e ribadiva il fatto che chi ha commesso truffe spacciandosi per carabiniere o poliziotto ci è riuscito anche esibendo abbigliamenti assurdi come cappellini con le scritte magari comprati all’autogrill e presentandosi in casa di anziani mettendoli in confusione infilando una dietro l’altra una gran quantità di domande. Ancora una volta il principio è quello di verificare nel dubbio, telefonare al 112. C’è chi ha fatto notare che non tutti gli uffici postali o gli istituti di credito sono dotati di telecamere che potrebbero monitorare eventuali adescamenti e chi ha osservato come per gli anziani sarebbe meglio delegare tali operazioni di prelievo anche se le deleghe non sono mai così semplici da mettere in atto, scegliendo un familiare a scapito di tutti gli altri che potrebbero risentirsene. Sono stati discussi casi specifici e qualcuno ha sottolineato il grande disagio che tali azioni provocano. Il dibattito più acceso si è scatenato quando il discorso è caduto sull’opportunità di reagire ai ladri che entrano. La cronaca racconta spesso casi di persone che reagiscono ai furti aggredendo i ladri o uccidendoli addirittura e tutti sanno come in questi casi si passino grossi guai. Il comandante ha spiegato bene questo punto. Non si può sempre invocare con leggerezza la legittima difesa, bisogna poi essere in grado di descrivere dettagliatamente la situazione (che le forze dell’ordine sono comunque in grado di ricostruire al giorno d’oggi) e da tali ricostruzioni deve emergere indubbiamente una situazione di pericolo che faccia capire come chi ha aggredito, ucciso, lo ha fatto perché in quel frangente non poteva fare altrimenti. Questo ha scatenato proteste e indignazioni nei presenti e io non nascondo di essere la più accesa detrattrice di questi principi di legge che secondo me dovrebbero essere completamente rivisti. Chi entra in casa mia senza il mio permesso ha comunque torto e io cittadino ho il diritto di agire verso quella persona come più ritengo opportuno. Non ritengo assolutamente corretto dare ai delinquenti di mestiere (che sono ben diversi da chi si trova a dover rubare per bisogno perché si trova in stato di indigenza; di solito questi ultimi agiscono commettendo un sacco di errori e vergognandosi pure di quello che si trovano a fare) i miei stessi diritti perché chi sceglie di fare il ladro di mestiere potrebbe benissimo scegliere altrimenti, un mestiere più onesto, oppure mettere in conto di venire ferito o ucciso senza sentirsi in diritto, come è stato detto a un certo punto, di armarsi per tutelare la propria vita. Si è parlato di senso civico durante questo incontro. Senso civico significa anche non scordare le regole base della convivenza civile come ad esempio non sentirsi in diritto di entrare in una casa solo perché si trovano luci spente o passaggi aperti. D’estate in molti dormono con le finestre aperte per via del caldo.  Io ritengo a questo punto doverosa una riflessione. Un privato cittadino per colpa di tali soggetti non è più padrone in casa propria deve vivere costantemente in ansia e terrorizzato dalla minima disattenzione, deve rinchiudersi come se fosse lui in galera e nascondere tutto, quando in realtà dovrebbero essere tutte le persone ad avere ben chiaro il principio secondo cui cio che non ci appartiene non va preso e non ci si può introdurre ovunque solo perché si trovano le vie d’accesso spianate. Chi ancora non lo ha capito deve essere punito, ma non soltanto con l’arresto e la detenzione. Questo però è il mio pensiero che durante l’incontro ho espresso solo in parte e che credo di avere in comune con molte altre persone. In questo dibattito è rientrata anche la questione del porto d’armi, consentito dalla legge a patto di dimostrare la necessaria dose di responsabilità ed ecco perché dal 2002 le leggi si sono fatte più severe intensificando i controlli periodici per monitorare lo stato psicofisico di chi detiene armi.

Esaurito questo discorso si è passati a spiegare più dettagliatamente come le forze dell’ordine agiscono effettivamente una volta allertate per questi fatti. Ultimamente si tende a non soffermarsi più sul sopralluogo nelle abitazioni quanto a concentrarsi sui controlli a tappeto nelle strade. È così ad esempio che sono stati effettuati qui sul territorio degli arresti importanti come si diceva all’inizio. Dunque è molto importante che le persone non premano per avere i carabinieri in casa, ma che capiscano la maggiore utilità della ricerca del ladro o dei ladri sul territorio. Certo è anche da sottolineare l’importanza di controlli preventivi costanti sul territorio anche senza che si verifichino episodi. Qualcuno in sala ha lamentato ad esempio la scarsità di controlli nella sua zona. Ma sicuramente dopo questa giornata chi ha ascoltato ha sicuramente acquisito degli strumenti in più per fronteggiare determinate eventualità. Una cittadinanza più informata facilita notevolmente l’operato delle forze dell’ordine. Ecco perché questi incontri si rivelano particolarmente utili, ma devo dire che oltre alle informazioni mi sono portata a casa anche un po’ d’amarezza.

 

 

 

 

 

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Legione Carabinieri Lombardia

 Stazione di Morbegno

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Il piacere della condivisione e dell’appartenenza ad una comunità

 

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nella foto: il Coro Valtellina nel Museo della Chiesa Parrocchiale di Talamona

 

Da sempre il Coro Valtellina si attiva con successo per realizzare iniziative volte a valorizzare e promuovere il patrimonio musicale e per rispondere con sollecitudine a richieste di partecipazione a eventi culturali e, anche quest’anno, ha dato ampiamente prova di tale costante impegno.

A titolo informativo segnalo, con alcuni flash, le attività che lo hanno coinvolto negli ultimi tempi.

A Piateda, presso il Polifunzionale, sabato 14 novembre ha preso parte, con i Giovani Cantori “G. Fumasoni” di Berbenno ed il Coro Lareit di Bormio, alla 9^ edizione Autunno in Canto organizzata dall’Associazione Culturale L’Ghirù. Una serata all’indomani di una immane tragedia che ha colpito profondamente il mondo intero; una serata particolare in cui si è affermato con vigore il potere unificante della musica, portatrice di intese, pace, dialogo tra le genti e si è lanciato, attraverso il bel canto, l’augurio fiducioso e speranzoso di un futuro migliore.

A Villa di Tirano, nell’ampia chiesa di San Lorenzo, il 26 dicembre, si è tenuto il “Concerto di S. Stefano” promosso dal Coro Bernina con la partecipazione del Coro Valtellina, i quali hanno dato vita ad un coinvolgente spettacolo che ha contribuito a ricreare, grazie alla piacevolezza e all’armonia della musica, l’atmosfera magica del Natale.

Il Natale, un’importantissima ricorrenza religiosa, che via via si è connotata come la festa dei sentimenti, della famiglia, dell’amicizia, degli affetti, dei valori, del ritrovare l’essenza e del ritrovarsi.

I molteplici messaggi emersi dai testi dei brani proposti – appartenenti al classico repertorio natalizio e, al contempo, estremamente attuali – hanno acceso nei presenti il desiderio di un domani intriso di fiducia e serenità.

E proprio nel periodo natalizio, il Coro Valtellina nell’ambito della manifestazione I presepi delle Contrade –  una tradizione che va avanti dal lontano 89 e che, nel corrente anno, con il logo ha meritatamente ottenuto un riconoscimento ufficiale per la creatività, la vivacità, la laboriosità della comunità talamonese, fortemente sostenuta da spirito di squadra e di fraterna collaborazione – ha ulteriormente tradotto la sua disponibilità regalando canti in giro per le vie del paese.

Domenica 27 dicembre è stata la volta del Tempietto Votivo – un luogo sacro, ai piedi della montagna, lontano dai ritmi frenetici e rumorosi del quotidiano quasi a voler preservare le anime delle molte vite spezzate per ideali di patria -, dove Alpini di diverse generazioni, con l’infaticabilità di sempre, hanno realizzato un presepe denso di tristi ricordi. In una fredda sera sotto le stelle, i coristi, con una apprezzata parentesi canora sui temi della grande guerra, hanno levato gradevoli note al cielo per ricordare e non dimenticare! Un doveroso omaggio alla nostra memoria storica.

Lunedì 28 il punto di incontro è stato il presepe del regno dei Puffi, i fantastici omini blu che, anni addietro, tanto hanno divertito moltissimi bambini e continuano ancora a suscitare curiosità ed interesse in grandi e piccini. Anche nel salotto di via Mazzoni, allestito con semplicità ma con tanta fantasia e voglia di ospitalità, il numeroso pubblico ha accolto con gioia i doni offerti dal Coro Valtellina: una serie di pezzi che, con delicatezza e garbo, rievocano paesaggi e personaggi di quella famosa notte santa; narrano di quell’evento misterioso che ha determinato il corso della storia; annunciano gaudio; diffondono fermenti di pace e semi di armonia che pervadono i cuori.

E per finire – su gentile invito del Gruppo del presepe di Cà Giovanni –  mercoledì 30, non poteva certo mancare il consueto appuntamento nella suggestiva chiesetta di San Giorgio, primo nucleo abitativo di Talamona, dove si avverte ancora la forte presenza del passato. In quella sobria cornice, un numeroso gruppo di persone – uomini, donne, bambini, giovani, meno giovani -, dopo una salutare camminata in compagnia dell’amica luna che ha illuminato il cammino, ha avuto la fortuna di gustare prodotti speciali. Infatti, oltre al Coro Valtellina – abilmente diretto dal direttore Mariarosa Rizzi – erano presenti alcuni poeti afferenti al Laboratorio Poetico di Morbegno, a cura della responsabile Paola Mara De Maestri, che hanno generosamente offerto immagini ricordi suggestioni emozioni riflessioni pensieri personali, fissati in bella rima sulla carta.

Un fruttuoso momento di pausa per assaporare musica e poesia: due arti antichissime che, fin dalla loro nascita, furono intimamente e inscindibilmente legate, accomunate da una ritmica ed armoniosa trama di suoni e parole toccanti.

Il ben riuscito sodalizio fra “parole recitate” e “parole cantate” è proseguito domenica 3 gennaio con il Cantico di Natale – sempre organizzato dal Laboratorio Poetico di Morbegno, sotto la guida della capace Paola Mara De Maestri e dall’Assessore alla Cultura Anna Tonelli del Comune di Cosio Valtellino -, a Piagno, nella raccolta ed accogliente chiesetta parrocchiale, a chiusura delle molteplici manifestazioni che hanno vivacizzato e caratterizzato il clima festoso e gioioso del Natale.

Gli influssi positivi emanati dai brani poetici alternati ai componimenti musicali hanno trovato terreno favorevole negli animi ben disposti dell’attento pubblico e sono stati un’utile occasione per un’esplosione di auguri per invitare a costruire relazioni autentiche, a lasciare tracce significative, a continuare ad assumere un atteggiamento di stupore verso le meraviglie del reale. Una ventata di positività, di ottimismo in un periodo caratterizzato da continui eventi tragici, di profondo cambiamento – a livello non solo locale ma nazionale e mondiale – per spingere ciascuna persona a celebrare la speranza e ad impegnarsi per un mondo migliore.

Rifacendomi all’accezione etimologica di Natalerelativo alla nascita – e al correlato significato di ri-nascita riscoperta rinnovamento – personale e collettivo -, formulo a tutti noi l’augurio di onorare il Natale nei nostri cuori  e di cercare di tenerlo stretto tutto l’anno, per poter così dire:- Ogni giorno è Natale!

Grazie a Anna, Cesare, Giuseppina, Giusy, Mariella, Paola, Paolo, Patrizia che hanno recitato con passione le loro belle poesie, frutto di creatività e sensibilità, e grazie a tutto il Coro Valtellina che, proprio nella coralità d’insieme, conferisce espressione e spessore alle singole belle voci.

A questo proposito, ricordo che il Coro Valtellina, fermamente convinto della necessità di investire sul capitale umano, sarebbe ben lieto di vedere aumentare la sua famiglia… perciò chi volesse intraprendere un divertente viaggio nell’avventura canora non ha che da farsi avanti!

E con tale ottimo auspicio, naturalmente do appuntamento all’anno prossimo per rinnovare – nell’incontro con l’altro – la magia del Natale!

In conclusione non posso fare a meno di rivolgere un affettuoso ringraziamento a tutte le persone – e sono davvero tante – che con estro creativo, impegno, sacrifico, buona volontà, dedizione rendono possibili lodevoli iniziative, a testimonianza di una comunità attiva, operosa, appassionata che incarna il valore della condivisione, della solidarietà e del piacere dello stare insieme.

Cinzia Spini, presentatrice del Coro Valtellina

 

LA LATTERIA VALENTI DI TALAMONA: UNA STORIA DI SAPERI E DI SAPORI

TALAMONA 19 settembre 2015 seconda e ultima serata dell’iniziativa “TALAMONA SCRIGNO DI CULTURA”, nel contesto delle GIORNATE EUROPEE DEL PATRIMONIO 

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l’allestimento per la serata 

IN OCCASIONE DELLA SECONDA E ULTIMA GIORNATA EUROPEA DEL PATRIMONIO UN VIAGGIO ALLA SCOPERTA DEL CIBO TIPICO COME MOTORE DI CIVILTA’ E IDENTITA’ CULTURALE di Antonella Alemanni

Nell’edizione di quest’anno la coincidenza delle giornate europee del patrimonio con l’evento internazionale di EXPOMILANO 2015 dedicato al cibo offre svariate opportunità di progettare eventi, momenti di riflessione, di condivisione o di dibattito intorno al tema dell’alimentazione, ma non soltanto dal punto di vista di sostentamento, ma anche come patrimonio tradizionale e identitario di una comunità. Il cibo ha da sempre occupato un posto centrale nel rapporto tra uomo e natura, tra l’uomo e l’ambiente che lo circonda. Questa è una realtà caratterizzata da una forte dimensione sociale che si rifletteva non solo in tavola, ma anche nei rapporti di convivenza e di lavoro all’interno di una comunità. In questa chiave di lettura l’alimentazione nonché la produzione del cibo si presenta come un fenomeno alquanto sfaccettato e composto nel suo interno da un insieme di aree funzionali che rendono il cibo un vero e proprio fatto sociale estremamente ricco e rispondente ad una forma plastica di rappresentazione collettiva. Su queste premesse, l’evento di stasera si propone attraverso un suggestivo itinerario di esplorare il mondo della produzione casearia nei suoi aspetti sociali e culturali mettendone in risalto da un lato le complesse relazioni con le emozioni individuali e simboliche e dall’altro le caratteristiche di consumo, di elemento economico e identitario. Così Lucica Bianchi, assessore alla cultura di Talamona ha presentato i contenuti di questa serata alla casa Uboldi a partire dalle ore 20.45 “un viaggio che parte dal nostro passato per traghettarci nel presente” lo ha definito il sindaco Fabrizio Trivella, intervenuto subito dopo “un percorso per organizzare il quale tutti in amministrazione abbiamo messo impegno e passione”. Un viaggio svoltosi con la partecipazione di Vincenzo Cornaggia, presidente del consorzio per la tutela del Bitto storico e Casera, ma soprattutto in compagnia di un Virgilio d’eccezione: Simona Duca ex assessore alla cultura e ora volontaria animatrice della biblioteca e di molte sue serate (quelle che non anima le presenta) che questa sera ha illustrato la storia della latteria Valenti argomento della sua tesi di laurea.

Breve intervento di Vincenzo Cornaggia

Il consorzio per la tutela del bitto e del casera è nato da un’esigenza dei produttori e delle loro cooperative di proteggere dei prodotti che fanno parte della tradizione come appunto il Bitto e il Valtellina Casera. Quest’ultimo risale al Cinquecento mentre il Bitto ha origini addirittura celtiche, ma senza una denominazione che permette di identificarlo sul mercato non avrebbe il potenziale che ha invece avuto. Il consorzio è nato grazie all’impegno di tutti coloro che fanno parte della filiera produttiva di questi prodotti tipici dagli stagionatori ai commercianti. È nato nel 1995 quindi è un consorzio relativamente giovane. Nel 1996 siamo riusciti ad ottenere la DOP (denominazione origine protetta) per i nostri prodotti e questo ha comportato un ulteriore impegno del consorzio che ha dovuto dotarsi di un organismo di controllo che è il CSQA, ha dovuto supportare tutti i soci per quanto riguarda le pratiche burocratiche e dare una mano nella produzione. Oggi questa scelta sta pagando in modo giusto e corretto perché chi fa parte di questo circuito riesce tutt’ora ad avere un prezzo decoroso del latte mentre chi purtroppo resta fuori in questo momento è veramente in sofferenza quindi ben vengano le tradizioni e i modi giusti e corretti di valorizzarle.

Intervento di Simona Duca: il lungo cammino della latteria Valenti 

Simona Duca ha raccolto, nel corso di tre anni di lavoro per la sua tesi di laurea, l’avventura umana, sociale e culturale della latteria Valenti tuttora attiva. Una storia che stasera ha condiviso col pubblico tramite una presentazione interattiva e una narrazione animata. Una storia che Simona ha fatto partire da una data, quella dell’Expo di Milano del 1881. In quell’occasione la latteria Valenti, aperta ufficialmente da un anno, ha ricevuto un importante riconoscimento per la più che ottima qualità del suo burro: una medaglia d’oro di prima categoria e un premio in denaro di mille lire che all’epoca erano una cifra non indifferente. Un risultato per nulla scontato, punto di arrivo di un’avventura travagliatissima che parte da lontano. Bisogna tornare indietro di circa trent’anni per capire questa storia, nella Valtellina di metà Ottocento, una terra alla deriva sotto tutti i punti di vista: ambientale, sociale, umano, culturale. A quell’epoca il nostro territorio faceva ancora parte dell’impero austroungarico. L’imperatore, a seguito di una ispezione territoriale, istituisce una commissione di inchiesta formata da vari studiosi, scrittori, soprattutto agronomi, capeggiata dall’agronomo Stefano Iacini, uno dei migliori nel suo campo all’epoca, il quale conclude che lo sfruttamento intensivo dei boschi e l’abbattimento scellerato degli alberi ha portato ad un vero e proprio cambiamento climatico (e pensare che nel Cinquecento, almeno a Talamona c’erano statuti avanzatissimi per disciplinare lo sfruttamento dei boschi, possibile che sono bastati poco meno di tre secoli per dimenticarseli? Ndr) un cambiamento che ha avuto come conseguenze più alluvioni e grandinate che hanno devastato i raccolti. La popolazione si è trovata dunque indebolita dalle carestie e dunque più esposta alle malattie, dovute appunto in parte al clima pessimo e in parte alla scarsa alimentazione, malattie come tubercolosi, scrofolosi, pellagra, rachitismo. Una popolazione talmente sofferente che ha fatto si che proprio in quegli anni la parola cretino entrasse nel vocabolario come sinonimo di valtellinese. Come se non bastassero le malattie delle persone, anche le viti e i bachi da seta, le risorse economiche principali, si ammalavano. Come conclusione della sua inchiesta Iacini scrisse: il 90% della popolazione valtellinese vive in condizioni di poca fortuna (il che voleva dire arretratezza e indigenza con la gente che arava persino i pochi campi coltivati senza usare gli animali per la maggior parte). Fino al 1859 occuparsi di queste problematiche era competenza degli austriaci. Dopo il 31 maggio 1859 diventa competenza del Regno d’Italia del quale la Valtellina entra a far parte un paio d’anni prima dell’unificazione e della proclamazione ufficiale il 17 maggio 1861. A chiunque se ne occupi comunque resta il problema di capire come bisogna agire per risolvere la situazione. Gli austriaci finchè il compito è toccato a loro hanno provveduto a rimboschire abbassare le tasse e ad istituire una lotteria per i poveri nell’ambito della quale tutti quanti erano obbligati a comprare almeno un biglietto, persino i religiosi. Dal 27 luglio 1860 ha inizio il Risorgimento in Valtellina anche grazie all’operato di Luigi Torelli colui il quale ha issato la bandiera sulla cima del Duomo durante le Cinque Giornate di Milano e che in quella data di luglio istituì una sorta di commissione, un Consorzio Agrario, che strappò al governo italiano la promessa di abbassare le tasse e di poter trattenere sul territorio valtellinese il 48% delle riscossioni da reinvestire per il rilancio. Di questa commissione faceva parte anche Clemente Valenti. A questo punto bisognava accordarsi circa le risorse su cui puntare per il rilancio territoriale. Il territorio valtellinese già dal Quattro-Cinquecento era per la maggior parte coltivato a vite a terrazza (che svettano orgogliosamente ancora oggi lungo la strada verso Sondrio ndr) ma facendo parte di un’Italia unita non era pensabile riuscire a porsi sul mercato col vino dovendo competere coi vigneti piemontesi, toscani e quant’altro anche se per la maggior parte i consorziati erano proprietari di viti ed era nei loro interessi tentare questa strada. Nemmeno i bachi da seta risultarono una risorsa praticabile. Ci voleva qualcosa di peculiare del territorio. Di certo non i prodotti agricoli, assolutamente improponibili vista la vicinanza con la ricca e fertile pianura padana. Restava a questo punto l’allevamento. I pascoli crescevano spontanei e non si ammalavano, erano abbondanti, la transumanza era una tradizione di lunga data. Le bestie sane e nutrite producevano latte da cui i valtellinesi sapevano trarre ottimi prodotti derivati. Ecco dunque la risorsa giusta su cui puntare: i prodotti caseari considerando che i valtellinesi si ritenevano i migliori casari sulla piazza. Il primo banco di prova per testare questa risorsa si presentò in occasione dell’Expo di Parigi del 1878 una delle prime manifestazioni a dare ampio spazio alla produzione di formaggi anche perché pure i francesi coi loro 150 mila tipi di formaggi diversi avevano un certo talento in materia e oltretutto la furbizia di organizzare l’Expo in primavera- estate in un’epoca senza frigoriferi che rendeva impossibile a tutti i Paesi partecipanti (tranne ovviamente il loro) trasportare formaggi freschi. Va da sé che i francesi si regalarono praticamente una vittoria schiacciante. Il secondo posto lo ebbero a pari merito Inghilterra e Svizzera che presentavano formaggi stagionati, invecchiati anche di molti anni giudicati innovativi che più invecchiavano più acquisivano qualità. Al terzo posto Olanda e Austria. Gli olandesi avevano introdotto un nuovo tipo di margarina chiamato burrina e gli austriaci un burro fatto di autentico burro per il 40% e poi arricchito per il restante con polvere di patate. L’Italia ottenne una menzione speciale per la vasta tipologia di formaggi grazie alla quale avrebbero potuto tener testa ai francesi se non fosse che si trattava di prodotti non commerciabili perché non vi erano metodi precisi per produrli. Ogni casaro lavorava autonomamente con metodi empirici nella sua cantina ognuno si faceva la sua forma diversa dalle altre. Questo è stato l’aspetto penalizzante. La peggio comunque l’hanno avuta i formaggi spagnoli giudicati letteralmente insipidi e dall’aspetto zozzo. Dopo l’esperienza tutto sommato incoraggiante dell’Expo al Ministero dell’Agricoltura ci si industriò a rendere commerciabili i prodotti caseari introducendo delle normative e dei protocolli di produzione unificati e istituendo tre scuole di formazione per casari e direttori di latteria. Una scuola superiore di agricoltura a Milano e due stazioni sperimentali, una a Reggio Emilia e una a Lodi. Da queste scuole i migliori passavano direttamente agli stage in Svizzera e poi in Danimarca a studiare Chimica poiché le università nordeuropee sono state le prime a mettere a punto prodotti chimici destinati all’industria casearia. Da queste scuole uscirono grandi nomi del settore come Gaetano Cantoni (che disse la storica frase il progresso si fa dove si produce il formaggio) e Carlo Pisona da Milano Luigi Manetti da Lodi e Luigi Zanelli da Reggio Emilia, autori di trattatelli molto efficaci sui metodi di produzione casearia. Una volta istituite le scuole bisognava fondare le latterie che andavano incentivate, così si istituirono con esse dei premi in denaro per la somma di 250 lire (una somma non da poco se si considera che per fondare la latteria Valenti ce ne sono volute 350) da assegnarsi alle latterie che rispettavano tre criteri di garanzia: in primo luogo la commerciabilità data da allevatori esperti e bestiame sano da metodi di produzione unificati e approvati a livello nazionale e dalla sperimentazione scientifica. Queste metodologie prevedevano la creazione di locali appositamente adibiti per la produzione e lavorazione del latte, un associazionismo rurale (il che voleva dire che i casari dovevano mettere insieme le loro risorse e il loro latte senza più fare ognuno per sé come si era sempre fatto precedentemente) sulla base delle quali fondare latterie a sistema sociale e non più turnario dove per sistema sociale si intendeva un unico casaro che per tutta la stagione seguisse interamente la produzione casearia, uno scelto tra tutti gli associati e non tutti gli associati a turno. Sulla carta insomma c’erano tutti gli elementi volti a favorire una maggiore commerciabilità dei prodotti. Tutte queste innovazioni però non significavano semplicemente dei ritorni economici, ma nelle intenzioni di chi li aveva messi a punto essi avrebbero dovuto portare anche a dei progressi socio culturali. Nuove metodologie unificate non potevano prescindere da una buona istruzione di base e dunque non erano più pensabili casari analfabeti. Ora per imparare il mestiere si studiava, si progrediva socialmente, associandosi si condividevano le risorse, le si ottimizzava, più risorse significava per gli stessi casari in primo luogo più ricchezza e benessere. Ormai il territorio lo si poteva considerare ufficialmente rilanciato e a confermare cio fu la definitiva consacrazione all’Expo del 1881. Bisogna però considerare che se le cose sulla carta sono abbastanza semplici da sistemare una volta trovato un percorso, non lo sono altrettanto nella realtà. La reticenza dei contadini che non si aprono alle innovazioni, alle collaborazioni, alla possibilità di imparare si è rivelata un ostacolo non da poco per Clemente Valenti che più di chiunque altro ha combattuto per portare nel territorio tutte le innovazioni finora citate, per creare la latteria di Talamona e renderla competitiva a livello nazionale in modo da concorrere per i premi messi in palio e ottenere tutti i vantaggi economici e socioculturali finora descritti. Una lotta che ha dovuto tener conto anche delle “lobby delle viti” all’interno del Consorzio Agrario che avevano tutto l’interesse di veder fallire il progetto della latteria per riportare l’attenzione nuovamente sulla produzione del vino. Tuttavia Baridelli, presidente del consorzio agrario e proprietario lui stesso di viti, decide, nel 1874 di dare un’opportunità a Valenti incaricandolo di occuparsi del progetto latteria per provare a portare in Valtellina le nuove normative e metodologie varate a livello nazionale per la produzione casearia un’opportunità che Valenti coglie al volo essendo fortemente convinto che il futuro è nelle latterie e potendo contare anche sull’aiuto e il pieno sostegno di Don Pietro Tirinzoni membro del comizio agrario che non ha interessi nel campo della viticoltura. Per prima cosa, affinchè tutto funzioni, bisogna prendersi cura delle mucche, perché sono loro a fornire materia prima. Valenti sfrutta la tradizione già presente sul territorio di far crescere tra le viti un po’ di erba per le mucche e si fa recapitare dalla Danimarca semi di trifoglio viola, una pianta che le mucche amano, per piantarla tra le viti. Nel 1875 poi è la volta della stesura, sempre da parte di Valenti, del primo statuto organico per le latterie sociali di tutta la Valtellina e della fondazione, nei locali a pianterreno di Palazzo Valenti, del primo nucleo di quella che diventerà la latteria Valenti che però chiuderà dopo tre settimane. Motivo? I contadini, come si è accennato prima. Reticenti, diffidenti gli uni verso gli altri, ma anche verso queste spinte progressiste, poco inclini ad attenersi ai regolamenti. Perdipiù visto che i finanziamenti regionali tardavano, Valenti, per avviare il tutto, si era visto costretto a richiedere a tutti i contadini 5 lire di tassa che nessuno poteva dare. A completare l’opera giunge, nel 1875, la morte di Pietro Tirinzoni. Sarebbe stata la fine se quell’anno le viti non si fossero ammalate di filossera permettendo a Valenti di continuare il suo progetto, perché, essendo le viti ammalate, il latte era ancora l’unica risorsa su cui puntare. Gli anni dal 1876 al 1879 vedono Valenti impegnato a scrivere lettere ai comizi agrari e al ministero dell’agricoltura e a prendere contatti (tramite uno zio, Geremia Valenti che vive a Milano) con la realtà delle scuole tecniche superiori di cui si è parlato precedentemente, in particolar modo con Gaetano Cantoni affinchè tenesse delle conferenze in Valtellina per indottrinare la popolazione. Simona a questo punto ha letto un estratto di una delle lettere febbrili scritte dal Valenti in quel periodo di lotta per un sogno. Le latterie sociali, convenientemente sviluppate, sono destinate a mutare le attuali infelici condizioni del nostro commercio del formaggio e ad apportare un benefico vantaggio alle popolazioni della nostra vallata. Gaetano Cantoni non verrà mai in Valtellina, manderà a sostituirlo Luigi Manetti che terrà due conferenze una a Morbegno e una a Grosotto per coinvolgere sia l’alta che la bassa valle. La reticenza dei contadini (e in parte anche dei membri del comizio agrario) giocherà un ruolo anche qui insieme ad una sfortunata combinazione di fattori. I comizi si sono tenuti dapprima in una domenica delle palme e comunque in periodo di fienagione. Un po’ per onorare le feste, un po’ per non trascurare i campi, quasi nessun contadino si presenta ai comizi del Manetti che dunque parla a Valenti al comizio agrario e a quei pochi contadini che si sono presentati, ma, a sorpresa, parla in dialetto e questo trasforma l’iniziale diffidenza in una certa simpatia anche se in realtà si trattava di interventi pieni di critiche. Manetti fa notare una cosa semplice. D’estate quando ci si ritrova tutti insieme in alpeggio si condividono le mucche, il latte, i locali per fare il formaggio la resa è maggiore rispetto che in inverno quando ognuno fa per conto suo e dunque perché non comportarsi tutto l’anno come in estate, associandosi permanentemente? A fornire ulteriori stimoli di miglioramento arrivano nel 1879 dapprima un concorso del Ministero dell’Agricoltura con il premio in palio all’EXPO di Milano del 1881 (quello che, come abbiamo già detto è stato vinto) e poi sempre dal ministero un aiuto economico di 250 lire stanziate per chiunque intendesse aprire una latteria. In Valtellina sorgono quelle di Talamona, Bormio e Grosotto che però per avere il premio in denaro devono fornire garanzie. Clemente Valenti nel frattempo è diventato sindaco di Talamona e può così garantire attraverso il comune. Nel 1880 scrive un nuovo statuto per la latteria sociale di Talamona togliendo dal regolamento le cinque lire di tassa che comparivano nel primo regolamento e aggiunge ai finanziamenti statali 140 lire di tasca propria. Nel complesso le spese serviranno a risistemare i locali di lavoro al prezzo di 233 lire e a prendere a noleggio i macchinari con tutto il restante. I locali li fornirà il pittore Giovanni Gavazzeni amico e dirimpettaio di Clemente Valenti che fornirà al prezzo d’affitto di 100-110 lire annue i locali al pianterreno della sua casa. Per lavorare nella sua nuova latteria Clemente Valenti vorrebbe casari che sappiano leggere e scrivere, ma in quegli anni il massimo cui può aspirare sono i semianalfabeti. Il primo assunto si chiamava Carlo Ciaponi che se la cavava coi numeri al punto che ogni allevatore portava in latteria la sua parte di latte contrassegnata da un numero, un’usanza che si è mantenuta nel tempo. Il regolamento della latteria è stato firmato il 18 gennaio 1880, la latteria sociale nasce ufficialmente il 27 febbraio (a Grosotto nacque qualche tempo prima, ma ancora con sistema turnario) e conta 41 soci e 65 mucche cifre destinate col tempo ad aumentare soprattutto dopo il successo all’EXPO Milano 1881. Un successo che se non si traduce in effettiva commerciabilità dei prodotti non serve. La produttività della latteria negli anni Ottanta dell’Ottocento si aggirava intorno a 50 kg di burro a settimana lasciando il restante latte per la lavorazione di formaggi magri e semigrassi che si vendevano a Morbegno e tuttalpiù a Lecco. Come espandersi? Preparando meglio i casari ad esempio. Nel 1883 la latteria Valenti diventa il secondo Regio Osservatorio di caseificio in Italia (il primo è Portici) cioè una scuola che prevedeva corsi teorici e pratici con tanto di stage da cui uscivano i migliori casari cui tutte le latterie, perlomeno dei dintorni, facevano riferimento, una delle prime scuole italiane ad ammettere dal 1885 anche donne molte delle quali madri che educando i figli trasmettevano loro quello che avevano imparato. Per studiare da Valenti arrivavano da tutt’Italia. A questo punto Simona ha letto un estratto della sua tesi, un aneddoto relativo ad un ragazzo sardo con tanto di lettera scritta dal medesimo. Nominati all’ultimo momento non fu semplice raggiungere Talamona (per i praticanti casari ndr). In particolar modo non tutti avevano le idee chiare sul corso, sullo svolgimento e soprattutto sul viaggio per raggiungere il paese. In particolar modo questo ragazzo scrive: sono stato nominato almeno per il prossimo trimestre del corso pratico e teorico di caseificio di codesta latteria con assegno di 50 lire mensili per pagare vitto e alloggio e mi dovrò trovare da lei entro il 15 corrente. Io non conosco codesti luoghi ne alcuno sa dirmi condizioni a riguardo del corredo del mio collocamento perciò mi rivolgo a lei, onorevole direzione, pregandola della gentilezza di indicarmi se gli alunni vengono alloggiati in uno stabilimento, in un albergo o in case private, quale bagaglio si deve portare cioè solo gli abiti o se sono necessari anche materasso e biancheria da letto e prego anche di indicarmi quali pratiche sono necessarie per procurarmi vitto e alloggio. Praticamente si andava alla ventura iscrivendosi già maggiorenni. Fortunatamente Clemente Valenti aveva molti riguardi verso i suoi allievi. I maschi alloggiavano nelle case nei dintorni della latteria mentre le ragazze al terzo piano del Palazzo Valenti con la servitù. Una  di queste ragazze, originaria di Osopo, anni dopo scriverà una lettera al Valenti per ringraziarlo di averla fatta sentire a casa e per mandare gli auguri di Natale con anche dei doni: un carretto giocattolo per il figlio Guido e una lingua salmistrata per lui e la sua gentil signora (i maschi invece scrivevano solo per richiedere lettere di raccomandazione quando volevano concorrere come direttori di latteria). Luigi Zanelli, formatosi a Reggio Emilia in visita nel 1885 in Valtellina dovette riconoscere gli alti standard di qualità raggiunti. Ma restava ancora da risolvere la questione della commercializzazione su larga scala dei prodotti. In tal senso un trampolino di lancio lo fornisce un’esposizione nazionale organizzata a Lodi nell’ambito della quale la Valtellina entra in contatto con ditte e commercianti a livello nazionale. Un po’ grazie a questi contatti un po’ tramite il passaparola i prodotti circolano, in particolar modo il burro, fiore all’occhiello, che nel 1886 sta sulle tavole degli alberghi di Montecarlo, ma che fa la sua bella figura anche negli alberghi valtellinesi in particolar modo alle terme di Bormio dove giunge un notaio di Roma, tale Cerretti,  che farà conoscere alla sua cerchia di conoscenti il burro valtellinese e contribuirà ad aprire i commerci con Roma. Col tempo i commerci si espandono in tutto il Piemonte, la Liguria parte della Francia, a Terni al Grand Hotel Europe e all’estero, a Londra ad Atene per circa un anno e ad Alessandria d’Egitto per poco meno (il problema era il trasporto, non c’erano le celle frigorifere, bisognava avvolgere il burro in stracci umidi e riporli in tole di latta rivestite con paglia). Fu anche per seguire queste rotte commerciali che  Clemente Valenti volle la stazione di Talamona. Gli inizi come sempre furono un po’ difficili. Un tale Melchiorre Sordi non riteneva il burro di Talamona commerciabile perché era di colore giallino e perdipiù aveva insinuato il dubbio che fosse impastato. Valenti si arrabbiò e il resto è storia. Una storia che lascia spazio anche alla leggenda, una leggenda che vuole che il nostro burro sia arrivato anche a Calcutta. In realtà era successo che una ditta londinese che commerciava anche a Calcutta avesse avanzato questa proposta, ma non se ne fosse fatto nulla poi. Sempre da Londra giunsero proposte per modernizzare la produzione, per adeguarsi ai gusti della gente che apprezzava i formaggi grassi, per fare i quali però bisognava non produrre il burro che era il prodotto di punta. Si pensò allora di innovare il burro, creando il burro salato. Da Londra avevano preparato le etichette, Valenti ha preso contatti coi direttori di latteria, ma gli allevatori non volevano saperne. C’è sempre nella popolazione questa tendenza a bloccarsi di fronte alla prospettiva di fare i salti di qualità veri e propri. Ma non si può non dare comunque merito al Valenti e all’avventura della latteria senza la quale noi tutti oggi saremmo molto diversi.

Non ho potuto fare a meno di pensare, mentre ascoltavo, a come il latte in questa storia abbia assunto un’ulteriore motivazione per essere definito fonte di vita. Non solo perché nutre gli infanti, ma perché l’ha resa migliore a tutti e a tutti ha dato l’opportunità di essere migliori.

Antonella Alemani

TALAMONA SCRIGNO DI CULTURA. SCORCI DI NOVECENTO IN VALTELLINA

TALAMONA 18 settembre 2015 la prima delle due serate dell’iniziativa TALAMONA SCRIGNO DI CULTURA

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SCORCI DI NOVECENTO IN VALTELLINA ATTRAVERSO LA SCRITTURA DI INES BUSNARDA LUZZI E IL CANTO CORALE

UN SAGGIO DELLA DOTTORESSA FAUSTA MESSA E UN PICCOLO CONCERTO DEL CORO VALTELLINA PER UNA CELEBRAZIONE DELLA NOSTRA IDENTITA’ DI POPOLO

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Con la nuova amministrazione, vecchie iniziative di successo riaprono i battenti. E così eccoci qui stasera alla Casa Uboldi alle ore 20.45 a furor di popolo per la prima di due nuove serate nell’ambito dell’iniziativa delle giornate europee per il patrimonio, un’occasione unica per chi vi aderisce di riscoprire e valorizzare tutti quegli elementi che vanno a costruire e mantenere salda l’identità di un territorio e del popolo o dei popoli che lo abitano. Ed ecco che Talamona quest’anno in occasione di questa iniziativa si trasforma in uno scrigno di cultura “che si apre mostrando i suoi tesori” ha commentato l’assessore alla cultura Lucica Bianchi in chiusura di questa serata. Ma cominciamo da principio. Il tesoro che questa sera Talamona e tutta la sua comunità hanno voluto ricordare a se stesse non è un patrimonio immateriale o un capolavoro artistico (tutte cose peraltro molto importanti) bensì una persona, una persona che purtroppo non c’è più, ma che per più di una generazione di talamonesi ha significato molto, determinandone l’istruzione e la formazione. Stiamo parlando di Ines Busnarda Luzzi, colei alla quale è intitolata la nostra biblioteca e alla quale erano già state dedicate serate in un periodo in cui l’intera struttura della Casa Uboldi era ancora, per così dire, in rodaggio. Ed eccoci ancora qui tutti a ricordare di nuovo la figura di questa maestra che è stata anche una notevole scrittrice nonché un’istituzione socio culturale per Talamona che divenne sua patria d’adozione dopo il matrimonio.

Questa sera di fronte ad una platea di tutte le età  la dottoressa Fausta Messa (docente di materie letterarie in un liceo sondriese nonché direttrice dell’Istituto Sondriese per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea) ha esposto i contenuti del suo saggio su questa importante figura pubblicato in un quaderno di studi intitolato SCORCI DI NOVECENTO IN VALTELLINA edito proprio dallo stesso istituto diretto dalla dottoressa Messa. Un saggio attraverso il quale è stato possibile scoprire (o riscoprire a seconda se si conosceva già la maestra Ines come tutti la chiamavano) la vita di questa donna, le sue opere tratte sempre dal suo vissuto personale e dalle memorie della sua terra. “libri dei quali non bisogna guardare la quantità quanto piuttosto il messaggio che sta dietro la sua produzione” ha esordito l’assessore alla cultura Lucica Bianchi introducendo l’intervento della dottoressa Fausta Messa “questa sera faremo appunto un viaggio alla scoperta di questo messaggio. Parlando proprio l’altro giorno con la dottoressa Messa, le riflessioni fatte in merito ci hanno portato sul territorio dell’Umanesimo. L’abbiamo chiamato così per esprimere quello che di più umano, di più profondo ognuno di noi può trovare negli scritti di Ines Busnarda Luzzi” a questo punto la parola è passata ufficialmente alla dottoressa Fausta Messa per il suo intervento suddiviso in più parti.

Ines Busnarda Luzzi una scrittrice di montagna

Buonasera a tutti sono molto contenta di essere qui stasera ad omaggiare questa scrittrice che mi ha molto colpito quando ho letto le sue opere proprio nella biblioteca a lei intitolata. UNA SCRITTRICE DI MONTAGNA è il sottotitolo del mio saggio intitolato ATTRAVERSO LA SCRITTURA DI INES BUSNARDA LUZZI. Qualcuno si chiederà come mai ho scritto questo saggio e poi l’ho pubblicato in un quaderno dedicato agli studi sulla Resistenza. Ho pensato che fosse giusto perché, leggendo i libri di Ines Busnarda Luzzi e avendola anche conosciuta avendo conosciuto la figlia Giulia qui presente stasera tra il pubblico, ho pensato fosse doveroso renderle questo omaggio in virtù del suo impegno civile, sociale e culturale nei confronti della sua comunità. Lei credeva profondamente nei valori della Resistenza, quei valori che sono stati declinati nei principi fondamentali della nostra Costituzione, credeva molto nella giustizia, nel cammino che la Storia deve fare verso la giustizia, perché purtroppo questo cammino è sempre aperto e la fine di questo cammino ancora non si vede. Mi sembrava quindi giusto fare questo studio e pubblicarlo su questo quaderno, un quaderno speciale perché è uscito nel trentennale dell’Istituto ed è dedicato a una donna sindacalista e al suo interno contiene vari saggi dedicati a donne: donne semplici, donne colte, comunque tutte unite dall’ideale dell’istruzione e dell’educazione perché tutte sono state maestre, chi di sartoria, chi maestra elementare, comunque tutte innamorate della cultura e soprattutto animate dal desiderio di comunicarla. È molto bello a proposito che in queste serate si celebri la cultura perché mi sembra che Ines sia stata una signora della cultura, un’animatrice culturale, una dispensatrice di cultura, sia della cultura alta, che lei ha sempre amato fin da quando era bambina e sui banchi di scuola ha cominciato a leggere e a scrivere dimostrando fin da subito la sua vocazione per la scrittura, sia la cultura contadina, agropastorale che lei ha riscoperto in età adulta.

Dalla costiera dei Cech al Mondo attraverso uno sguardo femminile

Io anni fa avevo letto CASE DI SASSI nell’edizione del 1982. Adesso mi è capitato di rileggere l’edizione successiva che credo sia del 1984 e ho trovato una pagina che non avevo visto precedentemente che mi ha dato la conferma di alcune cose che avevo già intuito. Scorrendo la bibliografia messami a disposizione dalla figlia di Ines insieme a queste splendide fotografie di famiglia, avevo visto che Ines aveva scritto in maniera molto viva soprattutto a partire dagli anni Ottanta. Aveva scritto anche precedentemente, ma il corpus più significativo della sua opera lo si ritrova proprio a partire dagli anni Ottanta e così avevo pensato: Ines era ormai in pensione dal 1978, i suoi figli erano grandi e poteva dedicarsi maggiormente alle sue passioni e avrà voluto scrivere, ma scrivere, ma scrivere che cosa? Evidentemente all’improvviso Ines si era resa conto che quel mondo da cui lei proveniva, quel mondo che l’aveva fatta crescere e maturare, diventare donna e maestra, quel mondo non c’era più, era sparito, perché ormai anche i piccoli paesi di montagna si spopolavano, non c’era più un’economia basata sull’agricoltura e sull’allevamento, soprattutto in montagna. Allora, ho pensato, le sarà sorta dentro l’onda dei ricordi e di tutte le narrazioni che la sua prima maestra ed educatrice, sua madre, nel corso della vita le aveva fatto e probabilmente Ines ha sentito il bisogno e il dovere morale di far rivivere quel mondo, un mondo durissimo, nei confronti del quale Ines non aveva nessuna nostalgia, un mondo che non aveva nessuna voglia di riproporre ai giovani quel modello di vita che lei aveva vissuto e da cui in un certo senso aveva anche cercato di scappare studiando, diventando maestra e quindi spezzando quella catena che sembrava appunto costringere tutti gli abitanti del suo paese di Naguaredo, ma anche tutti gli altri paesi di montagna, a restare legati al lavoro durissimo di quei pochi appezzamenti di terreno che si riusciva a strappare e a dedicarsi all’allevamento riuscendo semplicemente a sopravvivere. Si lavorava moltissime ore senza riuscire ad accumulare molto di più dello stretto necessario. Dunque a distanza di tanti anni Ines sente il dovere morale di trasmettere ai giovani un mondo che non c’è più, un mondo difficile nei confronti del quale però bisogna essere riconoscenti. Se noi tutti ora stiamo meglio e siamo riusciti a raggiungere determinati traguardi di cultura e civiltà lo dobbiamo infatti anche a tutti quei nostri antenati che si sono sacrificati così tanto proprio per mantenere la terra e per trasmetterla poi in eredità ai loro figli tant’è vero che Ines scrive (tratto da CASE DI SASSI ndr) nella dolce e tribolata terra di Naguaredo passava in quel tempo la mia fanciullezza e quella dei miei coetanei. Ma l’adolescenza ci separava, portava i maschi a Roma a fare i commessi di bottega e lasciava noi ragazze a coltivare insieme ai genitori campi, prati e selve belli all’apparenza sino alla poesia, ma succhiatori di energie e di sudori, tanto che senza quel contributo proveniente dalla forza delle braccia di giovani ed anziani rimanevano aridi e selvaggi come ora sono diventati. Tutto è diventato arido, ci dice Ines, selvatico perché nonostante la scienza ecologica venga insegnata a scuola e sia diventata di moda non ci sono più i pastori, le donne pastore e gli agricoltori di montagna che tengono pulita la terra, che raccolgono la legna caduta per terra e liberano i sentieri da erbacce e sterpi. Tutto è inselvatichito, il bosco avanza e si riappropria dei vecchi pascoli. Scrive ancora Ines in quel tempo nessuno di noi, giovani ed anziani, avrebbe potuto supporre che si potesse abbandonare quella terra a se stessa, che potesse venire il tempo in cui non si vangasse, non si seminasse, che si potesse fare a meno di coltivare e raccogliere i cereali che ci davano pane e polenta, che sarebbe venuto il tempo in cui molte specie di uccelli sarebbero emigrate per sempre dalla nostra terra, che i prati non si sarebbero più falciati ne che non ci sarebbe più stata una mucca in tutto il paese che con il suo bronzino dal suono d’argento vi avrebbe pascolato d’autunno. Quindi rendendosi conto di questo  Ines decide di ripercorrere a ritroso quel mondo, di ritrovare se stessa bambina. Lei ormai è una donna adulta, un’insegnante a riposo, non è più quella persona che viene da quel mondo però fa lo sforzo di ritrovare se stessa bambina e lo sguardo con cui lei bambina si rivolgeva a quel mondo.

Raccontare per vivere: le parole come atto d’amore e di educazione tra madre e figlia

Sicuramente, e io questo l’ho percepito moltissimo, la voce narrante che è scaturita dentro al suo cuore nel suo ricordo era la voce della sua mamma, un personaggio che è la voce narrante e protagonista del capolavoro di Ines intitolato NASCERE SOTTO UNA STELLA. In questo libro Ines chiama sua madre Erminia. I personaggi del libro sono tutti reali, ma Ines, per una sorta di pudore personale e di rispetto verso i compaesani, attribuisce a ciascuno uno pseudonimo. Il libro da anni non è più ristampato ed è diventato introvabile, ma per molte persone è stato ed è ancora significativo per ritrovarci dentro ognuno la storia dei propri “vecchi”. Leggendo questo libro ho dunque capito che il flusso del racconto, il narratore primario è proprio la madre. Io immagino che, nella durezza della vita che la madre di Ines aveva condotto, forse l’unica consolazione e svago era raccontare e confidarsi con sua figlia e in questo modo insegnarle e prepararla alla vita con un’educazione molto severa e intransigente perché la vita è dura e i giovani devono essere attrezzati per affrontarla. Questo è ancora, io ritengo, un grande insegnamento di Ines Busnarda Luzzi: l’educazione deve essere severa, non si può essere blandi perché altrimenti, anche se non viviamo più sui monti, la vita ovunque ci mette di fronte a delle prove nonostante la tecnologia e le comodità cui ci siamo abituati.

La memoria materna: essere donna, essere uomo, l’amore

Dunque tutta la memoria materna nutre il racconto di Ines. La madre che l’aveva sempre sostenuta nel suo desiderio di studiare e che aveva poi felicemente salutato la sua unione con un professore di matematica anch’egli proveniente dal mondo contadino. La memoria materna per Ines prende corpo soprattutto nel già citato romanzo NASCERE SOTTO UNA STELLA di cui ora leggerò l’incipit, secondo me un inizio di romanzo veramente riuscitissimo e molto raffinato. Ines dopo aver raccolto i materiali preparatori e i suoi ricordi in CASE DI SASSI pubblicato nel 1982 si cimenta poi con questo romanzo in una prova molto più difficile che è la stesura appunto di uno scritto letterario e anche di un certo spessore una saga familiare il cui inizio è molto denso: come al solito si svegliò al primo nghenghe della bambina. Doveva essere ancora presto e doveva aver dormito ben poco data la fatica e la sofferenza che le procurava quel risveglio. Il cuore le mancava e la mente le oscillava paurosamente fra realtà e sogno tuttavia, prima che la piccola riprendesse i vagiti Erminia riuscì a muoversi e spostarsi a destra sull’orlo del letto cercando di non pesare troppo sul saccone di grano turco per non farlo scricchiolare. Scivolò verso i piedi del letto e strisciò fuori tastando il pavimento coi piedi nudi evitando di toccare la culla. Quando fu in piedi la toccò con le mani, la guardò lungo gli orli ondulati fino ai pomelli degli angoli e si orientò verso la vocetta che stava diventando acuta, avvolse l’esserino nelle coperte, la strappò dal pagliericcio e se la strinse al petto. La bimba sentendosi muovere ed avvertendo la presenza della madre per un attimo tacque. Erminia cercò con i piedi i suoi zoccoli. Il pavimento di calcestruzzo era gelido come tutto l’ambiente intorno. Li trovò ma nell’infilarseli i chiodi dell’uno batterono contro quelli dell’altro. Erminia s’irrigidì tutta, trattenendo il respiro. La voce insonnolita, ma già un po’ stizzita di suo marito la sciolse e le bruciò il cuore. – eri già fuori? Non si può più dormire qui! Chi lavora avrebbe il diritto di dormire! Non sei capace di regolarla in modo da farla dormire una notte? Cos’ha in corpo quella lì?- Erminia sentiva bollirsi dentro rabbia e dolore, ma siccome era più il dolore le si formò un nodo alla gola e la voce le uscì strozzata – è che ha fame, non ho potuto darle latte a sufficienza, ora provo ancora tu dormi, vedrai che poi dormirà anche lei-. A questo punto Erminia cerca di allattare la bambina. In casa non avevano una mucca da latte, non avevano niente e lei era devastata dalla mastite che le faceva uscire dal seno più sangue che latte e rendeva l’allattamento molto doloroso. Dunque Erminia è disperata. La porta della stanza si aprì con un lieve cigolio. Batté contro la parete –allora? Non vuole mangiare o non ne hai?- scattò aspro il marito. Erminia sobbalzò al rumore e alla voce improvvisa –ohimè lei succhia poverina ha fame- rispose – ma io sono tutta una piaga e ne esce più sangue che latte- -ho capito- disse ironico lui –nemmeno a latte sei buona-. Ecco come questo inizio fa capire quale modello di uomo e di donna Ines interiorizza. L’ambiente era aspro e duro per tutti e il matrimonio non era certamente basato sugli affetti, sullo scambio di sentimenti, sul prendersi cura l’uno dell’altra, sulla tenerezza. Tutti questi sentimenti emergono un poco tra gli anziani e coi bambini, ma non più di tanto. Tra marito e moglie c’era una sorta di contratto economico e un aiutarsi l’un l’altro per lavorare e per venirsi incontro nelle fatiche domestiche e della campagna per poter tirare avanti e sopravvivere alla miseria perché la miseria era dura e il destino dei maschi già a dieci-dodici anni era quello di andare via di casa presto per andare nelle città a lavorare ed essere impiegati come garzoni per sedici ore al giorno e pagati pochissimo, perché pur essendo la montagna già spopolata (il paesello di Naguaredo aveva all’incirca cento abitanti nel 1920) la terra non era sufficiente a sfamare tutti e dunque i maschi dovevano andare a lavorare a bottega in qualche grande città, Roma soprattutto, per riuscire ad accumulare una miseria e mentre erano via alleggerivano l’economia famigliare. Per quanto riguarda le bambine facevano la scuola dell’obbligo. Le più fortunate riuscivano ad arrivare in quarta elementare, qualcuna in quinta, ma poi anche il loro destino era quello di lavorare. Persino i giochi dei bambini avevano in fin dei conti una finalità pratica. Ines descrive questi giochi in CASE DI SASSI giochi che in qualche modo dovevano abituare i bambini alla durezza della vita, abituarli ad andare poi col bestiame al pascolo, andare a raccogliere i funghi, i mirtilli, la legna. Momenti di vero e proprio svago non ce n’erano mai, ma tutto era finalizzato all’utile, anche il rapporto con la natura che era un rapporto lavorativo, un rapporto che ne permetteva il mantenimento. In cambio della fatica dell’uomo la natura restituiva i suoi tesori e tutto si manteneva grazie a questo ciclo armonico fatto di povertà e di durezza che inquadrava anche i rapporti tra le persone, tra uomo e donna, le dinamiche famigliari. Il padre di Ines ad un certo punto emigra nel Connecticut per cercare un lavoro migliore rispetto a quello che il territorio poteva offrire, lasciando la madre sola ad occuparsi di tutto. Questa madre diventa un modello di donna tenace di montagna che lavora senza risparmiarsi anche più di uomo in campagna in casa in giro facendo quel che serve e grazie a questo suo impegno riesce a comprare una mucca che apporta latte e un maggior benessere in casa. Nonostante l’economia in casa cresca il sistema educativo è sempre rigido perché le difficoltà della vita sono sempre in agguato il padre al suo ritorno sarà severissimo e non perdonerà momenti di svago. Ines però vuole studiare appoggiata dalla madre. Quando anche il padre tornerà dall’America riuscirà a frequentare la quarta poi la quinta poi ad intraprendere il percorso che la porterà a diventare maestra e ad uscire dall’atavico cerchio di fatica che aveva sempre caratterizzato la vita dei suoi avi.

Vivere per raccontare: dalla memoria alla storia alla civiltà

Mentre la madre di Ines aveva raccontato per sopravvivere, per avere un appoggio affettivo, Ines, secondo me, a partire da un certo periodo della sua vita, vive per raccontare quindi il suo racconto si costruisce sul filo della memoria però non si limita a questo perché per lei la memoria non è nostalgia non si ferma al desiderio di rievocare i bei tempi andati dimenticandosi delle sofferenze come spesso succede. Quella di Ines è una memoria che si potrebbe definire militante, educatrice, la memoria di una donna di cultura, insegnante che è sempre insegnante in ogni momento della vita e che dunque dalla memoria passa alla riflessione sulla Storia per cercare di capire se davvero la storia porta verso il progresso. La Storia è allontanamento dalla barbarie e avvicinamento alla civiltà oppure è regresso? Ines riflette molto su questo tema e lo fa attraverso un altro romanzo, in verità piuttosto breve, intitolato E NOI PAGHIAMO, ambientato durante la seconda guerra mondiale e in particolar modo durante la Resistenza a Naguaredo e poi una parte anche nel primo dopoguerra. Un libro scritto con grande equilibrio probabilmente con l’aiuto di Giulio Spini. Negli archivi dell’Istituto della Resistenza a Sondrio è emersa una lettera che Giulio aveva mandato a Ines e dalla quale si comprende che lei aveva mandato una bozza del libro chiedendo consigli. Giulio Spini ha per questo romanzo gli stessi giudizi che ho avuto io. Ne parla di un romanzo ben scritto, equilibrato, ma che necessita di un maggiore sviluppo dei dialoghi e manca del pathos del romanzo NASCERE SOTTO UNA STELLA forse perché meno partecipato, forse perché Ines punta maggiormente sull’indagine storica (col risultato di creare anziché un romanzo quella che oggi si chiamerebbe una docufiction ndr) sulla riflessione appunto. Ines presenta la Resistenza in questo romanzo con tutto il dramma di una vera e propria guerra civile che comporta morte, famiglie distrutte, paesi che perdono quasi del tutto i loro abitanti in special modo i piccoli paesi. La guerra civile è ancora peggio perché va ad intaccare il senso di comunità molto forte e importante in questi mondi rurali. La vita dura richiedeva spessissimo a queste genti di lavorare insieme di aiutarsi di essere comunità ad esempio durante la fienagione, la potatura, i raccolti, le semine, quando qualcuno si ammalava fare anche la sua parte. La Resistenza fa si che bisogna per forza schierarsi o coi partigiani o coi nazifascisti e questo crea un clima di tutti contro tutti che cozza letteralmente contro il fatto di sentirsi fortemente appartenenti ad una comunità sebbene con tutti gli screzi del caso. Una figura emblematica da questo punto di vista che compare nel libro è la figura storica di don Giuseppe Cantone parroco di Roncaglia che si schiera con la Resistenza ma è pieno di dubbi, soprattutto quando entra a diretto contatto con la violenza presente da entrambe le parti. Una violenza che però nell’ambito dell’antifascismo è determinata da un progetto superiore e umano, da ideali di libertà eccetera cosa che il nazifascismo non è anzi è l’esatto opposto. Dunque schierato con dolore dalla parte dei partigiani si ritroverà partecipe di episodi drammatici, tra cui uno che non è raccontato nel libro di Ines, l’episodio di due partigiani giustiziati perché sorpresi a rubare per i quali don Cantone ha offerto invano la sua vita. Per quanto riguarda Ines invece le è capitato di assistere all’esecuzione di una ragazza accusata di essere una spia. Nel suo libro racconterà questi fatti facendone una lettura da storica e da insegnante per consegnare una lettura della Resistenza come portatrice di pacificazione nazionale soprattutto attraverso la stesura della Costituzione. In particolare Ines pone l’accento su una vicenda che ha toccato praticamente tutte le famiglie della Valtellina che è quella dei deportati militari. Quattro o cinquemila giovani più o meno nel nostro territorio fatti prigionieri soprattutto dopo l’8 settembre una vicenda di cui anche altri scrittori locali più recentemente hanno parlato. Di questi giovani per molto tempo le famiglie non hanno saputo più nulla. Ines ad esempio racconta la storia di Giacomo la cui mamma Amalia, anziana del paese che narra la vicenda poi alla stessa Ines molti anni più tardi. Giacomo rientra in paese e fa l’esperienza di molti reduci in quegli anni che ritornano e sono sconvolti per come sono accolti, come dei traditori, sconvolti dal fatto che la guerra ha devastato persino i loro piccoli paesi di montagna. Era arrivato in Italia dopo innumerevoli sfibranti tappe che in quel momento non voleva ricordare. In ogni luogo dove si era fermato aveva visto miseria e distruzione ed ogni volta aveva pensato a quando, varcato il confine, avrebbe potuto lasciare indietro quelle visioni squallide e deprimenti. Ma anche in Italia aveva trovato distruzioni e gente che cercava di cavarsela alla men peggio e a Narosa (cioè Naguaredo nota della professoressa durante la lettura riportata ora da chi scrive) non poteva immaginare che anche lassù avrebbe trovato un disastro simile. Guerra si, ma apocalisse no. Intanto camminava, era stanco, ma camminava per la strada che entrava nella notte per arrivare alla sua Narosa. Un paio di persone lo oltrepassarono, gli dettero uno sguardo ed affrettarono il passo. Giacomo prese tutte le accorciatoie che conosceva. Era contento che fosse notte, preferiva non essere visto da gente che lo conosceva. Un paio di giorni prima non avrebbe pensato così, ma giunto in Italia, dal modo in cui veniva guardato, aveva preso coscienza della precarietà del suo aspetto. Domani, dopo che si fosse lavato bene, vestito da cristiano, mangiato a sufficienza sarebbe stato un altro. Forse la mamma aveva avanzato un po’ di minestra oppure gli avrebbe preparato un’insalata di verze crude che avrebbe mangiato col pane, tanto pane e non gli importava che fosse raffermo o ammuffito gli bastava che fosse pane, bianco o nero faceva lo stesso. Il pane e la polenta erano nei sogni di questi soldati che avevano patito moltissimo la fame e tornano dai campi di concentramento dimagriti di trenta-quaranta chili. Il primo impatto con il paese fu un profumo caro e stuzzicante che si era disperso nel labirinto della sua fame fatta di sapori e profumi di cui non ce n’era uno che non fosse falso e illusorio. Quello che ora sentiva era un profumo sicuro di cibi che d’ora in poi sarebbero esistiti anche nella realtà, odore fragrante di bruciato  

Il mondo perduto della società agropastorale: la Storia tra progresso e barbarie, guerra, emigrazione, paura, lotte sociali e diritti.

La Storia ha visto lo spopolamento delle montagne e la scomparsa di un mondo che oggi non esiste più se non forse in luoghi sperduti di altri continenti. Un mondo scomparso dapprima per via delle emigrazioni e delle guerre poi con le dittature, le persecuzioni, gli scontri sociali. Una storia che, pur attraverso tante fatiche, ha portato alla conquista dei diritti, quelli ben declinati nella Costituzione che però non possono considerarsi una conquista definitiva. Ines infatti è sempre stata dalla parte dei più deboli, delle donne, sempre e comunque proiettata verso il futuro pur comprendendo l’importanza di non dimenticare il passato. Ha scritto ad esempio una raccolta di racconti CLAUDINA DELLE ERBE in cui presenta molti tipi di donne di montagna di città ma sempre ascrivibili ad una comune tipologia di donna interiorizzata e ingabbiata nel ruolo di mater dolorosa. Ines vuole sottolineare questa condizione della donna incapace di avere dall’altro sesso il meritato riconoscimento. Un mondo raccontato con partecipazione, ma ripetiamolo, senza nostalgia di quando si scriveva con penna e calamaio. Ines aveva imparato ad usare il computer e usava la tecnologia.

E noi paghiamo: il racconto della Seconda Guerra Mondiale della Resistenza e del Dopoguerra dalla visuale di un piccolo villaggio sulla costiera dei Cek

Ho già anticipato prima alcuni brani di questo libro che ci permette di passare dalla riflessione sulla Storia alla civiltà al fatto che l’epopea dolorosa della guerra di liberazione, i partigiani e i reduci non ricevono il giusto spazio nelle coscienze e nel ricordo di cio che è stato. Ines in questo senso va controcorrente nelle sue opere e si dimostra progressista.

La poetica: la scrittura come insegnamento di moralità e di stile

Essendo un’insegnante di lettere mi interessava analizzare la scrittura di Ines non solo il Mondo e la cultura che lei fa affiorare nei suoi libri, ma anche lo stile, la poetica appunto. Poetica significa la visione personale di ciascuno scrittore circa la letteratura e la scrittura e lo stile personale utilizzato per trasmettere questa sua visione del mondo. Secondo me la scrittura per Ines è sempre stato insegnamento. Ines è sempre insegnante anche quando scrive e proprio per questo fa delle scelte particolari di lessico e di sintassi. Lei, come tutti gli insegnanti e genitori che si sono formati negli anni Cinquanta ritiene che il dialetto sia uno svantaggio e che ai bambini vada insegnato l’italiano corretto perché, come poi dirà anche don Milani successivamente negli anni Sessanta, essere fuori dalla vita nazionale significa essere fuori socialmente e svantaggiati. Dunque Ines fa una scelta di italiano standard pur ambientando le sue storie in tempi e luoghi dove si parlava prevalentemente dialetto, una scelta che va a scapito del realismo di cio che poi viene raccontato e della creazione autentica dei personaggi, ma una scelta dettata dalla consapevolezza che usando il dialetto con l’andar del tempo i suoi libri non sarebbero più stati capiti, una scelta dettata dal voler essere maestra di italiano anche quando fa la scrittrice.

Case di sassi: di strumenti, di tecniche, un modello educativo

Questo libro di cui ho già parlato non è un romanzo, ma una raccolta di memorie su persone, luoghi e fatti della sua infanzia che secondo me fungono da materiale preparatorio per la stesura del romanzo NASCERE SOTTO UNA STELLA cui si aggiunge una seconda parte forse dettata da richieste avute a Talamona di raccontare la vita di un tempo, gli antichi mestieri e la scuola. Accogliendo queste richieste Ines trasmette un mondo di saperi, strumenti e tecniche che appartengono ad un mondo che ormai non c’è più e dunque queste tecniche ormai sono andate perdute. Ma non solo questo mondo di saperi, di competenze, che permettono a chi ne fa parte di riuscire a sopravvivere praticamente con nulla, o comunque con quel poco che la natura offre, cosa che non riesce più a nessuno oggi nel cosiddetto mondo moderno, un mondo in cui tutti sanno fare tutto o comunque tutto il necessario per la sopravvivenza, un mondo che si pone anche come un modello educativo, un mondo su cui Ines, pur senza rimpiangerlo, riflette. Riflettendo sul modello educativo ricevuto e sui nuovi modelli educativi della moderna pedagogia dovuti anche e soprattutto ad un più generale cambiamento dei sistemi di vita entrati in vigore a partire dagli anni Settanta e Ottanta e operando una sorta di comparazione, Ines si è resa conto che, se nel passato c’era troppa durezza, troppo autoritarismo ora si va invece verso un eccesso di lassismo, un eccesso contrario e dunque forse valeva la pena ripercorrere queste vie per avere un modello di moralità. Dunque credo che la sua scrittura avesse questo scopo, quello di essere una scrittura educativa e di denuncia dettata dal bisogno di giustizia, una scrittura a tesi che non si trova nei romanzi autobiografici, ma nei testi di riflessione. Una scrittura che risponde alla necessità di analizzare un argomento, un problema per trovare razionalmente delle soluzioni o comunque di denunciare come quando prende a cuore la condizione femminile, ma anche, in un altro libro intitolato CHIUSURA ANTICIPATA la condizione degli anziani in casa di riposo sfiorando anche il tema del suicidio raccontando di un uomo che fa questa scelta nel momento in cui si sente sradicato dal suo mondo e dai suoi affetti. Una denuncia contro una società sempre più individualista e spietata nei confronti della fragilità, ricca, ma foriera di solitudine e disagio. Una denuncia che risponde ad un bisogno di giustizia.

L’impegno civile: una serena e operosa vecchiaia al servizio della propria comunità

Gli ultimi anni della sua vita vedono Ines particolarmente impegnata nella scrittura e nella divulgazione di temi storiografici. Gli interessi maggiori Ines li riversa sulla Storia e sulla Scienza e lei mette la sua operosità a disposizione della comunità.

Conclusioni

A questo punto, come conclusione del suo intervento la dottoressa Fausta Messa ha presentato più ampliamente il volume che contiene la storia di Ines Busnarda Luzzi così ampliamente rievocata questa sera. In questo quaderno Ines si trova in buona compagnia. Nel quaderno 11-12 dell’Istituto Sondriese di studi sulla Resistenza sono infatti contenuti altre storie interessanti: quella di Angela Samaden, una giovane che, attraverso lo studio, diventa maestra e ispettrice scolastica e dunque si emancipa socialmente; la storia di Rosa Da Sogno, maestra proveniente da una famiglia borghese madre di un grande economista; la storia di Rosa Genoni; quella dell’ospedale psichiatrico di Sondrio; quella di una maestra di 74 anni che ritrovandosi senza pensione è costretta a fare l’accattona e rischia di essere arrestata finchè il ministro credaro si interessa al suo caso e riesce a farle avere la pensione. Insomma un contenuto pienamente aderente al titolo SCORCI DI NOVECENTO IN VALTELLINA  raccontati da questo istituto da trent’anni con passione e contando su esigue risorse (come chiunque fa cultura in Italia ndr) per trasmettere a tutti il nostro patrimonio civile e culturale attraverso le testimonianza e la divulgazione dei valori della Costituzione.

Non è senza una certa partecipazione emotiva che ho ascoltato questa piccola conferenza, con la consapevolezza che la mia vita di oggi, la possibilità di acquistare libri, di informarmi, di scegliere se sposarmi e avere figli oppure no, deve molto a queste figure che per prime nel nostro territorio hanno lottato per affermarsi, figure che dovrebbero entrare nella grande Storia. È curioso ad esempio il fatto che Ines Busnarda Luzzi e Grazia Deledda siano partite più o meno dagli stessi presupposti, ma la prima è rimasta confinata nel suo territorio mentre la seconda è riuscita a diventare sinora l’unica donna italiana a vincere il Nobel per la letteratura, così come è curioso che le opere di Ines non vengano più ristampate e non conoscano più diffusione.

Concerto del coro Valtellina

È venuto ora il momento di ascoltare una scelta di brani del coro Valtellina che, un po’ come i racconti di Ines Busnarda Luzzi ci riportano ad un mondo scomparso che rivive nel canto in sei canti scelti appositamente dal coro per allinearsi con lo spirito di questa serata come LA VALTELLINA che è un vero e proprio inno alla terra UL PRA DE FIUR che racconta le storie d’amore di una volta così come LE MASCHERE che narra di quando si approfittava dei travestimenti del carnevale per incontrarsi clandestinamente, DANZA MACABRA ispirata alla leggenda dei cavalieri che ballarono con le fanciulle di San Giorgio e al mattino si trasformarono in ossa e infine LA VALLE e LA CANZONE DEL BOSCAIOLO finestre su di un mondo ormai scomparso. Una conclusione degna di questa serata offerta dal coro che, partendo da Talamona è diventato col tempo rappresentativo di tutta la Valtellina. Una conclusione durante la quale non sono mancati ulteriori tributi e onori alla protagonista indiscussa di questa serata.

Antonella Alemanni

TALAMONA – UNO SCRIGNO DI CULTURA

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Il 18 e il 19 settembre, in occasione dell’importante evento Giornate Europee del Patrimonio 2015, l’Amministrazione Comunale di Talamona ha promosso presso la biblioteca del paese due interessantissime serate.

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Fausta Messa, docente di materie letterarie e latino, Istituto G.Piazzi/L.Perpenti, Sondrio

Il venerdì, alla presenza di un numeroso e attento pubblico, la brava e coinvolgente professoressa Fausta Messa ha piacevolmente illustrato tappe salienti del lungo ed affascinante viaggio compiuto, per molti anni, nel mondo della cultura dalla scrittrice Ines Busnarda Luzzi – per i Talamonesi la maestra Ines -, alla quale nel 2011 è stata dedicata la nuova biblioteca.Una vera grande donna che Talamona ha avuto l’onore di avere tra i suoi cittadini; una donna semplice, umile, modesta, dotata di straordinarie capacità, profonda sensibilità e grandissima umanità che – fortemente animata dalla passione, dallo spirito di ricerca storico-scientifica e dall’amore per la verità – ha speso una vita intera a favore della conoscenza e ha rivestito un ruolo fondamentale per la scoperta e la salvaguardia del patrimonio culturale, soprattutto della gente di montagna.

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Coro Valtellina

La seconda parte dell’incontro ha avuto come protagonista – sotto l’abile guida del direttore Mariarosa Rizzi – il Coro Valtellina che ha proposto alcuni brani accuratamente scelti dal suo vasto repertorio in cui, in maniera decisa e delicata al contempo, emergono le bellezze naturali dei paesaggi alpini, l’attaccamento alla propria terra, il mantenimento delle tradizioni, il valore dei legami affettivi, la forza dell’amore, le fatiche di vecchi mestieri.

Prosa e musica: due differenti forme artistiche che, con strumenti diversi, tendono all’ambizioso obiettivo di dare voce al passato, promuovendo e valorizzando la cultura d’altri tempi. A tale elemento comune si deve il felice connubio e la buona riuscita della serata.

Scrivere, cantare, narrare per ricordare, per non dimenticare, per rinsaldare le proprie radici, per contribuire a formare, rinforzare, consolidare il senso di appartenenza ad una comunità, per vivere e crescere in modo consapevole e gioioso.

Grazie alle preziose testimonianze e alla “presenza” della carissima maestra Ines che, con la consueta saggezza, discrezione e pacatezza, aleggiava nell’aria dell’ampia sala, si è creato un positivo e complice clima relazionale, capace di catturare, con la mente e con il cuore, i presenti.

Sentiti ringraziamenti a Talamona per averci offerto la possibilità di curiosare dentro uno scrigno ricco di tesori… e, in particolare, un doveroso grazie all’appassionata Lucica BianchiAssessore alle Politiche Culturali e all’Istruzione del Comune.

Infine, a titolo personale e a nome del Coro Valtellina ringrazio nuovamente per il gradito invito alla lodevole ed apprezzata iniziativa.

Cinzia Spini, presentatrice del Coro Valtellina

LUGLIO TRA LE STELLE

TALAMONA dal 3 al 31 luglio la Casa Uboldi diventa planetario

 

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UN’INTRODUZIONE ALL’ASTRONOMIA A CURA DI CESARE VOLA, PROFESSORE DI FISICA

L’astronomia è una tematica che ancora mancava nel vasto e variegato catalogo di tutte quelle affrontate nel corso di questi circa tre anni di attività della Casa della Cultura. Una tematica che si presta molto bene alle sere d’estate quando (temporali e nuvole permettendo) il cielo è limpido e l’aria è piacevolmente fresca e si può star fuori sino a tardi a meditare sull’infinito. Il cielo è legato all’umanità si può dire in maniera trasversale, attirando sia persone che lo scrutano per cercare di comprenderne i misteri e le dinamiche (astronomi, astrofisici e studiosi affini) sia persone che si limitano a contemplarlo per cantarne la bellezza e le emozioni che suscita (poeti e artisti, ma anche innamorati). Nel corso di queste sere di luglio, alla Casa Uboldi, ci si è concentrati soprattutto sull’indagine scientifica del cielo, resa in modo semplice e chiaro da Cesare Vola, che questi argomenti è abituato per mestiere ad insegnarli a platee di studenti e dunque sa come attirare e tenere ben desta l’attenzione anche in chi trova ostici tali argomenti. Sfidando dunque la possibilità di una diffidenza verso la tematica, il periodo che di solito la gente utilizza per le vacanze estive, Cesare Vola ha ottenuto la possibilità per quest’anno di prolungare l’apertura della Casa Uboldi (che di solito chiude con le serate nel mese di giugno) e parlare, nel corso dei cinque venerdì di luglio a partire dalle 20. 45 circa, dei misteri del cielo, degli argomenti essenziali per formare un’introduzione all’astronomia accessibile a tutti, salutata da un discreto successo di pubblico.

 

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Venerdì 3 luglio 2015: il cielo a occhio nudo, pianeti e costellazioni

In un percorso di introduzione all’astronomia non si può cominciare che parlando del cielo a occhio nudo, sebbene la serata, funestata da un temporale, non si prestasse a tale argomento. “mi è sempre piaciuto osservare il cielo, studiarlo” ha dichiarato Cesare Vola introducendo la sua lezione “ed ecco che stasera vorrei cominciare proprio da questo. La cosa fondamentale da sapere, quando si osserva il cielo cercando di capire cio che succede, è che per fare cio il cielo va osservato per anni, tutte le sere un poco per volta e fare come facevano gli antichi”. Gli antichi infatti, fin dalla preistoria hanno osservato il cielo, costruendo persino dei rudimentali osservatori con le pietre dette megalitiche, perché molto grandi (come ad esempio Stonehenge). Con questi osservatori (rudimentali si, ma molto precisi tanto che alcuni studiosi hanno definito Stonehenge un computer di pietra) gli antichi osservavano le stelle “perché sin da allora si era capito che le stelle nel cielo si muovono” ha proseguito Cesare Vola “gli antichi avevano la percezione di essere fermi mentre tutto intorno a loro nel cielo si muoveva. È normale pensare di essere fermo, avere questa sensazione e dunque stando fermi gli antichi contemplavano il cosiddetto firmamento. Ma mentre gli antichi potevano contare soltanto sui loro occhi per vedere le stelle, noi al giorno d’oggi disponiamo di programmi facilmente scaricabili sul computer. Questa sera useremo un programma chiamato STELLARIUM che permette di rimuovere l’atmosfera (che filtra la luce del sole e dunque ostacola la visione del cielo) e la terra e permette di impostare un luogo da cui osservare il cielo e una data, senza dover aspettare ogni notte per anni o le condizioni atmosferiche favorevoli come dovevano fare gli antichi e come si è dovuto continuare a fare fino a tempi più vicini a noi” mentre spiegava Cesare Vola ha impostato lo stellarium sul cielo visto in quel preciso momento da Parigi e ha portato l’attenzione sulla costellazione del Gran Carro “la costellazione più facile da osservare” ha detto prima di passare alla spiegazione vera e propria “la prima cosa che possiamo osservare, è che le stelle nel cielo stanno sempre, una rispetto all’altra nella stessa posizione ed è per questo che gli antichi ad un certo punto si sono inventati le costellazioni” poi tornando a concentrarsi sull’Orsa Maggiore (altro nome del Gran Carro) ha aggiunto che “bisognerebbe osservarla per tutta la notte dalle nove della sera fino alle nove della mattina per vedere che succede. Qui e ora possiamo effettuare la stessa osservazione con questo programma mandando avanti i minuti” a questo punto si è osservata la volta celeste che ha cominciato a ruotare pian piano. Spostandosi pian piano nella volta celeste attraverso il programma con mouse e cursori è stato possibile ad un certo punto visualizzare accanto al Gran Carro o Orsa Minore il Piccolo Carro o Orsa Minore, importante perché tra le stelle di cui questa costellazione è formata troviamo la famosa Stella Polare, l’unica che mantiene in cielo una posizione fissa mentre tutte le altre stelle le ruotano intorno “in montagna prendendo come riferimento un albero o una roccia e stando a guardare il cielo per almeno un paio d’ore questo fenomeno di rotazione si nota bene anche se dopo un po’ stordisce. Gli antichi si ammattivano osservando questo fenomeno cercando di capire come e perché succedeva. Cercando di trovare una spiegazione al fenomeno, gli antichi elaborarono il concetto di volta celeste, una sfera che sta tutt’intorno alla Terra. In questa volta celeste la Stella Polare occupa una posizione esattamente sopra la Terra mentre sotto intuivano la presenza di altre stelle che non potevano vedere. Ma come se la immaginavano la Terra gli antichi? Rotonda o piatta? Ancora oggi c’è una società anglosassone (con tanto di sito Internet) che sostiene che la Terra è piatta. Gli antichi invece, soprattutto i Greci, nell’elaborare il loro modello, hanno considerato la Terra come una sfera circondata dalla sfera del firmamento. Ma chi muove le stelle contenute in questo sistema di sfere che hanno ideato? Il motore immobile, cioè una sorta di divinità (che per i cristiani più avanti sarebbe stato semplicemente Dio) che fa girare le stelle una volta al giorno”. Queste stelle sono chiamate fisse perché pur ruotando, lo fanno, come è già stato detto, mantenendosi sempre nella stessa posizione, e dunque in qualche modo ferme, una rispetto all’altra. “ma oltre alle stelle fisse esistono anche le stelle mobili, i pianeti (che gli antichi chiamavano comunque stelle perché non avevano un’idea precisa di quello che vedevano), che percorrono il cielo passando da una casa dello Zodiaco all’altra. Lo Zodiaco è un insieme di costellazioni che percorrono un cerchio in cielo, intorno alla Terra e per la maggior parte non sono facili da osservare, perché composte di stelle per la maggior parte poco luminose. Da qui dove ci troviamo alcune si possono osservare puntando lo sguardo verso sud” a questo punto Cesare Vola ha mostrato tramite lo stellarium la posizione delle costellazioni dello Zodiaco e dei pianeti sulla volta celeste “Venere e Giove li vediamo vicini” ha detto e ha parlato di un fenomeno avvenuto nei giorni immediatamente precedenti, una particolare congiunzione tra questi due pianeti che qualcuno ha definito, molto romanticamente, bacio “questo succede perché i pianeti seguono traiettorie mobili, diverse da quelle delle stelle, costanti e regolari. Ma mobili rispetto a che cosa? Rispetto alla posizione che occupano in riferimento alle costellazioni dello Zodiaco. Si spostano da una costellazione dello Zodiaco all’altra”. Per spiegare meglio il concetto Cesare Vola ha utilizzato un’altra funzione dello stellarium che permette di selezionare uno specifico corpo celeste e di seguirne il percorso in cielo rispetto a tutti gli altri. Ha selezionato Marte. “in questo momento Marte si trova nei Gemelli, una costellazione che si vede abbastanza bene perché ha due stelle luminose, Castore e Polluce, e perché si trova sopra l’Orsa Maggiore” facendo passare velocemente i giorni impostando di volta in volta varie date col programma si è potuto osservare come e dove Marte si spostava. Gli antichi per osservare questa stessa cosa dovevano pazientare notte dopo notte talvolta lottando contro condizioni atmosferiche avverse, prendendo dei riferimenti da Terra. “ecco come gli antichi sono arrivati ad elaborare il sistema composto da un gran numero di  stelle fisse e sette stelle mobili: il Sole, la Luna, Mercurio, Giove, Venere e Saturno. Ecco come, sul nostro stellarium, man mano, Marte si sposta, arriva in Cancro (non visibile a occhio nudo se non in alta montagna col cielo limpidissimo), viene superato da Mercurio… si può osservare che ogni pianeta si sposta da una costellazione dello Zodiaco all’altra, ma ognuno lo fa in modo diverso, ognuno seguendo una propria traiettoria, una propria velocità. Si può notare una stella mobile che si sposta molto più veloce delle altre, ed è la Luna che compie un giro completo nell’arco di un mese, circa 28-30 giorni”. Osservando il cielo con lo stellarium si è potuto notare come, tra i dodici segni dello Zodiaco molto noti, perché sono anche quelli usati per gli oroscopi (dei quali in chiusura si è parlato) c’è una tredicesima costellazione che compie un cerchio nel cielo Ophiucos “cui qualcuno si riferisce sui giornali come ad un tredicesimo segno Zodiacale” intanto Marte sullo stellarium ha continuato a mostrare il suo percorso e a un certo punto è tornato indietro “perché? Gli antichi impazzivano cercando di rispondere a tali quesiti, cercando di spiegare in particolar modo questo strano comportamento delle stelle mobili, chiamato moto retrogrado, in base al quale, ad un certo punto si fermano e tornano indietro (ad eccezione del Sole e della Luna che non compiono questo tipo di moto). Dopo Marte l’attenzione è stata puntata sulla Luna e poi su Mercurio (che dalla Terra non si potrà mai vedere, perché è troppo vicino al Sole e dunque lo si può intravedere o al tramonto o all’alba. Un altro pianeta che non si allontana troppo dal Sole (nel senso che non è mai al suo opposto, ma a differenza di Mercurio lo si vede perfettamente, anzi è l’oggetto più visibile e luminoso del cielo notturno dopo la Luna) è Venere, che gli antichi chiamavano astro del mattino e della sera perché è l’ultima a scomparire al mattino e la prima a comparire alla sera (per qualche popolo si trattava di una stessa stella, per altri invece due stelle diverse). Per un po’ Cesare Vola è andato avanti a mostrare lo stellarium riportandoci in qualche modo indietro nel tempo, alle lunghe notti contemplative degli antichi che cercavano di spiegarsi quello che osservavano. Gli antichi però partivano dal presupposto di essere fermi al centro della volta del firmamento ed è su questo principio che basavano tutte le loro osservazioni e le conseguenti deduzioni. “ma la Terra è ferma o si muove?” ha domandato a questo punto Cesare Vola provocatoriamente “il primo che ha affermato che anche la Terra si muove è stato Pitagora di Crotone in Calabria (famoso soprattutto per il teorema geometrico che porta il suo nome ndr) il primo a formulare un primo embrione di teoria eliocentrica (Sole fisso al centro e Terra che gli gira intorno). In realtà credevo che il primo nella storia a sostenere l’eliocentrismo fosse stato  Aristarco da Samo, ma secondo Cesare Vola più di uno studioso giunse a questa conclusione in maniera indipendente il più famoso dei quali resta Pitagora. Questi studiosi restarono comunque in minoranza rispetto a chi sosteneva l’idea della Terra ferma. Qualunque sia l’idea di partenza, il problema resta comunque il doversi spiegare questi moti dei pianeti, il fatto che Mercurio e Venere non si allontanano mai troppo dal Sole e che gli altri pianeti ogni tanto tornano indietro. Una prima teoria sul moto dei pianeti venne elaborata da Tolomeo che la scrisse in un libro oggi conosciuto coma l’Almagesto, ma che in origine si intitolava MATEMATIKE SINTAXIS (cioè sintassi matematica; la parola almagesto deriva invece da una commistione di arabo e greco: magesto deriva dalla parola greca magno cioè grande, mentre al è l’articolo arabo, questo perché questa opera che era andata perduta in Occidente nel Medioevo venne recuperata dagli Arabi), una visione che ispirò anche Dante, che influenzò la cultura occidentale per moltissimo tempo. Tolomeo introdusse il concetto di epiciclo, disse cioè che i pianeti descrivono un’orbita intorno alla Terra chiamata deferente e una più piccola chiamata epiciclo stando attorno ad un asse immaginario che congiunge la Terra e il Sole. I pianeti compiono contemporaneamente questi due tipi di moti. Con questa spiegazione i conti sembrano tornare. “Quello che conta in astronomia è far si che i conti tornano” ha puntualizzato ad un certo punto Cesare Vola “finchè si ha una teoria che fa quadrare tutto la si considera efficace e valida. Nel momento in cui qualcosa comincia a non tornare bisogna elaborare un’altra teoria. Questa teoria di Tolomeo ha funzionato bene finchè gli antichi davano per scontato che la Terra fosse ferma ed erano sicuri che la Terra fosse ferma, spiegando questa loro sicurezza con esempi che a noi oggi potrebbero sembrare stupidi, ma che allora non venivano percepiti come potremmo percepirli oggi. Si diceva ad esempio che la Terra doveva essere ferma perché se non lo fosse stata gli oggetti cadendo si sarebbero spostati all’indietro perché la Terra si muoveva sotto di essi. Questo problema per molto tempo è stato il più importante e spinoso della scienza. I sostenitori della teoria eliocentrica non sono mai stati presi seriamente in considerazione e dunque questa idea è stata praticamente dimenticata finchè nel Cinquecento arrivò Copernico, uno scienziato polacco, che come gli antichi provò a mettere in matematica il cielo, perché infondo l’astronomia non è altro che questo, mettere il cielo in matematica e vedere se i conti tornano, se i calcoli matematici e i modelli trovano una perfetta corrispondenza con cio che si osserva effettivamente. Copernico dunque elaborò questo modello eliocentrico presentandolo come semplice ipotesi matematica, soprattutto per non incorrere nelle ire della Chiesa. In realtà in ogni epoca chi ha provato a presentare idee diverse da quelle che la maggioranza credeva non solo non è stato ascoltato o creduto, ma ha rischiato di essere ucciso. Un tale Anassagora ad esempio una volta ebbe a dire che il Sole non poteva essere trasportato in un carro (come vuole invece la mitologia greca ndr) perché le sue dimensioni reali (e non quelle che apparivano guardandolo da lontano ndr) erano pari se non maggiori a quelle del Peloponneso. Nessuno sa bene che fine fece Anassagora, ma le poche fonti a disposizione su questa storia non tramandano buone notizie”. Ecco perché lo stesso Copernico non si volle esporre troppo. Tuttavia anche nella sua teoria alcune cose non tornavano. Il problema risiedeva nelle orbite dei pianeti che Copernico riteneva fossero circolari, anche se questo creava inesattezze nei suoi calcoli, tenendo anche conto dei moti della Terra di rotazione e rivoluzione che rendevano difficile determinare con esattezza la posizione degli astri nel cielo. “in compenso però Copernico ha spiegato bene i moti retrogradi che non sono altro che il risultato del moto della Terra in relazione agli altri pianeti. La Terra segue anch’essa il suo itinerario nel cielo tra le case dello Zodiaco ha anch’essa una sua velocità e una sua traiettoria che la porta ad un certo punto a superare gli altri pianeti che perciò visti dalla Terra, sembrano tornare indietro. Ma se la Terra si muove perché non ce ne accorgiamo? Ancora oggi c’è chi mette in discussione il fatto che la Terra gira intorno al Sole. Galileo trovò però una soluzione al problema ideando quello che è il primo embrione della teoria della relatività. Galileo prese come esempio le navi: esse si muovono indubbiamente, ma stando su una nave, in condizioni normali non si ha la sensazione di muoversi (il che spiega anche il mal di mare e in epoca più moderna il mal d’auto che viene proprio perché ci si muove mentre si ha la sensazione di stare fermi e a qualcuno questo fa un brutto effetto ndr) e così con la Terra. Questo sembrava dare una risposta definitiva a chi pensava che la Terra doveva essere per forza ferma. Il bello della scienza è che tutto quasi sempre nasce e si sviluppa attraverso il dibattito, purtroppo quasi mai amichevole. Galileo si trovò perseguitato dall’Inquisizione e dovette abiurare cioè rinnegare le sue idee e fare penitenza per averle sostenute. Indipendentemente da tutto questo restava comunque da risolvere il problema delle orbite circolari che non davano una posizione esatta dei pianeti in cielo, ma solo approssimata. A risolvere questo ulteriore problema ci pensò Keplero con le sue tre leggi, la prima delle quali afferma che le orbite dei pianeti non sono affatto circolari, ma ellittiche. Ma l’occupazione principale di Keplero era fare oroscopi ed ecco perché era particolarmente preoccupato di determinare con esattezza le posizioni degli astri ed ecco perché osservando il cielo minuziosamente è riuscito ad arrivare all’enunciazione delle sue tre leggi. Gli astrologi moderni, si basano ancora sui calcoli di Keplero, non guardano più il cielo e sbagliano tutto. I conti dunque sembrerebbero tornare apparentemente. In seguito Newton mettendo insieme le idee di tutti questi studiosi che lo hanno preceduto creerà la fisica newtoniana raccolta in un compendio intitolato PRINCIPIA MATHEMATICA basato sull’Almagesto di Tolomeo, la geometria di Euclide, le idee di Copernico, Galileo e Keplero (Newton ebbe a dire che reputava se stesso come un nano sulle spalle di giganti ndr) una fisica fondamentale che costituirà una pietra miliare della scienza valida per i successivi due secoli finchè non è sorto un altro problema. Il problema di dimostrare che la Terra ruota effettivamente. Il fatto di dire che la Terra ruota oppure no non è mai uscito dal campo delle ipotesi, dei calcoli, delle astrazioni finchè nel 1850 non ci fu l’esperimento del pendolo di Foucault. Prima di questo esperimento solo Galileo era convinto di avere la prova certa della rotazione terrestre ritenendo che le maree ne fossero un effetto (non voleva credere alla teoria dell’influenza della Luna che già qualche suo contemporaneo ipotizzava). Su internet si possono trovare video che dimostrano questo esperimento che però per funzionare non deve essere compiuto all’equatore o nelle sue vicinanze, dove il movimento del pendolo è talmente rallentato da sembrare praticamente fermo (ai poli invece è velocissimo, il tutto si svolge nell’arco delle ventiquattro ore) un esperimento che comunque si basa sui ragionamenti e i dibattiti dei secoli precedenti che facevano quadrare i conti sia con la Terra ferma che con la Terra in movimento. Il fatto è che anche se torna tutto quello che è vero si può dimostrare e con l’esperimento di Foucault la rotazione terrestre si poté dimostrare, calcolandone persino la velocità in base alla latitudine. E con questo la prima lezione di astronomia con l’ausilio dello stellarium e di presentazioni interattive, si è conclusa lasciando spazio alle domande e alle osservazioni del pubblico. In questo frangente si è potuto scoprire fra l’altro quanto la scienza e i suoi protagonisti spesso siano ammantati di leggenda (ad esempio l’esperimento di Galileo sulla Torre di Pisa e gli specchi ustori di Archimede) e si è potuto capire che gli oroscopi moderni non vanno presi in considerazione perché gli astrologi moderni non guardando più il cielo non sono più in grado di attribuire il giusto segno a ciascuno. Il segno infatti è la posizione del Sole nel cerchio dello Zodiaco al momento della nascita. Per calcolarla bisogna prima di tutto osservare il cielo e tenere conto di un fenomeno chiamato precessione degli equinozi. Il non averne tenuto conto fa si che nessuno è del segno che pensa di essere e questo si è potuto verificare facilmente con lo stellarium inserendo la posizione del Sole nel giorno di nascita dei presenti che volevano togliersi questa curiosità. Il fatto è che una volta astronomia e astrologia erano un’unica scienza che si proponeva sia di spiegare gli altri che di capire eventuali influenze di questi sulla Terra e sulla vita. Ad un certo punto questi due rami si sono divisi fino ad arrivare ad oggi. L’astrologia non è più una scienza perché gli astrologi non si sono aggiornati rispetto a Keplero e non sanno più guardare il cielo.

Venerdì 10 luglio: la meccanica celeste, il sistema solare

Prima di cominciare questa nuova lezione un piccolo riassunto della puntata precedente ricordando cio che si può osservare nel cielo e le idee e le conoscenze che gli uomini nel corso dei secoli e dei millenni hanno ricavato da queste osservazioni dapprima avendo come punto di riferimento esclusivamente la visione dalla Terra, in seguito basandosi sui calcoli e altre prospettive. Un altro giro tra le stelle e i pianeti sullo STELLARIUM per osservarne il moto. Partendo da qui Cesare Vola ha introdotto la nuova lezione spiegando che lo studio del cielo dal punto di vista della Terra consiste essenzialmente nella misurazione di angoli dopo aver preso dei punti di riferimento precisi che possono essere alberi o rocce solitamente. L’angolo si deve formare tra la nostra posizione sul piano orizzontale e quella dell’oggetto, una linea verticale chiamata azimut che congiunge il piano orizzontale all’oggetto in cielo tramite questa linea verticale ideale che si costruisce aiutandosi coi riferimenti cui si accennava prima. Da questo punto Cesare Vola è partito per ricollegarsi al punto in cui la lezione dell’altra volta è terminata: le leggi di Keplero. Sono in tutto tre e partono dal presupposto che il Sole è fermo al centro, mentre i pianeti gli girano attorno descrivendo delle orbite che già la scorsa volta si è detto essere ellittiche. Un presupposto che funziona immaginando non di essere sulla Terra bensì al di fuori e guardare da fuori, dall’alto, quello che succede. Keplero però le formulò misurando gli angoli e dopo complessi calcoli ed osservazioni notte dopo notte. Così non solo giunse alla conclusione che le orbite dei pianeti sono ellittiche, ma a questo principio ne fece seguire altri due. Il secondo principio afferma che un pianeta spazia aree uguali in tempi uguali cioè il pianeta impiega lo stesso tempo a coprire vari tratti del suo percorso, un principio che richiede, per essere capito, complesse misurazioni e osservazioni. Il terzo principio afferma infine che i quadrati dei tempi di rivoluzione (cioè del giro completo che il pianeta effettua intorno al Sole) è proporzionale al cubo della distanza media dal Sole del pianeta stesso “il che vuol dire” ha chiarito Cesare Vola “che più un pianeta è lontano dal Sole, più gira lentamente, come abbiamo avuto occasione di osservare anche grazie allo STELLARIUM”. Ma l’aver scoperto questi tre principi non è sufficiente a Keplero per comprendere pienamente il mistero della meccanica celeste. Sarà in seguito Newton a compiere maggiori progressi in tal senso. Newton scopre infatti le forze, una grandezza fisica che in realtà non ha una vera e propria definizione e non si può nemmeno vedere. Cio che si riesce a vedere è il moto, è l’angolo, tutto cio che è possibile determinare sono posizioni e tempi. “però Newton si inventa questa forza” ha spiegato ancora Cesare Vola “si inventa questa idea secondo cui gli oggetti celesti sono attratti l’un l’altro da queste forze misteriose. Questa idea ha a che fare con la leggenda della mela che gli cadde in testa. Fatto sta che supportando questa sua idea con una moltitudine di calcoli complicatissimi Newton è giunto ad importanti scoperte, ha potuto tra l’altro spiegare meglio le leggi di Keplero che secondo Newton sono in qualche modo giustificate dalla forza di attrazione da lui scoperta. Quel che restava da capire era perché un oggetto che cade dritto verso il basso, come la fantomatica mela, e un pianeta che percorre la sua orbita, possono essere soggetti alla stessa legge, influenzati dalle medesime forze. i due tipi di moto appaiono completamente diversi e dunque non ha senso che la forza che attrae sia la medesima. Newton ha ragionato per molti anni di seguito per arrivare ad elaborare teorie che oggi a scuola si spiegano in pochi minuti, al massimo poche ore di lezione, basandosi anche sugli studi di chi lo ha preceduto. La conclusione è che gli oggetti cadono dritti verso il basso perché sono fermi invece il pianeta tende a cadere verso il Sole ma il suo moto rotatorio gli fa descrivere un orbita ed è come se continuasse a cadere all’infinito” si potrebbe fare un semplice esempio per chiarire meglio il concetto ci provo ora io in virtù del mio passato di quasi astrofila. Dunque pensiamo ad un elicottero. Perché vola e non cade? Cosa lo tiene sospeso per aria? Il moto rotatorio dell’elica. Proviamo a spegnere il motore e a far fermare le eliche quando l’elicottero è ancora in aria e cadrà esattamente come una mela dall’albero. Ecco come la medesima forza, la forza di gravità (supportata probabilmente anche dal principio di inerzia secondo cui un oggetto tende naturalmente all’immobilità o al moto rettilineo uniforme finchè non sopraggiungono altre forze a modificarne lo stato iniziale, ma questo non è stato detto e dunque non ne sono proprio del tutto) agisce in modi che sembrano completamente diversi ed ecco come i pianeti si trovano a compiere movimenti ellittici di rotazione intorno al Sole. A questo punto è meglio tornare a concentrarsi sulle spiegazioni di Cesare Vola che per illustrare meglio come le orbite dei pianeti si compiono, si influenzano tra loro anche in base alla velocità del moto ha fatto delle simulazioni con un programma del computer, simulazioni che tra l’altro mostrano come un razzo fatto arrivare ad una certa distanza dalla Luna possa essere sparato come un proiettile a grandi distanze nel Cosmo (con una manovra chiamata fionda gravitazionale). In questo modo sono state mandate le sonde a perlustrare il Sistema Solare e oltre (e sarà così che invieranno le future missioni su Marte? Chissà! Ndr), in questo modo la Nasa fa tutti i calcoli delle sue missioni. Ci si basa sulla posizione dell’oggetto, sulla sua velocità e si è in grado di capire, con una discreta approssimazione, tutto quello che succede. Allo stesso modo gli astronomi calcolano la probabilità di possibili impatti con comete e asteroidi (come Aphopis che nel 2029 passerà molto vicino alla Terra; qualcuno all’inizio aveva calcolato che avrebbe impattato con essa con un’ energia pari a ottanta bombe atomiche, finchè nuovi calcoli hanno un pochino ridimensionato la cosa) i quali però, a causa delle ridottissime dimensioni rispetto ad altri corpi celesti, descrivono orbite dalle traiettorie stranissime, addirittura iperboliche a volte, che le portano addirittura in alcuni casi a sciogliersi dentro il Sole o a disintegrarsi a contatto con le atmosfere dei pianeti vicino cui transitano. Tramite questo programma si è potuto osservare anche come le orbite ellittiche dei pianeti siano in realtà molto ampie, tanto da essere praticamente indistinguibili da vere e proprie orbite circolari. Ma tutto questo oggi non sarebbe stato possibile se non fosse esistito Galileo ormai più di quattro secoli fa e non avesse inventato il suo famosissimo cannone occhiale, detto anche cannocchiale, tramite il quale egli poté osservare i corpi celesti (che da quel momento smisero di apparire come puntini nel cielo per rivelarsi come delle sfere) più da vicino scoprendone le imperfezioni, una cosa impensabile fino a quel momento. La sfera celeste e tutto quanto in essa contenuto al di fuori della  Terra veniva ritenuto perfetto, un principio teologico prima ancora che filosofico. Ora esistono i programmi del computer che permettono di scrutare il cielo di vedere tutto da vicino, ma Galileo dovette fare tutto solo con l’ausilio del suo strumento e finì col diventare cieco. Tra l’altro di primo impatto nemmeno capiva cio che vedeva: gli anelli di Saturno con qualche puntino intorno (i suoi satelliti più grandi), un po’ più chiaramente i satelliti maggiori di Giove che egli chiamò lune Medicee in omaggio dei suoi protettori fiorentini, le macchie solari (che solo oggi sappiamo essere zone più fredde di appena 2000° rispetto alla superficie del Sole, ma continuiamo ad ignorare perché si formano e anche perché continuano ad apparire e scomparire in cicli di circa undici anni; qualcuno pensa sia dovuto ai campi magnetici, ma è solo un’ipotesi). Galileo osserva tutto questo col suo strumento fatto di lenti di vetro che fanno si che la luce vi passi attraverso e questo deforma l’immagine e più lo strumento è grande più il difetto si nota. Un difetto che sarà Newton ad ovviare, introducendo, al posto delle lenti di vetro, degli specchi, un principio su cui ci si basa ancora oggi per costruire telescopi di proporzioni gigantesche sulle cime dei monti, molto costosi e in grado di scrutare lo spazio profondo. Ma tutto questo senza Galileo non sarebbe mai accaduto. Non avremmo mai avuto siti specifici per osservare i movimenti delle macchie solari se Galileo non si fosse bruciato gli occhi per osservarle per primo illudendosi di schermare la vista con un  semplice vetro affumicato. Galileo inoltre scoprì che osservando il Sole non solo poteva seguire i movimenti delle macchie, ma anche i transiti dei pianeti. Galileo si concentrò soprattutto sui transiti di Venere e scoprì che anche questo pianeta aveva le sue fasi, come la Luna. Concentrandosi invece più attentamente sui satelliti di Giove scoprì che quelli più interni, quelli più vicini al pianeta con le loro orbite, stanno ad una distanza che è ciascuna doppia rispetto a quella del satellite precedente  “nella fisica quando si riscontrano simili coincidenze, c’è anche per forza un motivo, un principio alla base che la spiega” ha puntualizzato Cesare Vola “ma lo vedremo dopo” ed è così passato ad introdurre un altro affascinante problema che però non ha a che fare direttamente con le osservazioni di Galileo “vicino alla fascia degli asteroidi tra Marte e Giove” ha spiegato “ve ne sono una parte che seguono Giove e un’altra che lo precede. Perché? La meccanica celeste consiste proprio nella risoluzione di problemi di questo genere. Tra l’altro nella fascia degli asteroidi” ha proseguito Cesare Vola con una piccola digressione “si trova Cerere scoperto da un nostro conterraneo, Giuseppe Piazzi di Ponte nel 1803” un asteroide che in anni recenti è stato promosso a pianeta nano o pianetino. Dopo questa curiosità Cesare Vola ha posto un’altra questione riguardante gli anelli di Saturno “Saturno non è l’unico pianeta ad avere anelli” ha detto “Tutti i pianeti esterni (i cosiddetti giganti gassosi ndr) dunque anche Giove, Urano e Nettuno, hanno intorno sistemi di anelli. Però Saturno è l’unico che li ha così belli. Sono composti principalmente da polveri e quello che dobbiamo chiederci è perché questi anelli si sviluppano in questo modo” prima di rispondere a queste domande è però venuto il  momento di conoscere un po’ i pianeti del Sistema Solare. Mercurio, il più vicino al Sole; Venere,inizialmente ritenuto un oggetto celeste interessante, considerato quasi un gemello della Terra, ma con una temperatura di 400°, un’atmosfera densa per la maggior parte composta di anidride carbonica e composti solfurei (che generano piogge acide), densa al punto da esercitare una pressione intollerabile (pari a 100 atmosfere in questo caso intese come unità di misura della pressione) sui corpi che la attraversano, comprese le sonde che vi vengono inviate e che bisogna studiare in modo che siano resistentissime; Giove il pianeta più grande del Sistema Solare, che è stato sul punto di diventare un secondo Sole, un gigante gassoso che ha ben in evidenza una enorme macchia rossa che altro non è che una zone di tempeste ininterrotte da circa trecento anni secondo le stime degli astronomi, una macchia che col tempo può variare leggermente nelle dimensioni e qualcuno ipotizza potrebbe un giorno sparire del tutto; Urano che si può vedere dalla Terra seppur con difficoltà; Nettuno tutto blu con una macchia scura che, come nel caso di quella rossa di Giove è zona di tempeste. Dopo i pianeti è venuto il momento di scoprire le comete, quelle che compiono transiti ricorrenti. La più famosa è quella di Halley che passa nei nostri cieli ad intervalli abbastanza regolari di 75 anni. Più che sulle comete l’attenzione si è concentrata sulle orbite particolari che condividono anche con Plutone recentemente declassato da pianeta a pianetino, orbite definite eccentriche, in questo caso non intendendo questa parola come sinonimo di strano o stravagante, ma a significare il centro spostato. Tra le comete quella un po’ meno eccentrica è la Churyumov- Gerasimenko, recentemente visitata dalla sonda Rosetta e con un’orbita più interna ed è questo a renderla meno eccentrica. Tra l’altro per mandare la sonda Rosetta sulla cometa tramite un percorso complicatissimo ci si è dovuti basare sui calcoli e le simulazioni cui si accennava osservando quel programmino di simulazioni e del calcolo delle orbite, che tra l’altro se calcolate in modo preciso non si rivelano affatto perfettamente ellittiche e questo succede proprio in virtù delle forze di attrazione reciproca cui si è precedentemente che fanno si che quando due oggetti celesti (o anche un oggetto celeste e una sonda che una volta in cielo è soggetta alle medesime leggi) si trovino a passare a distanze relativamente brevi questo in quell’istante influenza la traiettoria delle loro orbite che modificano più o meno leggermente il loro percorso (un principio di iterazione chiamato precessione del perielio). Quando i corpi non sono due ma tre il problema delle reciproche influenze si complica ulteriormente e diventa un problema detto appunto a tre corpi che ci riporta alla questione degli asteroidi vicino a Giove che un po’ lo seguono e un po’ lo precedono. Abbiamo Giove e il Sole che si influenzano reciprocamente e questo fa si che i corpi che vi ruotano attorno si posizionano in specifici punti detti lagrangiani. Gli asteroidi occupano esattamente quelle posizioni perché sono i loro punti lagrangiani. Si sono posizionati li subendo le influenze dell’orbita di Giove nell’arco di milioni di anni. Abbiamo già detto come anche i pianeti si influenzino tra loro ed è in virtù di queste influenze che, sapendo fare i calcoli giusti, qualcuno ha scoperto pianeti fino a quel momento sconosciuti sulla base delle interferenze  alle orbite dei pianeti conosciuti. Nettuno è stato scoperto così come ipotesi teorica prima di essere effettivamente visto, osservando strani spostamenti dell’orbita di Urano. A calcolare l’ipotesi dell’esistenza di Nettuno fu uno scienziato di nome Le Verrier. Allo stesso modo qualcuno, osservando strani spostamenti e irregolarità nell’orbita di Mercurio ha ipotizzato l’esistenza di un pianeta più interno, tra Mercurio e il Sole, che qualcuno ha chiamato Vulcano  e che alcuni sostengono di avere visto osservando i famosi transiti sul Sole, ma della cui esistenza in realtà non vi è alcuna prova. È un fatto però che l’orbita di Mercurio presenti delle stranezze e che questo sia un bel problema da risolvere, perché è una questione che non rispetta la meccanica di Newton, meccanica che invece spiega, basandosi sul problema a più corpi, le reciproche influenze, determinate con calcoli complessi, perché i satelliti di Giove cui si accennava prima occupano esattamente quelle posizioni intorno al pianeta e perché gli anelli di Saturno assumono quella morfologia. Conoscendo queste leggi ed essendo in grado di trarne le giuste conclusioni e dunque i giusti calcoli si possono fare previsioni molto accurate sui moti degli oggetti celesti, anche quelli irregolari, a distanza di molto tempo. Ecco come gli astronomi possono prevedere anche eventuali impatti o impatti sfiorati come quello dell’asteroide Aphopis tra 15 anni che anche se pare, secondo i più recenti calcoli eseguiti non colpirà la Terra, non ha un nome molto rassicurante. Aphopis era infatti il serpente contro cui Ra il dio del Sole egizio, doveva lottare transitando con la sua barca (in compagnia tra l’altro del dio Thot e della dea Bastet) nelle terre della notte. Secondo gli Egizi, se Aphophis avesse ucciso Ra il Sole non sarebbe mai più sorto. Dunque chiamare così un asteroide sa un po’ di Apocalisse, anche se non dovesse succedere nulla come gli scienziati più recentemente hanno concluso con un esiguo margine di errore tenendo conto del tracciato delle orbite delle influenze e dunque delle variazioni delle stesse. Per rinfrancarsi un po’ da previsioni apocalittiche e teorie complesse c’è stato spazio per fare un bel gioco, il gioco dei pianeti. Le persone dovevano imitare il moto dei pianeti intorno al Sole e non è stato un gioco fine a se stesso perché giocando si è avuto modo di affrontare in modo divertente altri concetti concernenti il tema della serata. Innanzitutto poter verificare in modo pratico la meccanica celeste ha permesso di comprenderla meglio (scoprendo tra l’altro che, per quanto riguarda Venere, i curiosi effetti dei suoi movimenti rotatori, fanno si che un giorno sia più lungo di un anno) e inoltre si è potuto capire alcune dinamiche del rapporto Terra- Luna di come si influenzino a vicenda generando sulla Terra il fenomeno delle maree, in parte  condizionato dall’inclinazione della Terra che ruota anche intorno al baricentro tra la Terra e la Luna. Poi s’è capito che la Luna fa un giro in un mese e ci impiega lo stesso tempo sia a girare su se stessa che girando intorno alla Terra dunque mentre la Luna gira il Sole fa in tempo a ruotare su se stesso trenta volte. La Luna gira mostrando sulla Terra sempre la medesima faccia. Perché? In parte perché anche la Terra compie i suoi moti di rotazione e di rivoluzione e lo fa in tempi diversi rispetto alla Luna, ma non si tratta semplicemente di questo. Il movimento delle maree fa si che il movimento rotatorio della Terra sia progressivamente più rallentato finchè un giorno anche la Terra mostrerà la stessa faccia alla Luna. Al tempo dei dinosauri i giorni duravano 16 ore ed è stato questo progressivo rallentamento della Terra a far si che si sia poi arrivati a 24 anche perché pian piano la Luna nel tempo aumenta la sua distanza dalla Terra. L’ultima parte della serata è stata dedicata alle domande e allo scambio di impressioni e osservazioni e ad approfondire le ultime scoperte riguardanti Europa, una delle lune medicee di Giove scoperte da Galileo, una palla di ghiaccio al di sotto del quale le sonde hanno recentemente rilevato acqua liquida soggetta a maree molto potenti per via della forte influenza di Giove. Questi movimenti creano camini di acqua calda che sulla Terra si trovano in prossimità di vulcani sottomarini e sono l’habitat ideale di batteri termofili, che cioè prosperano ad alte temperature e dipendono per vivere dalle sorgenti calde e non dal Sole. Ebbene si crede che su Europa la vita si sia sviluppata in questo modo, forme di vita che basano le reazioni chimiche del loro metabolismo sulle fonti di calore. Europa è l’unico luogo del sistema solare al di fuori della Terra dove è realmente più probabile trovare la vita (va detto che cercare la vita nell’universo non implica per forza aspettarsi di trovare animali superiori o forme di civiltà progredite, perché anche i microrganismi sono vita ndr). Il problema è che questa vita si troverebbe sotto uno strato di ghiaccio spesso centinaia di chilometri che rende molto difficile capire cosa c’è realmente sotto. E con queste ipotesi affascinanti di vita extraterrestre e dubbi circa la natura finita o infinita dell’Universo (che forse si avrà modo di approfondire prossimamente ndr) si è conclusa questa seconda lezione di astronomia.

Venerdì 17 luglio 2015: stelle, galassie e nebulose

La lezione questa sera è cominciata ricordando l’arrivo della sonda Horizon su Plutone “un pianeta ancora tutto da scoprire” ha spiegato Cesare Vola “una palla di ghiaccio, roccia e metano. La sonda ha percorso 9 miliardi di chilometri e ha impiegato nove anni per arrivare su Plutone attraverso le varie manovre di salti e orbite influenzate che abbiamo visto l’altra volta col programmino di simulazione al computer. Plutone è un pianeta più piccolo anche della Luna e possiede un pianeta gemello, Caronte”. Parlando delle dimensioni e della distanza di  Plutone dalla Terra si è introdotto l’argomento di questa serata, le stelle “che sono molto più grandi e molto più lontane dalla Terra” ha sottolineato Cesare Vola che ha introdotto il discorso delle dimensioni attraverso un filmato di YOU TUBE che mette a confronto vari oggetti celesti, partendo dalla Luna sino ad arrivare alla più grande stella conosciuta, il Cane Maggiore “osservando il Sole col telescopio, lo si vede di forma sferica e dunque arbitrariamente si crede che tutte le stelle abbiano questa forma” spiegava Cesare Vola mentre sul video sfilavano oggetti celesti sempre più grandi “in realtà osservando le stelle più lontane anche coi più potenti telescopi, si possono osservare solo puntini luminosi e dunque non si è sicuri se quei puntini siano effettivamente sferici. La forma sferica per queste stelle molto grandi e molto lontane è una rappresentazione convenzionale sulla base di calcoli e ipotesi che, sulla base della luce che proviene dalla stella osservata, cerca di ricostruirne le dimensioni e la distanza prima di tutto”. Le distanze, in proporzione, più facili da determinare, sono quelle all’interno del Sistema Solare. Per misurare la distanza del Sole dalla Terra ad esempio si osservano i transiti di Venere, “si misura il tempo impiegato da Venere per i suoi transiti e si usa questo dato come punto di partenza per tutta una serie di calcoli” ha detto Cesare Vola “e va da se che il Sole è la stella che si conosce meglio. Ma misurando i transiti di Venere o comunque di un pianeta sul Sole bisogna prima conoscere la distanza su quel pianeta. Bisogna utilizzare gli angoli. Il pianeta diventa il vertice di un angolo i cui lati si dipanano da due punti precisi della Terra dei quali si conoscono esattamente posizione e distanza tra loro in modo da calcolare l’ampiezza dell’angolo sulla base del quale si determina la distanza del pianeta utilizzata a sua volta per calcolare la distanza dal Sole”. Ma quando ci si spinge oltre il Sistema Solare e si comincia a calcolare la distanza delle stelle? “anche su grandi distanze, l’unità di misura restano gli angoli” ha seguitato a raccontare Cesare Vola “bisogna osservare la stessa stella in due periodi diversi dell’anno, tenendo conto del fatto che la Terra e il Sole hanno una loro orbita e che questo fa si che quando osserviamo una stella non la vediamo sempre nello stesso punto del cielo e dunque bisogna tenere conto del risultato di più osservazioni. L’enorme distanza delle stelle è un qualcosa che già i Greci antichi intuivano. Qualcuno intuiva già che la Terra non fosse ferma al centro, ma altri provavano sgomento nel pensare quanto fosse difficile determinare le esatte dimensioni della cosiddetta sfera del firmamento che a quei tempi si pensava circondasse la Terra”. A questo punto si è passati a fare una sorta di campionario delle stelle un po’ più note a cominciare naturalmente dal Sole con le sue famose macchie. Stavolta Cesare Vola è riuscito a mostrare quel famoso video della NASA che illustra i movimenti delle macchie solari che non solo si spostano, ma appaiono e scompaiono, quel video che, nel corso della scorsa lezione non si è riusciti a vedere “le macchie ricordiamo hanno un ciclo di 11 anni articolato in più fasi” ha puntualizzato Cesare Vola mostrando la superficie del Sole sul video “si parte dalla prima fase senza macchie finchè se ne formano sempre di più. Dopo aver raggiunto il picco massimo al quinto anno, pian piano iniziano a scemare”. Gli astronomi hanno documentato questi cicli a partire dal 1760 e oggi esistono dei grafici precisi che illustrano questi dati e che Cesare Vola ha mostrato  subito dopo il video “studiando questi grafici si cerca di capire meglio il fenomeno” ha detto “ma l’unica ipotesi che è stata avanzata a riguardo è che hanno a che fare coi campi magnetici. Il Sole ha tanti poli al suo interno e dunque il suo magnetismo è instabile. Le macchie solari potrebbero essere un fenomeno legato a questa instabilità. Le macchie così come il vento e le tempeste solari (che occasionalmente arrivano sino ad investire la Terra interferendo con il suo campo magnetico ndr). C’è chi si specializza nello studio delle macchie solari, contandole, catalogandole”. Questo per quanto riguarda la superficie del Sole. Andando più in profondità, sino ad arrivare nel cuore del Sole, nel suo nucleo, si scopre il fenomeno della fusione nucleare. Un fenomeno che ha a che fare con degli elementi chimici che conosciamo anche sulla Terra “tanto per cominciare l’idrogeno” ha detto Cesare Vola “la parola deriva da hydro cioè acqua e genesi perché combinandosi con l’ossigeno, bruciando con l’ossigeno genera l’acqua. L’idrogeno è l’elemento più semplice e leggero di tutto l’universo. Gli atomi degli elementi più semplici nei nuclei delle stelle si combinano per formare atomi di elementi sempre più complessi ed è dalle stelle dunque che si sono formati tutti gli elementi naturali classificati nella tavola periodica fino ad arrivare al  più pesante che è l’uranio. Dall’idrogeno in primo luogo si origina l’elio un gas nobile (i gas nobili non si combinano con altri elementi e hanno molecole composte da un solo atomo già stabile di per sé ndr) e questo è il primo passaggio fondamentale della fusione, quello che avviene all’interno del Sole. Ma in alcune stelle la fusione va avanti anche nei passaggio successivi ed ecco perché si può dire che la materia si sia formata dentro le stelle, quella di cui anche noi siamo fatti” si può proprio dire che siamo figli delle stelle senza che questo sia inteso come metafora. Al di fuori del Sistema Solare, le stelle più vicine sono quelle del sistema di Alfa Centauri tra cui Proxima Centauri, definita proxima perché in assoluto è quella più vicina alla Terra subito dopo il Sole “dalla Terra questo sistema di stelle è visibile solo nell’emisfero sud (sta in prossimità della Croce del Sud che indica tale punto cardinale con esattezza nel cielo così come, nel nostro emisfero boreale, la Stella Polare indica esattamente il Nord ndr) oltre ad essere il sistema più vicino questo sistema è anche uno dei più semplici al di fuori del nostro” ha continuato a raccontare Cesare Vola “è infatti composto di tre stelle, quando ci sono sistemi che ne possono contare anche sei o più. La luce (che viaggia a circa 300 mila kilometri al secondo ndr) ci impiega quattro anni per raggiungere queste stelle che girano ciascuna attorno al suo baricentro e sono molto simili al Sole, non molto più grandi, con piccole variazioni di peso tra loro, osservabili anche con un cannocchiale che permette di vedere i loro movimenti verso il basso e verso l’alto rispetto al baricentro e come i loro movimenti nel tempo variano, una variazione che si palesa solo dopo molte osservazioni costanti. Il sistema di Alfa centauri è dunque composto da queste due stelle simili al Sole che ruotano ognuna intorno al proprio baricentro una verso l’alto e una verso il basso variando i loro movimenti nel tempo, ma anche da una terza stella, Proxima Centauri, poco luminosa e con un’orbita molto lontana rispetto alle due stelle che formano il sistema binario. La cosa interessante recentemente scoperta è che queste stelle hanno dei pianeti che girano loro intorno, osservabili sempre attraverso i transiti sulle stelle stesse, pianeti che potrebbero essere abitabili”. È una delle questioni più affascinanti dell’astronomia moderna quella dei pianeti extrasolari, tra i quali si cerca in modo particolare quelli più simili alla Terra, quelli abitabili o che potrebbero essere addirittura già abitati, magari da civiltà evolute. Durante la serata c’è stato modo di fermarsi a riflettere su tali questioni. È un fatto che nel corso dell’ultima decina di anni sono stati scoperti e catalogati, in vari sistemi stellari anche molto lontani, migliaia di pianeti (di cui puntualmente si è sempre data notizia nelle riviste specialistiche: ricordo ad esempio di aver letto, credo sia stato l’anno scorso o due anni fa, della scoperta di un pianeta fatto tutto di diamante, per non parlare poi dei vari Kepler numerati in serie che pare avrebbero condizioni ottimali per la vita ndr) “i transiti dei pianeti sulle rispettive stelle” seguitava intanto a spiegare Cesare Vola “fanno si che in quel frangente la stella sia un po’ meno luminosa e che riprenda la sua luminosità consueta al termine del transito. Tenendo conto di cio si effettuano tutte le misure del caso che sono sempre estremamente precise. In questo modo all’inizio si trovavano solo pianeti grandi e poi si sono cominciati a trovare anche pianeti piccoli. A tutt’oggi tra stelle e pianeti si è scoperta un’infinità di oggetti celesti. Quel che preme agli scienziati è trovarvi l’acqua e, se non la vita, almeno condizioni  con essa compatibili anche se comunque, essendo pianeti lontanissimi, sarebbe impossibile per noi andarci”. Ma studiare le stelle implica solo calcolarne la distanza dalla Terra e scoprire se capita, pianeti che vi orbitano intorno? “molti studi dipendono dall’osservazione di questi puntini luminosi come a noi appaiono le stelle” ed è con queste parole che Cesare Vola ha introdotto un nuovo punto della lezione di questa sera che ha a che fare con la luce “la luce bianca che passa attraverso un prisma si scompone nei colori dell’arcobaleno. Ma cosa succede quando è la luce di una stella, quando ad illuminarsi è ad esempio l’idrogeno a seimila gradi centigradi? Succede che l’idrogeno rivela delle barre di luce, la quale non contiene tutti i colori. Queste barre si dispongono una di fianco all’altra a formare quello che viene definito spettro. Per ogni elemento però, queste barre si dispongono in modo diverso. Si può dire dunque che lo spettro sia la firma dell’elemento, la sua impronta digitale, che permette di identificarlo e distinguerlo dagli altri in modo inequivocabile. Studiando gli spettri presenti su una stella attraverso la sua luminosità si può dunque capire di che cosa è fatta. L’elemento presente in maggiore quantità è sempre l’idrogeno, ma cio non esclude la presenza di altri elementi. Studiando gli spettri però si può anche osservare che le stelle si evolvono nell’arco di miliardi di anni perché un po’ alla volta l’idrogeno va diminuendo l’elio va aumentando e poi compaiono gli elementi più pesanti, quello cui si accennava prima finchè alcune stelle al loro interno possono avere anche del carbonio e tutti gli elementi, per cui studiando gli spettri si vedono come le stelle sono fatte e come cambiano nel tempo. Se l’idrogeno è la benzina contenuta nelle stelle, man mano che si consuma la stella cambia e può anche morire, spegnersi. Il nostro Sole brucia idrogeno da cinque miliardi di anni, ora è stabile e potrebbe bruciare idrogeno ancora per altri cinque miliardi dopo i quali si trasformerà in una gigante rossa espandendosi e inglobando vari pianeti interni tra cui si pensa anche la Terra, ma gli studiosi non ne sono del tutto certi (certo è che anche se non verrà distrutta, non potrà non subire notevoli variazioni climatiche ndr). Il cielo contiene stelle di varie età molto vecchie e molto giovani. Le più vecchie sono le nane bianche arrivate praticamente alla fine della loro vita, la cui luminosità è dovuta al loro calore residuo, che si consumerà del tutto nell’arco di decine di migliaia di anni e le cui dimensioni sono praticamente quelle di un piccolo pianeta per via della materia che si è compattata al suo interno. Quando una stella si spegne del tutto diventa nana nera, ma ancora non ce ne dovrebbero essere in cielo (e anche se ci fossero non emettendo luce sarebbe difficilissimo vederle ndr)”. Gli scienziati dunque sanno determinare il ciclo delle stelle in base alla loro luminosità agli elementi, che le compongono, le dimensioni, il colore della superficie (a proposito le stelle rosse sono più fredde di quelle azzurre; anche se percepiamo l’azzurro come colore freddo e il rosso come colore caldo in realtà è vero il contrario e lo si potrebbe verificare surriscaldando un pezzo di metallo: quando comincia a surriscaldare è rosso, se continuiamo a somministrare calore diventa azzurro; con le stelle è lo stesso ndr). Ci sono stelle che hanno cicli molto brevi. Si accendono improvvisamente in cielo e altrettanto improvvisamente si spengono. A queste stelle gli scienziati danno il nome di nove cioè stelle nuove. “La NASA ha fotografato ad esempio i resti di una nova (diventata ora una coloratissima nebulosa ndr) risalente al 1054 e documentata storicamente ad esempio dai cinesi”. Ha raccontato Cesare Vola. “Attraverso gli antichi documenti gli scienziati hanno capito il punto da cui è stata osservata e li hanno puntato i loro strumenti osservando appunto la nebulosa formatasi dopo la morte della stella. Le stelle bruciano idrogeno finchè si spengono e cominciano a collassare mentre continuano a girare su se stesse aumentando la velocità man mano che collassano ed espellendo materia la materia di cui è fatto tutto cio che conosciamo. Si tratta di argomenti molto vasti e questo fa si che sia impossibile che oggi esista lo studioso eclettico che si interessa di un po’ di tutto, perché se ogni argomento è vastissimo il tutto diventa molto complicato”. Immensi raggruppamenti di milioni e milioni di stelle formano le galassie. La nostra è la Via Lattea, quella più vicina a noi è Andromeda che si osserva nel cielo nei pressi della costellazione omonima. Cesare Vola l’ha individuata sullo STELLARIUM. Andromeda dista a due milioni di anni luce da qui. Così come le macchie solari, le stelle e i pianeti extrasolari, anche le galassie vengono catalogate. Di ogni oggetto celeste bisogna capire la distanza e la posizione anche rispetto ad altri oggetti. “c’è  stato un astronomo che ha cercato di capire se le galassie ruotano su se stesse” ha raccontato Cesare Vola mentre mostrava Andromeda sullo STELLARIUM “e per farlo ha confrontato le fotografie delle galassie scattate in momenti diversi. In tempi più recenti altri scienziati hanno scoperto che questa galassia contiene una moltitudine di stelle e su questa scoperta hanno realizzato un video” Cesare Vola lo ha mostrato “Andromeda è una galassia simile alla nostra, più o meno delle stesse dimensioni” ha poi continuato a raccontare “e poiché la luce ci mette due milioni di anni per raggiungerla noi la vediamo com’era due milioni di anni fa (se su Andromeda ci fosse una civiltà intelligente in grado di scrutare la Terra con un potente telescopio, la vedrebbe ancora abitata dagli uomini primitivi ndr). Questo ci fa capire l’enorme difficoltà di poter ipotizzare lunghi viaggi nello spazio per equipaggi umani. Pensiamo all’esempio di prima di Plutone. La luce da Plutone a qui impiega un’ora per fare il percorso, la sonda ci ha impiegato nove anni. Ed è dunque fuori dalla nostra portata pensare di raggiungere un oggetto celeste, che la stessa luce, che è la cosa più veloce che c’è, impiega due milioni di anni per raggiungere. La via Lattea e Andromeda hanno un diametro di circa centomila anni luce (Andromeda ha una forma più allungata ndr). Anche la via Lattea si può vedere dal cielo, in alta montagna, un braccio della via Lattea come una striscia bianca (che è il motivo per cui la nostra galassia ha questo nome: i Greci antichi credevano che i coppieri degli dei avessero rovesciato latte in cielo; del resto anche la stessa parola galassia deriva dal termine greco per latte ndr). Un’altra galassia più piccola che si può osservare in cielo è la nube di Magellano così chiamata perché fu Magellano ad avvistarla la prima volta sottoforma di macchia bianca quando giunse nei mari del sud. Ma di galassie su internet se ne trovano moltissime di tante forme anche bizzarre” Cesare Vola ne ha mostrata anche una a forma di sombrero. Tornando però alla nostra galassia bisogna dire che noi, lungi dall’essere al centro dell’universo, non siamo nemmeno al centro della nostra galassia, bensì in posizione periferica, in uno dei suoi bracci più esterni (essendo la nostra galassia a forma di spirale ndr) e la nostra galassia è solo una delle tante galassie (milioni!) che fa parte di un ammasso, che fa parte di un superammasso eccetera. Cesare Vola ha mostrato la foto di un insieme di galassie, uno spunto per molteplici riflessioni. Questa immagine da innanzitutto l’idea del gran numero di galassie presenti nell’universo e della loro distanza.  Bisogna considerare che mostra una piccola parte di cielo e dunque se una piccola parte di cielo contiene tutte queste galassie figuriamoci il totale quanto può essere, un numero incalcolabile che si aggira intorno ai 100 mila miliardi “tutte queste galassie sono distribuite come all’interno di una spugna” ha spiegato ancora Cesare Vola “gli spazi pieni della spugna sono gli ammassi di galassie che si diffondono come a formare delle righe che lasciano spazi vuoti, i buchi della spugna. Ma come si fa a dire quanto è distante una galassia? Qui entra in gioco l’effetto doppler, un effetto osservabile anche dalla Terra col suono dell’ambulanza che diventa più forte man mano l’ambulanza si avvicina e diminuisce man mano l’ambulanza si allontana. Le onde si allargano. La stessa cosa che avviene col suono avviene con la luce. Gli spettri degli elementi, la luce delle stelle tende a spostarsi verso il rosso verso la lunghezza d’onda dello spettro della luce visibile compreso nella gamma del rosso (lo spettro della luce visibile è l’arcobaleno che parte col rosso, lunghezza d’onda più lunga e finisce col blu, più corta ndr) e questo significa che se gli oggetti celesti si comportano così si allontanano. L’effetto doppler permette di capire se le galassie si allontanano o si avvicinano e tutte quelle osservate si allontanano perché la loro luminosità diminuisce nel tempo. Questa è la prova principale a supporto di chi sostiene la teoria dell’universo in espansione, la quale però è solo una deduzione teorica sulla base dei dati, degli spettri ma anche dei movimenti delle stelle, deduzioni che si cerca di supportare coi calcoli, che danno vita a teorie e discussioni. Se le galassie si allontanano sembra logico dedurre che ci sia stato un punto di partenza (il famoso puntino che ha subito la primordiale esplosione conosciuta come big bang? Ndr), un’idea che però risulta molto problematica, è stata discussa e continua ad esserlo. Questo argomento però è stato oggetto della lezione successiva. Ma gli alieni esistono?” questa domanda di Cesare Vola ha dato il via, nell’ultima parte della serata, a tutta una serie di divagazioni e scambi di idee sfociate nel filosofico e nel fantascientifico “considerando l’immensità di stelle e pianeti esistenti (sicuramente molto di più di quelli effettivamente trovati ndr) ci dovrà pur essere una civiltà intelligente?” io a questo punto ho osservato che si potrebbero teoricamente esserci, ma se ce ne stiamo ognuno a casa propria non sarà facile sperare in qualche contatto “ma si può viaggiare da una stella all’altra?” ha chiesto ancora Cesare Vola e a me è venuto in mente di far notare l’ipotesi dell’esistenza di tunnel spazio-temporali su cui hanno fatto anche dei film “per come noi oggi conosciamo le leggi della fisica, viaggiare da una stella all’altra è impossibile” ha chiarito Cesare Vola “proprio per quel che abbiamo visto prima circa il lasso di tempo enorme che richiederebbero che va ben oltre il tempo dell’intera esistenza umana. ma forse in futuro… e questo ci riporta alla questione alieni. Potrebbe essere che da qualche parte lassù esista una civiltà che rispetto a noi per quanto riguarda le conoscenze, la tecnologia, sia avanti rispetto a noi di migliaia o anche di milioni di anni e dunque potrebbe essere effettivamente in grado di compiere viaggi interstellari e arrivare fin qui? C’è un progetto della NASA che ha lo specifico scopo di cercare tracce di civiltà intelligenti nello spazio, il progetto SETI che si avvale di apparecchi particolari i radiotelescopi. Se esistesse una tv aliena o qualunque apparecchio artificiale inventato dagli alieni, questi strumenti potrebbero captarne i segnali, trasmetterli alla Terra e permettere di calcolarne la posizione esatta. Per far questo bisogna che i dati dei vari radiotelescopi sparsi per il mondo siano messi a confronto e analizzati accuratamente. Del progetto SETI c’è anche un programma su internet che permette anzi invita tutti a partecipare a questa ricerca” questi spunti di riflessione lanciati da Cesare Vola hanno stimolato oltremodo il pubblico. C’è chi ha manifestato idee complottiste dichiarando che la NASA non divulga tutto, c’è chi ha manifestato granitiche certezze circa la natura infinita dell’universo, perché si è chiesto “l’universo è contenuto dove?”e qui già s’è anticipato l’argomento della prossima volta, la cosmologia, la relatività generale che cambia il concetto di geometria ammettendo che un oggetto che va sempre avanti può tornare al punto di partenza (questo concetto sta alla base della particolare curvatura della luce che si osservava in quella foto degli ammassi di galassie), un argomento che dovrebbe spiegare anche la particolare forma dell’universo, rotonda in quattro dimensioni, un argomento che si può capire aprendosi a nuove forme del pensiero e abbandonando gli schemi comuni. C’è chi poi la questione degli alieni l’ha esaminata sotto la lente della riflessione filosofica, dicendo che anche nel caso degli alieni, quando ci si pone la domanda esistono o no bisogna aprirsi a nuove vie del pensiero, a nuove forme di consapevolezza, una consapevolezza che infondo è cambiata già molte volte nel corso della Storia, una consapevolezza che tiene conto del mistero della vita, che non si è ancora riusciti a definire e che non è detto che in tutto l’universo segua le stesse regole che segue qui “prendiamo ad esempio il DNA” ha spiegato Cesare Vola “la doppia elica gira verso destra, ma potrebbero esistere forme di vita su altri pianeti, ma anche qui sulla Terra dove la doppia elica gira verso sinistra e quelle forme di vita sarebbero completamente diverse da noi tanto che non potremmo nemmeno mangiarle” a questo punto non ho potuto proprio evitare di riferire la teoria del multi verso o degli universi paralleli, che per ora esiste come ipotesi, ma qualcuno sta dimostrando o cercando di dimostrare con una mole immensa di calcoli complicatissimi. Secondo questa teoria esistono universi paralleli che potrebbero persino basarsi su una fisica totalmente diversa che noi non possiamo assolutamente immaginarci, universi dove la vita si basa anziché sul carbonio sul silicio (che qui invece è la base della chimica inorganica) universi senza vita oppure universi con Terre parallele su cui si avverano le alternative che qui non si verificano, dove per esempio i dinosauri non si sono estinti o dove Hitler ha vinto la seconda guerra mondiale, universi dove esiste per ciascuno un alter ego che compie le scelte alternative rispetto a quelle compiute qui. La famosa storia con i se. Se ci fosse un numero infinito di universi paralleli tutti i se sarebbero egualmente possibili. “qui però limitiamoci alla scienza a cio che si può misurare, verificare, a quello che potrebbe essere possibile” ha osservato Cesare Vola che però, incalzato da altre osservazioni come quella di qualcuno che ha chiesto “può il filosofo arrivare dove non arriva lo scienziato?” ha considerato che certo col pensiero si può arrivare molto lontano. L’ultima riflessione prima di terminare ha riguardato il rapporto tra filosofia e scienza. Oggi sembrano due discipline incomunicabili, ma infondo la scienza è nata da una costola della filosofia. Quella che noi chiamiamo scienza per molto tempo è stata conosciuta come filosofia naturale. I filosofi Greci dissertavano anche di natura e cosmo, come abbiamo già avuto modo di vedere e Galileo anche si definiva un filosofo naturale. Non c’era un confine tra le discipline del sapere e la scienza è stata per molto tempo speculativa. È con Galileo che nasce il principio secondo cui si può definire scientifico quello che può essere verificato con un preciso metodo ed esperimenti ripetibili perché altrimenti col pensiero tutto è teoricamente possibile e non si scoprirebbe più niente. Osservando e misurando si nota ad esempio che una delle regole universali di natura e cosmo segue la sezione aurea identificata con la bellezza e la perfezione del creato soggetto alle stesse leggi universali sia sulla Terra che al di fuori di essa.

 

 

Venerdì 24 luglio 2015: curvatura dello spazio buchi neri e big bang

Come ogni venerdì, anche questa sera sono arrivata un po’ prima alla lezione e non ho potuto fare a meno di commentare l’argomento di cui si sarebbe parlato, ricollegandomi alla teoria del multi verso che mi è capitato già l’altra volta di esporre. “pare che i buchi neri siano il portale di accesso tra un universo e l’altro” ho detto “e pare che già Giordano Bruno avesse postulato per primo questa teoria e che per questo sia stato mandato al rogo” “non è esatto” ha risposto Cesare Vola “Giordano Bruno è stato il primo ad ipotizzare che le stelle non erano soltanto puntini nel cielo, ma oggetti celesti simili al nostro Sole, molto lontani, ciascuno dei quali avrebbe potuto potenzialmente avere nella propria orbita altri pianeti, anche simili alla Terra, anche abitati” e tramite quest’ultima considerazione ha cominciato ad anticipare la scoperta di un nuovo pianeta di cui avrebbe parlato durante la lezione, il pianeta Kepler 452b. i pianeti più recentemente scoperti si chiamano tutti Kepler perché Kepler è il nome del satellite che li ha scoperti osservandone i transiti sulle loro stelle. “è un lavoro che dalla Terra ormai non si fa più” ha spiegato Cesare Vola “perché l’atmosfera scherma”. Intanto la gente arrivava così la serata è potuta ufficialmente cominciare.

“stasera lo scopo sarà cercare di comprendere in primo luogo il concetto di curvatura dello spazio” ha esordito Cesare Vola “ma prima occupiamoci per un momento della notizia del giorno, la scoperta del pianeta Kepler 452b qui mostrato con un’immagine artistica e non necessariamente reale, perché un pianeta distante migliaia di anni luce lo si può individuare, ma non vedere esattamente com’è fatto. Per riuscire ad osservare i transiti di un pianeta lontano bisogna che anche la Terra si trovi allineata sullo stesso piano dell’eclittica della stella che si sta osservando e bisogna che il pianeta da osservare transiti tra la Terra e la sua stella mentre si trovano sullo stesso asse. Ci sono poche probabilità che questo avvenga eppure, nell’arco di circa una quindicina d’anni, sono stati già scoperti migliaia di pianeti extrasolari e questo significa che in cielo, complessivamente ce ne sono una quantità infinita. In particolare quest’ultimo pianeta ha fatto notizia per via delle sue molte somiglianze con la Terra: le dimensioni di Kepler 452b sono solo di poco più grandi rispetto a quelle della Terra, la distanza dalla sua stella è quasi identica alla distanza Terra-Sole e così la sua orbita intorno alla stella. Questo pianeta potrebbe avere acqua liquida, la vita, una civiltà che potrebbe essere più avanzata della nostra. Di certo c’è che è il pianeta più simile alla Terra finora scoperto nello spazio a 1000 anni luce di distanza”. Esaurita la notizia del giorno, Cesare Vola ha riportato l’attenzione sul concetto di curvatura. In ogni punto di una curva, la curvatura è il valore del raggio della circonferenza che approssima la curva “dunque più la curva è dritta, più la circonferenza è ampia, un concetto valido ragionando in una dimensione dove si può andare solo avanti o solo indietro, ma sempre dritti. In due dimensioni non si avranno cerchi, ma sfere, che però vanno sempre concepite come superfici che non contengono nulla al loro interno”. Per riflettere meglio su come cambia la percezione della realtà e soprattutto i principi matematici su cui si basa in base alle dimensioni di cui si tiene conto, Cesare Vola ha mostrato un vecchio cartone animato che ha per protagonista un bambino che viaggia nello spazio. In questo episodio in particolare, il bambino giunge su un mondo piatto abitato da esseri a due dimensioni che si muovono come figure animate su un foglio di carta, come figure piane in altre parole e di cui il bambino, che invece come tutti noi vive in una realtà a tre dimensioni che comprende anche la profondità, riesce a vedere il corpo al loro interno. Per questi omini la loro realtà che a noi sembra molto strana è la normalità. Allo stesso modo noi potremmo apparire strani a degli esseri che vivono in realtà comprendenti quattro o anche più dimensioni. Tutto questo per dire che la realtà che percepiamo non è necessariamente, la realtà vera e che non si riesce a comprendere pienamente tutto l’esistente. Se non si può percepire con i sensi tutto cio che realmente esiste nel Cosmo, si può però provare a ragionarci in modo astratto. “I primi a provarci sono stati i matematici” ha raccontato Cesare Vola mentre sullo schermo si muovevano gli omini piatti “costruendo dei modelli basati su ragionamenti complessi basati su una geometria di quattro dimensioni, ipersfere e quant’altro. Ma prima di arrivare a questo bisogna aver chiaro il concetto di retta e come si può determinare che una cosa è dritta. Le nozioni scolastiche di geometria ci dicono che la linea retta è il percorso più breve per unire due punti. Misurando due elementi bisogna misurare il tempo impiegato a coprire la distanza tra loro. Sarà dritto il percorso che consente di impiegare meno tempo. Sulla Terra si può fare questo esperimento con le corde. Nello spazio bisogna usare come riferimento, la luce che ha una velocità costante di 300 mila kilometri al secondo e non per nulla l’anno luce, cioè la distanza percorsa dalla luce in un anno, è l’unità di misura delle distanze nello spazio, che implica allo stesso tempo anche la misura del tempo degli ipotetici tempi di percorrenza da un oggetto celeste all’altro, considerando che tali oggetti non sono mai fermi. Dunque nello spazio una linea è dritta, è retta, quando corrisponde al percorso più breve compiuto dalla luce. Una linea dritta per noi è sempre dritta sia su un foglio che nello spazio reale, perché sebbene percepiamo le tre dimensioni e dunque la profondità, non percepiamo la curvatura e dunque ci muoviamo sulla Terra come se fosse una superficie piana (motivo per cui c’è gente che ha pensato e che continua a pensare tutt’ora che la Terra è piatta ndr). Solo guardando dall’esterno si può dire se una superficie è curva o piana. Dall’interno bisogna basarsi sulle leggi geometriche. Sul piano vale la geometria euclidea secondo cui la somma degli angoli interni di un triangolo è 180° mentre la somma degli angoli interni di un quadrilatero è 360° e secondo cui vale il teorema di Pitagora (la somma dei quadrati costruiti sui cateti è uguale al quadrato costruito sull’ipotenusa ndr). Sulla sfera curva la geometria euclidea non funziona. Sulla sfera curva si ottengono quadrati storti e triangoli con angoli interni di 90° e cerchi con raggi maggiori rispetto a come sono sul piano. Le superfici curve inoltre non sono per forza sfere, possono avere le forme più svariate e bizzarre. Per duemila anni si è creduto di poter applicare nell’osservazione del cielo le leggi della geometria euclidea basata sui quattro postulati di Euclide cioè enunciati dati per veri che però sono il frutto di un’astrazione verificabile sul piano. Einstein sarà colui che elaborerà equazioni molto complicate per confutare queste teorie, basate su geometrie non euclidee e su uno spazio curvo in tre dimensioni che per essere ben compreso andrebbe guardato dal punto di vista della quarta dimensione tenendo presente che le regole variano punto per punto nello spazio, che lo spazio forma un sistema unico con il tempo e che questo sistema è curvato dalla gravità ed è determinato dalla posizione e dal movimento delle masse. Misurando il raggio e la superficie di una sfera si può cominciare a capire la curvatura terrestre. La sfera del modello geometrico è però un’approssimazione perché la si considera vuota al suo interno, cosa che la Terra non è. Dunque la geometria euclidea è un approssimazione valida solo in condizioni di gravità zero che diventa sempre meno vera man mano la gravità aumenta. La conferma di tali principi richiede però delle misurazioni di una precisione difficile da ottenere. Nello spazio si può osservare che le rette si incurvano e che i corpi celesti deviano la luce in base alla loro massa, proprio come ha teorizzato Einstein e come verificò nel 1919 Arthur Eddigton (uno dei maggiori astrofisici inglesi del ventesimo secolo; fu proprio lui non solo a verificare, ma anche a diffondere le idee di Einstein e a proporre il limite che porta il suo nome che corrisponde alla luminosità massima che può avere una stella con una data massa, senza che essa inizi a perdere gli strati più alti della propria atmosfera ndr) osservando le stelle vicino al Sole durante un’eclisse solare e trovandole spostate. Sulla base di questa curvatura Einstein determina anche il fenomeno della lente gravitazionale secondo cui se dalla Terra si osservano due galassie poste una dietro l’altra per effetto della curvatura della luce la galassia dietro appare come una grossa lente con quella davanti al centro. In realtà Einstein pensava che la curvatura della luce avrebbe reso invisibile la galassia dietro, ma su questo dettaglio si sbagliava. Non si sbagliava però nel definire lo spazio curvo e nel dire che gli oggetti celesti che lo occupano ne influenzano la curvatura. Tutto questo è compreso nella sua cosiddetta teoria della relatività che ha una spiegazione anche per le strane orbite di Mercurio che non necessita di chiamare in causa un pianeta misterioso. Se le orbite di Mercurio non rispondono alle teorie di Newton, corrispondono alla relatività di Einstein che non solo teorizza la curvatura dello spazio, ma anche quella del tempo. È Einstein ad affermare per primo che il tempo è relativo e non è lo stesso per tutti e lo fa prendendo ad esempio due razzi che viaggiano a velocità diverse. Ognuno contiene un orologio che manda un impulso ad un intervallo prestabilito di tempo. L’impulso dai due razzi non giunge nel medesimo istante sebbene gli orologi siano stati tarati allo stesso modo e sebbene l’intervallo di tempo sia lo stesso sui due razzi. Più il raggio viaggia veloce e più gli impulsi che manderà saranno vicini uno all’altro nel tempo. Il tempo di ciascuno si modifica se confrontato con altri e se si considera l’accelerazione di gravità. Galileo aveva già cominciato a capirlo osservando le navi, ma ci è voluto Einstein per dare la spiegazione definitiva (tenendo conto che nella scienza nulla è definitivo ndr) arrivando ad elaborare il concetto di spazio-tempo che più è curvato più fa si che il tempo scorra lentamente, un concetto che nella relatività speciale è spiegato col paradosso dei gemelli (uno dei due gemelli parte per un viaggio nello spazio alla velocità della luce o molto prossima ad essa un viaggio andata e ritorno sempre a questa velocità. Rientrando sulla Terra al termine del viaggio lui non sarà cambiato, ma troverà il suo gemello invecchiato ndr) e che fa si che in movimento, anche tenendo conto dell’effetto doppler cambi il colore della luce, perché varia la sua frequenza”. Parlando di deformazione dello spazio tempo non si può non parlare di buchi neri (Einstein li postulò in teoria, ma è stato Stephen Hawking a scoprire che esistono davvero anche se praticamente non si riesce ad osservarli ndr). “in realtà furono diversi scienziati a teorizzare il concetto di buchi neri e a proporre modelli matematici atti a dimostrarli, Poincaret, Lorentz, Oppenehimer, per citarne alcuni” ha puntualizzato Cesare Vola “i buchi neri sono oggetti celesti misteriosi perché assorbono anche la luce. Tutte le masse attraggono la luce, ma la massa di un buco nero è talmente forte che più che attrarre fagocita e in un buco nero tutto può entrare ma nulla può uscire” Cesare Vola ha proiettato l’immagine artistica di un buco nero che si troverebbe nella nube di Magellano “all’interno di un buco nero il tempo è fermo è c’è sempre quella linea di confine oltre la quale il buco nero risucchia tutto. Al di sopra di quella linea ci si può ancora sottrarre dall’orbita di un buco nero al di sotto no. Se ci si trova al di sotto della linea si vede l’universo scorrere velocissimo, se ci si trova al di fuori si vede un oggetto cadere in continuazione senza superare mai quella linea perché man mano si avvicina il tempo rallenta finche ad un certo punto si ferma. Questo concetto è stato teorizzato dai calcoli complicati di uno scienziato di nome Sharzscild che ha coniato, per il fenomeno stesso il nome di orizzonte degli eventi. Ma come si osserva tutto questo? Attraverso la luce che il buco nero cattura e che gli orbita intorno emettendo raggi X  prima di essere fagocitata oppure attraverso l’influenza che esercita sugli oggetti celesti che si trovano vicini. Si osservano stelle che ruotano intorno ad oggetti scuri e molto massivi e quelli potrebbero essere dei potenziali buchi neri che si originano per effetto della curvatura. Per essere sicuri bisognerebbe però poter mandare una sonda e studiarli da vicino. Oltre a quello della nube di Magellano altri buchi neri in qualche modo famosi si trovano all’interno delle costellazioni del Cigno e del Sagittario, ma in realtà ogni galassia avrebbe il suo buco nero supermassiccio al centro che ne determinerebbe la rotazione. Quello che conta però è quello che si può misurare e non è ancora possibile effettuare delle misurazioni che permettono di capire se i buchi neri sono realmente come li si immagina. Anche il raggio di  Sharzscild e l’orizzonte degli eventi sono più dei postulati che delle teorie reali e infondo la fisica tende a voler credere troppo nelle sue teorie”. Ecco come parlando di teorie, siamo giunti, nell’ultima parte della serata ad esaminare le teorie più affascinanti, quelle che dovrebbero spiegare come tutto cio di cui si sta parlando da quattro venerdì sera a questa parte e che ha tolto il sonno a molti scienziati nel corso dei secoli, ha effettivamente avuto inizio. Non si poteva proprio non parlare del Big Bang il grande scoppio, anch’esso però rappresentato sempre più artisticamente che realmente “attraverso immagini che presuppongono l’esistenza di un centro che invece nel Big Bang non c’è” come ha puntualizzato Cesare Vola “così come non c’è un centro dell’Universo dove tutto è sparso omogeneo e isotropo su scala opportunamente grande dove per omogeneo si intende tutto uguale più o meno e per isotropo che cio che si osserva non cambia se cambia la direzione da cui viene osservato. Nello spazio le galassie sono distribuite in modo uniforme come su una spugna, come se l’universo fosse un insieme di tanti granelli immobili tra loro immersi in uno spazio che si espande (come se fosse un palloncino che si gonfia ndr) un’idea che però non piaceva ad Einstein che propendeva per un universo stazionario. Per dimostrare questa teoria ha persino calcolato una costante cosmologica, ma questo poi col tempo si è rivelato essere un errore perché i calcoli dimostrano che lo spazio (e non gli oggetti celesti in esso contenuti) si muove, si espande o si contrae ed è un fenomeno che si può osservare tramite i già nominati spettri stellari e l’effetto Doppler che sarà tanto maggiore, quanto più la galassia o  comunque l’oggetto celeste si allontana velocemente. A scoprire questo per la prima volta fu Hubble lo scienziato (da cui il famoso telescopio spaziale ha preso nome ndr). Figlio di un avvocato avrebbe dovuto, secondo i voleri paterni diventare avvocato a sua volta, ma egli volle diventare astronomo e divenne un grande astronomo che scoprì appunto come tramite l’effetto Doppler si potesse determinare l’allontanamento (fuga verso il rosso) o l’avvicinamento (fuga verso il blu) in base alla distanza fra le galassie stesse”. Alla fine la teoria dell’universo in espansione venne accettata anche da Einstein che riconobbe i suoi errori in tal senso. Ma prima di arrivare a questo Cesare Vola ha presentato un altro scienziato “Lamaitre un gesuita belga il primo a concepire l’idea di un Big Bang, una teoria scientifica che in qualche modo cerca di avvalorare la creazione in cui credono i cattolici. Lemaitre afferma che l’Universo in espansione si è originato a partire da un atomo primordiale all’inizio del tempo e dello spazio, un’idea che fa inorridire gli atei e i materialisti. Se l’universo fosse bidimensionale questa teoria si può facilmente rappresentare col palloncino che si gonfia. L’universo è tridimensionale però e le galassie si allontanano a velocità che possono raggiungere quelle della luce e c’è addirittura chi pensa che alcune galassie si allontanano ad una velocità tale che la luce non le può raggiungere e non si potranno dunque mai osservare ed ecco come in questo senso si può trovare un nuovo significato per il termine di orizzonte degli eventi, intendendo in questo caso una parte di universo che resterà sempre fuori dalla nostra portata”. A questo punto la cosa si è fatta complicata. È venuto il momento di capire quale potrebbe essere la geometria dell’Universo. L’equazione di Einstein fornisce tre possibilità di risposte. L’Universo può essere sferico e finito oppure infinito nei due modelli iperbolico e piano oppure simile ad un ipercilindro. Tre modelli che si basano sulla densità della materia e sulla curvatura che fa si che la somme degli angoli interni di un triangolo cosmico sia sempre maggiore di 180° tanto più maggiore quanto maggiore è la curvatura. L’equazione però prevede anche che il sistema spazio tempo abbia avuto un inizio dunque Lemaitre affermava sulla base di questo che prima di quell’inizio non esisteva nulla. Un altro scienziato Fred Hoyle (matematico, fisico e astronomo britannico, noto al grande pubblico soprattutto per le sue argomentazioni non convenzionali e per svariate teorie non ortodosse entro la comunità scientifica ndr da Wikipedia) ha proposto invece il modello di un Universo fondamentalmente uguale a se stesso all’interno del quale le galassie si espandono perché nel vuoto si creano degli atomi. Per far funzionare questa teoria sono sufficienti pochissimi atomi e questo esclude il problema dell’inizio dell’Universo che Hoyle escludeva categoricamente. Fu proprio lui durante una trasmissione radiofonica a coniare il termine Big Bang in senso dispregiativo come per dire che si trattava di un’idiozia. Tutte queste teorie funzionano e per dire qual è quella vera ci si potrebbe affidare alle conferme sperimentali. A questo punto non ho potuto evitare di  fare una piccola riflessione su quanto è stato detto, sull’Universo visibile che è solo una piccola parte del tutto, sui buchi neri che si originerebbero dal collasso di stelle di neutroni, stelle talmente dense di materia che un cucchiaino di tale stella peserebbe tonnellate e dunque in qualche modo i buchi neri sarebbero lo stadio finale dell’evoluzione di stelle che evolvendosi hanno acquisito sempre più massa e densità. Nella parte finale della serata ognuno ha avuto modo di poter dire la sua. Qualcuno ha letto il libro SETTE BREVI LEZIONI DI FISICA e ha voluto condividere qualche riflessione in merito, qualcuno ha tirato in ballo la teoria delle stringhe. C’è stato anche il modo di tornare sulla teoria del multi verso e di assimilare i buchi neri a passaggi spaziotemporali tra un universo e l’altro e di riflettere su come la teoria del multi verso sta alla base della possibilità di viaggiare nel tempo tenendo conto che tornando nel passato c’è sempre la possibilità di alterarlo (il famoso paradosso del nonno secondo cui se torni indietro nel tempo e uccidi tuo nonno giovane oppure tua madre incinta di te tu praticamente non esisti più da nessuna parte ne nel passato dove non sei ancora nato ne nel tuo presente ndr) e dunque se si pone per vera la teoria del multi verso e ancor più quella del multi verso infinito secondo cui si formano universi in continuazione come bolle di sapone i paradossi relativi ai viaggi nel tempo si possono spiegare col principio secondo cui non si torna allo stesso presente da cui si è partiti, ma in un universo parallelo creatosi sulla base delle alterazioni messe in atto durante la permanenza nel passato, anche involontariamente. Ma prima di parlare di ciò, un’ultima considerazione sulle varie teorie e sulle loro possibili conferme sperimentali. “l’Universo è grande, secondo le ultime ipotesi 130 miliardi di anni luce e l’Universo visibile copre uno spazio di circa 15 miliardi” ha precisato Cesare Vola rispondendo alle mie riflessioni “beh se è infinito  e si espande di continuo è inutile misurarlo” ho ancora osservato io. Detto cio è venuto il momento di parlare della scoperta della radiazione cosmica di fondo teorizzata e scoperta da due scienziati di nome Penzias e Wilson. Questa radiazione cosmica identica da qualunque punto dell’Universo la si ascolta è molto importante perché rappresenta la conferma sperimentale del Big Bang, una sorta di eco di questo grande botto primordiale che continua a giungere sino a noi dovuto al nucleo originario di plasma di atomi di idrogeno che emettevano energia elettromagnetica. Questo però non implica che ci sia stato un centro, il centro non c’è e questo rende difficoltoso il problema dell’inizio per il quale Cesare Vola stasera ha proposto alcune soluzioni divertenti giusto per smorzare un tantino la difficoltà degli argomenti, ma in realtà una soluzione a questo problema ancora non è stata trovata. “che cosa ha generato il tutto?” ha chiesto “a meno che abbia senso porsi la domanda”. I cattolici spiegano il tutto con la creazione e fanno coincidere con essa il Big Bang. Ma i problemi non sono finiti e l’ultimo problema esaminato introduce a quello di cui si è parlato nell’ultima lezione. La materia oscura. Questa sera Cesare Vola ha fatto notare che per ogni particella di materia in teoria ne esiste una corrispondente di antimateria (quando si incontrano formano i raggi gamma), ma nel nostro Universo si registra un’abbondanza di materia e scarsità di antimateria sicché i conti non tornano e questo porta a pensare che la materia primordiale fosse soggetta a leggi della fisica che non conosciamo quelle che cercano di studiare al CERN ricreando condizioni che sono le più simili possibili a quelle del Big Bang tenendo conto che più ci si avvicina all’inizio più si è incerti “in conclusione dell’Universo si può dire con certezza che è grande che si espande e che ha un’età” ha spiegato Cesare Vola “età determinata da oggetti celesti chiamati quasar oggetti celesti molto luminosi e molto concentrati che si trovano a grandi distanze a miliardi di anni luce (qualcuno vede in essi l’universo primordiale ndr) e che sono ammassi di materia che fagocitano materia in continuazione emettendo grandi quantità di energia. In realtà l’Universo presenta continuamente questioni su cui indagare su cui discutere confrontando le varie opinioni. Tutta la scienza prosegue in questo modo”. Senza essere scienziati anche i presenti, come ho già avuto modo di dire, hanno voluto mettere le loro opinioni a confronto. Sono serate come queste che fanno apprezzare l’importanza della Casa Uboldi in grado a volte di rievocare la vivacità dei simposi greci delle corti rinascimentali e  dei salotti del Sette-Ottocento.

Venerdì 31 luglio 2015: materia ed energia oscura, cosmologie tra scienza e fantascienza

Materia ed energia oscura sono due concetti diversi, ma egualmente sfuggenti che riguardano gli ultimi vent’anni della ricerca cosmologica. Così ha esordito questa sera Cesare Vola per dare l’avvio a quella che si è rivelata essere la serata più interessante di tutto il ciclo, se non altro perché si è trattato di tematiche per così dire ancora aperte, caratterizzate più da interrogativi che da certezze, su cui dunque l’uomo è stimolato a riflettere. “una tematica di cui appunto per ora si percepisce solo il fascino senza comprenderla realmente, tanto da utilizzarla arbitrariamente come titolo per un film” ha spiegato ancora Cesare Vola “ma è dunque possibile capire realmente di che cosa si tratta? Cominciamo dalla materia oscura. Che cosa si intende con questa denominazione?” per introdurre il concetto Cesare Vola ha parlato nuovamente delle galassie e del fatto che ruotano su se stesse, compiendo una rotazione completa in intervalli di tempo fissi e misurabili. La nostra galassia, la Via Lattea, ad esempio compie una rotazione completa su se stessa nell’arco di 250 milioni di anni. “in realtà non si potrà mai osservare una galassia ruotare” ha puntualizzato Cesare Vola “perché si tratta di movimenti rotatori lentissimi. È interessante notare come la galassia ruota, come si comporta la materia di cui è costituita durante la rotazione. Al centro la galassia ruoterà più in fretta e man mano ci si allontana dal centro sempre più lentamente. Questo almeno è cio che ci si aspetterebbe. Per rilevare la rotazione di una galassia ci si basa ancora una volta sull’effetto doppler e le righe spettrali che dovrebbero mostrare una parte della galassia che si avvicina all’osservatore e un’altra parte che si allontana. Ci si può basare soltanto sulla luce dunque e sui suoi effetti per misurare la rotazione di una galassia e per rilevare i comportamenti della materia al suo interno dovuti alla rotazione stessa. Ed ecco come in questo modo si nota come in realtà non avviene cio che ci si aspetterebbe. In realtà si osserva che la materia esterna di una galassia gira molto più velocemente rispetto a quanto ci si aspetterebbe in teoria, addirittura gira più velocemente nella parte esterna piuttosto che in quella interna e, se si considera la teoria che conosciamo, questo è assurdo. Noi sappiamo che la velocità di rotazione dipende dalla vicinanza da un centro, perché maggiore è la vicinanza del centro, maggiore è l’attrazione che esso esercita e dunque maggiore è la rotazione. Lo si osserva ad esempio con i pianeti del Sistema Solare: Mercurio, che è il più vicino al Sole, è quello che ruota molto più velocemente, mentre Plutone, il più esterno, è quello che ci impiega più tempo a girare intorno al Sole. Ma con le galassie non avviene tutto questo, non lo si osserva eppure il principio dovrebbe essere il medesimo. Ecco come i fisici, per provare a spiegare questo assurdo, hanno introdotto il concetto di materia oscura, un alone oscuro che circonda la galassia e in qualche modo ne perturba il moto, giustificando così le discrepanze che si osservano e che contraddicono la legge della gravitazione. La materia oscura infatti rende uniforme la materia dentro la galassia che dunque non ruota più intorno al suo centro, ma ruota dentro questo alone oscuro e risente dell’attrazione gravitazionale di quest’ultimo che farebbe girare più velocemente l’esterno. Ovviamente l’alone è definito oscuro perché non è possibile osservarlo. Gli scienziati lo ipotizzano perché la sua presenza fa tornare i conti che non tornano, ma nessuno può ancora portare conferme sperimentali della sua esistenza effettiva. Questa strana materia oscura non riflette la luce e passa attraverso la materia ordinaria senza produrre effetti significativi (se si esclude ovviamente cio che è stato appena detto sulla strana rotazione delle galassie) potrebbe essercene persino sulla Terra, ma non si può percepirla, accorgersi che c’è  perché non interagisce con noi, ma neanche con la luce (in realtà però se fa ruotare in modo strano le galassie un qualche tipo di iterazione la dovrà pur avere no? Ndr). Dunque secondo gli scienziati dovrebbe esistere questo tipo di materia che, a differenza della materia ordinaria non si aggrega, non è polvere, non va a formare corpi celesti è diffusa per lo spazio e le particelle di cui sarebbe fatta (o qualunque cosa sia che la compone) non interagiscono nemmeno tra loro. Ecco perché al momento può essere solo un’ipotesi, un qualcosa che gli scienziati immaginano senza sapere se esiste davvero. Al CERN stanno provando a mettere a punto esperimenti specifici per individuarla osservando eventuali comportamenti anomali delle particelle di materia ordinaria. Se esistesse davvero, secondo gli scienziati, sarebbe addirittura in percentuale di molto maggiore rispetto alla materia ordinaria. La materia oscura precisamente costituirebbe il 22% dell’esistente contro circa il 4% della materia ordinaria compresa di corpi celesti e gas intergalattici. Analoghi studi si effettuano nel campo dell’energia e si arrivati in tal modo a scoprire l’esistenza dei neutrini e a ipotizzare l’energia oscura che costituirebbe addirittura il 74% dell’esistente” Per introdurre il concetto di energia oscura Cesare Vola ha parlato delle supernovae, stelle che si accendono improvvisamente nel cielo e muoiono in seguito ad enormi esplosioni “le supernovae si formano a partire da una nana bianca (che dovrebbe essere una stella giunta ormai alla fine della sua vita come già detto nel corso delle serate precedenti ndr) che accumulano sempre più materia, sempre più concentrata, sino ad innescare la fusione del carbonio ed emettendo una gran quantità di luce sempre la stessa in qualunque punto si trova. Misurando quanta luce arriva effettivamente sulla Terra si può stimare la distanza di questi oggetti celesti nonché la distanza della galassia che le ospita. Quello che si scopre è che le galassie si allontanano ad una velocità sempre maggiore le une dalle altre e questo è un altro assurdo che contraddice la legge della gravitazione universale. La forza di gravità dovrebbe infatti tenere insieme le galassie che dunque si dovrebbero allontanare a velocità molto lenta. Ancora una volta quello che si osserva contraddice la teoria e ancora una volta i fisici devono ipotizzare un qualcosa che giustifichi questa espansione, che faccia tornare i conti e questo qualcosa è l’energia oscura ed è in virtù dell’esistenza di questa energia che l’universo si espanderebbe sempre più velocemente. Ipotizzare la materia e l’energia oscura influenza le teorie del big bang. Si parte da un punto che è l’inizio dello spazio ma anche del tempo e si ipotizza una grande esplosione che ha innescato una rapidissima espansione che continuerebbe tutt’ora. In realtà però quel che si osserva non è così lineare. Si tratta comunque di teorie nuove in discussione da circa una decina d’anni. il bello della scienza è che non si arriva mai si pensa di aver raggiunto un traguardo, ma poi si scopre qualcosa di più preciso che rimette tutto in discussione” a questo punto non ho potuto fare a meno di intervenire osservando che “nella scienza ogni risposta genera almeno dieci domande” “fino a dieci anni fa i fisici erano convinti che l’espansione dell’universo dovesse rallentare” ha ripreso a spiegare Cesare Vola “ma le misurazioni più precise che hanno portato ad ipotizzare la materia oscura e l’energia oscura hanno mostrato un’altra realtà. Nuove osservazioni potranno forse in futuro portare a nuove teorie. Fino a vent’anni fa la questione cruciale della cosmologia era capire se l’universo si espande all’infinito oppure si espande fino a un certo punto e poi torna indietro (addirittura collassando su se stesso fino a tornare al puntino iniziale ndr). Si cercava di rispondere a tali domande compiendo studi sulle masse dei neutrini. Ora invece si vagliano nuove realtà oscure e non è possibile prevedere cosa succederà. Queste nuove frontiere hanno dimostrato l’infondatezza di vecchi problemi e l’inutilità degli esperimenti compiuti per cercare di risolverli. Quel che si può dire di sapere è che il big bang è avvenuto circa tredici miliardi di anni fa e che per ora l’universo si espande ed è finemente regolato perché il contrario renderebbe impossibile la nostra esistenza. Le leggi della fisica che regolano l’universo si basano su alcune costanti fondamentali che se cambiate anche di poco darebbero origine a realtà completamente diverse che non potremmo neppure immaginare, realtà dove la vita non esisterebbe, perlomeno non come la conosciamo. Per esempio abbiamo la costante gravitazionale, la velocità della luce, la costante di Plank. Non c’è un motivo per cui esistono queste costanti esistono e sono esattamente così, ma è cio che determina la nostra stessa esistenza. Esiste ad esempio la costante di epsilon che se leggermente più piccola farebbe si che potrebbe esistere solo l’idrogeno, mentre se fosse più grande farebbe collassare anche l’idrogeno, fuso tutto immediatamente dopo il big bang. Ecco come variando le costanti potrebbero esistere universi, senza vita o comunque meno interessanti o addirittura niente del tutto” Qualcuno ha chiesto se potrebbe esistere un universo senza materia. Se manca la materia ci si immagina il nulla assoluto e dunque un universo senza materia sarebbe ben difficile da concepire. “tutto cio rende la vita solo il frutto di una probabilità remotissima, una anomalia quasi che qualcuno spiega e ha spiegato per molto tempo con l’esistenza di Dio che ha voluto espressamente la vita oppure con l’ipotesi che esista un’infinità di universi nei quali tutto è possibile e in cui la vita è solo una delle infinite possibilità che potrebbero verificarsi e si verificano”. Qualcuno dice anche che queste teorie non necessariamente si escludono a vicenda che un’intelligenza cosmica anziché concepire un solo universo possibile ne possa concepire un numero infinito. Già Einstein infondo si domandava se Dio giocasse o meno a dadi con l’Universo e dunque se fosse tutto davvero totalmente casuale o se alla base di questa apparente casualità fosse già tutto predisposto in qualche modo. Ci vuole comunque un qualcosa alla base per giustificare tutto questo indipendentemente dalle credenze personali “la gente ha bisogno di certezze” ha osservato Cesare Vola “non vuole avere a che fare con ciò che pone dubbi, che costringe a pensare a chiedersi se le cose stanno in un modo o in un altro. Si preferisce la sicurezza di cio che è affidabile, solido, che regge ad ogni dubbio, ad ogni precisazione, qualcosa che al contempo non metta in evidenza la grande ignoranza di fondo nei confronti dell’esistente di come è davvero la realtà”. Questo discorso è stato il punto di partenza per l’ultimo argomento di questa serata: i nuovi modelli di cosmologia, tra cui quelli che prevedono più dimensioni rispetto a quelle che si pensano, come ad esempio la già accennata quarta dimensione punto di partenza per provare ad immaginare un modello a più universi anche infiniti, universi magari basati su ipercubi, ipersfere, cioè proiezioni di figure in tre dimensioni nella quarta dimensione, come si è già avuto modo di spiegare la volta scorsa “in una dimensione c’è solo una linea e ogni coordinata corrisponde ad un punto” ha rispiegato brevemente Cesare Vola rifacendosi al discorso della curvatura “la sfera è individuata da due punti che delimitano tutto e separano il dentro e il fuori. In due dimensioni avremmo esseri piatti di cui noi potremmo vedere l’interno e che non avrebbero concezione dell’esistenza di una terza dimensione. In due dimensioni il volume corrisponde alla superficie e la superficie a un punto. In tre dimensioni il volume corrisponde a qualcosa con un interno e un esterno e la superficie ad una figura piana. Nella quarta dimensione, che noi possiamo concepire solo come astrazione, ogni punto sarebbe individuato da quattro coordinate e la superficie corrisponderebbe ad un volume. In un universo in quattro dimensioni potrebbero esistere esseri che ci osservano che vedono l’interno del nostro corpo senza che per noi sia possibile percepirli. In un universo a più dimensioni si avrebbero ipersfere, ipercubi e l’iperspazio. L’universo che noi conosciamo, secondo alcuni, potrebbe essere un’ipersfera in 3D immersa in un iperspazio in 4D dove coesisterebbero altri universi in quantità infinita universi che sono come delle bolle di sapone che si formano continuamente. Ma tutto questo, così come la materia e l’energia oscura fa parte del campo delle ipotesi, sono problemi aperti, questioni su cui c’è solo un dibattimento privo di teorie che possono essere dimostrate o avvalorate da prove scientifiche. La scienza si evolve perché qualcuno propone delle idee che sembrano rivoluzionarie su cui poi si dovrebbe indagare” e a questo punto Cesare Vola ha portato l’esempio di Giordano Bruno che già tra il Cinque e Seicento affermava che l’universo è infinito che i puntini luminosi in cielo sono lontanissimi soli ognuno dei quali ha attorno il suo sistema di pianeti, idee che lo hanno portato al rogo “ed ecco come oggi si arriva ad ipotizzare l’esistenza di più universi e più dimensioni. È necessario però distinguere tra cio che è certo, che è provato e dunque reale e inconfutabile e cio che è solo un’idea, un’ipotesi che è stata pensata, ma non confermata e che dunque potrebbe anche non essere vera. Tra queste ipotesi la possibilità che esistono più diversi che potrebbero essere tra loro interconnessi oppure no, di cui alcuni potrebbero essere chiusi, alcuni potrebbero espandersi all’infinito, altri contrarsi, altri espandersi e contrarsi alternativamente. Ma sono solo idee”. Del resto anche il nostro universo non lo conosciamo tutto per intero, ma cio che si conosce che si osserva che si studia è solo una parte. “in ognuno di questi universi le costanti di cui si diceva prima sono diverse e questo farebbe si che ogni universo si basi su principi fisici diversi da quelli che regolano gli altri universi. Si creano tanti universi ognuno coi suoi principi e le sue costanti e nell’infinità casualmente troviamo anche quello in cui noi viviamo” e qui ritorna il dilemma se Dio gioca o meno a dadi con l’universo “in realtà questi universi infiniti e casuali hanno comunque ognuno delle regole” ha precisato Cesare Vola “se non gioca a dadi gioca a scacchi” ho allora osservato io. Un gioco apparentemente casuale e complesso, ma con delle regole ben precise che bisognerebbe solo capire che valgono per cio che noi conosciamo, ma non per tutto “in fisica contano molto le teorie che predicono cio che noi ancora non sappiamo” ha ripreso a spiegare Cesare Vola “una teoria che si presta ad essere indagata per trovarne le prove effettive e che dimostra che si sono capite davvero le cose. Ecco che qualcuno propone l’esistenza di tunnel che collegano i vari universi o varie parti dello stesso universo (i buchi neri? I wormole? Peraltro entrambi ipotizzati da Einstein ndr) o di buchi neri dove la materia entra e in qualche modo torna nel passato, così l’universo si rigenera in continuazione e non può mai invecchiare in un ciclo continuo che lo rende in qualche modo stabile. Questa teoria prevederebbe l’esistenza dei buchi bianchi che sarebbero i quasar, tutto cio che resta dell’universo primordiale, la parte dei wormole che rigetta indietro la materia nel passato e l’energia, tutto cio che proviene dai buchi neri che fagocitano tutto, tanto che si riesce ancora ad osservarli questi oggetti così lontani che risalgono addirittura a poco dopo il big bang. Qualcuno invece ha proposto l’esistenza di tunnel spaziotemporali che vanno avanti e indietro non solo nello spazio, ma anche nel tempo (perché la teoria del multi verso secondo alcuni ha molto a che fare con la possibilità reale di poter un giorno viaggiare nel tempo che altro non sarebbe che una dimensione, la quarta dimensione secondo alcuni, cio che ci permette realmente di percepire l’esistente secondo altri ndr)” Se tutto questo fosse vero potrebbe un giorno risolvere il problema delle distanze che attualmente rendono impossibili eventuali viaggi interstellari anche solo verso i pianeti più vicini “su queste teorie ci hanno fatto il film INTERSTELLAR” ha osservato Cesare Vola “e continuando a parlare di teorie bizzarre, ce n’è una che è stata pubblicata su LE SCIENZE di dicembre 2014 che afferma che il big bang non sarebbe altro che l’implosione di una stella in 4D della quale il nostro universo sarebbe semplicemente una proiezione. Si stanno accumulando troppe teorie. Di giusta però ce n’è una e forse dovrebbero concentrarsi di più per capire qual è. La speculazione, il pensare a delle ipotesi a nuove idee è sempre un gioco divertente. Il problema è che nella scienza ci vogliono le prove non basta semplicemente pensare, perché nel corso della storia la gente ha pensato a molte cose. Nel corso del tempo molte leggi e teorie sono state effettivamente dimostrate e dunque molte altre in futuro se ne potrebbero ancora dimostrare” . Per concludere la serata Cesare Vola ha proposto una carrellata di teorie molto bislacche, come ad esempio la società della Terra piatta, questa associazione che tramite pubblicazioni e siti internet diffonde l’idea che in realtà la Terra sarebbe un disco piatto e riuscirebbe a giustificare ogni argomentazione in favore di quest’idea antica nonostante queste persone vivano in questo secolo di tecnologie prendono l’aereo e, appunto, usano internet. C’è inoltre l’idea che tutto cio che noi siamo, che vediamo intorno a noi, non sarebbe altro che una simulazione al computer. Questa idea si origina dal fatto che attualmente si è in grado di creare effettivamente dei mondi al computer, dei mondi che al loro interno hanno un senso e questo ha fatto si che qualcuno si sia chiesto se anche la nostra di realtà infondo non sia altro che una realtà virtuale, come quelle che si creano. Io conoscevo una variante di questa teoria che non chiama in causa i computer, ma la mente. Secondo questa teoria niente esiste davvero. Noi tutti il nostro mondo, il cosmo siamo pensieri dentro la mente di qualcuno, dei sogni addirittura. Noi esistiamo perché qualcuno pensa a noi e la nostra vita è un pensiero, l’astrazione di una mente che nel suo mondo, nella sua realtà potrebbe essere esattamente come noi, non è detto che sia una divinità che crea o un essere superiore, potrebbe essere come uno scrittore quando inventa una storia con dei personaggi eccetera. Su cose del genere si potrebbe andare avanti a discutere all’infinito, ma nel corso della serata c’è stato ancora il tempo giusto per dei chiarimenti di concetti espressi nelle serate precedenti e che qualcuno si è perso perché non è venuto oppure di concetti di questa sera. Qualcuno si è chiesto se la forza tanto nominata in STAR WORS fosse in qualche modo assimilabile ai concetti di materia ed energia oscura e se tali concetti si dovessero considerare fisici o non fisici. Secondo Cesare Vola la forza di STAR WARS è un qualcosa di intelligente più assimilabile al divino, mentre la materia e l’energia oscura (per altro teorizzate vent’anni dopo STAR WARS) sono più inerti. Queste tematiche possono facilmente sfociare nella fantascienza così come nella filosofia, nella speculativa.

E con questa serata si è concluso questo ciclo di aperture estive straordinarie della Casa Uboldi con un tema perfetto per le sere d’estate che già di per sé, almeno secondo me, maggiormente si prestano a maggiori meditazioni. Serate che, si può dire, hanno in tutti i sensi ampliato gli orizzonti di chi ha avuto la pazienza e la curiosità di stare ad ascoltare.

Antonella Alemanni

 

 

(galleria immagini da Google)

 

IT. ITINERARI TALAMONESI. CASA VALENTI

 

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TALAMONA 25 luglio 2015 una giornata alla scoperta del nostro patrimonio storico

 

LA STORICA DIMORA TALAMONESE APRE OGGI AL PUBBLICO LE SUE PORTE E IL SUO BAGAGLIO DI PERSONAGGI E DI VISSUTI

di Antonella Alemanni

Un itinerario artistico all’insegna della Storia alla scoperta dell’arte, della musica e delle tradizioni enogastronomiche valtellinesi. Così l’assessore per le politiche culturali Lucica Bianchi ha introdotto il nutrito evento che ha avuto luogo oggi a partire dalle ore 17 “e dove se non qui a Palazzo Valenti?” ha proseguito l’assessore, “uno dei notevoli esempi di architettura cinquecentesca valtellinese, rappresentativa per Talamona anche per capire il modo di essere talamonesi, il modo di pensare e di vivere il nostro paese”. Un percorso culturale reso possibile dalle competenze di Giampaolo Angelini e Simona Duca, studiosi appassionati e sensibili di storia locale, dalle esponenti dell’associazione Bradamante Elena Riva e Beatrice Pellegrini e dal maestro assaggiatore Renato Ciaponi per la degustazione finale di prodotti tipici valtellinesi “professionisti che per il loro bagaglio di conoscenza, per il loro vissuto personale, le loro esperienze e la preparazione professionale sono intimamente e profondamente legati a questa dimora” ha sottolineato l’assessore nel presentarli. “…siccome bellezza significa anche armonia” ha proseguito l’assessore “nel corso di questo percorso saremo accompagnati dal quartetto di fiati della filarmonica di Talamona”. Un percorso reso possibile però in primo luogo dalla famiglia Airoldi che detiene la proprietà e abita tuttora il palazzo, dalla disponibilità con cui ha deciso di condividere, almeno per questo giorno questo bene che ha l’inusuale caratteristica di essere un bene comune, ma nello stesso tempo anche privato. Ed è ringraziando le figlie della signora Adriana Airoldi (nipote diretta dell’ingegner Clemente Valenti purtroppo recentemente scomparsa) che l’assessore Lucica Bianchi ha concluso il suo intervento introduttivo cedendo la parola al sindaco Fabrizio Trivella che ha spiegato brevemente la genesi di questa iniziativa “il primo evento culturale organizzato sotto la nostra amministrazione, nato da un suggerimento della famiglia Airoldi desiderosa di porre all’attenzione dei Talamonesi questo patrimonio culturale e architettonico il cui valore, che tutti possiamo apprezzare, è stato in passato riconosciuto anche dalla soprintendenza ai beni culturali. Dietro suggerimento della famiglia Airoldi si è dunque mossa la macchina amministrativa con lo scopo di creare una scenografia e una coreografia che potessero dare un ulteriore valore a quest’opera. È stato così che si è pensato di creare questa giornata con l’obiettivo di promuovere il nostro territorio coinvolgendo tutte le eccellenze di Talamona, le eccellenze culturali radicate sul nostro territorio del quale hanno una profonda conoscenza e soprattutto che si spendono per il paese e per dare un ulteriore contesto abbiamo coinvolto anche la nostra banda che rappresenta già in sé un patrimonio d’eccellenza di Talamona. Il tutto con lo scopo di mettere in atto un primo tentativo di sinergia tra pubblico e privato proprio con l’obiettivo di valorizzare il territorio, perché saper valorizzare le nostre eccellenze e saperle anche promuovere è ciò di cui la nostra comunità ha realmente bisogno”. A questo punto la parola è passata alla signora Paola Airoldi che ha illustrato il profondo legame della sua famiglia con il palazzo “noi raccogliamo un’eredità” ha spiegato “dai nostri genitori e insieme a questa eredità il compito di conservarla sia per mantenerne l’abitabilità senza stravolgerne l’architettura sia esterna che interna, ma anche, come già faceva mia madre circondandosi di studiosi interessati, per portare avanti un’attività di recupero della storia legata a questa casa che è il passato della nostra famiglia, il suo patrimonio immateriale che comprende anche le famiglie che hanno preceduto la nostra nell’abitare questa casa. Quindi per noi c’è il senso di una continuità storica che non è soltanto una questione affettiva personale, ma un qualcosa che riguarda tutta la comunità perché ritengo che, per una comunità, la conoscenza delle proprie radici storiche sia fondamentale per la coscienza della propria identità individuale. Se per esempio un bambino non conosce la propria famiglia, l’identità dei suoi genitori gli risulterà poi molto difficile crescendo determinare la sua stessa identità. Se noi invece ci riappropriamo della nostra cultura e della nostra storia questo ci renderà più forti. In questo senso, osservando la facciata, che oggi appare molto deteriorata, ma che un tempo doveva essere splendida, non si può non pensare ai suoi committenti che sicuramente avranno voluto, tramite questi affreschi, celebrarsi come famiglia, celebrare la loro potenza e la loro ricchezza e che oggettivamente hanno fatto un regalo alla gente nei secoli a venire sino a noi, perché una facciata affrescata di tale fattura è molto difficile da trovare sul nostro territorio. Questa è dunque la sua ricchezza, ma anche il suo limite perché, essendo una facciata è un patrimonio facilmente visibile, ma nello stesso tempo facilmente deteriorabile. Parlando di arte storia e cultura io ho sempre inteso tutto questo non semplicemente come erudizione, ma come la possibilità di utilizzare questa conoscenza per godere della bellezza che l’arte comunica. Nel caso di questi affreschi, passarci vicino, osservarli e sapere quello che raccontano costituisce un valore rispetto ad una non conoscenza” dopo i necessari ringraziamenti a tutti coloro che non solo hanno contribuito a rendere possibile questa giornata (“che sia l’inizio di un percorso che continui e che attraverso lo studio del territorio ci permetta di capire chi siamo” ha ancora sottolineato Paola Airoldi) , ma che nel corso degli anni si sono impegnati nello studio e nella valorizzazione della facciata, ma anche dei documenti che sono stati di volta in volta ritrovati, è venuto il momento di entrare nel vivo di questa giornata.

La facciata ariostesca, immagini e poesia

Il primo intervento è stato quello di Beatrice Pellegrini ed Elena Riva. La prima, autrice di una tesi di laurea sugli affreschi della facciata di palazzo Valenti (che ha avuto modo di presentare nel corso di un passato evento culturale) ha descritto uno per uno gli affreschi della fila superiore della facciata, ciascuno corrispondente ad un canto dell’Orlando Furioso, magistralmente recitato da Elena Riva, che in questo senso già da qualche anno svolge la funzione di lettrice ufficiale dell’associazione Bradamante.

Ci troviamo di fronte a questo splendido palazzo del XVI secolo ha esordito Beatrice Pellegrini introducendo la sua presentazione appartenuto alla famiglia Spini fino al 1837 anno in cui la proprietà è passata alla famiglia Valenti che la detiene tuttora. La facciata del palazzo si può dividere in due registri di cui quello superiore è il meglio conservato. Vi si possono osservare sei affreschi a monocromo nei toni del bronzo ispirate alle vicende ariostesche. Mentre la lettura tradizionale vedeva e poneva il primo riquadro alla vostra sinistra oggi tenterò di proporvi una mia nuova interpretazione ponendo invece come primo riquadro quello alla vostra destra nonché il primo che si scorge salendo la stretta via che conduce dalla chiesa al palazzo.

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Come possiamo vedere il primo riquadro rappresenta una donna a cavallo che cerca di fuggire da un cavaliere ritratto in secondo piano. La scena è tratta dal primo canto dell’Orlando Furioso nel quale Angelica cerca di fuggire ai propri pretendenti, in questo caso da Rinaldo “che a piè venia verso di lei”

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Nel secondo riquadro una scena di lotta tra due cavalieri e l’interpretazione è stata resa possibile dal fatto che uno è senza elmo e dunque lo si è potuto ricondurre alla figura di Ferraù che nel poema, nel gesto di bere fa cadere il proprio elmo nell’acqua. Sullo sfondo scorgiamo ancora una volta Angelica in fuga

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Nel terzo riquadro ancora una volta vediamo un combattimento, questa volta a cavallo, nel quale, il cavaliere vincitore, come possiamo notare è rappresentato con tratti spiccatamente femminili sicuramente più delicati rispetto a quelli del suo avversario che presenta invece dei folti baffi. Ci troviamo di fronte a Sacripante che disarciona l’avversario Bradamante.

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Gli ultimi tre affreschi della facciata si svolgono nel secondo canto. Come possiamo notare, nel quarto riquadro è rappresentata ancora una scena di lotta nel quale il cavaliere e il suo prode destriero Baiardo scacciano con forza l’avversario mentre sullo sfondo vediamo altre due figure a cavallo che sono Angelica, che incontra l’eremita il quale, per salvarla ancora una volta dai pretendenti invoca un valletto rappresentato tra le fronde degli alberi.

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Il penultimo riquadro è caratterizzato invece da una figura centrale nella quale si riconosce Bradamante che erra trascinando il proprio cavallo. Con un po’ di difficoltà possiamo scorgere tra le fronde degli alberi un cavaliere che incede tacito solerte e pensoso e triste per aver perso la propria amata. Un altro particolare molto interessante è quello dell’alta rupe dalla quale si può scorgere l’Ippogrifo che fugge dalla propria dimora con il mago Atlante.

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Questi due protagonisti li ritroviamo anche nell’ultima scena affrescata dove Pinabello, riconosciuta l’acerrima nemica Bradamante, cerca di spingerla con un grosso ramo all’interno di una grotta. Quel che è interessante e che mi ha permesso di rivalutare l’intero ciclo è un particolare ora difficilmente visibile. Bradamante, in tutte le scene che troviamo in quest’ordine, è affrescata con un particolare molto interessante sullo sbuffo della manica, una testa leonina, un particolare che ha permesso una nuova identificazione e una nuova lettura.

Intervento di Giampaolo Angelini, docente all’università degli studi di Pavia

Il percorso conoscitivo di palazzo Valenti si è spostato a questo punto nel cortile interno che dà sui giardini dove, prima della visita guidata vera e propria all’interno delle varie stanze è stato possibile ascoltare un excursus dei principali personaggi e delle principali vicende legate alla storia di questa dimora, intervallati dagli intermezzi musicali del quartetto di fiati della filarmonica di Talamona. Il primo racconto ascoltato, una volta passati dalla pesante porta di ferro alla sinistra della facciata per chi viene da fuori è stato quello di Giampaolo Angelini, che ha dato inizio alla sua trattazione con una serie di ringraziamenti, in particolar modo alla signora Adriana Valenti-Airoldi “che negli ultimi decenni è stata l’anima di questa casa”.

Ci troviamo di fronte ad una dimora che è legata dal punto di vista storico-artistico in modo particolare al secolo XVI quando è stata decorata la grande facciata che dà sulla via Valenti. Però l’immagine che noi oggi abbiamo di questa dimora è un’immagine prevalentemente ottocentesca e delle vicende dei protagonisti che hanno animato questa casa dall’Ottocento in poi ci dirà meglio Simona Duca nel corso del suo intervento, in particolar modo del rilevante ruolo sociale dell’ingegner Clemente Valenti che ha dato il nome alla via che passa da questa casa. Ora però vorrei parlare brevemente di un aspetto della storia della famiglia Valenti a Talamona. I Valenti arrivano in questa dimora nei primi decenni dell’Ottocento lasciando una casa che ora ancora si trova all’inizio della via Torre che non è stata restaurata, ma che conserva il nome Valenti scritto a sanguigna sull’intonaco sopra il portone che in origine aveva anche un battente bronzeo a serpentello, simile a quello che si vede nel portale di questa casa. I Valenti arrivano in questa dimora perché, in particolar modo Giovanni Battista Valenti, il cui ritratto è esposto in casa, acquisiscono i beni degli Spini, un’antica famiglia originaria di Tartano che si è insediata a Talamona alla fine del Cinquecento e il cui coinvolgimento nella commissione della facciata non è ancora oggi ben chiaro, però la si può identificare come la famiglia legata alla storia di questa casa dal Cinquecento all’Ottocento, quando poi subentrano i Valenti in un momento che per la famiglia è significativo di affermazione sociale ed economica proprio attraverso questo passaggio di proprietà comprensiva di beni fondiari e immobili degli Spini un’importante famiglia esponente dell’aristocrazia locale. Un passaggio di proprietà che per i Valenti significa anche l’assunzione del notabilato di Talamona. Quasi da subito, almeno a partire all’incirca da Ciriaco e da Tommaso Valenti tutti gli esponenti della famiglia sviluppano un forte attaccamento alla memoria collettiva del paese un interessamento per la tutela del patrimonio artistico. Un interesse che ben si esprime attraverso la figura di Clemente Valenti, ingegnere che ha legato il suo nome alla fondazione della latteria e a varie iniziative sociali, ma anche agli scavi archeologici che hanno interessato l’area dell’attuale cimitero che viene costruito in quegli anni proprio su progetto dell’ingegner Valenti che disegna tra l’altro il modello del portale d’ingresso un po’ arcaico e poi si interessa personalmente degli scavi nel momento in cui emergono importanti rinvenimenti archeologici oggi conservati al museo civico di Sondrio perché Clemente Valenti ha segnalato a suo tempo questi ritrovamenti alle autorità provinciali in particolar modo al comitato archeologico e così facendo ne evita la dispersione. Un lavoro di non poca importanza non comune tra i notabili dell’epoca che quando si trovano di fronte a reperti che riemergono dal passato li disperdono oppure li acquisiscono per collezioni private. In questo caso invece Clemente Valenti si adopera affinchè questi reperti, testimonianza più antica della storia talamonese, divengano di pubblico interesse. Lo zio di Clemente, Tommaso, diventa arciprete di Bormio, nel 1842. Fervente patriota, (il patriottismo è un leitmotiv della famiglia Valenti) viene ricordato soprattutto per due motivi. Innanzitutto perché è dalla sua figura che sono cominciati i primi studi relativi alla storia di questa casa e i primi contatti con la signora Adriana, ma anche perché Tommaso è stato autore, nel 1881, degli SCHIZZI ARCHEOLOGICI SUL BORMIESE, il primo studio sistematico del patrimonio artistico della contea di Bormio, un testo ancora oggi di imprescindibile riferimento per la conoscenza di opere e di un territorio che poi il turismo e le successive edificazioni hanno profondamente segnato. Studi che comprendono non soltanto l’archeologia, ma tutto quanto concerne il patrimonio architettonico e artistico di quel territorio risalente all’età medievale. Dopo Tommaso Valenti altri suoi eredi sono consapevoli di essere in qualche modo tutori di un patrimonio collettivo che altrimenti sarebbe andato perso tenendo conto che la comunità talamonese si deve occupare anche di altri problemi, la sopravvivenza, la povertà, il lavoro e questo avrebbe probabilmente fatto dimenticare l’aspetto culturale. Un’altra figura molto importante nella storia della casa e della famiglia è Giovanni Battista che nel 1937-38 pubblica, sull’allora bollettino storico valtellinese, la prima notizia relativa agli statuti cinquecenteschi di Talamona, anche questo un fatto significativo di divulgazione e conservazione del patrimonio. Dopo Giovanni Battista a raccogliere questa eredità è stata la signora Adriana la quale, a partire dai suoi primi articoli sul bollettino storico valtellinese, di cui alcuni dedicati a Francesca Scannagatta, figura singolarissima di donna soldato di età napoleonica, aveva avviato una sorta di scandaglio degli archivi familiari sulla figura dei suoi antenati più importanti che sono stati citati. La sua attività ha ben incarnato questo percorso familiare di memoria collettiva attività lasciata come testimone anche agli attuali discendenti. In quest’opera di tutela delle memorie collettive i Valenti non furono soli perché in connessione con loro ha operato, sul doppio fronte delle attività sociali e della tutela del patrimonio artistico anche Giovanni Gavazzeni, conosciuto soprattutto come pittore ritrattista di soggetti sacri, autore anche della lunetta datata 1907 che si può vedere vicino all’ingresso e che proviene dalla cappella cimiteriale dei Valenti. Una lunetta che testimonia i rapporti tra Gavazzeni e la famiglia Valenti, anche di vicinato perché la casa del Gavazzeni stava nei pressi di quello che oggi è il palazzo Bertolini, ma che allora si chiamava casa Mazzoni e che è un’altra dimora storica importante del rinascimento valtellinese. Giovanni Gavazzeni, negli anni Ottanta-Novanta dell’Ottocento si prodiga su vari fronti, ad esempio quello della tutela dell’acqua potabile a Talamona e poi invita da Milano Vittorio Grubissì, un pittore divisionista mecenate e amico di Segantini, lo invita a visitare il suo studio e Grubissì arriva nel 1891 e di questa visita scriverà un resoconto dettagliato che descrive molto bene com’era Talamona a quei tempi, l’enorme distanza tra la stazione e il centro abitato con praticamente in mezzo il nulla, l’ora tarda, l’accoglienza richiesta nelle locande in attesa che Gavazzeni lo accogliesse nella sua dimora. L’attenzione di Grubissì non si concentra tanto sulle opere pittoriche del collega Gavazzeni, quanto sulla denuncia riguardo allo sfruttamento dell’acqua potabile a Talamona. Pubblica sul bollettino storico valtellinese il ritratto di un povero di Talamona, un ritratto fotografico, importante documento socio-etnografico. Gavazzeni inoltre tramite un suo scritto denuncia l’intenzione del prete di demolire la vecchia chiesa per costruirne una più ampia. Lo scritto, pubblicato nel 1894, si intitola VANDALISMO termine indicativo del carattere di Gavazzeni, una denuncia rimasta lettera morta, perché di li a trent’anni nel 1920 l’ampliamento della chiesa è stato fatto Don Cusini ha dato l’avvio ai lavori e in quell’occasione alcuni dipinti confluirono nella nuova costruzione mentre altri vennero dispersi. Nel 1900 Gavazzeni pubblica una serie di articoli in collaborazione col poeta morbegnese Guglielmo Felice Damiani che parlano dell’arte e della storia della Valtellina. Nove tappe e dunque l’intenzione non era quella di produrre un testo di studio quanto una descrizione della bassa Valtellina indirizzata ad un ampio pubblico perché, LA VALTELLINA, il giornale su cui questi articoli erano pubblicati, era un periodico molto letto all’epoca. Curiosamente in questi articoli non si fa cenno alla facciata di casa Valenti ed è a partire da questo periodo che gli affreschi conoscono un lungo oblio che termina solo nel 2001-2002 quando riprenderanno gli studi sulla facciata e in particolare sarà pubblicato da Adriana Valenti il primo studio a riguardo sul bollettino storico valtellinese. Non è ben chiaro il motivo per cui Gavazzeni non ha citato gli affreschi visto e considerato che inoltre ci passava di fronte tutti i giorni però in compenso cita altri dipinti. Uno si trova tutt’ora in via Coseggio di mezzo all’inizio della via raffigurante la Madonna col bambino e i santi Gerolamo e Giorgio, un dipinto cinquecentesco. L’altro dipinto citato con cui Gavazzeni chiude la sua descrizione di Talamona è una Madonna col bambino e i santi che si trova sempre in contrada Coseggio. Dipinti entrambi ricollegati alla scuola di Gaudenzio Ferrari e alle sue ramificazioni valtellinesi. Un dipinto, il secondo che ora non si può più vedere, perché negli anni Settanta, il proprietario di quel terreno lo privatizzò staccandolo dalla sua sede originaria. Una testimonianza di questo dipinto rimane oggi nella fotografia di Federico Zeri di Bologna una foto che Gavazzeni descrisse permettendoci così di conoscere un tassello del nostro patrimonio di cui si sarebbe altrimenti persa memoria. Tutto questo discorso per fare capire il senso del concetto di valorizzazione che non significa dare un valore, bensì riconoscere il valore che già le cose, i luoghi eccetera recano in sé. Un compito questo che non appartiene solo alle amministrazioni pubbliche e ai privati cittadini, ma al complesso della collettività. Iniziative come queste possono essere occasione di felici collaborazioni tra questi vari aspetti della vita talamonese.

Intervento di Simona Duca ex assessore alla cultura e docente di Storia all’Istituto Comprensivo Giovanni Gavazzeni, nonché esperta di Storia Locale

Simona Duca ha voluto cominciare il suo intervento con un ricordo personale della signora Adriana Valenti che ha conosciuto in tenera età, le ha regalato un libro (che Simona Duca ha mostrato commossa al pubblico) e l’ha spronata ad essere curiosa fino ad arrivare poi alla strettissima collaborazione nell’ambito del recupero delle memorie cui si è avuto già modo di accennare.

Questo palazzo è in primo luogo un’abitazione. Se prendiamo i documenti, a partire dal 1822, la descrizione di questa casa inizia con “abitazione civile in via Pianteina n°54”. Sottolineo in particolar modo la dicitura abitazione civile, questo perché, lo abbiamo visto dalla facciata rinascimentale, qui diventa ottocentesca e da questi dettagli capiamo come la storia di questa casa abbia percorso il tempo. Non c’è un elemento caratteristico unico. Ci sono invece tanti piccoli particolari che ci fanno capire che questa abitazione è stata vissuta. Questa casa ha visto la Storia, ha fatto la Storia, ma chi ha vissuto qua dentro prima di essere un personaggio è stato una persona. Tanti sono diventati personaggi storici sia fra gli Spini che tra i Valenti, ma tutti qua dentro per prima cosa sono state delle persone che hanno voluto condividere con tutti, in particolare con il territorio di Talamona, le bellezze e le ricchezze di questa casa e la spinta a migliorare, sicuramente dal punto di vista culturale, ma poi anche dal punto di vista sociale ed economico. Il primo personaggio che incontriamo e che ha probabilmente anch’egli calpestato questi luoghi, diversi all’epoca rispetto a come li vediamo adesso è Giovanbattista Spini che si può considerare un po’ il primo proprietario, il quale ha voluto lasciare la sua firma, che troviamo addirittura sui ferri da stiro, un segno che attesta come questa abitazione sia rappresentativa di cultura, ma anche di vita quotidiana. Facendo un salto temporale verso la fine del Settecento incontriamo don Celestino Spini che sposerà donna Francesca Scannagatta un po’ la Lady Oscar valtellinese. Persone che hanno vissuto la loro vita, l’hanno trasformata in Storia e ora ce la regalano. Dal 1822 fino alla metà del secolo la famiglia Valenti andrà a soppiantare la famiglia Spini. In particolare iniziando ad acquisire i beni degli Spini da Cosio fino ad arrivare a Tartano perché così vasti erano i possedimenti di questa ricca e nobile famiglia. Ecco dunque come nel nostro percorso storico si passa poi a Ciriaco Valenti e infine a Clemente. A questo proposito per dimostrare come questa casa parli da sola e come sia intrisa di sentimenti e di forti legami familiari intercorsi tra i suoi abitanti anche col territorio che li circondava ho qui una lettera di Ciriaco al figlio Clemente scritta quando quest’ultimo, negli anni Sessanta dell’Ottocento, periodo in cui era studente di ingegneria, ma anche periodo del Risorgimento e dei suoi fermenti, seguendo le orme dell’amico Giovanni Gavazzeni molla gli studi e va a combattere. Gavazzeni era partito nel 1859, Clemente Valenti parte nel 1866. Ed è proprio a questo periodo che risale questa lettera. Clemente Valenti era partito per la guerra senza avvisare nessuno a casa. i suoi familiari lo scopriranno dopo. Il padre manderà la missiva seguente (ne riporto ora il testo ndr)

 

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 Qui c’è tutto l’amore di un padre che sa che il figlio è in pericolo però lo sostiene. Tra le persone che sapevano che fine avesse fatto Clemente, c’era zio Tommaso, arciprete, ma un po’ sopra le righe, anziché trattenere il nipote a casa gli aveva detto “vai e fai fuori tutti gli austriaci”. La famiglia Valenti ci teneva davvero molto affinchè l’aspetto risorgimentale emergesse in una vita nuova per Talamona e per l’Italia che potesse davvero iniziare. Una volta tornato da soldato e terminati gli studi Clemente Valenti si è dedicato anima e corpo alla sua comunità, affinchè Talamona cambi volto. Talamona in questo momento storico è un paese rurale, un paese che da pochi anni è entrato a far parte dell’Italia unita, del Regno d’Italia, ma, così come tutto il resto dell’Italia, ha bisogno di unirsi e di creare davvero la nazione. Clemente Valenti si è prodigato in questo senso in tutti i modi possibili. Ha svolto la funzione di sindaco di Talamona, è stato vicepresidente del comizio agrario di Sondrio, si è interessato praticamente di tutto, in particolare insieme a personaggi come Luigi Torelli ha capito che questa casa poteva essere il trampolino di lancio per il miglioramento di tutta la società valtellinese. Ora qui noi vediamo questo luogo come abitazione, ma bisogna tener presente che questa abitazione ha attorno tutta una serie di strutture. Oltre la casa c’era in questa zona dei giardini, quella che per molti anni è stata la filanda. Questa casa era dunque già aperta alla realtà di Talamona, si interessava alla vita della comunità. Dare la possibilità alla gente di lavorare e commerciare i propri prodotti col comasco era già un passo in avanti, ma la carta vincente sarà nel 1879-1880 l’apertura della prima latteria sociale fortemente voluta da Clemente Valenti che ne ha allestito la prima sede nella zona delle cantine del palazzo e poi dai primi anni Novanta al pianterreno di quella che allora era casa Gavazzeni dove sorge tutt’ora. Una latteria dove non ci si limitava a far stare tutti insieme contadini e allevatori per produrre i loro formaggi. Clemente Valenti prendendo contatti anche con scuole di Lodi e Reggio Emilia ne volle fare un luogo d’eccellenza che divenne un punto di riferimento per tutte le latterie valtellinesi e in un certo senso anche di tutta Italia. Basti pensare che il regolamento scritto da Clemente Valenti è stato utilizzato anche a Eboli. Nel 1883 la latteria diventa anche scuola-regio osservatorio di caseificio da cui sono passati i migliori produttori di formaggio e burro per quelli che noi oggi chiameremmo stage o tirocini da cui poi i più bravi passavano in Svizzera per terminare gli studi. Dunque questa casa è stata il punto di partenza di un miglioramento sociale, economico e anche in un certo senso culturale perché, per diventare casari, gli aspiranti dovevano innanzitutto saper leggere e scrivere per tenere i registri, per apprendere tecniche più moderne che andavano studiate eccetera. Non per niente la sede della latteria è stata anche una delle prime sedi della scuola di Talamona, punto di riferimento nazionale anche per l’istruzione, aperta anche alle ragazze dal 1884. Clemente Valenti si rendeva conto dell’importanza dell’istruzione per le donne, che poi diventavano madri e trasmettevano ai figli cio che avevano appreso. Questa casa diventa in qualche modo anche la casa di tutte queste fanciulle studentesse (mentre i maschi trovavano alloggio nei dintorni), perché bisogna considerare che gli apprendisti provenivano da ogni parte d’Italia, qualcuno anche dalla Sardegna e dunque qui studiavano e anche vivevano per tutto il periodo dei loro studi. Una casa aperta a tutti dunque, fondata su legami d’affetto perché tutti coloro che l’hanno abitata, hanno voluto regalare a tutti quelli che sono passati di qua una parte della bellezza della casa, ma soprattutto l’invito a migliorare per far migliorare la vita di tutti e l’intero territorio.

Visita guidata e degustazione

Dopo il suo discorso all’esterno della casa Simona Duca ne ha proseguito alcuni aspetti durante la visita che ha guidato nelle stanze all’interno dove non è stato possibile effettuare riprese o scattare foto. Il seguente resoconto della visita guidata è un mio racconto personale basato nella prima parte su appunti presi con lo smartphone e poi su riprese audio annerite coprendo gli strumenti di ripresa con la mano. Sarà un racconto che contrariamente alle mie intenzioni risulterà scarno di descrizioni.

Essendo proibite infatti le riprese o le fotografie all’interno ne ho ragionevolmente dedotto che lo sia anche la divulgazione di descrizioni degli interni della casa. Mi limiterò dunque all’essenziale ricalcando, in questo senso, le parole di Simona Duca.

Dal cortile interno che dà sui giardini si entra in una cucina piccola, ma riccamente arredata attraverso una porta ottocentesca molto piccola in quanto probabilmente risalente all’epoca medievale, quando la casa era una struttura fortificata. In quei secoli Talamona veniva chiamato il paese delle torri. Pare che ce ne fossero moltissime, tutte torri di avvistamento, delle quali ora sopravvive solo quella che dà il nome alla via. Gli ambienti sono molto bui al loro interno, perlomeno in questa stanza, nonostante un’ampia finestra che sta alla sinistra della porta d’ingresso per chi viene da fuori e accanto alla quale troneggia un ampio camino che occupa gran parte dello spazio. Simona ha raccontato che la posizione del camino è stata voluta apposta in questo modo, perché d’inverno l’angolo camino finestra diventava angolo lettura. Le porte interne, tramite le quali si accede alle stanze attigue, sono di fattura rinascimentale, sia le porte che le ante della cucina. Il modello, racconta ancora Simona è fiorentino che fu oggetto di contesa tra due grandi artisti di quella città Brunelleschi (famoso per il cupolone) e Ghiberti (che pare, insistesse a operare seguendo ancora criteri medievali non apprezzando le novità introdotte per l’appunto da Brunelleschi e altri). Il discorso che faceva Simona sulla casa come scrigno di storia, ma nel contempo anche di vita quotidiana è ben espresso in questa stanza dove si trovano oggetti di uso quotidiano (come stoviglie da cucina in rame che occupano quasi tutta una parete, la parete sinistra per chi viene da fuori) ma anche collezioni di famiglia che sono dei veri brandelli di Storia. Berretti dell’epoca garibaldina e della Grande  Guerra nonché sciabole appartenute a Celestino Spini che fu combattente tra le file di Napoleone, dove si distinse per la grande umanità dimostrata in un contesto sostanzialmente di crudeltà dimostrato dalle truppe francesi e fu proprio in quell’occasione che conobbe la sua futura moglie, Francesca Scannagatta, combattente tra le file austriache. Una storia davvero molto interessante che Simona ha raccontato brevemente lasciando intendere che c’è molto più da sapere e che lei sa perché ha letto tutti i dettagli della faccenda negli archivi. In poche parole Francesca Scannagatta apparteneva ad una famiglia nobile di Milano, capitale del Lombardo-Veneto a quel tempo territorio austriaco cosa che faceva di lei un’antinapoleonica convinta. Era una personalità sopra le righe, mi pare d’aver capito, lontanissima dallo stereotipo della classica dama da salotto, amante delle armi e dell’equitazione, si faceva chiamare con un nome maschile Franz (se volessimo trovare un paragone storico più famoso, questo potrebbe essere la scrittrice francese George Sand il cui vero nome completo ora mi sfugge, ricordo solo Aurore, se non sbaglio). Franz aveva un fratello che invece delle armi e soprattutto di essere chiamato alle armi pare non fosse entusiasta e così quando arriva il momento di combattere Napoleone che fa il bello e il cattivo tempo in tutta Europa chi parte? Ovviamente Franz che, tenendo ben nascosta la sua identità di donna e dimostrando non poco valore sul campo di battaglia arriva a fregiarsi del grado di tenente. Qui il racconto di Simona diventa più vago. A un certo punto, non si capisce bene perché, Franz Scannagatta deve essere visitata da un medico che così scopre il suo piccolo segreto. Viene congedata dall’esercito, mantenendo tutti i suoi gradi e ricevendo persino una pensione. Come incontra Celestino Spini e come accade che un napoleonico e un’austriaca si innamorino si sposino e poi lei venga a vivere qui non si sa, Simona non ha raccontato dettagliatamente questa parte (o può essere che mi sia sfuggita?) e soprattutto come l’hanno presa le famiglie? Su questa storia ci si potrebbe scrivere un romanzo sopra, fare un film una telenovela… non nascondo quanto la cosa mi intrighi e come ad un certo punto mi sono messa ad osservare la casa con l’occhio di chi vorrebbe allestirvi un set cinematografico. Un film sulla casa Valenti sulla sua storia e i suoi abitanti girato nei suoi interni ancora così densi di storia sarebbe un film alla Luchino Visconti e non ci potrebbe essere modo migliore per valorizzare questo patrimonio. Ma ora torniamo al nostro racconto, a questa stanza che grazie a tutti questi cimeli riesce ad attraversare un arco di tempo piuttosto lungo dal Cinquecento alla Grande Guerra più o meno, cimeli tra cui ci sono anche cartine per avvolgere i proiettili, un ritratto di Garibaldi non autentico che però riporta una firma autentica del medesimo e ricordi del pittore Giovanni Gavazzeni. Lui e Clemente Valenti furono molto amici, dopotutto avevano un anno di differenza (Gavazzeni è nato nel 1841, Valenti nel 1842). I ricordi di Gavazzeni (sostanzialmente suoi dipinti autentici) più che qui si trovano in un’altra stanza, un piccolo salottino. Ogni villa o palazzo nobiliare che si rispetti ha la sua sala degli intrattenimenti. Per Casa Valenti questo salottino è la stanza degli intrattenimenti dove tra l’altro si faceva della musica come in ogni salotto nobiliare che si rispetti. E giusto per onorare la tradizione, è qui che il quartetto di fiati della filarmonica ha onorato gli astanti con un altro intermezzo musicale che va ad aggiungersi a quelli già eseguiti sotto la facciata e nel cortile interno che dà sui giardini “vorrei far notare che stanno suonando di fianco a un forte piano” ha detto Simona la quale, mentre si era appena entrati nel cucinino e stavano entrando anche i suonatori per preparare l’esibizione ha osservato “parlando del Valenti mi è sfuggita una cosa importante. È stato anche il fondatore della filarmonica”. Nel salottino si trova inoltre un’ulteriore testimonianza dei forti legami intercorsi tra gli abitanti della casa e l’intera comunità: in una vetrinetta si trovano statuine di un presepe (con particolare e giustificato orgoglio Simona ha indicato in particolar modo la Madonna restaurata da suo padre) che i Valenti avevano l’abitudine di allestire all’aperto in modo che tutti lo potessero visitare. Chissà che non sia nata così in questa casa la tradizione dei presepi di Talamona che ancora oggi ci caratterizza (come ha osservato Simona). In un angolo di questo salotto fa sentire la sua presenza anche lo zio Tommaso essendoci li posizionati oggetti di sua proprietà. “non si può non notare l’odore di questa casa, l’odore della Storia” ha fatto notare Simona. Io però non avrei avuto bisogno in realtà di questo appunto. In ogni dimora specie di una certa età l’odore è sempre la prima cosa che mi colpisce anche inconsciamente. Dal salottino degli intrattenimenti attraverso un piccolo corridoio si passa alla sala soggiorno con elementi della nostra epoca moderna incastonati tra mobili in stile forse impero o forse Luigi XVI, non che mi intenda di mobili in realtà. Bisogna ricordare che questa casa è tutt’oggi un’abitazione, non è una casa museo e questa zona soggiorno è la prima che si incontra salendo dal piano di sotto, sovrastata dallo stemma della famiglia Valenti, una stanza rappresentativa di tutta la casa l’ha definita Simona “con elementi religiosi e artistici di diverse epoche che però in una casa abitata dove sono stati voluti appositamente assumono oltre al valore artistico, quello affettivo dei ricordi, degli oggetti quotidiani che raccontano il vissuto”. Particolarmente interessanti si sono rivelati i manici degli ombrelli dalle forme fantasiose indicative proprio dello status nobiliare, segno di distinzione di una famiglia che ha segnato la storia di Talamona, ma ha lasciato la sua impronta anche nella grande Storia, ma che non si è mai distaccata emotivamente dalla popolazione. Questo non era un luogo dove si intrattenevano tra loro dei nobili, ma era un luogo per la gente ed è una cifra stilistica che non tutte le abitazioni nobiliari possono vantare. Essendo poi che Clemente Valenti ha fondato la filarmonica c’era la tradizione che ogni anno nei giardini si tenesse un piccolo concerto ad uso e consumo della famiglia e che i casari regalassero i loro prodotti a ricordo dell’operato di Clemente Valenti. Un altro particolare interessante di questa stanza sono le decorazioni alle pareti e la soffittatura a cassettoni sui quali si possono ancora osservare residui di dipinti a motivo floreale e frutti. Per l’ultima parte della visita guidata è stato necessario fare il percorso a ritroso, ritornare fuori nel cortile interno che dà sui giardini passando da una porta sovrastata dalla lunetta dipinta da Giovanni Gavazzeni e dalla porta che da sulle cantine purtroppo chiuse. “il portone che dà sull’ingresso non è originale” ha raccontato Simona “quello originale doveva essere molto più spesso perché aveva funzioni difensive. L’apertura originale era a ponte levatoio. Da questo ingresso si passava coi cavalli e le carrozze, i carri dei rifornimenti, la porta di servizio in un certo senso”. A questo punto la visita è tornata al punto di partenza, la facciata “della facciata mi piace ricordare un dettaglio” ha detto Simona. Il dettaglio da notare è osservabile mettendosi agli estremi della facciata e ha a che fare con la sua particolare prospettiva che rende merito agli affreschi, costruiti come una scenografia teatrale. “In qualsiasi punto ci si posiziona gli affreschi appaiono come delle cartoline” ha spiegato Simona “e sono un dettaglio talmente spiccato da impedire a occhio di farsi un’idea sulla reale prospettiva della casa, come se fosse un enorme telone dietro cui non c’è niente. Un gioco di prospettiva che non permette di comprendere la profondità e che esalta quella che dovrebbe essere la parte migliore della casa e che sicuramente lo era nelle intenzioni di chi questa facciata l’ha voluta. Un effetto creato perché la parete che sembra piatta e invece è leggermente concava (un po’ come le colonne del Partenone ad Atene, costruite leggermente storte di modo che da lontano sembrassero dritte ndr)”. Sotto la facciata c’è una porta che sembrerebbe esattamente al centro, ma in realtà non lo è, un effetto che deve dare un’illusione di perfetta simmetria a chi giunge dalla strada. Ed è nella stanza su cui dà quella porta che si è concluso il giro turistico. Una porta su cui spicca uno splendido batacchio originale di altri tempi a forma di serpente. Questa stanza in realtà è la prima che accoglie il visitatore e si caratterizza per la frescura nei mesi estivi. È in questa stanza e nella cantina attigua che è stata creata la prima sede della latteria. Ora qui spiccano delle foto degli affreschi e di scorci di Talamona con la villa com’è ora e com’era negli anni Venti, una foto che permette di notare la casa vecchia dei Valenti nei pressi della Torre. Su un’altra parete spicca una foto di Giuseppe Piazzi il mitico astronomo scopritore dell’asteroide Cerere, imparentato con la famiglia Valenti tramite una cugina entrata diventata Valenti per matrimonio. La cantina attigua purtroppo è rimasta chiusa al pubblico, ma Simona ha raccontato che vi si può trovare un testo del CINQUE MAGGIO trascritto a mano da Clemente Valenti, accanto ad un ritratto di Napoleone. Da questa visita emerge il ritratto di una dimora capace di parlare a chi sa ascoltarla, una dimora pervasa da un’atmosfera intima che ha saputo però anche aprirsi all’esterno. Una dimostrazione di questa apertura sta nella stanza che si trova proprio di fronte entrando in questa sorta di anticamera. Li è stato allestito lo spazio per la degustazione. Bresaola, bisciola, ricotta e due tipi di formaggio, bitto e semigrasso, un classico di tutti i rinfreschi legati ad eventi del genere. Non resta solo che farsi un ultimo giro. Ora l’atmosfera è quella di un ricevimento. Tutti sono ansiosi di scambiarsi impressioni riguardo a cio che hanno visto e sentito. Nei giardini i bambini giocano a rincorrersi e io mi immagino scene di altri tempi, dame fasciate in bustini stretti e gonne ampie che passeggiano scambiandosi confidenze riparandosi con ventagli e ombrellini, amori clandestini, baci nascosti tra il verde e magari anche qualche dramma chissà. Mi viene in mente che questi luoghi sono lo scenario perfetto per un romanzo sospeso tra lo stile deleddiano e quello dei cosiddetti feulietton. Ci dovrei passare un po’ di tempo e magari trovo qualche ispirazione più dettagliata. Infondo al vialetto dei giardini c’è pure una porta chiusa in stile giardino segreto sopra tre gradini che chissà quanti e quali misteri custodisce.  Per ora questa casa e le sue storie non mi sono ancora pienamente accessibili, chissà se avrò mai modo di approfondire tutto quel che ho ascoltato oggi. Di certo non accadrà ora e dunque mi avvio verso l’uscita, mentre il quartetto di fiati ancora suona. Lo sentirò ancora a una certa distanza sulla via di casa.

 

LA MIA BANDA SUONA IL ROCK

TALAMONA 26 giugno 2015 concerto rock della filarmonica di Talamona

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LA FILARMONICA DI TALAMONA COME NON L’AVETE MAI SENTITA

Un concerto pieno di novità quello che ha avuto luogo questa sera alle ore 21. In primo luogo perché per la prima volta da quando seguo i concerti della filarmonica, ha avuto luogo all’aperto, nella piazza antistante al municipio, per l’occasione riempita di panche pronte ad accogliere un vasto pubblico. In secondo luogo perché è il primo concerto tenuto a battesimo dalla nuova amministrazione, completamente rinnovata. Infine per via del repertorio, tratto dal meglio della musica rock che eseguita con gli strumenti della banda ha creato effetti sonori talvolta sorprendenti e sempre comunque originali che ha permesso di fare “un viaggio negli anni accompagnati dai gruppi che hanno fatto la storia del rock internazionale” come ha dichiarato nell’introduzione Eleonora, presentatrice ufficiale della filarmonica presentando velocemente tutti i generi che sono stati toccati durante il concerto e che sono stati via via presentati dettagliatamente come di consuetudine “l’eccezionalità della serata” ha proseguito Eleonora “non è da ricondurre unicamente al repertorio inusuale, ma principalmente alla presenza di un grande direttore ospite, il Maestro Arturo Andreoli, un nome assai noto nel panorama bandistico nazionale che ci ha accompagnato per tre giorni rendendo più speciale la preparazione di questo concerto. Inoltre, come avrete già avuto modo di notare, questa sera la filarmonica sarà accompagnata da una vera e propria band rock che ci aiuterà a proporre le sonorità proprie del rock: il quartetto ARTESUONO”. A questo punto la parola è passata al nuovo sindaco Fabrizio Trivella che, dopo i ringraziamenti al pubblico numeroso si è espresso favorevolmente nei confronti della banda definendola “uno dei vanti di Talamona di cui tutti dobbiamo essere fieri. Tra l’altro colgo questo momento per ringraziare la filarmonica del benvenuto che mi hanno dato subito dopo le elezioni con la serenata sotto casa i cui video sono stati diffusi su FACEBOOK . Una sorpresa molto gradita e soprattutto inaspettata perché non ero al corrente di questa tradizione”. Ai ringraziamenti e alle lodi del sindaco è seguita una piccola riflessione sulla musica del nuovo assessore alla cultura Lucica Bianchi che avrà sicuramente modo, in questa nuova veste, di continuare a manifestare sempre meglio il grande interesse per la cultura che ha più volte espresso in altre occasioni. “io credo che la musica abbia un grande potere” ha esordito Lucica nel suo intervento “il potere di riportarci indietro nel tempo attraverso le storie che ci racconta così come ha il potere di proiettarci nel futuro attraverso la fantasia e l’immaginazione così che tutti noi possiamo provare contemporaneamente sentimenti di nostalgia e di speranza. Questa sera la musica è qui semplicemente per parlare di cio che le parole non riescono a dire. La musica esprime cio che è impossibile dire con le parole ed è impossibile rimanere in silenzio così come è impossibile rimanere in silenzio su una storia di filarmonica che comincia nel 1870 e arriva sino ad oggi attraverso un passato tumultuoso di guerre per il potere politico, le due guerre del Novecento, per arrivare fino ad oggi cantando e suonando. Oggi la filarmonica di Talamona rappresenta uno dei pilastri culturali del nostro paese, uno dei più importanti e dei più attivi. Concludo dicendo che secondo me la musica si basa sull’armonia che c’è tra il cielo e la terra quindi questa armonia che ci entra nel cuore trova li la sua dimora. Buona armonia dunque a tutti”. E dopo questo splendido discorso è venuto il momento di cominciare, di entrare nel vivo di questo insolito concerto.

La serata si è aperta con i Queen. Nati ufficialmente nel 1970 sono uno dei più famosi gruppi del panorama rock britannico, facilmente identificabili nel proprio leader, cantante e pianista Freddy Mercury. I Queen, in oltre 20 anni di carriera, hanno venduto quasi trecento milioni di dischi. I concerti dal vivo della band, circa settecentosette in ventisei nazioni, dal 1971 al 1986 erano animati da Mercury considerato uno dei più carismatici frondmen di sempre. I loro eventi si trasformavano in veri e propri spettacoli teatrali e proprio per questo motivo al gruppo è stato spesso attribuito il titolo di miglior live band della storia. La produzione musicale dei Queen è stata influenzata da numerosi artisti rock britannici come i Pink Floyd, Beatles, Rolling Stones, Led Zeppelin. Nel corso della loro carriera infatti, i Queen hanno toccato varie forme di musica rock. Associati prevalentemente a sound progressive, arte gran rock, attinsero tuttavia ai più svariati generi musicali passando dall’hard rock al pop rock dall’heavy metal al rock and roll al rock psichedelico. Sperimentarono anche sonorità lontane dalla radice rock del quartetto come blues, dance rock, funk, falk, musica classica e rock sinfonico. La banda questa sera ha proposto un brano che è un miscuglio dei classici più famosi dei Queen.

A seguire una breve compilation di altre band e interpreti del rock soprattutto heavy metal. L’heavy metal, spesso abbreviato in metal è un genere musicale derivato dall’hard rock. Il metal ha, quale principale caratteristica, i ritmi fortemente aggressivi e la potenza del suono ottenuto attraverso l’enfatizzazione dell’amplificazione e della distorsione delle chitarre, dei bassi e spesso persino delle voci. Tra gli esponenti di maggior spicco proposti questa sera vanno menzionati gli Iron Maiden, gruppo heavy metal britannico, formatosi a Londra nel 1975, per iniziativa del bassista Steve Harris, sono considerati uno dei gruppi più importanti ed influenti del genere e fanno parte della new have o British heavy metal, corrente al cui sviluppo hanno fortemente contribuito. I Black Sabbath, nati a Birmingham nel 1968 sono uno dei gruppi più influenti di tutto il genere heavy metal che hanno contribuito in modo determinante alla nascita del suo sottogenere don metal. Gli Scorpion, nati ad Hannover, in Germania nel 1965 sin dall’inizio hanno avuto, quale leader carismatico, il chitarrista Rudolf Shenker. Tra i massimi esponenti storici dell’hard and heavy, sono considerati una delle maggiori realtà musicali della storia musicale tedesca e mondiale per i generi hard rock ed heavy metal appunto. Infine menzione particolare per Ozzy Osborne, cantautore e compositore britannico nato a Birmingham nel 1948, divenuto famoso prima con i Black Sabbath e poi con una carriera solista di grande successo Osborne è riconosciuto da tanti come il padrino dell’heavy metal per la sua musica e per il suo carisma sul palco un vero innovatore del genere. Il brano suonato dalla filarmonica dopo questa presentazione, chiamato genericamente METAL altro non è che un omaggio che contiene in sé richiami a ciascuno di questi artisti ora citati.

Ed è arrivato poi il momento clou della serata. Il CONCERTO GROSSO dei New Trolls riarrangiato per banda e diretto dal Maestro Arturo Andreoli. I New Trolls sono tra i pochissimi gruppi italiani che pur attraverso mille peripezie, sono riusciti ad arrivare ai giorni nostri partendo dagli anni Sessanta. Quando nel 1971 fu pubblicato il CONCERTO GROSSO per i New Trolls il panorama musicale italiano si trovò di fronte ad uno dei primi innovativi esempi di integrazione fra musica ad esplicita ispirazione classica ed elementi di espressione rock che arrivavano in quel periodo proprio direttamente dall’Inghilterra. Alla base di quell’esperimento c’erano le composizioni che Luis Bacalov ideava per il cinema al pari di altri suoi colleghi suoi contemporanei come Nino Rota ed Ennio Morricone. Su quelle musiche i New Trolls innestavano magistralmente le sonorità che gruppi come i Genesis cominciavano a proporre con successo. Il CONCERTO GROSSO scritto da Luis Enrique Bacalov è diviso in tre movimenti: il primo movimento, allegro, è un lavoro strumentale dove l’orchestra dialoga coi fraseggi della chitarra; il secondo movimento, adagio, è un brano lento immerso in piena atmosfera barocca che ci riporta indietro nel tempo, a palazzo di qualche corte francese; il testo sul finire, cita una famosa frase dell’AMLETO di Shakespeare “morire dormire forse sognare”; il terzo movimento cadenza, si apre con un assolo di clarinetto sul quale si innestano poi gli altri strumenti ed a seguire anche il gruppo per costruire poi insieme il ritorno al tema iniziale del primo movimento.

La filarmonica ha concluso il suo concerto con una raccolta di brani dei Deep Purple, un gruppo musicale rock inglese formatosi a Hartford nel 1968. Insieme ai Black  Sabbath sono considerati tra i principali pionieri del genere heavy metal nonché una delle band più influenti del panorama musicale degli anni Settanta con un substrato musicale molto vario che spazia dal blues al rock and roll dal funky al jazz e al falk, dalla musica orientale alla musica classica. Il suono della band comprende anche elementi di rock progressivo, genere in auge nel periodo. La raccolta eseguita dalla filarmonica presenta le più significative canzoni del gruppo. Nell’esecuzione si è distinto in particolar modo l’assolo di chitarra del gruppo ARTESUONO  i cui membri sono stati presentati al termine dell’esecuzione del brano. Alla chitarra Michele Rusmini. Chitarra e voce Joe Valenti. Al basso Andrea Cocilovo. Alla batteria Marco Lori. Nella parte finale della serata hanno tenuto un loro piccolo concerto presentato come I CLASSICI DEL ROCK , ma che a me è sembrato più un misto di brani tratti dalla musica leggera e popolare (soprattutto De Andrè) reinterpretati in chiave rock, un piccolo concerto al termine del quale ha preso la parola il presidente della filarmonica Stefano Cerri per il consueto momento degli omaggi dei ringraziamenti e degli auguri in seguito a lieti annunci (come quello delle imminenti nozze del Maestro Pietro Boiani).

Prima del congedo non poteva mancare il momento dei bis. Il primo bis acclamatissimo è stato quello del CONCERTO GROSSO diretto da Arturo Andreoli che prima di dirigere ha voluto prendere la parola “vorrei che il CONCERTO GROSSO possa rimanere nei cuori della banda e di questo meraviglioso pubblico in grado di creare una così intensa corrispondenza” ha esordito il Maestro Andreoli “vent’anni fa ho conosciuto la Valtellina e l’anno scorso il presidente della filarmonica, ma non pensavo che la Valtellina avesse questa grande forza e ospitalità che mi commuove e mi rende orgoglioso. Vent’anni fa col Maestro Della Fonte ho trovato una realtà diversa e ho potuto vedere come l’esperienza fa crescere e migliorare” il Maestro ha inoltre voluto condividere col pubblico alcuni brevi aneddoti dell’inizio della sua carriera e ha ricordato che proprio oggi compie 64 anni. Quale miglior modo di festeggiarli se non collaborando ad un concerto di tale successo che credo abbia lasciato a tutti l’imperituro ricordo di un’esperienza intensa?

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Antonella Alemanni

LA GIOIA DELL’APERITIVO

TALAMONA 14 giugno 2015 i giovani di Talamona presentano

 

 

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IL MIO RACCONTO PERSONALE DI UN EVENTO A META’ STRADA TRA CULTURA, ARTE, SOCIALE E FESTA

C’è ben poco da stare allegri in una giornata così. Piove incessantemente da due giorni e con un tempaccio del genere non viene certo voglia di uscire di casa. Oltretutto non so nemmeno in che cosa consiste bene questa cosa. In qualità di assistente scolastica ho potuto seguire alcune fasi dell’allestimento, in particolar modo la creazione dei quadri dei quali una selezione sarebbe andata a formare una mini esposizione che nella sala a pianterreno della Casa Uboldi era già stata allestita da qualche giorno. Di tutto il resto però non ho la più pallida idea. Mi era sembrato di capire che fosse un’iniziativa della biblioteca che si è fatta prestare i quadri dei bambini della scuola, ma in che cosa consista di preciso il tutto non lo so, come volontaria della biblioteca mi è stata chiesta disponibilità, ma per cosa in particolare non mi è stato specificato (oltre al mio solito ruolo di osservatrice che documenta e fa memoria naturalmente). Pioggia o non pioggia stanchezza o non stanchezza the show must go on  e dunque mi appropinquo al luogo della festa che il tempo ha costretto a cambiare. Non più la casa Uboldi, ma il teatro dell’oratorio.

Vi giungo e tutto è in fermento. Gente che arriva, che si ritrova che si saluta, qualcuno sta fuori, qualcuno entra e prende posto. Dentro è stato allestito un rinfresco e pochi tra quelli che entrano (tra cui io) non ne approfittano. Ma guarda c’è pure la musica. In effetti questo era riportato sul manifesto dell’evento. Ma a fare musica sono gli alunni delle scuole medie diretti dal professor Riccardo Camero come quella volta a Morbegno al concorso intitolato allo scultore Salvatore Pisani. Allora suonava anche il bambino cui faccio da assistente che oggi non c’è, non vedo nemmeno il suo quadro appeso… ma forse devo guardare meglio… dunque vediamo… ci sono dei quadri appesi sul palco, appesi proprio alle quinte, alcuni sono quelli che avevo già visto nel precedente allestimento, quello alla casa Uboldi che ha poi dovuto essere spostato… li il quadro del mio bambino c’era, ma qui? Forse non lo hanno messo qui perché lo sfondo del nuovo allestimento è scuro e il quadro è già scuro di per sé non si noterebbe. Chissà perché il mio bambino così vivace ha deciso di usare tinte scure. Un momento! Ci sono dei quadri anche la nell’angolo a sinistra rispetto a chi giunge dall’ingresso. Quelli non li riconosco. A scuola non li ho mai notati. Devo dire che sono di squisita fattura. Però! Alcuni sembrano disegni per cartoni animati altri ritratti che sembrano vivi schizzi questi che sembrano dei quadri espressionisti quasi dei Van Gogh contaminati da uno stile graffitaro, arte moderna, arte astratta e questi… quadri che sembrano riprodurre le foto del telescopio spaziale Hubble. Ma da dove vengono? Sono sicura di non averli mai visti prima… c’è pure una Gioconda riprodotta con l’arte astratta. Qui comincia ad accalcarsi gente mi domando come si possano apprezzare questi quadri nel corso della serata. Intanto le prove continuano. Mi guardo intorno cerco di capire a chi potrei rivolgere qualche domanda per cercare di capirci qualcosa. Tra il pubblico c’è anche la signora Lucica che difficilmente si lascia scappare qualche evento se non quando è molto impegnata, ma sempre ad occuparsi di cultura. Mi dice subito che aspetta l’articolo di questo evento. Prima o poi qualcuno dirà qualcosa che possa permettermi di capire che sta succedendo, cosa succederà, qualcosa che potrò poi riportare.

Ecco che finalmente qualcuno sale sul palco e afferra un microfono. Questo dovrebbe essere il segno del fatto che si sta per cominciare davvero. Possiamo cominciare dice infatti l’uomo che nel corso del suo discorso si presenterà come Alberto della Cooperativa Insieme. Questa festa è per i giovani, ma in generale per tutta la popolazione. Da alcuni mesi a questa parte alcune associazioni del comune si stanno incontrando con la Cooperativa Insieme di Morbegno per provare a discutere insieme (appunto) del tema giovani e prevenzione. Mentre vengono enumerate tutte le associazioni che hanno preso parte a questa iniziativa (e ci sono proprio tutti UIDLM, Oratorio, Pro Loco Biblioteca, Gruppo della Gioia, le cooperative Insieme e Orizzonti, la scuola, infondo le idee confuse che avevo nonostante tutto non erano così lontane dalla realtà) penso che ci si riferisca in particolar modo al disagio sociale, all’importanza di mettere in campo delle attività per impedire che i giovani si ritrovino preda del vuoto di senso (che è di gran lunga peggio del senso di vuoto) e dunque portati a percorrere strade sbagliate, la dipendenza da alcool e droga. Il signor Alberto proseguendo il suo discorso conferma questa mia ipotesi. Nel corso di questi incontri si è stabilito di mettere in campo una serie di iniziative d’incontro tra giovani, associazioni e cittadinanza e la festa di oggi vuole essere l’inizio del percorso, l’evento simbolo. Non posso fare a meno di pensare a come ci siano territori che hanno una necessità vitale di risorse del genere e non posso non pensare al Mezzogiorno dove c’è chi è ben lieto di approfittare del vuoto di senso dei giovani per farli diventare dei delinquenti. Se fossimo a Napoli magari vedrei entrare improvvisamente degli uomini armati che sparano a tutto spiano. Ma forse questo è solo un pregiudizio. Nel frattempo ha preso la parola Laura del Gruppo della Gioia per ringraziare tutti coloro che hanno permesso di realizzare concretamente questa  che altrimenti sarebbe stata solo un’idea. Ai ringraziamenti si unisce poi di nuovo il signor Alberto che ringrazia in particolar modo il comitato ARTE LIBERA di Berbenno che ha fornito i quadri posti nell’allestimento nell’angolo (visto? Ci avevo visto giusto, non era roba nostra! Bella però) e segnala la presenza del furgoncino della cooperativa LOTTA CONTRO L’EMARGINAZIONE che mette a disposizione la possibilità di fare l’alcool test e per i giovani di rilasciare un’intervista su cio che vorrebbero vedere realizzato a Talamona perché serve a noi per orientarci per capire cosa fare. Dunque questo potrebbe significare l’inizio di una nuova era per la stagione culturale talamonese? E io che cosa potrei proporre? Tanto Saviano qui non lo inviteranno mai quindi è inutile che continuo a sprecare il fiato. Due o tre settimane prima ad Albosaggia c’era un festival letterario in occasione del quale era ospite Valerio Massimo Manfredi, un altro dei miei scrittori preferiti. Io però quel giorno avevo già in programma il cinema pomeriggio e sera. Due anni fa a Morbegno hanno invitato Antonia Arslan per ben due volte e io ho pure rimediato una copia de LA MASSERIA DELLE ALLODOLE autografata con dedica. A qualcuno interessano gli scrittori qui? Non mi è mai sembrato e comunque ora ho la mente vuota, ho sonno e non mi sento affatto nello spirito giusto per essere propositiva. Penso troppo da vecchia.

Sul palco nel frattempo è salita Simona Duca ex assessore alla cultura (ora dovremmo già averne uno nuovo e presto conto di scoprire chi è) qui in veste di insegnante di scuola secondaria per introdurre la parte dello spettacolo curata proprio dalle scuole medie e dedicata alla memoria di un ragazzo che ci ha lasciato troppo presto, Paolo Biella. Può sembrare stonato accostare questo pomeriggio gioioso al ricordo di una persona che non c’è più ha detto Simona ma lui era una persona gioiosa e positiva e dunque abbiamo pensato che a lui farebbe piacere essere onorato così. Oggi è come se anche lui fosse ancora con noi. Se la memoria dei morti è il principale motore della civiltà, il popolo di Talamona si caratterizza per essere un popolo molto civile visto che sono molti gli eventi che sono nati e proseguiti nel tempo per commemorare la memoria di un qualche compaesano che se ne è andato. In attesa di preparare gli strumenti e gli accordi Simona Duca chiama sul palco la preside della scuola, Eliana Giletti, seduta tra il pubblico, che non può che sottolineare ulteriormente il grande impegno profuso in tutto questo.

Per rompere il ghiaccio due assoli di motivi che richiamano al rock.

 

 

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Qualcuno dei ragazzi ha la funzione di voce fuori campo che introduce alcuni brani.

 

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È appena terminato l’assolo di batteria di Riccardo piano quando si leva la voce fuori campo (o forse sono semplicemente io che non vedo il ragazzo da quella posizione in cui mi trovo). A New Orleans i funerali erano accompagnati da musiche spesso allegre. L’espressione delle emozioni era ed è pubblica e non c’è dissociazione tra vita, silenzio e morte. Lo stesso concetto di distacco dalla persona cara è diverso rispetto a quello delle civiltà occidentali e tutto è caratterizzato da profonda fede. A questo punto partono le note di I UNDERSTAND GO MACHININ eseguite soprattutto col flauto. Però, non avevo idea che fosse un brano da funerale. Del resto non avevo neanche idea che a New Orleans i funerali si considerino quasi una festa. Mi sembra di ricordare che anche gli Etruschi la pensassero così.

Gli eventi cui non riusciamo a trovare una risposta la trovano idealmente nel vento. Ecco che mentre penso si è già passati alla presentazione di un altro brano. Meno male che sto registrando tutto. Questa canzone continua la voce si  rivolge idealmente all’umanità. Non poteva che essere BLOWININD THE WIND cui fa subito seguito un mix di repertorio classico, di brani tra gli altri di Mozart Beethoven e Vivaldi. Con la musica classica non si sbaglia mai, ha degli effetti benefici sull’anima che non si possono ottenere in altro modo.

Ogni tanto mentre ascolto la musica mi guardo un po’ in giro e noto che tutti osservano un piccolo bambino seduto in braccio a colei che immagino sia sua nonna nel pubblico, un piccolo bambino biondo dalle guance paffute e ridenti. È un po’ come se fosse lui la star occulta della serata. Quando un giorno potrebbe ritrovarsi assalito dalla tristezza e pensare di contare ben poco al mondo (questa fase la attraversano tutti anche se ognuno in modo diverso) che qualcuno gli ricordi questo giorno.

L’ultimo brano eseguito dagli alunni delle scuole medie è LET IT BE dei Beatles. Nella presentazione si dice che Paul McCartney dichiarò in un’intervista di aver avuto l’ispirazione per questo brano da un sogno durante il quale incontrò la madre Mary, morta di cancro nel 1956 quando lui aveva 14 anni e che proprio la madre nel sogno gli disse di lasciare che gli eventi facciano il loro corso (let it be appunto) e che tutto si aggiusterà. Perbacco. Io sapevo che YESTERDAY è nata da un sogno di Paul McCartney il quale sognò la melodia percependola come un qualcosa che aveva già composto e restando stupito quando nessuno dei compagni sembrava riconoscerla. Certo che i sogni portano davvero bene ai Beatles! Avessero gli stessi effetti o comunque effetti simili su tutti! Al Mondo ci sarebbe più bellezza più energia creativa…  dopo l’esecuzione di questo brano c’è chi ha voluto esprimere un pensiero personale del suo ricordo di Paolo.

A questo punto prima di lasciare spazio a giovani band e talenti musicali solisti di Talamona gli studenti di scuola media propongono una presentazione in lingua inglese del nostro Comune che non sfigurerebbe su un sito di viaggi internazionale. Simona Duca prova a cercare volontari che traducano il tutto in dialetto, ma nessuno si fa avanti così lo assegna come compito a casa che non penso sarà mai svolto.

Nel frattempo la prima rock cover band è gia pronta per trasformare il teatro in una discoteca. Cavoli mentre suonano sento vibrare tutto il pavimento le pareti persino i miei nervi. Quando si dice la musica psichedelica. Poco ci manca per la miseria. Il batterista è particolarmente bravo è come se la batteria fosse un prolungamento della sua stessa anima. Le cantanti invece sono molto meno coinvolgenti dovrebbero avere più presenza e invece se ne stanno ferme come statue e cantano come se stessero dicendo messa a momenti. Dovrebbero prendere esempio dal rapper che si è esibito dopo. Non si capisce cosa dice, forse è l’effetto del rimbombo, del suono non proprio gestito correttamente, però almeno si muove sul palco, si appropria della scena, sente quello che canta vuole coinvolgere tutti i presenti, invaderli con la sua musica.

Mentre il rapper canta mi accorgo che lo smartphone non sta più registrando nulla. Non so chi si deve ancora esibire e per quanto tempo ancora, ma penso che comunque possa bastare questa musica così forte mi sta martellando le orecchie. Un mal di testa oggi è proprio l’ultima cosa che voglio. Vedo che anche altri a poco a poco stanno andando via o se ne sono andati da prima. Credo che ormai lo spirito di cio che si intendeva comunicare sia ben chiaro e dunque non c’è bisogno che io resti. Esco e ancora piove mentre torno a casa.

Antonella Alemanni