POESIE SCELTE DI NOELLE MANCINI
Sulla palude dei miei desideri
onirici fiori di loto. ..
barchette di carta stropicciate
dal tempo. .
Verrai a trovarmi, questa sera, amore mio?
Abbiamo lenzuola di petali. ..
L’ antro della sibilla cumana
Non rivelai i nostri segreti ad alcuno. .
nell’antro, scrivevo su foglie d’oro. ..
ricordi come ridavamo degli invidiosi
in cerca di responsi?
Solo tu conoscevi la vera sequenza
delle foglie. Tutta la storia.
Nell’attesa ho capovolto la clessidra del tempo,
non ti attenderò più amore mio. .
non correrò più dalla finestra della speranza alla porta del cuore…
hai appeso il cartello “VENDESI sulle mura
della nostra casa..
capovolgo ancora la clessidra del tempo. ..
Le parole d’amore sono farfalle,
bisogna inseguirle col retino. ..
fuggono via, con il polline, con il vento. . .
Ghibli,
hai inaridito le mie labbra, le mie narici..
Io, sposa nel deserto senza velo. .
oasi senza palme. .
issero’ la mia tenda
proprio qui nel centro
nell’attesa dei prossimi carovanieri. .
Tu, amore mio, Ghibli,
dammi un sorso d’acqua. .
hai ancora quella brocca ferita?
In una bottiglia di vetro trasparente
racchiudo il mare intero
per vederne il blu.
Distendo le mie ali verso l’alto
per poi tornare da te. .
Io, acqua di mare,
parabola fra cielo e terra. .
Tu, nocchiero di quest’altalena.
Raccogliamo conchiglie. Stelle.
I moti del cuore semplicemente sono. .
semplicemente vanno. .
inutile richiuderli in un barattolo,
fuggirebbero via. ..
Oh, Paolo e Francesca…
volteggiate ancora,
lievi soffioni nell’aere quieta.
Iddio vi amò.
“E caddi come corpo morto cade”.
Correvo dalla porta alla finestra. ..
Tu eri ancora là. ..
I miei occhi amuleti. ..
E poi il rombo del motore sul cuore. .
la solita scia di stelle. .
Oh Dio, proteggilo lungo il viaggio. .
la finestra rimpicciolisce. ..
fessura, ferita, lama.
Qualche stella qua e là. …
Io maggio. Pergolato di rose mature.
Tu inverno e le tue cesoie di ghiaccio.
Strappasti un fiore
che volteggiando morì.
Chi potrà ascoltare il dolore
di una rosa recisa?
Oh maggio sfiorito!
Sol invictus
immenso ti stagli
fra rami di filo spinato.
Qua e là, riccioli di buio
ancora annodati.
Nebbia sul lungosenna,
luna,
onda,
bianca camelia.
Solleva la tua veletta, Selene,
mostrami l’occhio scuro
della tua medaglia. …
scia tra fiochi lampioni.
Ti giri. ..
mi sorridi. ..
denti di ghiaccio, mia regina!
Lentamente ti dissipi fra i merletti. ..
s’ ode, ancora,
il ticchettio dei tuoi stivaletti neri. ..
allacciati. …
Avverto i tuoi passi.
Sul cuore.
Quanti gradini ci separano?
Troppi.
La porta è già aperta.
Richiudila.
Mantice il mio petto,
così assordante!
Ci stringiamo con mani tremanti.
Fiotto d’amore.
Ora solo due spighe di grano.
Da mietere.
Eco dell’anima lo sferragliare di rotaie,
sbuffi di ricordi.
Gelidi inverni.
Guglie le mie dita,
ringhiere arrugginite
che stringono il cuore.
Non tornerai più.
Grata sul cuore.
Usignolo trafitto.
Non distinguo più
l’est dall’ovest,
il nord dal sud.
E fu da allora
che la ruota della mia vita
cominciò a girare all’incontrario.
Sul mare di grano maturo
dondola la luna,
placida,
morbida di burro.
Fila sogni seduta all’arcolaio.
Mi dicevo:
il mio amore sarà sufficiente per entrambi.
Mi sbagliavo.
Non è prevista,
per questo caso,
l’applicazione della legge
dei vasi comunicanti.
Oh Archimede, Archimede,
il tuo principio fisico
non bado’ alle lacrime d’amore.
Quando la stagione
degli sfacciati gerani
sarà ormai trascorsa,
tu,
forse,
cercherai ancora,
nel sottobosco,
quella violetta
che sognava l’amore
a cui tempo addietro
rubasti il profumo.
La mia vita,
il mio amore,
pallottoliere fra le tue mani.
Ora aggiungi,
ora sottrai.
Ed io guardo il roteare
dei colori dell’amore
con occhi di bimba,
iris trapunti di stelle.
Mi dicesti che non saresti tornato.
Invece sei qui.
Deo gratias!
Oh, povero cuore
non troverai mai pace!
Il mio corpo,
la mia anima,
morbida cera fra le tue mani.
Mi plasmavi a tua immagine.
Tesi un filo di luce
fra due stelle
per noi acrobati su monociclo.
Oh, ponte dei sospiri!
L’eco della tua assenza
urla in questa grotta.
“Dove sei amore mio? ”
E guardo dalla finestra
volteggiare la mia anima. ..
Hai spento tutte le stelle
a poco a poco
ed alla luna
hai tirato la cordicella
ora lampada fioca.
Parole dette per ferire.
Buran,
sul verde tenero
del campo d’avena.
E la primavera si ritira.
Invano la cercherai
tra le feritoie della roccia,
tra gli archi ogivali del tempo.
I miei pensieri nel vento,
pallide corolle dirette chissà dove.
E tu,
uccellino sul ramo di pesco che non c’è
perché non voli via?
Sei qui amore mio,
le spire della notte
non ti hanno dissolto,
ascolto il tuo respiro,
ora lieve,
ora affanno,
segui i binari dei sogni.
Ti sfioro,
non puoi saperlo,
rubo seta all’aurora,
iridescente
fra le mie mani.
Distendo il mio collo di cigno
sul lago dei desideri.
Oh, giglio fiorentino!
Apro le ali.
Perché,
all’improvviso,
il cuore,
ha modificato il suo battito?
Un dolore acuto,
un sasso lanciato.
Cerchi concentrici nell’etere.
Potessi rendere fioca
la luce di questo abat-jour,
di questo cuore!
E tu, galeone,
se non prendessi il largo!
Se non rovesciassi il tuo carico
di monete d’oro!
Quale sarebbe il tuo potere Oriente?
Non nascerebbero più fiori!
Nello stupore della notte
qualcuno ha bussato.
Era solo la luna.
Raggomitolata
nel pugno della notte
ti attendevo.
Perché non mi hai raggiunta?
Plenilunio mancato!
Navigo al buio,
in mare aperto.
Regata in solitario.
In cielo neppure una stella.
Dritto di prua verso il polo.
Il mio diario
ha una copertina azzurra. ..
cardellino del pensiero
sulla mia scrivania…
La luna
e le stelle
e l’intero firmamento
al di qua della mia finestra.
Col naso all’insù
miro il soffitto. ..
e proprio lì
a destra del lampadario,
la costellazione del grande carro
e l’orsa maggiore. ..
Bene,
disegnero’ la mia nuova
mappa del cielo a punta di matita!
A che ora sei rincasato questa notte?
Non lo so…
Non me lo dirai. ..
Aurora gioca a biglie con le stelle
e poi le racchiude
in un sacchetto fragrante di pane. ..
Ed è già mattina.
Lungo le venature di una foglia,
laggiù nella valle,
si scorge una chiesa,
dalle pareti bianche bianche
di calce fresca.
Ecco il mio canto di primavera per te.
Ho ancora fra i capelli
profumo di nocciole. .
olio di argan
luminoso e fragrante.
È ancora tutto come se accadesse
per la prima volta. .
Ti ho atteso a lungo,
predone,
nelle cavità carsiche del mio cuore. .
ora puoi mostrarmi il tuo volto blu. .
Scelgo sempre le vie del cuore. ..
mi ci smarrisco
sempre. ..
Oltre la ferrovia
una città assediata.
Avevamo solo due biciclette arrugginite
per poter volare.
La paura ci fermò.
Gridammmo nel vento.
Fu inutile.
Tu chiudesti il libro
e da quel giorno
“più non vi leggemmo avante”.
Luna…
cameo intagliato
nella conchiglia del cielo.
Chiara madreperla
pendula nella notte.
Nel prato
dodici rintocchi di campanula. ..
oh, quante api accorrono…
sono tutte d’oro!
Mi dicesti:
non ti ho mai vista così bella,
diafana nella notte…
Le tue braccia,
nodose,
contorte,
rami d’olivo,
non riuscivano a stringermi. .
ero solo una lacrima
di vetro soffiato…
Ponte di canapa intrecciato,
sospeso fra noi,
sull’abisso.
Hai reciso i tiranti del cielo…
silenzio primordiale
tra i quattro cantoni dell’universo.
Boccetta trasparente..
Iris…
ambrosia…
cibo per gli dei…
vedo il tuo specchio
e le collane sparse
tante perle…
dov’è la talchiera d’argento Iris?
Con la polvere di luna?
Presa dalla notte
il tuo respiro è affanno.
Talvolta indossi scarpe,
stiletti per trafiggere la luna…
luna femmina e bugiarda…
Il tuo piumaggio è cielo,
canto d’angelo.
Un tempo,
volteggiavi su infinite altezze.
C’era una cattedrale gotica.
Ora canti “La vie en rose”…
più di una primavera!
Pomeriggio in campagna
Ti seguivo.
Le tue orme sulla terra soffice.
Avevamo il sole difronte,
fra i rami.
E i tuoi capelli!
Bellissimi fili di rame!
Poi ti voltasti per cercarmi
e i tuoi occhi
senza iridi né pupille
erano bracieri d’oro liquido.
La ruota del sole!
“Sara, ci siamo smarrite lungo questo sentiero”?
Ma tu non mi ascoltavi più.
Continuavi con le tue danze irlandesi.
Bimba dai capelli rossi.
Ricordo il tuo volto stanco,
di foglia bianca,
adagiata sul gradino,
sotto la finestra.
Ti schiaffeggiai,
più volte,
per la disperazione,
per la rabbia,
per la paura.
Mai per mancanza d’amore.
Signore, perdonami,
non ho saputo capirlo.
Questo il mio peccato.
I suoi silenzi erano pietre.
Ora, la mia foglia bianca
è volata via,
oltre quella finestra.
Ormai chiusa.
Sigillata.
Chiesa sconsacrata.
Eppure, potevi ancora
essere attaccato al mio ramo.
Scuro.
Senza gemme.
Anche questa notte
sei venuto a cercarmi
con il tuo carico di conchiglie e di stelle…
e poi sei andato via,
depositando sedimenti
sulla mia anima eterna
che s’ innalza,
a mani giunte verso il cielo.
Sei riuscito a piegare
le gemme di questa primavera,
vita danzante in crinolina.
Anche il fiore è nel suo stelo,
nel buio della terra!
E le tue parole. ..
sassi.
Hanno deviato il corso del ruscello,
che risale la sorgente,
verso il grembo della terra.
S’ ode il singhiozzo di un bimbo:
“Mamma, dove sei”?
“Non temere, sono qui, fra il muschio”!
E lui, sorrise,
azzurro.
Lieve il mio viso sul tuo petto. ..
Io stelo di fiore, fresia d’amore. ..
Stringo te, mondo intero,
titano, pilastro del cielo. ..
Le tue mani fra i miei capelli. ..
ci giochi come con la sabbia. ..
rovente d’amore!
Eccoti. Percepivo i tuoi passi. ..
Eccoti. ..sei qui. ..
Le mie mani tremanti. ..
e profumo di nocciole fra i capelli. ..
Ancora una notte. .
“Spegni la luna per favore amore! “.
“Dove sei amore mio?”
“Sotto casa tua. .
non trovo parcheggio!”
“Oh, lord Nelson,
potresti attraccare a quella stella,
accanto al comignolo!
C’è un gatto!”
E poi la ragnatela del portone fra noi…
e il pianoforte della scalinata
che suona.
Ripida.
Eccoti.
“Amore, ho preparato un tè!”
Teiera in petto…
Sorseggiamo amore…
mentre il veliero,
là fuori,
dondola,
attraccato alla solita stella.
C’è un gatto.
Gli occhi gialli della luna!
Sciolgo gli ormeggi
che trattengono questo guscio di noce.
È ora di doppiare Capo Horn!
Mi attendono insormontabili
canne d’organo,
dita d’acqua da oltrepassare nel buio.
Nella cambusa,
una teiera tiepida,
ricordo di un cuore che fu…
ora, infusi di erbe amare.
Forse torno a casa.
Dall’altra parte!
Sono più di una speranza…
sono un campo di grano maturo…
volo come un papavero…
da un covone all’altro
aeroplano di carta velina!
Il galeone punta verso il disco d’oro del sole. .
s’ incontreranno lungo la linea dell’orizzonte…
e poi…
mano nella mano
verso l’iride buia della notte.
Due anime dondolanti
nel mistero della vita.
Non mi distingueresti più. ..
sono alga di mare verde-azzurra..
cullata dalle onde.
E tu cercatore di perle
non tuffarti nella mia essenza liquida!
La palpebra del cielo,
infatti,
già si abbassa. .
incede il tramonto
con il suo drappo rosso!
Ti stagli maestosa
come cedro del Libano,
bianca signora in trono.
Sei così bella da togliere il fiato
e quando mi vieni incontro
nel labirinto del cuore,
sento di poter posare
la mia guancia affaticata
sulla primavera della tua pietra.
Vi è il riverbero del sole!
Febbraio va via. ..
con la mia collana di perle sparse. ..
si volta ancora pagina!
Oh marzo. .
non incedere così spavaldo!
Non togliermi quel paio d’ali!
Ho il timore dello scalpello del tempo…
della sabbia che si posa
sui lineamenti tuoi…
Chissà se un giorno,
incontrandoti per caso
sentirò ancora
sobbalzarmi la rondine in petto…
Sarà quella la strada giusta da percorrere?
Tu nomade del futuro…
Io Penelope del passato?
Oh seta d’amore torna!
Non lasciarmi andare!
Sferragliare di tram
sulla rotaia del tempo.
Dagli oblò, quanti acquerelli!
-La luna in pelliccia
con la borsetta da sera;
– un uomo e la sua stella tremula
in bisaccia;
– due innamorati col cuore di cristallo;
– tanti studenti con il sorriso
di un mandorlo.
Scendo dal tram.
Chiude il Musee d’Orsay!
M’imbratto di colori!
Brezza leggera…
un mare di grano.
Decido di issare le vele…
prendo la barca!
Che belle le onde di spighe…
atolli di papaveri
o forse di corallo?
Dio…che pace!
Respiro gabbiani!
Ti raccontai di quella rondine
che mi sobbalzava in petto?
Ora non vola più.
Se ne sta sola e nera
sul comignolo del mio cuore!
Io rosa di jericho
mi nutrivo di stille
dalla grondaia delle tue mani.
Avrei accettato anche una lacrima
ma mi fu negata.
Poi, un giorno,
chiudesti il cardellino in un pugno.
Era ancora tiepido…
tiepido d’amore!
Piango
come pioggia
sulla finestra
del mio cuore
sul far della sera.
Mi sorridi.
Ed io felice.
Fanfara di farfalle in volo.
Prismi di luce della Sainte Chapelle!
Invito galante a cena.
Cosa potrei indossare?
Apro l’armadio…
Ecco l’abito nero…
elegante…
farà pendant con la notte!
E la luna?
Me l’appunto in seno!
È una farfalla.
È un giugno assolato.
Di primo pomeriggio frinii di ciliegi…
e fra gli occhi di smeraldo…
tanti baci
rossi rossi…
l’uno tira l’altro!
Lo vedo questo meraviglioso albero
di cui mi parlasti!
Ha radici profonde,
eterne…
e migliaia di braccia…
foglie verdoline
intessute di primavera,
come canarini.
È l’albero della vita!
Un aquilone in volo…
è un canto leggero
che si libra come aiuola nel blu…
fresie che migrano
a bordo di un violino!
È solo una nuvola…
bianca…
ora già non c’è più…
Le tue dita…
lapis…
disegnano ancora
le mie labbra di corallo
come frontiere di un cuore.
Il pianoforte suona
rimembranze lontane…
ali di vento
fra spighe di donna…
vola in un canto
il campo di grano.
È il giorno della mietitura!
Due lune.
Una nel calice del cielo,
l’altra,
fiore di laguna.
Ecco…
arriva la gondola col suo gondoliere
per trafiggerla come ape nel cuore.
Tu cantavi.
Io fremevo.
Dimmi se devo attenderti ancora,
aviere,
nei tuoi sogni di gloria!
Quante ali di farfalla
si sono posate su te,
regale dalia,
nel guizzo rossoarancio del tramonto?
Bisognerebbe imparare dal mare…
dalla pazienza del suo eterno moto…
dal ritrarsi e poi dal colpire dell’onda…
dalle alghe strappate
come cuori stracciati.
Questo tronco,
cavo,
annientato,
è divenuto dimora di un alveare…
ora stilla miele.
Ben nascosta è l’ape regina!
È dietro quel sogno
di carta di riso
che si cela
il tuo pallido ideogramma
geisha del cielo?
Si scorge appena
nella bruma del tramonto
quell’albero dalle foglie caduche
con la sua croce d’autunno.
Nelle secche
dei miei ricordi
i tuoi lineamenti
sono contrafforti del tempo.
Non fermare,
oh sfinge,
il mio ingresso alla città sacra!
Io stessa,
sono l’enigma del tuo cuore!
Te ne offro la chiave!
Distendi, dunque, le tue ali
e lasciami entrare!
Fu il biancospino
che m’indico’
il sentiero del tenero aprile!
Oh, quel vestitino,
vestitino,
di mussolina bianca
che lieve danzava nel sole,
celava già,
fra le sue corolle,
un acuminato dolore!
Oh, giovane Salome’,
raccogli già
i tuoi capelli
in crocchie
fra l’opulenza dell’oro
e il profumo dell’assenzio?
Sì,
sono io,
quella goccia salmastra
che leviga piano la tua gota,
Ulisse…
raccoglila,
conducila con te,
per lande lontane,
lungo le rive dell’oceano silenzio!
Dallo scrigno d’oriente sorgesti
e tra le braccia dell’occidente tramontasti,
crisalide d’amore!
Un giorno,
mi dicesti,
che non avrei dovuto illudermi.
Fosti fin troppo onesto con me,
mercante di lune!
Mi guardasti e la mia mano tremo’.
Dagli occhi,
un fiore liquido mi tradi’.
Pistilli e antere come ciglia…
Oh, povero cuore,
s’ accorse del mio segreto!
Bussasti ancora
alla mia porta, gabelliere!
Ti rimandai indietro
a mani vuote.
Non c’è più dazio
né obolo
che io debba ancora pagare!
Ti guardai andar via,
a capo chino.
La scala non suonava più.
Rapsodia d’una sconfitta!
I miei pensieri,
legati ad un filo
di tela di ragno,
si trastullano leggeri
fra l’azzurro del cielo
e il rosso dei papaveri.
L’ho disegnato quel sole
giallo giallo
e quel pettirosso
rosso rosso
sull’ardesia scura del mio cuore.
E quando la gemma del mattino,
apre i suoi occhi,
entrambi cantano nuovi stornelli!
Per lungo tempo,
non ho più parlato,
né cantato…
ed ora eccovi!
Tutte insieme vi posate su me…
Fermati, tu!
Con l’abitino azzurro!
Non volare via!
Dimmi prima come ti chiami!
Non ti ho mai amato tanto
come quando dopo l’amore riposavi…
Le mie mani indugiavano
sul tuo mondo
e ne riconoscevano i confini…
finalmente tu bambino,
io dea.
Non sei più approdato
alle bianche scogliere
della mia anima sparsa,
arcipelago smarrito
chissà dove nel blu.
Forse solo una notte.
Solo un’alga.
Il sapore del grano
Tornerà l’estate?
E noi torneremo?
Non lasciarmi scalare
da sola
il versante scuro della montagna!
Temo settembre
e la sua luce che si ritrae.
Ieri l’altro, mi chiedesti
se ti avrei aspettato.
Sì…solo se mi ricorderai
il sapore del grano!
Amami ancora in un bacio…
in un grappolo di uva zuccherina…
da premere fra le dita…
fino a morirne.
Vino novello…
inebriante in un calice.
Ubriacami,
ancora,
e poi ancora,
tra i filari del cielo.
Sentore di mare,
fra le mani,
nelle narici,
fra i capelli.
È il tuo nome…
onnipresente…
che ondeggia.
Avevi un esercito.
E una faretra.
E infinite frecce.
Ne scoccasti solo una,
dritta nel mio cuore.
Ora la fortuna ti volta le spalle.
Le idi di marzo!
Mi hai cercata.
Non ti ho aperto.
Sei comunque entrato.
In me.
Qui gladio ferit, gladio perit!
Sono libellula,
di vetro
nel vento.
Dimenticami.
Il mio re è ricordo.
Nell’abbraccio ogni notte.
Fino ad impazzire.
Come alianti.
Cosa ti hanno fatto Albatros?
Cosa hanno fatto a me!
Un cardellino!
Entrambe in gabbia…
Tra una grata e l’altra c’è il sole!
Dimmi se sogni ancora ampi spazi…
Hai solo occhi…
Ci sono amori sospesi..
legati ad una cordicella…
come anime,
come barche,
lungo la linea dell’orizzonte.
Eternità nell’effimero,
tra il blu del cielo
e il blu del mare.
Vanno e vengono…
come le maree,
seguendo l’estro della luna.
Luna calante!
Non fu la tua mano
ma il ramo del biancospino
che posandosi sul mio cuore
lo graffio’.
Il cielo impaziente
attende il pallido opale.
Primavera in boccio.
Incede la divina
fra garofani che applaudono.
Standing ovation alla luna!
E il mandorlo?
Danza anche lui,
dietro il muretto a secco,
periferia del mio cuore.
Un mattino,
i miei occhi,
divennero foglie,
verdi,
fragili
e le iridi fiori.
In uno sguardo
la primavera intera!
Il mio incedere fu deciso
nella taiga vuota
della tua solitudine.
Ti sfiorai una mano,
tu uscivi ed io entravo.
Spunto’ un fiore vermiglio.
Lo conservo ancora tra le pagine
di un libro.
Di storia.
Non è trascorso troppo tempo.
Pochi mesi,
eppure abitiamo
in nuovi castelli.
Di sabbia.
Io ho una foglia,
forse un nuovo amore.
E tu?
Sei felice tu?
Se appoggio la mia guancia
sul tuo petto,
sento pulsare,
ancora,
il golfo di Surriento.
Hai già dimenticato
le terrazze bianche
e le lenzuola che veleggiavano
al sole?
E le fontanelle d’acqua chiara
ai crocicchi delle vie?
Quale anfora,
ora ti contiene?
Quale grotta?
Non riesco a distinguerti
fra le crepe,
del vaso tuo d’argilla.
Forse perché ho gli occhi
pieni di lacrime.
È la chiglia rovesciata
della tua barca
che sovrasta
il mio cuore
già in affanno.
Cerco ampi spazi,
nuovi anfiteatri,
per poter distendere le ali,
oltre le trincee,
di questo giorno.
Liturgia senza canne d’organo.
Ricordo una casa bianca,
sbilenca,
noi due all’interno,
come soli di rame.
Fuori,
conifere innevate,
immense,
che puntellavano il cielo.
Ci amavamo
con infinite mani,
mai sazi
dell’inverno e dell’estate.
Oh, il ciclo delle stagioni!
E quando andavo via,
con il mio cestino di frutta,
sentivo bisbigliare le conifere.
Sorridevano.
Perché mi guardavano?
La luna frugo’ nella sua gerla.
Eccola la ritrosa
che non vuole brillare!
Sussurrò qualcosa alla stella.
Cosa le avrà detto?
Una rondine
fra me
e il sole.
Icona di un’eclissi.
Anche questa notte
sei venuto a cercarmi
con il tuo carico di conchiglie e di stelle. .
e poi sei andato via,
depositando sedimenti
sulla mia anima eterna
che s’ innalza,
a mani giunte verso il cielo.
Talvolta mi sento un’anfora.
Con un vuoto cosmico dentro.
Riponetemi sul fondo del mare.
L’acqua mi riempirà.
Desidero millenni di anfratti,
di silenzi.
Poi,
chissà,
cercherò millenni di coralli.
Fra me e te un sentiero.
Attraversalo!
Sento scorrere nei rami
ruscelli d’acqua sorgiva.
Rivive questo sud
desertico e sabbioso.
Fotosintesi d’amore.
Luce!
Se chiedessi ad un pesco di fiorire,
lo farebbe?
No, di certo!
E se lo domandassi ad un cuore?
Neppure lui mi ascolterebbe!
Dunque, chiuditi nel tuo gelo,
guarderò altrove.
Laggiù, vedo un rovo.
Dovrebbe bastare!
Il secondo capitolo della mia vita,
potrei definirlo
un intarsio di geometrie,
di arabeschi,
nelle tonalità del giallo ocra,
come il deserto,
per la quiete delle onde,
per il silenzio primordiale,
per il lievito madre.
Ogni tanto una carovana.
Lontana.
Nel guado della notte
il tuo ricordo è affanno.
Non volteggio più,
come ape,
fra i tuoi respiri…
Mi sveglio di soprassalto…
vuota l’altra metà del cielo!
Solo tu!
Lilith, luna nera!
L’acqua assume la forma
del vaso che la contiene…
così, il mio cuore,
assume la forma
dell’ incavo della tua mano.
Giunco.
Messaggero fra cielo e terra.
Preghiera appena pensata,
sul far della sera.
Fu l’estate la mia stagione.
Proclamata,
urlata,
dai terrazzi,
dai cortili,
tra i capelli,
fra i profumi. Nostri.
Con la luna,
monile,
che mi dondolava
al collo,
fra i rami,
sfiorava il mio petto
come promessa d’amore.
Ti attendo come tuberosa
dalle labbra vermiglie.
Passasti sotto il mio balcone
e fischiando mi facesti un cenno.
Chi sei tu,
soldatino di stagno,
dal cuore di stagno,
che mi porgi trenta denari?
D’argento!
Eravamo fuochi,
che bruciavano tutta la notte,
che consumavano aromi,
nel sacro braciere del mio grembo.
Ora,
fumo,
d’incenso.
Ascoltami il polso,
c’è ancora battito?
C’è ancora quel fuoco?
È il languore che mi spossa.
Miele d’acacia,
in una coppa innocente,
vergine,
mai toccata da alcuno,
questo ti offro,
oh mio re!
Valica la cordigliera,
hai già gustato il mio nettare!
Sono cariatide,
che regge il tetto del tempo.
I miei occhi,
come foglie,
stillano rugiada.
Gocce che scavano la pietra.
È la forza di gravità
che mi trattiene.
Sono solo un soffione,
appena abbozzato,
nel disegno di un campo.
Poi, lo stupore di un bimbo,
m’innalzo’,
nel cielo,
nel tocco vermiglio,
che precede il tramonto.
Noi,
gherigli della medesima noce,
eravamo divisi solo da un solco.
Poi, la pressa del tempo,
ci spezzò.
Sulla mensa…
firmamento sparso.
“Come ti chiami? ”
Mi domandò il ramo del biancospino.
“Mi chiamo Aprile! ” gli risposi.
“Abito laggiù…
dove verdeggia la gentile camelia!
Vi è anche un angolo acuto,
con dietro un mandorlo! “
Sei venuto a cercarmi,
questa notte,
nonostante la pioggia.
Non rimanere,
dunque, sull’uscio,
come un equilibrista.
Entra oppure esci.
Alla luce fioca,
mi apparisti immenso,
come un abete,
e il mio cuore,
inizio’ la sua danza gitana.
Nel vortice dei respiri,
inarco la schiena.
Ho nacchere fra le dita.
Era un carrubo?
Oppure una casa?
Non lo so…
forse era solo una palafitta
intessuta di sogni.
Sotto i suoi rami banchettavamo,
nel pieno dell’estate.
Un’afa, un’ala, un bacio.
Il fiume d’erba,
scorreva fra noi e il mondo.
Laggiù,
un calabrone-battello navigava quieto.
Oh, se l’orologio…
nella foresteria del tempo,
ritrovasse il suo chiavistello!
Spunterebbe un’alba!
Veleggerebbe ancora,
questo mio cuore!
Perché piangi libellula?
Conosci forse,
anche tu,
il dolore di una foce?
Sempre al varco?
Fra due correnti?
Oppure,
udisti il silenzio di una zolla,
che non produsse germoglio?
No, libellula!
Il tuo vetro,
conobbe solo corolle!
Vivi, dunque, nella coppa d’Aprile!
La mia ala,
riconobbe i tuoi respiri…
così regolari,
così miei.
così foglie.
Oh, amore,
non terminai di parlarti
della mia infanzia,
ti sollevasti prima dell’alba,
come la stella.
Nel silenzio,
la luna appariva più bianca…
Sì, la vidi…
arrotolava il filo d’una spoletta!
C’è un senso di attesa,
quasi di smarrimento,
per il vasaio che lavora al tornio.
Per lui è una vigilia.
È una ruota.
È una grata,
dinanzi all’occhio semichiuso di Dio.
Ti desidero crisalide…
alba appena abbozzata.
Ho gradito molto,
cara April,
la tua visita di cortesia,
ieri pomeriggio.
Quante confidenze ci siamo fatte!
T’ho raccontato,
della migrazione della gru,
dal tetto del mio pagliaio,
al cerchio di fuoco dell’equatore?
Così come dell’edera che non c’è,
ora clematide velenosa?
Torna ancora, a trovarmi, mia cara!
Ma dimmi,
prima di andar via,
dove acquisti il tuo sciroppo d’acero?
Quale dispensa lo contiene?
h, neroli, neroli!
Ho dormito fra le tue braccia,
questa notte!
Eppure,
l’arancio amaro,
era,
come sempre,
al di là del cancello chiuso
di ponente!
Anche tu,
come me,
sorellina mia cara,
hai un’anima bifronte!
Ieri l’altro mi porgesti
il ramo tuo gentile,
ed oggi?
Il tuo specchio incrinato!
Dove hai celato la primula?
Dove corre l’azzurro dei tuoi campi?
Non importa, mia cara!
A me, ieri notte,
donasti neroli,
con i suoi effluvi,
le sue infiorescenze,
i suoi confini!
Trattieniti pure il mandorlo!
Io ho il ruscello!
Dormi già…
amore mio…
nell’eclissi…
nella filanda d’argento della luna!
Vedendoti…
t’ho raggiunto…
riavvolgendo il filo
della piuma.
Ho sostato con te…
nel giusto mezzo dei tuoi respiri…
volteggiando,
di quando in quando,
in silenzio.
Poi, sopraggiunse lei…
la triste…
l’aurora…
e ci trovo’ legati.
Dovetti staccarmi…
a malincuore…
come foglia rossa,
dall’afflato del tuo ramo.
Cado già,
amore mio,
dalla vetta,
alle radici eterne
della terra.
Anche la filanda
della luna,
chiude,
bianca bianca.
In principio,
l’impero del nulla.
Caos senza fiotto.
Solo una pietra che roteava.
E poi la luce.
E poi tu.
Da quale costola fui tratta,
se non dalla tua?
Il Soffio Beato,
scelse bene,
quando guardò ad oriente!
Scocco’ dall’arco primordiale,
la freccia della vita!
Oh, amore mio,
primavera dell’inizio,
inverno della fine,
stella dalle otto punte,
che guardi in ogni dove,
riempimi di rugiada!
Vedi…mi verdeggiano le dita,
cantano e ballano
sotto il cielo del primo giorno!
Pioggia che feconda la terra.
Seme che germoglia.
Quella dama di fumo,
dondolante col suo ombrellino,
non è altro che la mia barca
accartocciata
che tenta di navigare!
Chissà quante volte
avrà salpato!
Ma, il vento,
puntualmente,
con i suoi capelli in poppa,
le scompigliava le vele.
Forse era ancora attraccata
alla mandorla dei suoi pensieri!
Riconosceva la valle del mare?
O il suo varco?
Non saprei…
Talvolta procedeva per tentativi,
per soliti rituali.
Se l’onda s’ infrange contro lo scoglio,
chi salverà la pietra?
Credete, forse,
che ciò che s’acquieta,
che ciò che dorme in una bottiglia,
non possa incidere
o non possa cesellare?
Vi sbagliate!
Conosco il buio,
e conosco la guerra,
contenute nell’anfora delle Marianne!
Capite, dunque,
perché la roccia si ritrae?
Perché viene levigata come un frutto?
Oh, melagrana,
melagrana marina,
spaccata dal frastuono dell’estate!
Anche il cielo,
così come il mare,
ha immense radure
sulle quali stormire!
Laggiù,
fra una nube e l’altra,
vi è un albero,
dove germoglia un nido,
o è forse una casa?
Permesso?
Posso entrare?
Nella cesta del cardellino,
le stelle attendono impazienti
la tiepida ala del ritorno.
Eccola,
infine, la luna!
Ha la vita nel becco!
Esco in punta di piedi,
per non far rumore…
Non volgesti,
amore mio,
il tuo sguardo
verso una di quelle magnifiche
navi di vapore,
che vanno e vengono.
No!
Guardasti verso la spiaggia,
dove, la carena abbandonata
di una barca stingeva al sole.
Una lampara dondola nella notte…
pare una stella
che ansima nella bruma…
su lievi seni spumeggianti scivola…
e poi si allontana…
Due cattedrali,
di tufo calcareo,
dalle cave della città.
Unica alba
che trafiggeva cielo e terra.
Poi, all’improvviso,
la feritoia di quel braccio di mare,
come un invalicabile
suono discordante.
E dalle piccole finestre
inizio’ il flusso.
Dapprima ampi spazi,
poi euforia
ed infine senso di libertà.
Ebbero memoria dello scalpello?
Forse no!
Sappi, però, narratore,
che di quelle due cattedrali,
ad oggi,
non ne rimane che pietra su pietra.
Solo un ricordo a capo chino,
due vele ammainate
che non si incontreranno
mai più.
Mi aggrappai a te,
come ci si può aggrappare ad un’alga,
fluttuante,
in un’anima liquida.
Quando ti conobbi,
ero solo un’armatura
senza fiammella,
con una stalattite puntata in cuore.
Il verde-azzurro subito mi prese
e con esso,
ogni goccia del tuo mare.
Poi, anche tu, alga,
amore mio,
mi trafiggesti con del granito.
Oh, povero mio cuore,
divenuto un sole dai tanti raggi!
Una ruota che oramai gira a vuoto!
Potrebbero mille radure,
eguagliare una montagna?
Oppure,
il canto di mille uccellini in gabbia,
una sorgente?
No! Davvero!
Se tu avessi conosciuto,
amore mio,
la solitudine di quest’anfora,
senza collo e senza fondo,
non mi avresti parlato così duramente!
A me,
ad un’anima,
ad un estuario,
Aprile negò anche la sua brezza.
Eppure, tre giorni fa,
cantavo il tuo profilo!
Sono rimasta un giunco.
Senza sbocco.
Tu un arcangelo.
Di pietra.
Accarezza l’amato,
soprattutto mentre riposa…
dopo lo sforzo dell’amore…
quando i lineamenti del suo viso
sono soavi.
Io sono una rosa,
lui un tiglio,
nella madia traboccante di caldo pane.
Aprile…
nella filigrana delle tue brezze…
nella foglia umida dei tuoi orizzonti…
io provai un sobbalzo.
Parlo ancora di lei…
della mia rondine nera…
che migra ma poi torna.
La mia corolla è un accordo
che si distingue tra la folla,
sarà forse per questo,
rondine,
che puntualmente
torni ad intrecciare il mio nido-cuore?
La mia corona?
Sappi che la prescelta sei tu…
non ne verranno altre…
la mia torre svetta…
questa è la promessa.
Guarda l’aurora…
e capirai perché ti dissi:
“Lucerna del corpo è l’occhio”.
Avete mai riflettuto su di un seme,
nascosto nel suo epitaffio?
Velo dopo velo si scopre
e poi gioisce come filo d’erba.
Corre incontro al giorno,
fino a superarlo in velocità!
Anche io sono nascosta in un seme,
come in uno stormire,
sono il sabato dell’attesa,
come la zolla scura che mi contiene.
Descrivetemi il sole!
Da quaggiù ne ho sentito parlare.
Una radice-amica, anche lei,
lo ha sognato,
nel chiacchiericcio del frutteto.
Io non oso…
l’elegia sarà per me una sorpresa..
giorni addietro, però,
sorrisi alla mimosa di Marzo,
mentre volava con tutti i suoi zecchini,
dunque, ditemi, voi che potete,
assomiglia ad una mimosa il sole?
Ci perdemmo…
non saprei dirti come accadde…
non tutti i semi trovano il sentiero
del compimento.
Tu, rimanesti, col tuo tamburo,
nella cambusa della terra,
io, invece,
papavero viandante,
lieve, m’incamminai verso occidente.
Hai conosciuto tutto di me…
le mie assenze e le mie presenze,
le vie della seta,
così come,
il turibolo ricolmo di grani d’incenso.
Ora, la mia palma da datteri
ha frutti maturi,
stilla miele
per la gioia dei carovanieri,
dei millantatori
e dei passanti.
Raccolgono e vanno.
Mi pressano come acino d’uva.
Per te, però, amore mio,
ho serbato il favo prezioso!
Hai forse dimenticato il miele
della scorsa estate,
che come balsamo
ti stendevo sulle labbra
prima di fare l’amore?
Ti proteggevo dai miei cocci di bottiglia!
Oh amore, amore mio,
in quella piccola stanza di campagna,
nell’urlo dell’estate,
ho celato il chiavistello dell’enigma!
Non indugiare ancora.
Aprile è il preludio!
Verrà poi il vento…
quello del sud…
che soffiera’ con tutte le sue mani.
Oh, come vorrei che fosse già qui!
In questo frutto.
Vi sono giorni in cui…
il tuo ricordo
è solo un leggero pigolio.
S’ innalza appena…
dalle grate del mio cuore!
Gioia insperata è scorgere
una violetta nel sottobosco.
Sì, neppure tu puoi dimenticare.
Questa notte ne ho avuto certezza.
È solo un’istmo
che separa l’oriente dall’occidente.
Una landa o una brughiera
non possono dividere due albe.
Poiché cielo e terra
sono un’unico globo
salpero’ da ovest per raggiungerti.
È nella natura delle cose,
la ricerca e il congiungimento,
l’ala del sospiro
in tutto ciò che rifulge,
lembo estremo di mare,
in questa carta da zucchero.
È fatta di carne,
la carne delle tue labbra,
sulle quali migrare e poi tornare?
Anche le ore,
ci diranno “basta! ”
dopo che avremo sfilato le perle,
una ad una…
dal binario del tempo.
Cosa potrei trovare
più ad oriente dell’oriente?
Un porto?
Un molo?
No! Un papavero!
Con un cappello
dalle larghe falde rosse.
Chi è costui?
Forse un paggetto.
Ha un gran da fare!
Sentinelle a destra e a sinistra,
già sull’attenti.
Eccolo, infine, il sole!
Mi affaccio dal balcone
della mia bottiglia
per guardare meglio.
Buongiorno!
In un giorno o due di primavera…
laddove migliaia di semi,
tamburellano con le dita,
il soffitto della terra…
la docile foglia attende.
Il pettirosso, invece,
già frutto maturo,
s’ accomoda sul ramo.
Quanti semi dormono
nell’oceano addormentato della terra?
Quanti di essi germoglieranno
fino a raggiungere
le vette innevate dei monti?
Il Maestro Vetraio non li ha forse
soffiati a bocca uno ad uno
con eguale maestria?
Generandoli tutti?
E dunque, perché solo alcuni
vengono consacrati,
mentre altri attendono
al buio il giorno del giudizio?
Se l’intera corte celeste,
passandomi accanto, per caso,
mi attraversasse da parte a parte,
ti fermeresti ancora
presso il mio mattino?
Riconosceresti ancora il battello
dalle labbra e dagli occhi turchini?
Le finestre e le porte?
Isso reti a vapore
per diletti nuovi mesi
e dilette nuove ore…
Ventiquattro rintocchi
e Aprile è già volato via
nel misterioso glicine…
ecco…
ora, incede lei …
la rosa!
La mia dolce April
si è addormentata in una ruota…
tornerà col prossimo giro di prua…
dopo che le bacche rosse dell’inverno,
avranno salpato da ogni rovo.
Mi mancherà l’azzurro dolore
del biancospino…
cosi come quella speranza mai sopita,
di fiume che scorre al centro,
solco eterno che divide.
Ora ci sono nuove pianure
da attraversare,
si vede già un nuovo mulino,
che macina acqua a vuoto.
Maggio è il preludio di un vertice
che già racchiude i semi
di un declino.
Attraccare il proprio vascello,
ad un’alga,
in alto mare,
vi pare possibile?
Sì, se le onde
oltrepassano il cielo
fino a vagliare i segreti
della stella polare!
In tal caso,
anche una sirena di carta velina,
ha sembianze di albero maestro.
Poi, t’accorgi,
che quel mare era solo uno stagno,
dagli occhi appena azzurri,
e lo stesso vascello,
nonostante i sobbalzi,
cercava approdo sicuro
solo nel tuo cuore.
Verso dove, dunque,si dirigerà
quella ninfea?
Non saprei davvero.
Sarà una sfida di vele.
Non chiedetemi perché
il monte si adombra
dopo il rosseggiare del tramonto.
E’ una spina sottile che l’ha trafitto.
È il silenzio di un’arpa che ha suonato.
Sul far della sera…
ogni anfratto stringe un nido,
quante radure si aprono!
Quanti cieli per un’ala sottile!
E quel rovo, perché continua
a chiamarmi?
Incede con strane melodie.
Non si è accorto che il giorno
è già nascosto dietro lo steccato?
Le ore si susseguono
l’una dopo l’altra
formando il giorno di ieri.
Chi mai, potrebbe indossare,
un simile trionfo
che sorge da ponente?
Dove condurra’ questa radura
che non c’è?
E il sole?
Lo avete visto mentre oliava
la sua lampada?
Oggi ha deciso
di mostrarsi a tutta la sua corte
dalla colonna del cielo…
Invano! Se c’è ormai un cuore in avaria!
Invano! Per un’anima addormentata!
Qual’è il peso specifico
di un cuore di un uccellino?
Poco più di una speranza…
eppure riesce a contenere
immensi cieli
ed immense radure!
Perché, dunque,
l’infiorescenza di un mattino
non attecchisce nella mia anima?
Ho idea di un roseto…
fra le cui braccia
il diadema delle ore si è impigliato!
Se un giorno non avrò più nulla da dire
o da raccontare,
al mio posto parlerà la rosa di Maggio.
Ne è rimasta qualcuna, ancora in vita,
fra i tratturi
eterni della terra.
Se un giorno, non percorrero’ più
queste valli profonde
o questi cieli rossi o azzurri,
m’inerpichero’ come edera
lungo i quattro pilastri della vita
e confondero’ i vostri semi numerati
uno ad uno nella bisaccia
di juta del viandante.
Quante volte il mio cuore
è stato soppesato
dal bilancino dell’orefice!
Solo polvere di miniera!
Senza alcun valore o idea!
Tutto ciò l’ho confidato
ai rami degli alberi,
e loro si sono chinati verso me
regalandomi ambra e smeraldi.
Ora rido di quel bilancino d’orefice!
Ogni chiavistello
aprirà ciascun anfratto…
Ogni feritoia purpurea
genererà un fiore…
L’ape non temera’ più
e neppure la farfalla…
ed anche a me,
più che piccola creatura…
spetterà il mio centesimo di terra.
Mi piacerebbe guardare dall’alto
questa terra fatta di carne
e cercare uno ad uno
tutti i semi che non germogliarono.
Ritroverei anche il mio…
solo per rendergli giustizia
e spiegargli che il giorno
non è altro che un drappo
che il Tessitore
distende al mattino
e ripiega la sera.
Oh, Maggio soave…
Mi chiedo
se esiste un’età giusta
per la tenerezza…
Conoscete il seme
appena abbozzato
nel grembo della terra?
Oppure il vento grecale
che soffia nel cuore degli innamorati?
O ancora i cerchi concentrici
che si susseguono come albe
da millenni?
In nessuno di essi vi è tenerezza!
La tenerezza è lieve,
la tenerezza è soave,
si posa come farfalla
sulla fronte del gelsomino…
lo bacia in viso,
e poi in un battito di cuore
vola via…
Cieli immensi nel fluire dei prati…
che strano senso di smarrimento
quando ormai si è liberi
al di la’
delle feritoie
di un rosso ricordo.
Volare via…
chi potrebbe impedirmelo?
Ma dove andare
se i cirri del cielo hanno ali annodate? seguire l’orma
di quel torrente meraviglioso…
ma io piccola creatura
ho conosciuto solo il tepore
del suo miglio…
solo il tepore della sua erba secca…
Mio malgrado decido di restare…
ma perche’ gli amici alberi,
scuotono le loro chiome?
Tra due pioli
la cordicella tesa dell’orizzonte…
il mattino impavido
come un pettirosso
prova il suo primo volo.
Ecco il Giardiniere…
predispone l’aiuola…
la rosa gli sorride dolcemente
e gli fa un devoto inchino.
Ogni spiga di grano maturo
teme il canto del mietitore…
ogni uccellino ha il sentore della neve.
Oh, se non avessi mai conosciuto
le tue vette!
La tua coppa d’alabastro!
Non avrei percorso
senza freni la discesa
dell’altro versante!
Le mie labbra ancora rosse
e calde d’amore
hanno sempre temuto
le feritoie dell’alba…
mi stringevo più forte a te…
invano!
L’ impietosa ruota
aveva già decretato
Quando il cielo
reclina dolcemente il capo
verso occidente
tinteggiandolo di rosa,
ogni granaio si riempie.
La nostra soffitta era
colma fuori ogni misura…
le nostre mani
setacci per finissima granella.
Dov’erano i millenni?
Non saprei..
forse intenti a rotolare chissà dove…
io sentivo di essere lì al sicuro…
fra le sue braccia…
nella casa del pane..
Quando i secoli e i millenni
saranno rintocchi di bronzo
sulla vetta della montagna del tempo
chi ricorderà le mie parole?
Anche della voce del biancospino
non vi sarà più traccia.
Che strana sensazione
riflettere sul coperchio
di una scatola di latta che si chiude.
Con le nostre fotografie all’interno!
Quanto tempo è stato sprecato!
E il trifoglio là fuori era già un diadema!
E il drappo del cielo si sollevava
ogni mattina… quale meraviglia!
I quattro punti cardinali,
come giocolieri,
si alternavano senza fine
non badando alle nostre scaramucce.
Oh Dio, donami un altro secondo…
solo il tempo per un bacio
o una carezza.
Quando l’anfora del cielo,
all’alba,
riversa il suo diaspro primordiale,
fortificando il giorno
come un fiore sul suo stelo…
le ali lentamente si distendono
e il cocchio incede sempre più ardito
verso l’asse centrale
ovvero il meridiano di fuoco.
L’oriente e l’occidente,
come due alberi secolari,
mostrano eguale forza,
come due colonne,
o due stalattiti.
Poi, da ovest,
la fanfara lucida i suoi ottoni
e così divampa il tramonto
fra i rovi del cielo e della terra
fino a quando l’ultimo fante
non suona la ritirata
ed ogni creatura si adombra.
Gli uccellini reclinano
il capo sotto la tenera ala
avvertendo già il sibilo della notte
che come dardo
è pronto per colpire
il cuore di ogni nuvola,
il cuore di ogni innamorato.
Tutto ciò che ha radici
e poi s’ innalza come un’alba,
presenta un doppio versante
ovvero quello chiaro e luminoso
della Creazione
e quello nascosto e solitario
della regione autunnale
dove tutti,
prima o poi,
ci avviamo
quando riconosciamo
il bianco cipresso…
sentinella dell’ultimo cancello.
Anche un gabbiano
nella più luminosa
giornata estiva
apre le sue ali alla ricerca di altri moli.
Così i fiori
belli all’alba
sui loro steli azzurri,
al tramonto,
sognano campi più vasti,
nuovi moli
per incantare millenni.
Avete già incontrato il mio fiore?
All’alba discorreva
amabilmente con un gelsomino.
Poi si chiuse.
Un tuo bacio…
lieve come la luna,
isso’ vele
sul mio guscio di noce.
Da diversi giorni
non riconoscevo
il molo del ritorno
né più m’interessava
il sentiero del mare..
Io al sicuro…
già riposavo in un tiepido nido.
Poi la tua ala…
insperata…
fece oscillare il mio tramonto
e i miei occhi rividero
l’immensa corolla del cielo
ancora in equilibrio
sullo stelo del giorno.
Potreste numerare i cerchi concentrici
di un’anima come fosse il tronco
di una quercia millenaria?
Aprite il mio scrigno e contate!
Quanti solchi d’aratro mai colmati!
Quanti semi a cui non fu mai
rivelata la via!
Si smarrirono nel labirinto di ghiaia
prima ancora che la città
venisse edificata…
prima ancora che il bosco fosse.
Ora non trepido più..
c’è un inverno ovattato…
una bianca coltre di neve
che tutto copre.
Il cielo,
ellisse perfetto,
insegue il sogno di un airone.
La terra,
talvolta nitida,
talvolta scura,
ascolta i palpiti
di milioni di fiori.
Dite che si sarà accorta
di quel filo d’erba
che per caso spunto’ ?
Il nostro amore poteva sbocciare
da ogni versante…
spingendosi oltre ogni grata…
gemma d’acqua,
azzurrina su ciascun ramo.
Giugno è già arrivato,
maestoso come una torre
e il suo fiore
già degrada
lentamente verso il mare.
Odo, lungo il crinale del tempo,
lo sciabordio
della mia anima
contro l’asse eterno della sera.
Fiammella tremula
sopra il lucerniere
quel tuo “ti amo”
improvviso…
insperato.
Dai miei occhi limpidi
una stella sfuggì…
già scia di cometa
sulla mia guancia.
Quella lieve speranza
raggiunse
le feritoie del cuore
e di lì un uccellino intono’ il suo canto.
Oh amore,
tesoro mio,
disponi già della mia anima.
Un bacio è una speranza alata…
si posa dapprima sulle labbra,
come farfalla sull’anelito di un fiore
e poi come un tramonto
si ferma sul cuore
per socchiudere le ali.
Oh, povero cuore!
Non s’ accorse
che la finestra di giugno
era stata lasciata aperta!
Al mattino la mia anima
non c’era più…
era volata via…
Anche questa notte
la luna ha lavorato all’arcolaio…
dalla matassa informe del cielo
ha dipanato fili d’oro e d’argento
per nuovi fiori
che pone nella sua gerla.
Poi, in equilibrio, sul mattino,
li consegna al Giardiniere,
affinché possano riceverne il Soffio
e poter vivere sui rami.
E i fiori di ieri?
Oh, essi si sono gia avviati lieti
verso la collina.
Non torneranno più.
Disegnami un’alba…
potrebbe bastare!
Acquistai proprio ier l’altro
dal merciaiolo dei miei sospiri…
pochi centesimi di porporina…
Ecco te li rendo.
“E se non fossero sufficienti? ”
“Non preoccuparti…chiamerei
l’ape di giugno!”.
È stato sufficiente per me.
Una farfalla ha solo vaghi
ricordi di quando era crisalide.
Saprebbe forse distinguere la linea
del tempo?
No, di certo!
Le è bastato riconoscere
il suo fiore e lì si è posata.
Rotolate pure secoli
alla mia destra e alla mia sinistra!
Io resto qui…
in bilico… a volteggiare…
sull’arco dei suoi respiri.
Preghiera semplice
Signore,
solo Tu conosci
il sentiero che dovrò
percorrere o attraversare.
Avrei solo una richiesta:
non darmi cieli troppo vasti
né una terra troppo vasta,
poiché ho sempre migrato piano.
Vedi… in quest’ora di giugno…
anche i campi di grano
sono stati già tutti mietuti…
e dove sono ora quelle spighe?
“Formano un unico pane”.
Guardo là fuori…
sento le ore rotolare come ruscelli, ombre alle mie spalle,
mentre l’alba
di porpora e d’azzurro,
già s’ innalza su un nuovo stelo.
Date ad un cuore un grande dolore
ed esso si dilatera’.
È strano lo spirare di tali venti
in quest’anfora d’estate
quando i cieli dovrebbero
essere più tersi.
Ho conosciuto inverni
con corolle e senza neve
con rami teneri d’Aprile…
Ed ora?
Non respiro più questo solstizio
troppo ardito
per la mia anima di giunco.
Sentii una voce che mi sussurrava:
“Non temere, c’è un Amore più grande”!
Perciò attendo questo spiraglio di cielo dal quale affacciarmi
come fosse una finestra
od una farfalla.
Le ore ci venivano incontro…
esibendosi con nastri
e cerchi di fuoco.
Volteggiavano leggere
fra i nostri respiri…
mentre io…
tenue come un fiore,
ti accoglievo.
Lapislazzuli…
cielo immoto così silente.
Ti interrogo ma non fornisci responsi…
corri vago con le tue nubi.
Nella conchiglia del cuore…
cembali d’estate
riecheggiano l’eco delle mie parole.
Gerani al balcone.
Ho imparato a riconoscere
da lontano il sibilo del dolore.
Intravedo già
oltre le feritoie del tempo
un disco marmoreo…
levigato…
plenilunio destinato al declino.
Sollevo il ponte levatoio…
i merletti del mio castello
sono oscurati,
oscillano come fiori.
Ed ora che la finestra d’Aprile
è chiusa
che ne sarà di te cecchino?
E della tua anima?
Volteggio nella tua anima…
rivoli di cielo
ci legano…
annientandoci come
sacra essenza dei sogni.
Pura acqua di mare
ci attraversa.
Tu ci sei.
Ed ogni volta
sopraggiungeva l’alba…
bianca vela entro ogni fessura…
e noi…
ancora stretti,
mano nella mano,
come tiepide pagode,
ci inoltravamo nel giorno liquido
senza una bussola.
Vorrei che la mia anima…
libera da ogni legame o carena…
divenisse goccia dell’immenso cielo…
porterei con me solo un fiore,
a ricordo della scura terra
che non mi accolse.
Anche il tenue gelsomino di Luglio
s’ innalzerebbe oltre la grata.
Pieno fulgore di ali
fra bianche corolle.
Sera…quanto dolce a me giungi…
ogni rumore in te s’ acquieta. ..
ovattata coltre di docile neve…
l’occhio sacro della cattedrale
s’ adombra
come canestro per miriadi di ali..
io ho per tetto il cielo…
incessante richiamo…
busso al sacro portale…
con l’unico remo…
sopravvissuto al naufragio…
ditemi soltanto…
oh anime sacre…
se mi accogliereste
laddove i venti
sono solo melodia d’ape.
È strano considerare
come un grande dolore
anziché annientarci,
ponga un’assoluta pace
nel nostro cuore.
Oramai non attendo
più nulla, più nessuno.
Il cuore, resta lì, immobile…
abbagliato…dalla traiettoria del dardo..
impossibilitato ad andare avanti
o indietro…
poi tutto,
all’improvviso s’ innalza…
come soffione nel vento…
ed ogni sospiro
trova da se’ il giusto sentiero
ovvero la sacra dimora
nella raggiera della luna.
Com’è strano questo Luglio…
senza frinii di cicale…
senza odore di miele selvatico. ..
senza viottoli e sentieri,
senza la medesima luna….
senza le tue mani.
Sei stato attratto come ape
dalle luci e dai saltimbanchi
del vicino paese.
Il mio cuore era solo un flauto d’acqua!
Proponeva solite melodie…
delicato papavero di carta velina.
Poco fa…
ad occhi chiusi
avrei saputo riprodurre
un giglio dalle ali purpuree…
adesso…
ad occhi aperti
e col cuore trafitto
la tua fotografia
è solo foglia d’autunno
priva di confini.
Pensavo che il tuo ricordo
fosse un’azzurra ala di farfalla…
mi sbagliavo…
aveva maggiore consistenza…
infatti, roteava
come un sassolino già levigato
lungo le pareti trasparenti
della mia anima..
poi, all’improvviso, non udii più nulla.
Dove sei sassolino?
M’affacciai…eri laggiù…nascosto tra i petali…
ho smosso la boccia di vetro
della mia anima
per vederti volteggiare ancora
insieme alla giostra dei miei ricordi.
L’importante è aver vissuto.
Aver incrinato un tassello
del suo mosaico.
Ciò che resta è cielo e vento.
Talvolta, la biga dei ricordi
va e viene…
si sofferma, poi riparte.
Sorseggiai dal tuo calice
l’essenza della tua anima,
quando ancora era pura…
priva d’ogni malizia.
Anche le nostre mani,
ricordi?
Erano mani di bambini…
fragili come vetro…
E le labbra?
Fiori dalle corolle perfette…
estasi…
la carne dei coralli.
Un’anima…cos’è un’anima?
Talvolta me l’immagino
come una bianca corolla
o come un’ombrellino.
Ha sembianze di un’ala?
O di una vela?
Mi cammina accanto, la sento…
mi precede…poi s’ innalza…
Avverte tutto il dolore del mondo…
ma è foglia tremula,
cosa potrebbe fare?
allora si nasconde…
cerca la barca rossa del tramonto…
E’ sabbia al vento…
si disperde in un luogo
che ancora ignoro.
Il paniere dell’estate era colmo
e il giorno già maturo
s’ innalzava sul suo gracile
stelo di grano.
Un giorno come tanti…
uno dei troppi millenni che roteava…
e poi…all’improvviso tu…
colibrì dall’azzurra livrea…
le nostre prue, ormai separate
puntavano ciascuna
verso nuovi orizzonti.
Ti accorgesti forse
del mio remoto cielo?
O della mia fontana sigillata?
Morivo spesso,
e tu lo sai,
oltre gli stipiti
della tua porta socchiusa.
Una vela…
forse due…
gusci di noce
smarriti in un’oriente
che vive ormai
di canti non più miei.
Un’alba appena abbozzata
s’innalza
oltre il consueto
cancello del tempo.
ensate che un’anfora già incrinata
possa temere di cadere in pezzi?
Io vi dico di no!
È la luce che penetra attraverso le fessure
che ferisce il vino!
Quando ormai i cocci sono sparsi
e il vino già un liquido tramonto…
ci si siede sereni a guardare il mare…
il filo di ferro che cingeva
quell’argilla per tenerla salda
avrà mollato la sua presa.
Tutto sarà passato come
in un volo.
A mia madre
C’è uno sprazzo di cielo
nella vita di ciascuno
in cui si desidera
tornare alle origini
ovvero al germoglio.
Ripenso a mia madre…
alle candide lenzuola di lino,
alla luce ancora innocente,
ai miei remi non ancora spezzati.
Sentirmi ape
fra le antere e i pistilli
che un tempo mi nutrirono.
Nell’ineffabile grandezza del giorno,
corolla perfetta è il crepuscolo.
Lieve, poi…
s’adagia la sera…
nebbiolina fra le calli dei miei pensieri…
reclino il capo sotto l’ala,
un tiepido fienile m’attende…
Vidi un platano chinarsi
come un tramonto.
Le sue fronde sfioravano
lande inesplorate di silenzio.
Non fu la tua mancanza
ad opprimermi…
ogni occhio, prima o poi,
si fortifica nelle tenebre più fitte.
Ciò che mi mancò
furono le piccole, fragili consuetudini
ovvero luoghi chiamati respiri.
Mi sentii come un’ape
a cui il Creatore toglie
all’improvviso
il senso dell’orientamento.
Volteggiai, volteggiai
a mezz’aria, sull’arco del cielo…
non riconoscendo più
l’abituale giardino,
l’abituale steccato,
il profumo di gelsomino.
Fu allora che mi domandai
se avrei rivisto il mio alveare.
Quante volte mi sono sentita
una bacchetta di vetro trasparente
sottoposta ad una continua
ed energica fonte di calore…
Come foglia in autunno,
dapprima iniziai
ad incurvarmi,
poi finii per piegarmi del tutto
fino a toccare l’altra mia estremità
ovvero l’opposto oceano.
Fu un cerchio perfetto
quel mio dolore,
astro di solitudine
la mia inconsapevole voce
anche Dio se ne stupì
nel collocarmi poi fra le stelle.
Ciò che io chiamavo “speranza”
abbandonò definitivamente
la mia anima.
Non furono necessarie
parole di commiato…
lei semplicemente andò via
in un fruscio di vesti…
imboccando l’arco principale
della città
oltrepassando poi le mura.
Prima che la palpebra si richiudesse,
lei si voltò,
per salutare ancora la mia corolla.
La mia mano era liquida
dietro la sua scia di stelle…
un oceano di perdita
il mio cuore.
April ancora una volta
mi abbandonava,
la mia ruota era un vento.
Leggero.
Sì e ancora Sì.
Fra te e me
solo il solco del cielo…
anfora per colmare
le nostre esistenze
inquiete e confuse.
Amami.
Il mio viso e le mie ali
rifulgono di luce.
Inaspettato sei come un fiore di marzo.
Vasto quanto il cielo
è il Sacramento
che io stringo in petto.
Timido e ritroso,
s’ affaccia dal cornicione del tempo
per poi addormentarsi
come un bimbo
dalle guance di mela.
Ci sono giorni,
tuttavia,
in cui irrompe
con la maestà di una torre.
Allora soffia il vento
che tutto piega.
Come possa,
io,
esile creatura,
cullare un così grande mistero
non saprei dirvi.
Forse provai
a guardarlo negli occhi
e l’azzurro crebbe in me.
Veleggiano ancora incorporei fiori.
Settembre, tuttavia, è già qui
con la sua palpebra socchiusa…
con il suo uscio in penombra.
Ben presto gli alberi si mostreranno
in tutta la loro nuda carne…
braccia senza cerchi…
silenziosi in attesa.
Tornerà l’ape zuccherina?
Non saprei…
tale sapienza è privilegio
solo dei bimbi.
Mi dissero: “Osserva il cielo! “.
Ma io non li ascoltai.
Un molo o un firmamento
non mi condurrebbero da lui.
Così cercai il vento
e fra i suoi rami
riascoltai il mormorio
delle sue mani.
La carena della mia anima
incomincio’ ad innalzarsi
e senza alcuna fatica
giunse a destinazione.
I suoi respiri erano l’Oriente.
Talvolta bussa.
Lo faccio accomodare.
C’è ancora spazio
fra la luna e il sole…
intervallo vasto
quanto una marea.
“Gradisci una tazza di te’?”
“Sì, grazie! “.
Ci sediamo….
Dalla finestra lievi riverberi di luce.
Siamo due vascelli
che prendono il largo
non più intimoriti dai ricordi…
Ci raccontiamo i nostri silenzi.
Poi i nostri sguardi s’ incrociarono.
Talvolta sentivo
la mia anima danzare
come una casetta
dai rossi mattoni
ultimo avamposto
prima dell’aurora.
Inaccessibile il cielo.
Poche spanne d’anima
non furono sufficienti
per sfiorare l’albero della vita.
Invano tentai di innalzarmi
sulla punta dei piedi…
invano allungai le braccia…
il frutto era lì…
alla distanza di un mattino
legato al ramo dorato
di Settembre.
“Ascolta…” mi disse.
Gli sorrisi…
“di che si tratta? ”
“The sheltering sky. ..”
Chiusi gli occhi…
una musica celestiale
mi avvolse. ..
A quel punto
il fiume andò via…
mentre io
seduta lì
in prima fila
mi stupivo
per aver vissuto
così tante vite.
“Piangi pure, ora, se lo vuoi…”
mi urlò forse l’anima.
In un momento indefinito
della tua esistenza
pensasti: “l’ho perduta!”
Si saluta
un tramonto
quando ci si imbatte
nel veliero della notte.
Mi fermai a guardare il mare.
Quanto era vasto!
Neppure il Creatore,
ne sono certa,
ne conosceva
esattamente i confini.
Avessi conosciuto il cielo!
Mi sarei lasciata
rotolare giù…
dalla sua vetta…
lungo le pendici del giorno…
fino a raggiungere
le fondamenta
dell’eternità
ovvero l’oriente
e il suo fiore rosso
dove nasce
il sole
astro dopo astro.
Tutto ciò che non può essere detto
né raccontato
è racchiuso in uno scrigno.
Talvolta…
sfioro la porta della notte
per sbirciare il cielo
come potrebbe fare
una domestica curiosa
nei confronti della sua signora
ovvero l’aurora
mentre s’ innalza
bianca sul suo stelo.
Ogni apice conosce
l’anfora del declino
nel soffione del divenire.
Così come il mezzogiorno piega
le sue spighe d’oro
nella conca dell’occidente
così anche la mezzanotte
predispone lo stoppino
per la lucerna del nuovo giorno.
Dove sono adesso
quelle spighe e il lago della notte?
C’erano. Ora non ci sono più.
Non lasciarmi sola
quando la notte
mostrerà il suo unico
occhio-oceano.
Sono un piccolo veliero
che si domanda
se mai vedrà le Americhe.
Circumnavighero’ il tuo cuore?
O mi limiterò
a volteggiare
sui miei pattini d’argento
lungo l’anello gelido
della luna?
Tutto confluisce verso te:
lo spazio…
il tempo…
la mia anima-estuario.
Ho voglia di ridere
sul sagrato di un mattino
come un fiore
appena intessuto
dalla suprema estate.
Se un giorno…
passeggiando fra navigli
e case in attesa
tu t’accorgessi di me
e della mia fiaccola!
Sappi che il mio cuore
non ha mai conosciuto
altra stagione
che non sia stata la tua.
Oh, primavera del principio…
oh, mio respiro…
voltati a guardarmi
poiché le nostre labbra
hanno sfiorato l’Eterno.
Dopo il solstizio d’estate
udimmo i rintocchi
di bronzo del firmamento…
remo che flette lieve il cielo.
Poi volteggio’ l’autunno.
Il segnavento in metallo
situato nel frutteto
oramai gira a vuoto.
Giostra di ricordi
per uccellini spaiati.
Quando la prima neve
si stacca dai rami del cielo
e volteggiando si posa
sulle radici della terra
possiamo ben affermare
che è giunta la stagione
dei tetti e delle case.
Se con le mie ali di farfalla
raggiungessi il campanile
della tua anima
potrei dire di non essere
vissuta invano.
Amore mio…
guarda…
guarda…
come continua
a ruotare la terra laggiù…
mentre noi
come arabeschi
dalla felicità inenarrabile
sfioriamo le guglie
del cielo!
Quando con le dita del pensiero
sfiorerai
la mia guancia
come lacrima d’autunno
ricorderai le corse
e l’azzurro
dei miei occhi
mentre t’attendevo
come faro
alla finestra.
Poi, quasi un dolore
erano le tue labbra.
Il deserto stringe in sé
una melodia
canto di un cardellino
trafitto in volo.
Ora il mio nome
è Rosa di sabbia
vento che spira
fra le mie dune.
La nostra casa
come un piccolo
guscio di noce…
lampada accesa
nella scura
melagrana d’autunno.
Semplicemente c’incamminammo.
Stringevi ancora
nella mano
il cappello a larghe falde della notte.
Poi nella corolla
del gelsomino
intravvedemmo
la casa.
Ne apristi la porta
e mi baciasti sull’uscio.
“Ubi tu Caius, ego Caia “.
Ogni parola appena pronunciata
è come un vascello
che s’ allontana
dal porto amico
per intraprendere
la via dell’oceano.
Non può conoscere
in anticipo
quali venti incontrerà
né l’onda che la farà sobbalzare.
Perdonami amore mio,
se le mie parole
come vele d’autunno
hanno sfiorato
la tua alba
senza neppure riconoscerla.
Lungo l’arco del tempo
addomesticai
una tua parola
per condurla
sempre con me
come soffio
d’Eterno.
Al primo squillo di tromba
l’altro angelo accende
la lampada del sole
ponendola lieve nel cielo.
Nel frutteto,
s’ illuminano
gli occhi stupiti
del melo bambino.
Potrebbe essere celata
la luce del sole?
No, di certo!
E perché dunque
il nostro amore
che grida dalle radici
della terra
fino alle vette eterne
del cielo
viene nascosto
come una lucerna
sotto un moggio?
Melodia senza fine
è la danza dell’ape
tra i filari d’uva zuccherina!
Vi è altra gioia
oltre questa
nella corte d’Ottobre?
Sì! Le mie gote rosse…
rosse d’amore…
foglie d’acero
sul ramo
d’autunno.
Mi dicono
che l’universo
non ha confini.
E perché io
puntualmente
mi ferisco
dita e polpastrelli
sfiorando
il vetro smussato
del suo collo
di bottiglia?
Quando il Signore
aprì la dispensa
azzurra del cielo
scelse per noi
le stelle più belle.
Quale meravigliosa
congiunzione astrale!
Al buio, poi,
poco prima dell’alba,
vedo brillare,
queste due stelline,
impigliate
ad un comignolo
senza cappello
ancora tiepide…
tiepide d’amore!
Ieri sera,
all’imbrunire,
quando mi prendesti per mano
e volammo via
potei finalmente
descriverti dall’alto
ogni piazza e ogni tetto
che amabilmente
ci salutavano.
Velo dopo velo
il fiore si riveste
della sua camiciola
inchinandosi
al rosso autunno
come l’oriente
alla curvatura del cielo.