STEFANO TIRINZONI.Una vita per la montagna e per l’ambiente.

 

tirinzoni                                                                                                                                                                               Guido Combi

 

Questo è il titolo del volume che ho curato e in parte scritto e che la Fondazione Luigi Bombardieri di Sondrio ha presentato  all’ auditorium Torelli il 3 ottobre 2014.

La Fondazione ha voluto così ricordare il suo presidente prematuramente scomparso nel 2011.

Stefano Tirinzoni, nato a Sondrio nel 1949 e ivi deceduto nel 2011, aveva 62 anni e discendeva da una famiglia talamonese, di cui esistono ancora numerosi parenti.

Il nonno Eugenio fu direttore della Banca Piccolo Credito Valtellinese dal 1925 al 1963  e il prozio, fratello del nonno, Mons. Giovanni, fu arciprete di Sondrio dal 1929 al 1961.

Stefano, appena laureato in Architettura al Politecnico di Milano, nel 1972,  si trovò sulle spalle il peso dello studio tecnico del papà Enrico, ingegnere, anche lui prematuramente mancato.

Lo studio proseguì la sua attività,  per merito di Stefano, con la presenza importante del geometra Bruno De Dosso, che divenne suo stretto collaboratore come lo era stato del padre, e anche suo grande amico.

Da allora la sua vita è trascorsa tra lo svolgimento dell’attività professionale di architetto e l’impegno in varie associazioni con un ritmo intenso. Ovunque si è distinto per intelligenza, capacità organizzativa e per le proposte innovative che ha portato e condotto a termine. Per avere un quadro completo della sua vita abbiamo richiesto le testimonianze dei familiari, della moglie e della figlia, e di amici e collaboratori che lo hanno accompagnato e che con lui hanno lavorato nelle sue molteplici e varie esperienze a livello locale, nazionale e internazionale.

Perchè il lettore possa avere un quadro più preciso della sua personalità, che potrà essere più completo con la lettura del volume a lui dedicato, che si può richiedere gratuitamente alla Fondazione Bombardieri, qui mi limiterò ad alcuni accenni ai campi nei quali è stato presente con la sua intelligenza, la sua capacità propositiva, nei quali ha lasciato una impronta indelebile della sua personalità eclettica e poliedrica.

La mia può essere considerata una testimonianza diretta in quanto, per circa trent’anni, ho lavorato a stretto contatto con lui, prima nel Club Alpino Italiano, Sezione Valtellinese di Sondrio, e poi nella Fondazione Luigi Bombardieri.

Scorrendo l’indice del volume si individuano subito le associazioni  cui ha dedicato la sua passione e i temi importanti che ha affrontato e  sviluppato con intensa opera di divulgazione.

Una caratteristica che voglio subito mettere in evidenza, e che traspare dal titolo della pubblicazione, è il suo grande amore per la montagna, la sua e la nostra montagna valtellinese, per il suo ambiente, la sua gente, e in particolare per il paesaggio  alla cui protezione ha dedicato tante fatiche e che, in qualità di presidente della Fondazione Luigi Bombardieri, ha cercato di far conoscere con convegni e corsi di formazione rivolti in particolare agli insegnanti e agli studenti. Era convinto infatti che la conoscenza del paesaggio e l’amore per il nostro ambiente montano dovesse partire necessariamente dalla scuola, dovendo il messaggio essere rivolto alle generazione future che ora si stanno formando. Questo deriva dalla concezione  che l’ambiente è un bene affidato a noi  temporaneamente con l’obbligo di trasmetterlo, nel miglior stato possibile, a chi dopo di noi lo riceverà in custodia, così come hanno fatto i nostri padri con noi.

Stefano, alla fine della sua vita, ha espresso il suo grande amore per la montagna  affidando, con le sue ultime volontà, gli alpi Madrera, Baita Eterna e Pedroria,  di sua proprietà, al FAI (Fondo per l’Ambiente Italiano) di cui era stato fondatore in Valtellina.

La sua personalità eclettica lo ha portato a esprimere i suoi talenti anche in ambienti diversi da quello professionale come: la Fondazione Luigi Bombardieri, il Club Alpino Italiano, il FAI, il Lions Club, il Parco Regionale delle Orobie Valtellinesi, il Parco Nazionale dello Stelvio.

Il volume, introdotto da due epigrafi, dopo le prefazioni, inizia, si può dire, in termini poetici, con il ricordo in versi di cari amici  ed entra nel vivo con quelli della figlia Susanna e della moglie Tiziana Bonomi, che tratteggiano la sua personalità da un punto affettivo unico e ci fanno conoscere aspetti che Stefano, molto riservato per natura, non svelava facilmente.

E’ poi la volta della sua attività nella Fondazione Bombardieri di cui era presidente, presentata dal suo successore l’avv. Angelo Schena, che era anche cugino e grande amico, avendo condiviso con lui molti interessi: dalla montagna al volo, ai viaggi e che è stato suo successore in varie cariche nelle associazioni che Stefano ha presieduto.

C’è quindi il mio ricordo. Con lui, l’ultimo lavoro portato a termine, intensamente condiviso da tutti e due, è stato il volume “Alpi Orobie Valtellinesi, montagne da conoscere” che abbiamo concluso poco prima della sua dipartita e che ho presentato al pubblico pochi giorni dopo. Poco tempo prima che il male si aggravasse, era riuscito a  scrivere la prefazione del libro, che rappresenta il suo ultimo messaggio in tema di ambiente montano e di paesaggio.

E’ stato consigliere della Fondazione dal 1993, e presidente dal 1998. In qualità di presidente, ha saputo reinterpretare in modo originale e innovativo le finalità codificate dallo statuto del 1957, voluto dal fondatore Luigi Bombardieri, attuando una serie di incontri, convegni, corsi di formazione per le scuole e pubblicazioni sui temi della montagna e del suo ambiente.

Nel CAI Valtellinese è stato presidente dal 1984 al 1991 e anche qui ha operato in modo innovativo, continuando l’azione di rinnovamento iniziata dal suo grande amico Bruno De Dosso che l’aveva preceduto nella carica. E’ stato in questo periodo che è iniziata la nostra collaborazione, essendo stato io eletto vice presidente, e che è poi continuata fino  alla sua morte, per quasi trent’anni. Quando nel 1991, ha lasciato la presidenza per assumere incarichi a livello nazionale, mi ha indicato come suo successore. E così è avvenuto.

Nell’ ambito del Club Alpino Italiano, ha poi ricoperto incarichi importanti a livello nazionale come quello di Vice Segretario Generale e di membro del Comitato Direttivo Centrale.

E’ poi passato a rappresentare il CAI nazionale nell’UIAA (Unione Internazionale delle Associazioni Alpinistiche), prima nella Commissione Accesso e Conservazione e poi nel

Comitato Direttivo, portando contributi di pensiero e operativi importanti e molto apprezzati, come è testimoniato dai ricordi dei colleghi di varie nazioni che hanno lavorato con lui.

Del FAI (Fondo per l’Ambiente Italiano) è stato fondatore a Sondrio nel 1985 e capo della delegazione fino al 2002. In particolare, ha curato il restauro architettonico del Castello Grumello nel comune di Montagna.

Anche nel Lions Club Host Sondrio è stato presidente nel  2005-2006 e ha portato importanti contributi di pensiero.

Il volume tratta poi della sua attività professionale che lo ha visto impegnato in opere di recupero e di restauro di importanti edifici civili e religiosi a Sondrio e a Milano.

Nel campo della pianificazione territoriale ha steso il Piano Territoriale del Parco delle Orobie, nonchè i Piani Regolatori Generali di vari comuni valtellinesi, compreso quello di Talamona.

A Sondrio, tra le varie opere che sono accuratamente elencate nel volume, ha progettato e curato l’attuale sistemazione della Piazza Garibaldi, della Piazza Cavour, della Piazza Campello di Piazzetta Don Viganò; il restauro architettonico di Palazzo Sertoli, della Chiesa Parrocchiale dei Santi Gervasio e Protasio, della Cappella dell’Annunziata, in via Bassi.

Nel campo dei rifugi alpini, ricordo la capanna dedicata a Bruno De Dosso al Painale, il rifugio Donati al Reguzzo e soprattutto la ricostruzione della Capanna Marco e Rosa De Marchi – Agostino Rocca alla Forcola di Cresta Güzza a 3600 metri, appena sotto il Pizzo Bernina, l’unico 4000 delle Alpi Centrali, inaugurata nel 2003. Di quest’opera, vale la pena di leggere la relazione di Stefano e di compararla con quella della prima costruzione nel 1913, di Alfredo Corti. Tutt’e due sono riportate nella pubblicazione.

Dopo due ricordi particolari, ho poi riportato, sotto il titolo “Il pensiero”, una serie di scritti di Stefano e di discorsi pronunciati in particolare in occasione dell’inaugurazione di rifugi alpini, che mettono in luce, per quanto parzialmente, le sue concezioni relative all’ambiente montano e al paesaggio valtellinese in particolare.

Per avere un quadro generale più completo della sua personalità e delle sue opere nei vari campi, è necessaria, però, la lettura della pubblicazione che è distribuita gratuitamente dalla Fondazione L. Bombardieri di Sondrio, alla quale può essere richiesta direttamente o anche tramite la Biblioteca Comunale di Talamona.

(www.fondazionebombardieri.it).

Email: info@fondazionebombardieri.it

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Guido Combi: “ STEFANO TIRINZONI – una vita per la montagna e per l’ambiente”. 2014. Edizione: Fondazione Luigi Bombardieri- Sondrio. Stampa Bettini Sondrio

 

 

IN BICI DALLA VALTELLINA AL MAR CASPIO

 

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TALAMONA 13 novembre 2014 riapre la serie dei viaggi in biblioteca

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RESOCONTO DI DUE VIAGGI AVVENTUROSI, INNO ALLA LIBERTA’ E AL PIACERE DELLA SCOPERTA

Dopo il grande successo della prima edizione e dopo molte traversie e disguidi nella passata stagione, rieccoci finalmente qui questa sera alla casa Uboldi a partire dalle ore 20.45 con la seconda edizione dei viaggi in biblioteca, uno degli eventi che ha contribuito maggiormente a far avvicinare il pubblico alla biblioteca e a renderla viva. Ad aprire i battenti presentando il primo viaggio della nuova edizione sono stati Fabio Fanoni e Andrea Caocinati che hanno voluto dare un assaggio delle loro traversie al pubblico attraverso uno sketch. Hanno finto di essere in un bar e di non riuscire a farsi capire dalla cameriera. È a questo punto che è entrata in scena Simona Duca ex assessore alla cultura e da sempre presentatrice degli eventi della biblioteca, che anche questa sera ha introdotto brevemente gli ospiti lasciandogli poi immediatamente tutto lo spazio necessario. In realtà questa sera Fabio e Andrea hanno presentato due viaggi o meglio uno stesso viaggio in due tempi. La prima parte di questo viaggio risale al 2010 ed è stata compiuta da Fabio in compagnia di Emanuele Rusconi, da Sondrio ad Istanbul, mentre la parte effettuata con Andrea ha avuto luogo lo scorso anno e da Istanbul si è arrivati sino in Azerbaijan. Andrea e Fabio hanno definito il loro viaggio cicloturistico sottolineando la parte importante che ha avuto la componente avventurosa e l’utilizzo della bicicletta, un tipo di viaggio che richiede una certa preparazione atletica, ma anche geografica dei luoghi e dei percorsi da svolgere nonché naturalmente un grande spirito di adattamento. Un viaggio che ricalca in parte quello effettuato da Rumiz Rigatti e Altan nel 2000. Un viaggio effettuato seguendo strade poco trafficate e percorsi fuori mano. Del resto anche la meta è di gran lunga molto al di fuori del solito circuito turistico. L’Azerbaijan è una repubblica caucasica affacciata sul Mar Caspio (che poi sarebbe un lago, il più grande del Mondo ed è chiamato mare appunto solo in virtù della sua estensione). Un viaggio che parte da Piazza Garibaldi a Sondrio e arriva all’Aprica seguendo la direzione di Carona  per prendere poi la decauville che da Caprinale porta all’imbocco della val Belviso. Un viaggio dove le avventure gli imprevisti e la componente rocambolesca si fanno sentire fin da subito. I nostri eroi si sono infatti persi nei boschi di quella zona, ma hanno anche avuto l’opportunità di fare qualche incontro interessante. A Edolo hanno incontrato Jan, un altro ciclista avventuroso in giro per l’Europa da un paio di mesi. Giunti in Veneto hanno costeggiato Bassano del Grappa, un borgo sulle rive del Brenta che conserva parecchie memorie della Grande Guerra e giacché c’erano hanno pensato di fare una piccola deviazione a Venezia dopo aver costeggiato il Brenta fino a Piovego, nei pressi di Padova. Peccato che Venezia non è una città per ciclisti: canali e scalini senza nemmeno una rampa apposita, turisti incuriositi e divertiti, ma almeno la cena rimediata a base di patate. “ho capito a quel punto perché un ragazzo che avevamo incontrato pochi chilometri più indietro quando gli abbiamo raccontato il nostro viaggio e gli abbiamo detto che volevamo andare in direzione di Venezia si è messo a ridere” ha detto Fabio che poi ha continuato il racconto “L’indomani proseguiamo di nuovo verso Est, cercando il più possibile di evitare le strade secondarie, anche se non sempre ci siamo riusciti”. Verso est i nostri giungono ad Aquileia città romana che ebbe un pessimo incontro ravvicinato con Attila, re degli Unni e flagello di Dio e qui in questa città ricca di storia, incontrano Tonio “cicloturista solitario, partito dalla Spagna e diretto a Istanbul. Lui aveva in programma di seguire la costa fino a Dubrovnik e allora ci siamo dati appuntamento a Istanbul. Siamo arrivati un giorno prima di lui. Era così contento del suo carrellino che lo chiamava “el puta de carro”. Gli ultimi chilometri in territorio italiano ci portano a Trieste, dove salutiamo definitivamente il mar Mediterraneo” ed anche l’Italia perché a questo punto i nostri fanno il loro ingresso in Slovenia. “Per chi non la conosce, la Slovenia può essere considerata la Svizzera della penisola Balcanica: ordine,  pulizia, splendido paesaggio naturale, rispetto per l’ambiente, rispetto per i ciclisti, traffico praticamente inesistente. In altre parole: il paradiso della bicicletta. Da visitare”. Peccato che a questo punto i due ciclisti si trovano a dover affrontare un altro intoppo “Guasto al portapacchi e riparazione di fortuna con fil di ferro e fascette, in attesa di trovare un negozio per comprarne uno nuovo”. Ma questo comunque non ha precluso una visita in questi luoghi tanto splendidi. Tra le altre cose “Le tipiche caserme dei vigili del fuoco, riconoscibili, tra l’altro , per l’affresco di San Floriano, il loro santo protettore. La Slovenia è piccola e in meno di 3 giorni è già finita. Entriamo nella più caotica Croazia e in pochi chilometri siamo a Zagabria, la capitale. Abbandoniamo la città seguendo la Sava, che poi attraversiamo con un rudimentale ma efficiente traghetto di Leonardo. Strade deserte per via della festa nazionale. Poche pendenze e vento a favore ci permettono di fare 180 chilometri senza fatica”.  La Croazia appare come una terra poco urbanizzata. In particolar modo una regione, la Slavonia è fatta esclusivamente di villaggi da strada con le case disposte sui due lati senza un centro. “Nella parte più orientale” ha raccontato ancora Fabio “dove la Croazia si incunea tra Serbia e Bosnia, troviamo le segnalazioni dei campi minati. La guida turistica sconsiglia non solo il campeggio libero ma anche di uscire dalla strada. Noi però abbiamo pensato che questo luogo poteva essere ragionevolmente sicuro. Vukovar porta ancora i segni della guerra. La torre dell’acquedotto è rimasta li a testimoniare gli 87 giorni di assedio, tra agosto e novembre ’91. La città è tornata a far parte della Croazia soltanto nel ’98”. Dopo la Croazia, il viaggio è proseguito in Serbia “Ecco il Danubio, uno dei fiumi che più facilmente capita di incontrare girovagando per l’Europa.  Partendo dalla Valtellina, qualunque direzione si prenda compresa fra Nord e Sud-Est, prima o poi si incontra il Danubio. A Novi Sad ci concediamo un giorno di pausa. Abbandoniamo le bici in ostello e col treno raggiungiamo Belgrado. La città ci appare squallida, sporca e decadente. Non c’è nulla di interessante da visitare, a parte i musei che però quel giorno, essendo lunedì, erano tutti chiusi. Qui il Danubio incontra una nostra vecchia conoscenza: la Sava”. Ed ecco come a questo punto il racconto avventuroso dei due giovani si è arricchito anche di informazioni pratiche a beneficio di eventuali emuli “Un modo alternativo per avvicinarsi alla Turchia è quello di seguire la ciclabile del Danubio, che non esiste soltanto nel tratto Passau – Vienna, il più famoso, ma sembra essere ben segnalata in tutto il suo tragitto. Questo presenta almeno tre vantaggi: disponibilità di una cartografia dettagliata, facilità di orientamento e presenza di campeggi. E uno svantaggio: le zanzare. Le fontane non sono molto diffuse e, quando le si trovano, può capitare di dover aspettare il proprio turno”. Non tutte le città della Serbia sono deludenti come la sua capitale “A Niš, città molto attiva della Serbia meridionale, si sta svolgendo il Nišville Jazz Festival, un’importante manifestazione jazzistica che attira artisti da tutto il mondo. Non passa inosservata l’assonanza con la città americana di Nashville, uno dei centri più importanti per la musica. Sono andati avanti a suonare tutta la notte”. Gli ultimi chilometri in Serbia sono caratterizzati da lunghi tratti in salita “ma le pendenze non sono quelle indicate dal cartello. Saliamo al passo Ploca, scendiamo a Bela Palanka, risaliamo al passo Kruška e torniamo di nuovo in pianura, a Pirot. Caldo pazzesco, si inizia a sentire il Sud. Si sta bene in quota, se così si può dire perché non si raggiungono i 700 metri, e davanti a una fontana non si rinuncia a una sosta”. A questo punto si tratta davvero di compiere gli ultimi chilometri in Serbia e già si cominciano a vedere le prime indicazioni della meta. Intanto dalla Serbia i nostri eroi giungono in Bulgaria. Prosegue il racconto di Fabio “Dopo la frontiera abbandoniamo la strada principale e proseguiamo verso la capitale su una strada di pavé. Mentre in Serbia il cirillico sta scomparendo, qui è ancora molto diffuso tanto che anche le insegne commerciali si sono piegate a questa calligrafia. C’è anche una piazza dedicata a Garibaldi. E’ stata inaugurata  il 13 giugno 2010 in occasione dell’allora primo ministro (che non voglio citare altrimenti mi viene la dermatite…) Le pianure della Slavonia sono ormai un lontano ricordo. Qui dominano le salite, che superano i 1300 metri, e il caldo. Bisogna alzarsi sempre più presto alla mattina. Di notte in città si fa fatica a dormire. Meglio accamparsi con la tenda in mezzo alla campagna, qui non dice niente nessuno. I carretti a cavallo sono molto più diffusi rispetto al resto della penisola balcanica e la ferrovia ha vinto il diritto di passaggio sulla strada. Ci fermiamo per uno spuntino davanti a una casa e veniamo accolti dai sui abitanti, che ci riempiono le borse di verdura”. A questo punto l’arrivo a Plovdiv, una delle città più antiche della Bulgaria. “Non mancano però gli esempi di pessimo abbinamento tra il nuovo e il moderno. Qui abbiamo uno stadio del II secolo dopo cristo con al centro un edificio indefinibile. Finalmente mi decido a cambiare il portapacchi. Il fil di ferro non teneva più”. Da qui cominciano gli ultimi chilometri in Bulgaria “Poco prima del confine, abbandoniamo la strada principale per Edirne, che entra direttamente in Turchia, e facciamo una piccola deviazione in Grecia. 40 chilometri su una strada a 4 corsie completamente deserta. In pratica un’enorme pista ciclabile. L’ingresso in Turchia segna l’ingresso in  un’altra religione. Seppur diffuse anche in Bulgaria, le moschee qui diventano l’architettura dominante.  Per chi viaggia in bicicletta, sono la garanzia di trovare acqua in abbondanza. L’interno è piuttosto spoglio: non ci sono panche, non ci sono altari, non ci sono nemmeno quadri o affreschi che raffigurano persone. Solo tappeti e scritte decorative. Su una cosa sono precisissimi i turchi: l’orario delle preghiere. Variano di giorno in giorno e vengono stabiliti in base alla posizione geografica (latitudine e longitudine) della moschea. Questo perché fanno riferimento alla posizione del sole. Come vedete, si inizia anche molto presto al mattino, giusto per rovinare il sonno ai cicloturisti che alloggiano nei paraggi. Per essere sicuri che nessuno dorma, fanno scoppiare un grosso petardo e passano per le strade con dei tamburi. Poi arriva il canto del muezzin. Qui iniziano i problemi. Io capisco che il corano vieti ai propri fedeli il consumo di alcol, ma se io non sono mussulmano non posso bermi una birra?  Qui ho dovuto litigare per averne una. Il ristoratore è andato a comprarla in un altro negozio perché non era nel menu. Però mi ha imposto di tenerla nascosta nel sacchetto di carta, come se non si vedesse che si tratta di una birra. Emanuele si è subito adeguato bevendo Ayran. Vicino a Edirne c’è un antico complesso ospedaliero costruito dal sultano Bayezit II nel 1400. Comprendeva una moschea, l’università di medicina e la zona per i malati psichiatrici, che venivano curati con la musica. Ogni patologia aveva la sua. Oggi ospita il museo della salute. Poiché siamo in anticipo sulla tabella di marcia decidiamo di fare una deviazione verso Est per raggiungere il mar Nero e costeggiarlo fino al Bosforo. Eccoci arrivati al mare. Qui siamo a Kiköy, piccolo villaggio di pescatori e meta di turisti locali. Mentre due gatti fanno la guardia alle biciclette… ci concediamo  un pranzo tipico turco sulla terrazza panoramica di un ristorantino affacciato sul mare. Poi cerchiamo di imparare le regole della Tavla (da noi chiamato backgammon), il gioco più diffuso in Turchia. Il barista ci affianca due clienti, che ci suggeriscono le mosse. In realtà sono loro a giocare, noi ci limitiamo a muovere le pedine e lanciare i dadi. Riprendiamo il viaggio ma ci accorgiamo che non è possibile seguire la costa. Le strade finiscono all’improvviso. La nostra mappa al 700 mila di venti anni fa non è attendibile. Ripieghiamo verso sud e arriviamo a Catalca, meta ciclistica di questo viaggio. Da qui a Istanbul proseguiamo in treno, risparmiandoci una trentina di chilometri di traffico selvaggio. Molte persone sconsigliano di entrare a Istanbul in bicicletta. Si perde un po’ il fascino dell’arrivo in bici ma se ne guadagna in salute. La foto davanti al ponte di Galata la facciamo lo stesso”Ed è a questo punto che comincia la seconda parte del viaggio, quella compiuta lo scorso anno con Andrea da Istanbul all’Azerbaijan.Durante il viaggio vediamo numerose piantagioni di nocciole. Mi sono informato: L’80% della produzione mondiale di nocciole proviene dalla Turchia. Il 30% della produzione turca viene acquistata dalla Ferrero. Fatti due conti: almeno una nocciola su quattro, nel mondo, finisce nella Nutella (il secondo fenomeno di consumo di massa dopo la Coca Cola). La strada comincia a essere eccessivamente trafficata. Non ha senso proseguire in questo modo, è soltanto pericoloso. A Giresund riesco a convincere Andrea a prendere un autobus per Trebisonda. Ci godiamo quindi un giorno di riposo in questa città. Dopo un po’ di relax all’Amman, dove c’è un omone peloso che ti massaggia su un letto di marmo, assaggiamo il Kuymach, piatto tipico di Trebisonda. Stessi ingredienti della polenta taragna, ma con un rapporto burro/farina 11 volte superiore… Anziché proseguire lungo la costa, ancora troppo trafficata, decidiamo di fare gli ultimi chilometri di Turchia passando dall’entroterra. Per scavalcare la catena montuosa bisogna risalire una valle, chiamata valle del te. Questa pianta è infatti coltivata in tutta la parte bassa della valle. La strada sale inizialmente tranquilla, poi diventa man mano sempre più impervia. Il paesaggio ricorda un po’ le nostre Orobie.  Se cancellassimo le moschee e le piantagioni di te potremmo dire di essere in val Gerola o in val di Tartano. Più si sale e più le sponde diventano ripide. Siamo preoccupati perché non riusciamo a trovare 2 metri quadri di piano per piantare la tenda. Arriviamo a un posto di blocco. Spieghiamo che stiamo cercando uno spazio per piantare la tenda. Ci dicono che più avanti è peggio e ci invitano a restare con loro. Possiamo stendere i sacchi a pelo in uno sgabuzzino di servizio. Al cambio della guardia ci portano la cena mentre alla mattina ci preparano la colazione e ci riempiono le borse di marmellatine e pane che puzza di gasolio. Passiamo buona parte della serata a bere te e tentare di giocare a carte.  Da qui in avanti, per quasi 300 km, il paesaggio è dominato dalla un susseguirsi di dighe, alcune già costruite, altre in fase di costruzione. 13 in totale. La più grande sta per essere realizzata a valle di Yusufeli (paese di 6000 abitanti che verrà sommerso). Questa diga ha un’altezza di 270 metri e una capienza di 2.3 miliardi di m3 (19 volte la diga di Cancano II) e sarà la più grande di tutta la Turchia. Questo avrà un impatto devastante dal punto sociale (18 villaggi e 15 mila case distrutte), biologico (35 specie endemiche animali e vegetali) ambientale e archeologico. Però consentirà la produzione di 2 mila GWH all’anno”. Finalmente dopo mille traversie l’arrivo in Georgia “Torniamo su strade più tranquille e raggiungiamo la capitale: Tbilisi. Ponte della Pace, costruito da Michele De Lucchi ma chiamato dai georgiani ponte Always, dal nome di una nota marca di assorbenti. A Tblisi non c’è nulla di dritto. Tutto pende: pareti, balconi, soffitti. A camminare in ostello sembrava di essere ubriachi”. Da qui le ultime falcate verso l’Azerbaijan dove grazie al racconto di Fabio e Andrea abbiamo avuto questa sera la possibilità di conoscere meglio un Paese di cui molti nel Mondo forse ignorano persino l’esistenza. Curiosità sul presidente della Repubblica Heydar Aliyev che “Ha dominato la politica azera per 30 anni, è stato presidente dell’Azerbaijan per gli ultimi 10 anni della sua vita (1993 – 2003). E’ succeduto il figlio, con criticate elezioni presidenziali in cui era l’unico candidato. Ha fatto guadagnare all’Azerbaijan il primato di nazione più corrotta del mondo” e su una bandiera da record “Il 2 settembre 2010 questo pennone di bandiera è entrato nel Guinness per essere il più alto del mondo (162 metri). Meno di un anno più tardi (31 agosto 2011) in Tagikistan, ne hanno costruita più alta di 3 metri. Quella bandiera sembra piccola ma ha una superficie di 1800 m2 (60 x 30)”

E con queste curiosità siamo giunti alla fine di questo appassionante racconto di un viaggio fatto di sogni, di avventure, di incontri memorabili, un viaggio che promuove l’incontro con culture diverse e che spesso appaiono come lontane e che insegna che dopotutto lo spirito degli antichi esploratori non si è spento del tutto alla faccia della crisi e del logorio della vita moderna. Un racconto che è stato ascoltato con grande gioia da un pubblico numeroso e partecipe. Davvero un buon inizio. Non si può che restare ad attendere la prossima meta.

Antonella Alemanni

 

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