GLI ANIMALI SACRI NELL’ ANTICO EGITTO

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Nelle sale di un museo dedicato alla civiltà dell’antico Egitto, ci vengono incontro da ogni parte ibride figure di divinità, le quali su un corpo umano ergono la testa di un leone o di uno sciacallo, oppure statue di animali con la testa umana.

Sfinge con la testa umana e corpo di leone, Museo Egizio, Torino.

Sfinge con la testa umana e corpo di leone, Museo Egizio, Torino.

Vediamo immagini di sovrani prostrati in adorazione di un toro. Nelle vetrine si allineano mummie di gatti, di falchi, di coccodrilli, imbalsamate e fasciate di bende con la stessa cura usata per i corpi umani.

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Stele raffigurante  Anubi -il dio con la testa di sciacallo, Museo del Louvre, sezione Egitto Antico

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Divinità egiziana con la testa d’Ariete,Museo del Louvre, Sezione Egitto Antico.

Forse è proprio questo culto degli animali, così vistoso e onnipresente, l’aspetto della cultura egiziana che ci sembra più impenetrabile e più estraneo alla nostra mentalità occidentale, quasi il prodotto di una fantasia insieme esuberante e affascinante. Pure, se proviamo a seguire l’evoluzione storica che sta alla base della concezione degli animali divini, la fede degli Egiziani ci apparirà immediatamente più limpida.

L’Egitto era in origine abitato da tribù nomadi. Non si trattava di una divisione territoriale, quanto di gruppi, relativamente numerosi di individui che si stimavano parenti ma non in base a un concetto di consanguineità simile al nostro: la parentela fra i membri di un clan era dovuta al fatto che essi si consideravano tutti portatori di un medesimo totem.

Il totem è un essere inanimato, molto spesso un animale o una pianta, da cui l’intero gruppo credeva di discendere e che serviva come emblema. E’ inutile dire che vigeva il divieto assoluto di uccidere e di mangiare l’animale-totem.

le rovine del cortile del toro Apis, a Saqqara, dove viveva l'animale sacro, simbolo della fecondità. Alla sua morte i sacerdoti egiziani partivano alla ricerca di un torello che presentasse le "tre macchie tradizionali", caratteristiche dell'Apis.

Le rovine del cortile del toro Api, a Saqqara, dove viveva l’animale sacro, simbolo della fecondità. Alla sua morte i sacerdoti egiziani partivano alla ricerca di un torello che presentasse le “tre macchie tradizionali”,( una macchia nera in forma di scarabeo sulla lingua, una bianca, quadrata, sulla fronte e una sul dorso a forma di aquila) caratteristiche del toro sacro Api. 

Col trasformarsi dei clan in unità territoriali dovuto alla crescente importanza dell’agricoltura, la venerazione per l’animale capostipite non venne meno, ma si trasformò tuttavia profondamente, perché l’emblema totemico divenne la divinità locale di ciascun villaggio, il cui simbolo si trova riprodotto come segno di identificazione su vasi, sarcofagi e altri oggetti quotidiani.

Il faraone che porta l'offerta al toro Api

Il faraone che porta l’offerta al toro Api

Tale è il caso del toro Api, l’animale sacro di Menfi, considerato un simbolo della procreazione, identificato anche col Sole come mostra il disco d’oro che, nelle raffigurazioni pittoriche, porta tra le corna. Proprio quest’ultimo particolare ci dice quanto fosse remota l’antichità del suo culto, perché lo ritroviamo in graffiti preistorici del Sahara libico. L’animale godeva di una profonda venerazione e quando veniva a morte si celebravano per lui esequie che richiamavano un grande concorso di fedeli giunti, cariche di offerte, da tutto il paese. Il corpo era imbalsamato con ogni cura e trasportato in processione in un’isola vicina dove veniva sepolto in un grande sarcofago di granito, nei sotterranei di un tempio.

Sarcofago di granito scoperto nel secolo scorso a Menfi

Sarcofago di granito scoperto nel secolo scorso a Menfi

 Se dei tori Api possiamo ancora contemplare i corpi mummificati, circondato di mistero ci appare un altro antico animale sacro, la fenice di Eliopoli intorno a cui fin dall’antichità si intrecciarono strane leggende. Si diceva vivesse cinquecento anni e più tardi si favoleggiò che la fenice fosse immortale. Allorché era vicina alla morte, si costruiva una specie di nido di erbe profumate in cui bruciava, quando per il calore del Sole, quelle prendevano fuoco. Dalle ceneri, la fenice risorgeva giovane e rinnovata.

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Io sono quel grande uccello Benu a Eliopoli,

che decide quello che deve e quello che non deve essere.

Chi è questo? Il Benu di Osiride in Eliopoli.

Ciò che è e ciò che sarà è il suo corpo,

è l’eternità e la perpetuità.

Libro dei Morti, capitolo XVII

Nella città di Eliopoli esisteva un particolare tempio dove venivano venerati due aspetti del dio creatore Atum-Ra: il benben, una pietra dalla forma conico-piramidale, e l’uccello benu che i Greci chiameranno fenice. Questo tempio, detto Hat-benben o Hat-benu (Casa della pietra o Casa della fenice), aveva come simbolo la figura di un grande uccello appollaiato al di sopra della pietra conica. Entrambe le parole derivano dal verbo wbn, con il significato di “elevarsi, brillare”, con evidente collegamento all’astro solare, venerato nel santuario.

La fenice e il benben erano strettamente legati nel mito della creazione eliopolitana. Il benben, particolare pietra dalla forma conica, probabilmente un meteorite ritrovato ad Eliopoli in tempi antichissimi, rappresentava la prima terra emersa dall’Oceano Primordiale, il primo atto creativo di Atum, originatasi da una goccia del suo seme caduta nella discesa delle acque. Il benben era il nucleo originario della creazione, perché a partire da esso si sarebbe aggregata tutta la materia dell’universo. Su questa prima terra emersa dalle acque, la Collina Primordiale, il dio Atum si sarebbe manifestato per la prima volta in forma di astro solare per illuminare e vivificare tutto il creato. A questo punto un maestoso uccello, nelle forme di airone grigio (Ardea cinerea), si sarebbe posato su questa prima massa di terra e, aprendo il becco, avrebbe lanciato il suo grido dando inizio ai cicli cosmici temporali. Il grido della fenice, oltre a scandire i ritmi temporali, rappresenta il Logos divino, la Parola Creatrice che dà ordine al creato. Per il suo legame con l’astro solare la pietra benben venne inserita nei principali elementi architettonici per il culto del sole. Con questa parola (usata in alternativa a pyramidion), si indicava quindi il coronamento degli obelischi, dei templi solari e delle piramidi. Si trattava di una pietra rivestita di elettron – lega di oro e argento – che rifletteva i raggi solari e rendeva la punta di questi monumenti luccicante, per ricordare a tutti il loro legame con il sole.

 

Lucica

 

 

 

I TEMPLI EGIZI – LE CERIMONIE RELIGIOSE

Il tempio era per una città egiziana un centro spirituale, l’unico edificio destinato a durare per secoli in mezzo alle casupole di mattoni crudi in cui gli Egiziani trascorrevano la loro vita, e che i secoli hanno cancellato.

Oggi, le gigantesche rovine si elevano silenziose, lontane dai centri abitati. Ma dobbiamo immaginarci che una volta erano circondate da grandi città, le cui esistenze trascorrevano in gran parte all’aperto. Tuttavia la folla della gente comune era tenuta lontana dal tempio: esso era protetto da un alto muro che doveva impedire che la purità della casa degli dei venisse contaminata da contatti profani, e che ne faceva un luogo di silenzio e di pace.

Per comprendere l’arte egizia bisogna innanzitutto premettere che essa è di tipo evocativo cioè vuole intendere che ogni disegno o scultura, una volta terminato, vive di vita propria. Questo tipo di concetto è diffuso ancora oggi in molte popolazioni che sono contrarie a farsi fotografare poichè temono di perdere la propria immagine.
L’arte, come tutte le altre cose, vide un certo sviluppo durante gli oltre 3000 anni di storia dell’Egitto. Ad esempio risale all’inizio della II dinastia, il concetto di dipingere le tombe con delle immagini “evocative” invece, prima, alla morte del re, anzichè dipingere venivano uccisi i servitori. Dal Nuovo Regno si iniziano a decorare i soffitti.
Alcune immagini erano puramente simboliche come la rappresentazione dell’inferno che, per gli Egizi, era un luogo dove gli uomini annegavano con le mani legate e la testa tagliata, o come i bambini che sono riconoscibili per la caratteristica “treccia dell’infanzia”. Per indicare il tempo gli artisti prendevano spunto dagli animali più importanti: i babbuini, ad esempio, venivano raffigurati per rappresentare il giorno e la notte. Quando erano seduti indicavano le ore notturne, mentre quelli in movimento il giorno.
Nei templi le immagini sono scolpite in due modi: rilievi emergenti oppure incavi. I rilievi incavi furono introdotti da Akhenaton che li faceva scolpire all’esterno, mentre con Ramses II essi furono realizzati anche all’interno dei templi.
                                                                                                                          

Il faraone Akhenaton, XVIII dinastia, Nuovo Regno.

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 Il faraone Ramses II,in carica dal 1279 a.C.-1212 a.C.

                                                                                                             

Gli Egiziani erano soliti raffigurare le persone in maniera un po’ particolare. Il volto era sempre disegnato di profilo, mentre gli occhi erano raffigurati di fronte. Le spalle sono anch’esse di fronte, mentre le gambe sono disegnate di lato. Delle mani e dei piedi è invece disegnato il dorso, ma entrambe le mani e entrambi i piedi sono destri o sinistri per evidenziare il pollice l’arco del piede. Insomma, sebbene questi disegni possano sembrare maldestri, essi erano fatti per evidenziare le parti del corpo che identificano meglio la persona.
Così anche il colore della pelle era rossastro per gli uomini e biancastro per le donne (forse perchè erano solite rimanere in casa), mentre i Nubiani erano colorati di nero.
I disegnatori egizi non conoscevano la prospettiva per cui la rappresentavano a loro modo mettendo su più strati la stessa scena.
Nel campo della statuaria alcuni preziosi ritrovamenti permettono di risalire alle tecniche usate dagli antichi scultori. Essi, per la maggior parte dei lavori, utilizzavano utensili di diorite, un materiale molto resistente che permetteva di lavorare la renaria (la pietra con cui furono edificati molti templi), il calcare ed il granito. Un esempio su tutti è la statua che 
Chefren si fece costruire interamente in diorite.

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La statua del faraone Chefren, Il Cairo, Museo Egizio.

IV dinastia egizia, incoronazione 2570 a.C.

Per realizzarla furono utilizzati strumenti di dulurite, un materiale ancora più duro della diorite. Questo fa capire di quale abilità e di quali raffinate tecniche erano dotati gli artisti egiziani.
Anche il materiale usato per scolpire un’immagine aveva una sua precisa importanza : la pietra era utilizzata per dare all’opera un simbolo di eternità e potenza, mentre il legno veniva scelto per dare un senso di movimento e dinamicità.
Gli antichi Egizi dicevano che la statua veniva fatta per vedere e non per essere vista. Lo scultore era chiamato “colui che tiene in vita”.
Per quanto riguarda lo stile, con Amenofi III si passa da un’arte fine e raffinata, ad una, cosiddetta imponente.

Il faraone Amenofi III, Berlino, Museo Egizio. Incoronazione 1387 a.C. Morte 1348 a.C.,

Il faraone Amenofi III, Berlino, Museo Egizio.
Incoronazione 1387 a.C.
Morte 1348 a.C.,

I piloni dei templi assumono dimensioni enormi, vengono inventati gli obelischi e i templi occupano grandi spazi (vedi il tempio di Karnak, il tempio funerario di Hatshepsut e quello dello stesso Amenofi III che oggi conserva solo due colossi del faraone, e il tempio di Abu Simbel). Di quest’arte grande costruttore è Ramses II le cui costruzioni sono sparse in tutto il regno d’Egitto.
Le statue erano tutte scolpite da un unico blocco da cui si ricavava l’immagine del soggetto. Le spalle e la schiena sono appoggiate ad una colonna che permetteva di apporre le iscrizioni in geroglifico. Le statue che rappresentavano il faraone raccontano del tipo di politica attuata dal faraone stesso. Se infatti il faraone viene rappresentato con le mani chiuse significa che era un faraone forte e potente, mentre se le mani sono aperte vuol dire che era buono con il popolo. Nel caso in cui possedeva una mano chiusa ed una aperta significa che era stato sia forte che buono.
Quasi tutte le statue sono state fatte con la gamba sinistra in avanti. Questa caratteristica, ancora oggetto di discussioni, viene giustificata da alcuni dicendo che rappresenta il riposo militare, altri vedono il significato del valore del cuore nella vita e quindi dell’amore, altri ancora affermano più semplicemente che fu una caratteristica tramandata dal primo artigiano che usava raffigurare i suoi soggetti con la gamba sinistra in avanti, mentre altri la identificano come un segno di azione e quindi di potere. Altra caratteristica delle statue reali è la barba posticcia, che nella realtà non esiste, e che indica se al momento della costruzione del monumento o del sarcofago il faraone era in vita o no. Se la barba posticcia è dritta significa che il faraone era vivo, mentre se è arricciata vuol dire che il faraone era già morto.
Ma non tutte le statue umane sono state fatte in questo modo. Infatti, unica nel suo genere e diffusa solo nell’antico Egitto, vi è uno speciale stile di scolpire l’uomo all’interno di un cubo sulla cui faccia superiore viene posta la testa. Questo tipo si scultura non ha ancora trovato una risposta valida per giustificarne la stranezza.

IL TEMPIO DI ABU SIMBEL

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Situato sulla riva occidentale del Nilo, il tempio di Abu Simbel è di enormi dimensioni: 30m di facciata, 63m di profondità, 20m di altezza per le statua esterne e 10m per quelle interne. Il resto dell’estensione del tempio, che ne caratterizza l’originalità, è stato ricavato dentro la montagna. Originariamente l’ingresso al tempio avveniva dal Nilo, mentre oggi, a causa della costruzione della diga di Assuan, esso è stato smontato e ricostruito fedelmente in una zona più interna e sicura. Abu Simbel fu realizzato da Ramses II tra il 1290 e il 1224 a.C. per mostrare ai Nubiani la sua potenza. Le quattro statue dominanti raffigurano Ramses II ai cui piedi vi sono la moglie Nefertari Meretenmut e altri membri della famiglia. Al di sotto, in una nicchia, vi sono delle statue al confronto minuscole, ma in realtà alte 2 metri, che raffigurano il dio Ra, le dea Maat e lo scettro User (User-Maat-Ra era il soprannome dello stesso Ramses II). All’interno del tempio nella cella, scolpiti nella roccia, sono raffigurati Ptah, Amon, lo stesso Ramses II e Ra. Il tempio fu costruito in modo tale che due volte l’anno,  più precisamente il 21 febbraio ed il 21 ottobre (forse la data della nascita e dell’incoronazione di Ramses II), il sole sorgendo illumini le quattro statue della cella. Questa operazione era permessa dai 24 babbuini scolpiti sopra l’ingresso del tempio che “aiutavano” il sole ad entrare. Davanti all’ingresso del tempio vi è la cosiddetta “stele del matrimonio” che narra delle nozze tra Ramses II e la figlia del re ittita Hattusil al termine della famosa battaglia di Kadesh. All’interno del tempio, sulla parete di destra, vi è una dettagliata raffigurazione (9m x 17m) della lotta tra Egizi ed Ittiti con la rappresentazione di 1100 soldati. Sulla parete opposta, invece, ci sono i due inganni fatti a Ramses II durante la sua marcia verso Kadesh e che gli furono fatali. Con queste rappresentazioni Ramses II intende consolidare la sua regalità facendo credere che, dopo la sconfitta del suo esercito caduto in un’imboscata, lui da solo con l’aiuto di Ra avrebbe sconfitto gli Ittiti.

IL TEMPIO DI KARNAK

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Karnak venne riscoperto all’inizio del XVIII secolo dal capitano Norden e dal reverendo Pococke. Essi ne fornirono i primi disegni e le prime mappe. Fu però la spedizione di Napoleone a dare il via alle esplorazioni e allo studio del sito.
Il tempio di Karnak si trova a Luxor, l’antica Tebe, e viene anche chiamato la fortezza di Amon-Ra. Fu eretto durante la XII dinastia e terminato nell’epoca Tolemaica.
La struttura del tempio è fatta di tre parti: il tempio di Montu (forse risalente addirittura alla III dinastia dell’Antico Regno), il tempio di Amon-Ra e il tempio di Mut (costruito da Amenofi III).
Le prime notizie certe del tempio di Amon-Ra risalgono al faraone Antef II. Il tempio in origine era costituito dal santuario a da altre due sale. Karnak rimase così sino al regno di Thutmosi I che iniziò ad ampliare il tempio grazie all’architetto Ineni. Ineni fece descrivere nella sua tomba di Sheikh Abd el-Gurna le opere realizzate per il suo sovrano tra cui le due cinte (IV e V pilone) che racchiudono il tempio, detto ipet-sut. Ipetsut, “colei che restituisce i luoghi”, era quindi il nome classico del tempio che identificava la zona compresa tra il IV pilone e la sala delle feste di Thutmosi III.
All’interno del tempio, nel “cortile maggiore”, si trovano il tempio di Seti II contenente tre cappelle dedicate ad Amon, Mut e Khonsu e le rispettive barche solari, il chiosco del faraone etiope Taharqo della XXV dinastia, sorretto in origine da 21 colonne, il tempio di Ramses III dedicato ad Amon-Ra , due statue di Ramses II e un pilone eretto da Horemheb ultimo faraone della XVIII dinastia.
Dopo il “cortile maggiore” c’è la “sala ipostila” iniziata da Amenofi III e terminata da Ramses II. Grande circa 5000 mq è composta da 134 colonne che reggono il soffitto.
Il “cortile centrale” contiene uno dei quattro obelischi voluti da Thutmosi I e precede quello che allora era l’ingresso del tempio.
La parte più antica è circondata dal cosiddetto “muro di cinta” di Ramses II decorato da scene che raffigurano il faraone insieme alle varie divinità. Il “piccolo vestibolo”, realizzato da Thutmosi I, contiene un obelisco alto 30m e fatto costruire da Hatshepsut per celebrare la propria incoronazione.
Il tempio termina con il santuario costruito nella XII dinastia e contenente le barche cerimoniali di Amon. Alle sue spalle Thumosi III fece erigere il “grande salone delle feste” suddiviso in tre navate.
All’altezza del “muro di cinta” di Ramses II, il tempio si estende verso oriente dove si trova il secondo tempio funerario di Thutmosi III e il tempio di Ptah iniziato dallo stesso Thutmosi III e terminato dai Tolomei.
Sul lato meridionale del tempio si trova il “lago sacro” e, accanto, lo scarabeo sacro dedicato da Amenofi III al dio Sole.
Inoltre, all’interno del tempio di Karnak, si trovano altre opere tra cui varie statue di faraoni del Medio Regno, il colosso di Amenofi I, due piloni di Horemheb, i resti di un tempio di Akhenaton costruito prima del trasferimento a Tell El-Amarna e altri templi dedicati a Khonsu (figlio di Amon), Opet (madre di Osiride) e Mut (moglie di Amon). Nell’avancorte vi sono statue di Sekhmet.
Oltre il “muro di cinta” sorge il tempio di Montu, dio guerriero con la testa di falco, fatto costruire da Amenofi III su una precedente costruzione voluta da Amenofi II, mentre la cinta che lo racchiude fu edificata nella XXX dinastia. All’interno troviamo il tempio di Harpra, che è di origine etiopica.
Dall’altra parte del tempio di Amon-Ra si trova il tempio di Maat datato alla XVIII dinastia.

IL TEMPIO DI LUXOR

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Il tempio di Luxor, dedicato al ka reale,( Ka era un’espressione per l’energia vitale creatrice e protettiva)  è di dimensioni più modeste rispetto a quello di Karnak, fu fondato da Amenofi III in onore del dio Amon-Ra, della moglie Mut e del figlio Khonsu e fu poi completato da vari faraoni successivi. La parte più antica è costituita dal santuario e dalla sala ipostila alle quali lo stesso Amenofi III aggiunse il cortile con i portici ed il colonnato. I muri del santuario sono coperte di dipinti che vedono Amenofi III intento a rendere omaggio alle divinità. A sinistra del santuario c’è “la camera della nascita di Amenofi III” con le pareti decorate da bassorilievi raffiguranti la madre di Amenofi III che, durante la gravidanza, riceve l’annuncio da parte degli dèi della prossima nascita di un dio.
Altre aggiunte furono fatte da Tutankhamon, Ramses II e Nectanebo. Ramses II, non a caso soprannominato “il costruttore”, fece costruire un grande cortile con un nuovo ingresso contraddistinto dalle tre enormi statue raffiguranti lo stesso Ramses II e da due obelischi. Il cartiglio di Ramses II appare un po’ ovunque anche se sembra molto probabile che sia stato posto su costruzioni realizzate da faraoni precedenti.
All’interno del tempio esiste un piccolo tempio detto “della triade tebana” fatto erigere da Thutmosi III, nonno di Amenofi III che pare abbia preso spunto da esso per costruire il tempio di Luxor.

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(clicca sulla foto per ingrandimento)

Come abbiamo notato, il “cammino di dio”, la via che portava al monumentale ingresso del tempio, era fiancheggiata da lunghe file di statue: leoni, arieti, sfingi e altri animali sacri, vere sentinelle di pietra che tenevano lontano ogni estraneo e ogni influenza malefica.

Un’altra legge singolare appare sempre rispettata nella struttura del tempio egizio: l’altezza delle varie parti che lo compongono e la luminosità delle sale,  vanno diminuendo dall’ingresso al sacrario: il cortile è inondato di sole, la sala a colonne riceve ancora luce dalla porta e da aperture nel soffitto, mentre nel santo dei santi regna una profonda oscurità, rotta da un ‘unica lampada posta dinnanzi alla cappella che conteneva l’immagine divina. Sulla statua della divinità che vi era custodita  veniva a posarsi l'”anima del dio“. E ciò spiega le gelose cure di cui venivano circondate le preziose immagini. Queste non erano del resto, come si potrebbe immaginare, pesanti statue di pietra (che sarebbe stato molto difficile trasportare nelle frequenti processioni), ma piccole figure in legno, alte forse un metro, rese comunque di valore da ornamenti e intarsi di metalli preziosi e di gemme.

I templi egiziani, vere fortezze di granito elevate contro gli assalti del tempo e degli uomini, hanno in molti casi superato quasi indenni i secoli, continuando ancor oggi a parlare della loro storia millenaria.

                                                                                                   Lucica

LA CONCEZIONE DELL’UNIVERSO NELL’ANTICO EGITTO

GLI DEI COSMICI

L’universo appariva agli Egiziani come il manifestarsi di una serie di esseri divini, più o meno personificati o umanizzati, ciascuno con una propria storia mitica che ne interpretava immaginosamente le manifestazioni. Così anche gli Egiziani, come ogni altro popolo, si domandarono anzitutto come fosse sorto il nostro mondo. A questo eterno interrogativo essi fornirono una serie di risposte contrastanti che, con la loro stessa profondità, sembravano attestare come nessuna delle soluzioni apparisse completamente soddisfacente, ma come piuttosto esse si completassero in un certo modo, a vicenda.

Quella che è forse la più antica sembra ispirata dalla annuale vicenda della Valle del Nilo: la campagna spariva ogni anno sotto le acque di inondazione per riemergere poi a poco a poco, rinnovata come da una rinascita.

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Fiume Nilo con le principale città lungo il suo corso

Si immaginò così che l’intera terra fosse stata un giorno sommersa dalle acque primordiali da cui era poi misteriosamente emersa una collina “la meravigliosa collina delle età primordiali” che in seguito lo spirito campanilistico volle identificare con questa o con quella eminenza di terreno, un po’ dappertutto in Egitto. Nel fango che ricopriva la collina si trovano quattro coppie di divini animali acquatici, rane le femmine, serpenti i maschi, i cui nomi evocano un ambiente ancora inarticolato e caotico: Num e Naunet, che indicano il caos liquido; Kuk e Kauket, che rappresentano l’oscurità; Huh e Hauhet l’indefinito, e infine Amon e Amaunet, l’ignoto: potenze imprecisate ed oscure che simboleggiano una primitiva ed inesauribile potenza generatrice. Sulla collina era poi apparso un uovo da cui era nata un’oca che aveva inondato di luce quella culla del mondo, perché l’oca era il Sole.

Essa per prima, tra tutte quelle creature dalle origini striscianti nel fango, si era distaccata dal limo generatore alzandosi in volo e lanciando alte grida: per la prima volta la luce e il suono laceravano il silenzio e l’oscurità che avevano regnato fino ad allora sulla Terra.

A Eliopoli si riteneva invece che il dio del sole- chiamato in quella città Atum– fosse sorto, generandosi da sé, “dall’acqua primordiale, prima che il cielo e la terra fossero nati, prima che un solo verme o rettile fosse creato, e non trovò nessun luogo su cui posarsi”. Allora si era rizzato su una pietra, chiamata ben-ben, sul luogo dove sarebbe sorta Eliopoli. Vedendo che era solo, pensò a crearsi dei compagni: dalla saliva nacquero il dio Shu e la dea Tefnet

Il mondo appena creato (o piuttosto appena sorto, perché come si vede gli Egiziani non arrivano ancora a concepire una creazione dal nulla), era qualcosa di indistinto: il cielo e la terra non vi erano ancora separati e la dea celeste Nut era prona sul corpo del suo sposo e fratello, il dio della terra, Geb.

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Il loro padre, Shu, il dio dell’aria, si interpose tra di loro e sollevò sulle sue braccia Nut facendone la volta del cielo. La dea, nella sua ascesa, trascinò  tutti gli dei che nel frattempo erano sorti all’esistenza e li trasformò in stelle.

Anche il Sole non le sfuggì e anch’esso, con le altre stelle, naviga ora lungo il corpo di Nut sulla propria barca.

Probabilmente quest’ultima concezione sorse da una contaminazione con un’altra leggenda che immaginava il cielo come una grande distesa d’acqua, “l’acqua vivente che è nel cielo” dalla quale aveva origine la pioggia. Del resto, la volta del cielo fu immaginata dagli Egiziani anche come una gigantesca vacca. (identificata ulteriormente con la dea Hathor) Simili contraddizioni non li urtavano affatto. Anche perché ogni “spiegazione” che gli uomini possono dare delle realtà soprannaturali non possono essere che incomplete e non si può pretendere di esaurire tutti gli aspetti complessi che tali problematiche fanno sorgere.

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La separazione di Nut e Geb segnò l’inizio dell’esistenza del mondo attuale, in cui l’aria separa dalla terra la volta celeste e gli astri.

Tra le divinità cosmiche quella che esercitò la funzione più alta e insieme più complessa e costante in tutta la storia religiosa dell’Egitto fu il Sole. Sotto gli aspetti e nelle funzioni più varie, esso domina sempre e ovunque in Egitto, nel mondo religioso come nella realtà fisica. Molteplici sono le sue manifestazioni; il suo nome più comune è Ra, ma in quanto sole che sorge può manifestarsi come un grande scarabeo chiamato Khepri.

 Esso fa rotolare davanti a sé, attraverso il cielo, il disco solare, così come il comune scarabeo fa rotolare sul suolo la sua sfera di sterco: un accostamento, sia detto per inciso, che ci fa ben comprendere come gli Egiziani sapessero vedere manifestazioni o simboli della divinità anche negli aspetti più prosaici della natura. Alla sera si manifesta poi come Atum, il dio di Eliopoli, ma in ogni caso questa distinzione non ha un valore assoluto. Notevole è poi la raffigurazione, che si sovrappone alle precedenti, del Sole come Horo, figlio di Osiride; egli si incarna anche nel faraone regnante ed è rappresentato come un uomo a testa di falco, originariamente il dio della città di Ieraconpoli.

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Il Pantheon Egizio

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Raffigurazione del dio Osiride con i simboli della regalità

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Raffigurazione della dea Iside con le ali aperte

La dea del cielo Nut e il dio della terra  Geb  generarono  OsirideIsideNefti e Seth .  Iside, dea dell’amore, sin da quando erano insieme nel ventre materno amava Osiride e i due, dopo la nascita, divennero faraoni e civilizzarono il mondo.

Un giorno Osiride, ubriaco, ingravidò Nefti che era la sposa di Seth; questi, saputolo, decise di uccidere il fratello. Assieme ad alcuni complici costruì quindi un sarcofago riccamente decorato in oro, argento e lapislazzuli e, durante una festa, proclamò che l’avrebbe regalato a chiunque fosse riuscito ad entrarci perfettamente.
Mentre Osiride, incoraggiato da Seth, tentava di entrarvi, il fratello lo chiuse dentro e gettò il sarcofago nel  Nilo, uccidendo il malcapitato all’interno. Il sarcofago discese il fiume fino al mare per poi arenarsi a Biblo, dove un’acacia lo avvolse coi propri rami. In tempi successivi l’acacia venne tagliata e dal tronco si ricavò un pilastro per il palazzo del re di Biblo,  Malcandro.

Nella disperata ricerca dell’amato, Iside giunse a Biblo dove, sotto le sembianze di comune mortale, riuscì ad entrare a far parte della corte reale, a guadagnarsi la fiducia della regina Nemano ed a divenire nutrice del giovane principe della città. Uno giorno Nemano scoprì Iside mentre poneva il principe bambino sulle braci ardenti: non consapevole del fatto che si trattava di un rito atto a garantire l’immortalità al bambino, la regina si allarmò ed Iside fu costretta ad assumere le sue vere sembianze ed a svelare il vero motivo per cui si trovava nella città. Messa al corrente, Nemano consegnò il sarcofago, che ancora era contenuto nel pilastro d’acacia, alla dea.

Iside tentò vanamente di resuscitare Osiride, ma ne rimase fecondata. Ne nascose quindi il corpo a Buto, mentre qualche tempo dopo partorì Horus e lo allevò in segreto nelle paludi del Delta.
Un giorno Seth trovò il corpo di Osiride. Furibondo, lo smembrò e ne disperse i pezzi per l’Egitto, sicuro che Iside si sarebbe arresa ed infine, per maggior sicurezza, mise Iside e Nefti sotto chiave. Queste vennero liberate successivamente da Selket e altre sette dee, e si misero subito alla ricerca delle parti del corpo di Osiride. Dopo averlo ricomposto lo mummificarono, affinché il dio potesse rinascere nei campi Aaru, una sorta di paradiso egizio. Iside sarebbe poi andata, insieme ai cari di Osiride, nell’Oltretomba per vivere in eterno con Lui.

Sarebbe spettato ad Horus, il figlio di Iside ed Osiride concepito a Biblo, sconfiggere lo zio Seth in una serie di battaglie e divenire faraone.

    • Nut e Geb, genitori di Osiride, Iside, Nefti e Seth, separati da loro padre Shu

  • Un defunto, Ani, si prostra dinnanzi ad Osiride, dietro al quale vi sono Iside e Nefti.

  • Triade divina: Horo, Osiride ed Iside.

  • Horus, figlio di Osiride

Di origine egiziana, il mito fu oggetto di grande culto. Iside e Osiride furono associati alle piene del Nilo, momento di grande festa. Il mito, evolutosi nel corso dei secoli, fu adottato dai romani e dai greci. Ancora oggi nel mondo alcuni credono in questo mito. Essi sono chiamati Kemetisti e formano una vera e propria religione, sebbene fra le meno praticate.

fonte: Wikipedia 

                                                                                                                                                            Lucica

MISTERI D’EGITTO: GOBEKLI TEPE

                                         episodio 2                              

Gli scavi recenti in questo sito hanno portato alla luce il più antico esempio di tempio in pietra, datato tra l’11500 e l’8000 a.C. E sempre in Turchia, a Catal Huyuk, è stata rinvenuta quella che è considerata la più antica città della storia, con file di edifici decorati e ordinati lungo le strade, risalente al 6700 a.C. Anche  Gerico, in Palestina, già nel 7000 a.C. possedeva una cerchia di mura difensive e una colossale torre di pietra con una scala a spirale. Simili civiltà neolitiche così bene organizzate sarebbero state in grado di costruire monumenti di grandi proporzioni come la Sfinge. Forse una civiltà simile era sorta in Egitto e la Sfinge altro non è che il monumento più significativo che è rimasto fino ai giorni nostri.

Gli Egizi credevano di avere appreso dagli dèi le arti e le scienze. Ma molte altre antiche popolazioni raccontavano di popoli dalle origini misteriose che portavano i semi della civiltà. I babilonesi narravano di uno strano essere dalla forma di pesce chiamato Oannes che, a capo di altre creature simili, insegnò loro a scrivere, a praticare  l’agricoltura, a legiferare. I messicani adoravano la memoria di un essere simile a un dio, chiamato Quetzalcoatl (serpente piumato), “venuto dal mare a bordo di una barca che si muoveva da sé, senza ausilio di pagaie“, e che aveva insegnato loro a usare il fuoco, a costruire le case e a vivere in pace.

Chi erano dunque questi misteriosi portatori di cultura che, terminato il proprio compito, sparivano nel nulla?

Lo scopriremo insieme nella prossima puntata.

Lucica Bianchi

ENIGMI DAL PASSATO VISTI CON GLI OCCHI DELLA SCIENZA

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Misteri d’Egitto

(episodio 1)

Chi ha costruito le piramidi e portato conoscenze e tecnologie in tutto il mondo 10 mila anni fa?

Nel 1990, il geologo Robert Schoch dell’Università di Boston condusse un esame della roccia che compone la Sfinge e delle pareti della fossa in cui la statua si trova. La sua conclusione fu che l’erosione delle pareti non era dovuta al vento e alla sabbia, ma all’effetto della pioggia battente per un periodo prolungato. Poiché nel 2.500 a.C., epoca a cui si fa risalire la costruzione della Sfinge, il clima era secco, Schoch localizzò l’erosione in un periodo di piogge intense che colpirono l’Egitto 4.500 anni prima, intorno al 7.000-5.000 a.C. Se fosse così, significherebbe che la Sfinge non fu costruita dagli Egizi, la cui civiltà sorse intorno al 3.200 a.C., ma da una più antica e misteriosa popolazione di cui oggi non sappiamo ancora nulla.

Se solo venisse confermata la circostanza che la Sfinge è stata erosa dall’acqua, ciò basterebbe a sconvolgere le cronologie dello sviluppo storico della civiltà” dice John West, egittologo e sostenitore delle teorie alternative sull’origine della Sfinge. “Porterebbe a una drastica ridefinizione della nozione di progresso sulla quale si basa la cultura moderna. Sarebbe difficile individuare una singola questione con implicazioni più gravi.”

Due altri studiosi di archeologia alternativa, autori di celebri best seller, come Robert Bauval e Graham Hancock, arrivarono a retrodatare ancora di più l’età della Sfinge, fissandola nel 10.500 a.C. Intorno a quell’epoca, infatti, nel mattino dell’equinozio di primavera, la costellazione del Leone sorgeva sull’orizzonte a oriente. Poiché la Sfinge è orientata proprio verso oriente e la sua forma ricorda quella del leone, ai 2 autori citati questi fatti sembrarono tutt’altro che casuali. Può dunque essere esistita una civiltà evoluta precedente agli antichi Egizi? Secondo Schoch sì. Lui afferma: ”Del resto gli archeologi erano sicuri che non fossero esistite culture raffinate prima del 4.000 a.C. Oggi, invece, abbiamo prove di cultura evoluta databile a oltre 10.000 fa in un sito della Turchia noto come “Gòbekli Tepe.”

segue…..