
La Sindone è un documento la cui unicità e irripetibilità dell’immagine è sconvolgente. L’uomo della Sindone è lì, muto, a farci discutere. Presenza enigmatica che attualizza un evento bimillenario.
Il credente è del tutto libero e sereno nella ricerca-ha sottolineato il cardinale Giovanni Saldarini, arcivescovo di Torino e custode della Sindone-mentre l’incredulità potrebbe trovarsi a disagio se, sulla base degli esami storico-scientifici, dovesse essere obbligata a comporsi con la convinzione di avere in mano il vero lenzuolo in cui Cristo fu avvolto.
C’è da considerare che l’accettare o meno l’autenticità della Sindone è proporzionale alla conoscenza delle problematiche ad essa connesse. Il primo approccio di una persona colta ma disinformata nel campo specifico, è forzatamente scettico. Poi, se si supera questo rifiuto iniziale e si approfondisce l’argomento, subentrano il dubbio, la possibilità, lo stupore, la commozione. E’ questo il percorso di tanto studiosi, che dopo aver piegato la mente all’evidenza, hanno piegato le ginocchia alla preghiera.

E’ questo il percorso cui viene invitato il lettore, alla luce di notizie documentate. Scrive il cardinale Saldarini: Comunque sia prodotta la Sindone-è bisognerà pure che questo unicum storico-scientifico, oggi più sorprendente che mai, sia spiegato positivamente dalla scienza attraverso una ricerca interdisciplinare concorde e interiormente libera-per chi la guarda e nello stesso tempo legge i Vangeli è inevitabile l’impressione che offra la descrizione figurativa di quanto essi narrano.
La Sindone ci interpella e ci inquieta. Perciò merita di essere considerata dono di Dio alla Chiesa: il mistero della sua origine continua a richiedere atteggiamento di umiltà e di ricerca, spirituale e storico-scientifica.

La parola “sindone”deriva dal termine greco sindon (tela di lino), che veniva usato nell’antichità per definire una porzione di panno destinato ad un determinato uso, ad esempio un lenzuolo. La Sindone, conservata a Torino da più di quattro secoli, è un grande pezzo di stoffa rettangolare, che misura 4,36 m di lunghezza e 1,10 m di larghezza. Il tessuto, consistente e robusto, è di lino puro di colore giallastro. Dal 1534 è cucito e impunturato su una tela bianca d’Olanda applicata come fodera di sostegno dopo l’incendio del 1532; quest’incendio provocò le bruciature che percorrono tutto il lenzuolo e sembrano incorniciare la doppia figura umana, frontale e dorsale, che vi si scorge.
All’inizio la Sindone era probabilmente più lunga di circa 30 cm: si hanno varie notizie di asportazioni di piccoli frammenti, distribuiti a chiese e monasteri come reliquie. Un bordo di raso azzurro segue il perimetro del lino. Lungo il lato superiore della Sindone, disposta come vuole la tradizione, e cioè con l’immagine frontale del corpo a sinistra di chi guarda, fu cucito nel 1868 dalla principessa Maria Clotilde di Savoia un telo di raso rosso che viene stesso a proteggere l’immagine quando il lenzuolo è riposto nel reliquiario.

Un esperto tessile, Virgilio Timossi, esaminò la Sindone nel 1931: constatò che il lino presenta una manifattura rudimentale. La conferma venne da Silvio Curto, incaricato di Egittologia all’Università di Torino, sovrintendente alle Antichità Egizi, il quale dal 16 al 18 giugno 1969 fece parte di una commissione di esperti che studiò la Sindone per incarico del cardinale Michelle Pellegrino, arcivescovo di Torino. Il lino usato per la fabbricazione della Sindone fu filato a mano. Ogni filo del tessuto, composto di 70-120 fibrille, presenta un diametro variabile e la torcitura “Z”, in senso orario, opposta a quella “S”, antioraria, più comune nell’antico Egitto. Questo elemento fa pensare ad un’origine siro-palestinese: lini con torcitura “Z” sono stati infatti rinvenuti a Palmyra (Siria), Al-Tar (Iraq) e nel deserto della Giudea. L’intreccio del tessuto, anch’esso irregolare, fu realizzato con un metodo arcaico su un telaio manuale molto rudimentale. Esso presenta salti di battuta ed errori.
La Sindone potrebbe risalire benissimo al sec. 1 d.C., dato che, in antiche tombe egizie (Beni Assan, 3000 a.C.), si trovano già raffigurati telai idonei a produrre tale tipo di tela. Il lino veniva tessuto dagli Egiziani in teli di grandi dimensioni. Per quanto riguarda i lenzuoli funebri, è normale che venissero rapidamente distrutti dalla stessa decomposizione dei corpi. In Egitto invece, la mummificazione del corpo e l’applicazione di molteplici bende e fasciature hanno assicurato la conservazione di alcuni lenzuoli tombali.
Un lenzuolo che risale al 1996-1784 a.C., lungo sette metri e stretto come la Sindone, si trova nel Museo egizio di Torino ed è perfettamente conservato. La tela di lino, secondo Curto, fu il tessuto egiziano per eccellenza fino al 111 sec. d.C. E’ probabile che durante la prigionia in Egitto, gli Ebrei abbiano imparato bene l’arte della tessitura. Curto però fa una distinzione sul tipo di “impianto” del tessuto. I panni egizi, infatti, sono quasi tutti lavorati “a tela” ortogonale; il tessuto “a spina di pesce”, invece, è di origine mesopotamica o siriaca. Ai tempi di Gesù questa tecnica era diffusa nell’area medio-orientale ed era largamente usata in Siria. Il tessuto della Sindone deve essere dunque arrivato in Palestina da regioni limitrofe come la Siria, Mesopotamia.
Il famoso scrittore Italo A. Chiusano nota che la figura umana visibile sull’antico lino conservato a Torino non rientra in alcuna stile artistico; nessuno avrebbe potuto realizzare un’opera simile, in nessuna epoca. Ogni immagine del mondo-sottolineava Chiusano-, dai graffiti preistorici ad oggi, reca tracce evidentissime dello stile di chi l’ha fatto, o dell’epoca in cui è nata. C’è un Cristo Romano, un Cristo Gotico, un Cristo Roccocò, un Cristo Astratto. La sacra Sindone, non soltanto non può essere un dipinto, ma non può essere opera né di un francese, né di un bisantino, né di un gotico. Infatti, tutte le altre immagini create dall’uomo, da quelle delle grotte di Lascaux o di Altamira, fino alle creazioni di Picasso o di Salvator Dal’, recano sempre lo stile di un’epoca e di una personalità artistica, mentre la Sindone si sottrae del tutto a questo “sigillo” culturale e formale.
E’ molto difficile scrivere la parola “fine” quando si parla della Sindone. Resta la domanda: “E voi, chi dite che io sia? ” ( Marco 8,29-30)
Per questo la Sindone-ha ricordato Lamberto Schiatti, sacerdote e giornalista- continua ad appassionare l’opinione pubblica, sfidando la scienza e provocando credenti e non-credenti con il fascino di un ,mistero che ciascuno lo vorrebbe definitivamente svelato. Nel silenzio della morte, L’Uomo della Sindone interpella l’umanità come il Cristo duemila anni fa: “E voi, chi dite che io sia?“
Noi sappiamo-ha affermato il cardinale Ballestro-, che nella Sacra Sindone l’immagine misteriosa dell’Uomo crocifisso è sconvolgente. E’un segno al quale possiamo fare riferimento per rendere più viva la nostra meditazione sulla passione e la morte del Signore.
Cosi Giovanni Paolo 11 ha definito la Sindone: Una reliquia insolita e misteriosa, singolarissimo testimone-se accettiamo gli argomenti di tanti scienziati-della Pasqua, della Passione, della Morte e della Resurrezione. Testimone muto, ma nella stesso tempo sorprendentemente eloquente!.
In quella carne miserabile-rifletteva lo scrittore Francois Mauriac-, uscito dal un abisso di umiliazione e di tortura, Dio risplende con una grandezza dolce e terribile e quel volto augusto richiama l’adorazione forse ancor più dell’amore.
E’ nudo. Tutto ha dato per redimerci.
E’ muto. Parlano per Lui le Sue pieghe.
Ci guarda con gli occhi chiusi da dietro quel lino che un giorno ha attraversato. E così ci accoglierà quando noi, a nostra volta, lo attraverseremo.
Lucica Bianchi