TALAMONA 18 dicembre 2015 con Beno alla scoperta delle montagne
RACCONTI, AVVENTURE E IMMAGINI COME UN DOCUMENTARIO IN PRESA DIRETTA
Le montagne sono le cattedrali della terra. con i loro portali di roccia, i mosaici di nubi, i colori dei torrenti e gli altari di neve. Così Lucica Bianchi, assessore alla cultura nel presentare questa serata dedicata appunto alle montagne, un discorso che riprende in parte le parole del comunicato stampa preventivamente diffuso per annunciare la serata medesima, permettendo così a tutti gli appassionati di montagna di poter trovare spazio e momenti di condivisione nell’ascoltare i racconti di Beno, Enrico Benedetti, classe 1979, una laurea in ingegneria elettrica e una sconfinata passione per la montagna alla quale ha dedicato tutte le sue energie attraverso molteplici attività: alpinista, corridore, pastore, scrittore, fotografo, divulgatore ed editore di libri e pubblicazioni sul territorio alpino valtellinese e sulla sua cultura fra cui, sopra tutti, la rivista trimestrale LE MONTAGNE DIVERTENTI, nata nel 2007. Ma è sulla sua attività di fotografo che Beno tende a dare un maggiore accento raccontandola così: “La mia fotografia va di pari passo con il mio modo d’andare in montagna, senza badare alla lunghezza degli avvicinamenti o all’isolamento dei luoghi, e si distingue per scatti in ambienti severi: dalle vette delle montagne, alle creste o alle pareti anche nelle condizioni meteo più strane.” Una serata per approfondire la conoscenza delle nostre montagne durante la quale si è parlato di scialpinismo in occasione dell’apertura della stagione ed è stato presentato il libro ALPI SELVAGGE che racconta l’arco alpino a tutto tondo. Una serata che ha preso il via a partire dalle ore 20.30 alla Casa Uboldi e che è stata ben accolta anche dal sindaco Fabrizio Trivella che questa sera, come lui stesso ha detto nel suo intervento di saluto, non è intervenuto alla serata in veste di amministratore, ma in veste di sciatore, di sci alpinista amatoriale “scio fin da bambino cominciando con la discesa e finendo per convertirmi allo scialpinismo, un modo più spirituale di vivere la montagna. Riguardo a questa serata non si può che apprezzare l’operato dell’assessore Bianchi che accanto a tematiche legate all’arte e alla cultura alta riesce anche a proporre serate come queste, tematiche più godibili da un maggior numero di persone” che infatti riempivano la sala “difficilmente nell’organizzare le nostre serate abbiamo riempito la sala come questa sera” ha osservato ancora il sindaco “dunque significa che il tema è davvero stimolante per tutti”.
A questo punto ha preso la parola Beno stesso cominciando a introdurre il suo racconto “questo doveva essere un incontro di presentazione del libro ALPI SELVAGGE, ma ho pensato di non fare una presentazione classica, di non presentare il libro sempre nello stesso modo e così ho pensato di proporre come corollario una serata sullo scialpinismo per riuscire a vedere un po’ di neve a dicembre quest’anno”.
Il racconto di Beno è cominciato dalla fine si può dire, con una prima presentazione dedicata alle gite da lui effettuate in montagna proprio quest’anno con immagini realizzate in modo anche un po’ grezzo, perché, come lo stesso Beno ha puntualizzato “in montagna si pensa più a sciare che a girare delle immagini”. Ed ecco ora il suo racconto.
La Valtellina secondo me è il paradiso dello scialpinismo perché per il 90% le montagne valtellinesi sono completamente sconosciute e quindi si riesce ancora a fare esplorazione ed è quasi un lusso poter dire questo a 100 km da Milano. Quel che mi piace fare quando vado in montagna è proprio questo, esplorare, conoscere. È molto raro incontrare altre persone durante queste escursioni. La Valtellina, rispetto ad altre zone alpine dove ho viaggiato, ha la splendida particolarità di avere in pochissimo spazio tantissime valli e tantissime montagne, se pensiamo ad esempio alle Dolomiti c’è una singola montagna che la vedi a chilometri di distanza. Qui ci sono montagne con distese infinite di valli. Una volta salita una montagna viene la frenesia di andare alla scoperta delle altre, capire se si può sciare. Le mie escursioni sono spesso il risultato di anni e anni di preparazione e di osservazioni. Bisogna tornare nello stesso posto più e più volte prima di pianificare precisamente l’escursione vera e propria. Il tempo non è buono oppure non si ha tempo, bisogna che questi due elementi vengano a coincidere, bisogna che nevichi per andare a sciare. Per questo ci sono annate buone in cui cadono fino a due metri di neve, come due anni fa e annate meno buone piene di notti serene, che se per tutti sono una gioia, per uno sci alpinista sono un incubo.
Il racconto di Beno era accompagnato sia dalle immagini che dalla musica, sottofondi di musica pop rock a sottolineare la versatilità delle sue passioni.
Finalmente a febbraio di un anno caratterizzato da notti serene e da spolverate (il 2013) il tempo è cambiato. Una bella nevicata consente di partire per un’altrettanta bella gita. Le prime nevicate possono essere pericolose per il rischio valanghe, ma i veri sci alpinisti non le evitano perché per chi ha questa passione sono i momenti migliori.
Le gite classiche
Queste escursioni sono molto diverse dalle gite classiche che possono venire in mente più facilmente a tutti e dunque fanno si che i luoghi siano piuttosto affollati. Un luogo per una gita classica può essere ad esempio Cima Piazzi scendendo da passo del Foscagno che richiede abilità sciistiche di base. Non è un luogo in realtà così frequentato, non è molto facile da trovare, ma è comunque una delle gite più classiche e famose. Un’altra meta classica è punta Cadini che siccome ha poco dislivello quando viene aperta la strada in aprile è trafficata come al supermercato, come in città all’ora di punta. I giorni migliori per godersi questa gita sono quelli infrasettimanali in periodi in cui ha nevicato da poco così da non trovarsi tutti insieme così come accade in val Tartano dove tutti si ritrovano sui medesimi percorsi. Le gite sono bellissime però dover fare la fila anche in montagna non è molto emozionante. In Val Masino poca gente esce dai soliti percorsi montani del Sasso Moro appena sopra gli impianti sciistici di Palù, oppure Pizzo Scalino che conta sulla cima almeno settecento persone di domenica. Da pizzo Scalino la cima regala una splendida vista sulla val di Togna e la val Fontana, due posti eccezionali per chi ama lo sci. Le due cime che ritengo più interessanti sono quelle accanto a pizzo Scalino. Bisogna andarci esplorarle e conoscerle partendo da zero perché non si sa nemmeno come salire, come trovare un percorso, bisogna procedere per tentativi ed errori, riorganizzare più volte. Comunque ne vale la pena.
A questo punto Beno ha presentato due discese da lui effettuate in val Fontana. Nel suo archivio Beno ha i ricordi, le immagini di almeno seicento gite di scialpinismo. Per stasera ha scelto di portare quelle di sci ripido.
La val Fontana è composta da una sfilza di montagne sul cui fondo si intravede Talamona, dunque dalla statale si può intravedere un piccolo brandello di val Fontana. Dal 2004 ho cominciato a pianificare la mia esplorazione della val Fontana, di tutte le cime che vi si trovano. Alcune sembrano appetibili per lo sci, altre, come la vetta di Ron, sembrano totalmente repulsive, però a questa montagna che guarda direttamente il fondovalle valtellinese c’ero particolarmente affezionato allora ho cominciato a condurre i miei tentativi nei modi più strampalati. Nel 2004 decido di voler salire in invernale. Per quanto riguarda l’attrezzatura ero ancora agli albori, equipaggiamento molto artigianale, arrangiato. A cavallo del periodo di Natale il primo giorno affondando nella neve ho battuto traccia fino all’altitudine di 2008 e il giorno dopo sfruttando questa traccia sono salito fino a 3050 raggiungendo quasi la vetta mentre stava scendendo la notte, il che mi ha costretto a tornare indietro. Questi posti sono caratterizzati da pendii adatti più ai camosci che alle persone, ma non ho proprio potuto fare a meno di tornarci nel 2006 col mio amico Matteo approfittando di una splendida nevicata da un metro a novembre. Sulle guide turistiche le informazioni relative alla cima di Ron per quanto riguarda i consigli per escursionisti e sciatori recano “assolutamente da evitare con neve” e questo mi attraeva particolarmente, come una sfida che dovevo assolutamente vincere. In realtà poi questa salita non offriva particolari problemi tranne che per il fatto che era stretta. Dapprima a novembre con Matteo e poi il 26 dicembre da solo per la mia discesa con gli sci. Dopo la val Fontana un’altra montagna che volevo assolutamente sciare era pizzo Calino perché è una montagna strana a forma di tronco di piramide, con la punta piatta grande come un campo di calcio, ricorda un po’ il cratere di un vulcano, come se questo monte fosse un po’ il Vesuvio valtellinese. Credevo di poter scendere questa montagna con gli sci perché la via normale che sale dallo spigolo di destra non ha grandi pendenze soprattutto in presenza di molta neve, però bisognava studiare e aspettare le condizioni ottimali. Ho studiato e osservato dal 2005 al 2008 poi nel 2008 nei giorni di Natale non c’è neve per tre giorni. Cio vuol dire che sulla montagna c’è la giusta quantità di neve senza cornici, le condizioni ideali. Ho fatto la mia escursione il giorno stesso di Natale del 2008 seguita dalla discesa con gli sci lungo il pendio accompagnato da un gruppo di camosci sulla cresta montuosa. Quel giorno ero da solo arrivo al punto dove si lascia la macchina e mi ritrovo impantanato rischiando che salti tutto. Fortunatamente incontro un cacciatore che mi ha aiutato con la macchina poi ognuno è andato per i fatti suoi finchè alla sera ci siamo ritrovati nello stesso momento e nello stesso punto dopo che ho disceso in sciata continua più di duemila metri di dislivello. Di fronte al Calino c’è il monte Combolo. Chi guarda questo monte da Ponte in Valtellina dopo le prime nevicate afferma di vedere sulla parete il volto della Madonna che rende il monte famoso ai credenti del luogo, mentre i non credenti nello stesso punto ci vedono Madonna la cantante. Questa montagna di per sé non è difficile da sciare però ha dovuto aspettare tanti anni perché è pericolosissima per le valanghe. Dalla cima c’è tutto un pendio che scende a quaranta gradi immettendosi in una valle sempre più stretta che infondo diventa un canyon. La pala sud della montagna esposta al sole tende facilmente a scaldarsi e a creare valanghe che scendono fino a valle spazzando via tutto sul loro cammino. Ci sono poche piante disposte a ciuffettini qua e là. A gennaio di due anni fa col mio amico Giovanni abbiamo trovato le condizioni ideali per la gita sognata da tempo, una arrampicata sul pendio seguita da discesa libera con sci. Alla salita vera e propria, il 25 gennaio, è preceduta due giorni prima una salita preliminare per studiare le condizioni della neve. Gli ultimi metri prima della vetta erano più scivolosi a causa del vento che ha fatto ghiacciare la neve. Il mio amico era particolarmente in forma e mi distanziava spesso. Salendo si intravedevano le piste dell’Aprica. Dalla cima si poteva poi intravedere il gruppo del Bernina. La maggiore difficoltà in alto sono le rocce nascoste sotto la neve poi il bello comincia dopo i primi 100 m. una delle più belle emozioni quando si condivide una salita con gli sci è, tanto per citare una frase di un altro mio amico Pietro, arrivare sulla cima per stringere la mano al compagno, come simbolo appunto della condivisione dello sforzo. Un’altra montagna che mi ha fatto dannare è la corna Brutana che si trova nel comune di Tresivio ed è la sua cima più alta che si affaccia sulla Valtellina e si trova vicino alla vetta di Ron e presenta a sud una parete che può sembrare del tutto rocciosa, ma in realtà ha al suo centro un canale nevoso nemmeno troppo ripido che ritenevo sciabile. Il problema di questa parete è che è orientata a sud e questo rende difficile trovare una neve che sia nelle condizioni adatte per consentire una discesa con gli sci. Di solito o la neve è ghiacciata oppure è farinosa con pericolo di valanghe e quindi bisogna aspettare i giorni con pericolo 4 per provare l’escursione. Quando ci sono andato è stato in compagnia di un mio amico di Caspoggio, uno dei migliori sciatori valtellinesi, molto spericolato. Due giorni prima di andare con questo amico, visto che sembravano esserci le condizioni giuste ho provato ad andare da solo, ma una volta in salita la neve si è rivelata non molto stabile. Finalmente arriva il giorno. Una nevicata, seguita da un pomeriggio di sole, l’ideale per una bella gita a quattro con anche le fidanzate in attesa in una piazzola sicura che possono dunque ammirarci dal basso come due puntini sul fianco della montagna. Il segreto dello sci ripido sta tutto nell’atteggiamento mentale, nel superare le paure e acquisire sicurezza in sé stessi. Solo così si evitano errori e dunque anche di farsi male. La cima del monte dava su un canale incuneato che dava il via a tutta una serie di curve e poi ad un tratto ripido. Una volta rientrati dal canale principale tutto diventa più bello e più facile. Un’altra pazzia che avevo in mente da anni era quella di poter sciare la montagna del Painale. Rocciosa e uniforme su tutti i lati più o meno, particolarmente ripida sulla parete nord ovest un’altra che tende ad essere verticale in basso, la parete sud ovest a strapiombo e la parete est dove i primi escursionisti di fine Ottocento erano riusciti a trovare una via, è una montagna che, dopo molte salite, ho ritenuto potesse prestarsi per dare una possibilità anche agli sciatori. Anche questa montagna la salgo con l’amico spericolato di Caspoggio. C’è una speranza per poter sciare probabilmente sulla cresta, ma è ancora da testare. Noi si è ripiegato sulla parete est, non altissima, intorno ai 400 m che però presenta una grossa barra di rocce. Bisognava capire se fosse possibile salire comunque, aggirarla in qualche modo e poi capire come organizzare la discesa con pendenze che si aggirano intorno ai sessanta gradi. Col mio amico saliamo in un giorno in cui la neve non è particolarmente bella, prevalentemente ghiacciata coi passaggi stretti tra le rocce e una discesa che complessivamente metteva in difficoltà con le picozze, ma il mio amico la scendeva a salti con gli sci. Nel complesso e se si esclude la parte finale, il Painale è stata la montagna più difficile tra quelle affrontate. Tra le vette valtellinesi, le Orobie in particolare, la più famosa è il pizzo di Coca dalla cui vetta scende un lungo canalone diretto a nord ovest. Dagli anni Ottanta questo monte è diventato un classico dello sci ripido. Ci si è finiti a fare una gita qui per caso, avendo inizialmente in mente un’altra montagna che però quel giorno programmato per quella gita aveva un notevole rischio valanghe che ha spinto ad optare per il pizzo di Coca esposto a nord con una buona neve al contrario delle esposizioni est con neve troppo instabile. Il canalone di discesa del Coca è molto famoso coi suoi 1200 m di dislivello in sci ripido, un must per gli specialisti di questa disciplina da provare almeno una volta nella vita, ma anche due o tre con la neve bella come quella di quel giorno. La montagna che si era pensato di scalare originariamente era il pizzo di Scotes, la sesta cima più alta delle Orobie con una pala rivolta a nord ovest molto ripida che scende fino a digradare in un vallone della Piota, un vallone che sfocia su delle cascate di ghiaccio. In un’annata eccezionale come il 2014 le cascate di ghiaccio erano ridotte ad una striscia di una ventina di metri e per il resto era tutto sciabile allora finalmente è arrivato l’anno scorso il momento anche per la gita allo Scotes che si può osservare da Teglio con un binocolo per studiarlo e programmare l’escursione. La cima è preceduta da un avvallo ripidissimo ma prima di raggiungerlo c’è un tratto più pianeggiante con una barra di rocce. Mi è capitato di leggere schede tecniche che riportavano temperature di quaranta gradi, ma sono state redatte da persone che qui non sono mai salite. Io e il mio amico Giovanni salendo abbiamo trovato una cima dalla neve immacolata cui è seguita una discesa molto ripida. La ripidità si può dedurre dagli spostamenti della neve. Una difficoltà nello sci ripido consiste nel saper scegliere l’attrezzatura corretta che non deve essere mai troppo leggera, ma affidabile. Chi risparmia sul peso deve essere abilissimo a sciare perché l’attrezzatura leggera è sottoposta a maggiori sollecitazioni ambientali. Una volta discesa la parte alta del vallone, ritorno alle cascate da fare sempre in discesa e dopodiché il percorso si snoda in mezzo ad un labirinto di grossi massi. Questa montagna è visibile dalla valle e vedendola si può notare chiaramente che è adatta ad essere sciata. Nonostante questo non si trova mai nessuno lassù e neanche nei valloni vicini eppure vi sono zone su questa montagna che non richiedono neppure troppo sforzo per essere sciate. Una volta chiusa questa esperienza la mia attenzione si è concentrata sulla Val Malenco dove si trova una montagna caratterizzata da rocce scure e cime repulsive, il pizzo di Recastello di 2888 m che sorge completamente in terra bergamasca sul retro della valle. col mio amico di Caspoggio molto spericolato l’abbiamo raggiunta direttamente dalla Valtellina con gli sci. Particolarmente interessante per la discesa, la parete nord. L’itinerario seguito è stato particolarmente lungo, dal passo di Bondone si scende al lago del Marmellino e da li si risale alla cima di Recastello. Il tutto con un dislivello di 3004-3005 m. Il mio amico qui è stato particolarmente spericolato scegliendo per la discesa un percorso pieno di rocce che non si sapeva bene come andava a finire. Restando sulle Orobie una cima molto interessante è il Medasc caratterizzato da sette picchi frequentati soprattutto d’estate per discese alpinistiche, ma io volevo provare a fare una discesa con gli sci. Nel 2012 si comincia a provare la traiettoria di sinistra un po’ stretta. Ci si ritorna un’altra volta nel 2014 e ci si accorge che questa via è piena di voragini così il mio amico Giovanni decide di optare per la via di destra caratterizzata da tutta una serie di placche rocciose inaccessibili su cui però si può scendere quando si deposita la neve sopra. Questa non è stata la discesa più difficile del 2014, ma è stata la più pericolosa per via della nutrita presenza di ghiaccio che rendeva la neve dura e compatta come marmo. Non sempre intestardirsi per voler scendere a tutti i costi una montagna comporta dei buoni risultati. Il corno di Braccia l’avevo salito in tutti modi. Nelle guide moderne nessuno diceva che c’era un accesso sulla parete nord. In un libro di fine Ottocento ho letto di alcuni pionieri che partiti da Sondrio che un passaggio lo hanno trovato, ma è un canaletto stretto difficile da scovare. Subito non l’ho trovato nemmeno io quando sono andato apposta a cercarlo. Dopo un mesetto decido di tornare e riprovarci, ma mi sono scontrato con una grande valanga, c’erano persino i gipeti che volteggiavano e io mi sono trovato li vicino al versante che veniva trascinato a valle. le valanghe spesso hanno una velocità pari a quella di una persona che cammina, ma questo non impedisce loro di trascinare tutto con se. E mentre si stava li ad osservare la valanga il gipeto portava via a poco a poco i pezzi di una carcassa, forse proprio quella di un animale morto travolto dalla valanga. Questo gipeto insieme ad un altro esemplare sono la prima coppia di gipeti insediatisi in Val Malenco dopo anni in cui erano estinti sterminati dalla superstizione popolare, soprattutto dei pastori che temevano di vedersi portare via gli agnelli. Appena al di là delle creste della Valmalenco, una valle rinomata per lo scialpinismo, si trova un’altra valle, la Val di Forno che dal Maloja si incunea fino ai versanti settentrionali della Val Masino. Un posto incredibile per lo sci che si può raggiungere in camminata da Chiareggio. Dietro monte del forno c’è passo Vatseda e dietro ancora vari versanti tra cui la discesa della cima di Rosso. Al nostro amico spericolato dei salti un po’ troppo temerari rompono gli sci a percorso appena iniziato. Si procede lungo valle Rosso finchè da lontano si vede arrivare qualche perturbazione e allora si va verso nord della cima di Rosso coi suoi 45-50 gradi di dislivello che l’amico temerario ha disceso con uno sci legato con lo scotch, ma poi ha fatto seguito un’altra avventura sul pizzo del Torrone Centrale con un versante ripido che scende sul versante nord la cui difficoltà è un crepaccio terminale di 6-7 m. Nel 2014 è arrivata molta neve che ha chiuso il crepaccio così la salita è stata possibile, dopo aver fatto quella della cima di Rosso. Io col mio amico temerario partendo dalla Val Malenco, mentre altri due amici sono partiti dal Maloja finchè ci siamo trovati in mezzo alla valle alle 7.30 di mattina perché qualcuno doveva andare a lavorare. Una valle enorme che dalla fine dell’Ottocento si è abbassata mediamente di 180 metri di spessore. Li l’amico temerario ha voluto gareggiare con un gruppo di ragazzi accampati nella valle per girare un documentario sullo sci ripido. Solo che loro avevano degli sci più spessi e specifici lui degli sci più standard. Lui così si ribalta due volte e la seconda perde uno sci. Così gli presto un mio sci. In salita sono andato io con uno sci solo e poi lui è sceso dal pendio con uno sci solo. Oltre a questa piccola selezione il nostro territorio presenta altre mete sciistiche interessanti, in val Masino, il Canal Corto, una cresta rocciosa su cui si scia nel lato che rimane dietro, io con un amico ci sono andato nel 2009, una discesa ripidissima che è sempre sul dosso piano, ma con una barra di rocce che protegge l’altopiano sommitale. Una neve che sembrava glassa, nonostante tutto faceva caldo perché l’estate era alle porte. E poi il Ligoncio sciata dopo un po’ di salite a piedi e due tentativi. Il vero sci estremo è questo: trascinarsi per tre ore sugli sci per sciare effettivamente solo un’ora e mezza incontrando ostacoli climatici come la grandine e cercando di individuare la traiettoria migliore, tenendo conto che alcuni passaggi sono particolarmente problematici, strettoie, barre di roccia. Nulla che potesse spaventare il mio amico temerario che scivolava tranquillo tra curve e passaggi stretti distanziandomi parecchio. In questo sta l’essenza dello sci. La val Masino offre altre cime interessanti, due tutte vicine su cui sono salito e sceso. La cima della Moldasca o ferro centrale (le cime infatti sono le cime del ferro) poi c’è il ferro orientale con salita a S. La Moldasca reca dietro i colossi del Cingalo del Badile tra l’Italia e la Svizzera. Io l’ho fatta da entrambe le parti e la cosa più lunga è il ritorno coi mezzi pubblici più che i 2500 m di dislivello. Per quanto riguarda il ferro orientale, esiste una guida di scialpinismo che dice che questa cima si raggiunge facilmente dalla cresta, ma in realtà la salita si è rivelata ardua così sono tornato indietro accontentandomi della salita fatta l’inverno prima da un’altra parte.
Ma le gite sono troppe per raccontarle tutte e dunque a questo punto Beno è passato alla presentazione del libro.
Alpi selvagge
Questo libro è il prodotto degli sforzi congiunti di 17 fotografi e di due autori di testi con lo scopo di fare un omaggio all’arco alpino, in particolare le 24 cime ritenute più rappresentative associando a ciascuna cima una specie animale anch’essa ritenuta rappresentativa, una sorta di simbolo per ciascuna cima descritta. L’intero arco alpino è molto lungo. Si parte dal colle di Caribona in Liguria fino a Vienna. Le montagne richiedono una trattazione molto vasta, anche perché di ogni montagna, come Beno ha fatto notare raccontando le sue avventure sulla neve e le cime, c’è moltissimo da dire, infiniti dettagli e curiosità. Ed è proprio la descrizione di una sfaccettatura diversa di ogni montagna la parte che Beno ha avuto nella realizzazione di questo libro, che stasera è stato presentato avvalendosi di una presentazione realizzata con una scelta di foto tratte dal libro medesimo. Il tutto partendo da una domanda: perché una montagna può risultare più famosa o più importante delle altre? Magari perché tale montagna ha una forma bellissima oppure per le storie degli uomini che sono saliti, che hanno fatto della conquista di quella specifica vetta la loro missione o per gli animali che ci vivono, per i particolari fenomeni geologici o climatici che vi si verificano o magari per la presenza di ghiacciai dalle proporzioni inimmaginabili.
Il viaggio del libro parte da un gruppo di monti nelle alpi Liguri famose per il loro interno con 40 mila chilometri di grotte calcaree. Una montagna in questa parte dell’arco alpino è divenuta tristemente famosa quando nel 2012 vi si è disperso il primario di chirurgia di Lecco durante un’escursione ed è stato ritrovato morto qualche tempo dopo, un paio d’anni dopo per la precisione con i due amici saliti con lui. Si diceva all’inizio che sono stati associati degli animali ad ogni montagna trattata. Un’associazione non facile perché gli animali tipici delle alpi sono presenti un po’ su tutto l’arco alpino e dunque a volte le associazioni sono state casuali. In alcuni casi invece come in quello del Gran Paradiso l’associazione è stata d’obbligo. Il Gran Paradiso di per sé non ha niente di che. In alcune descrizioni di inizio Novecento si legge che “ha roccia, ma non troppo, ghiaccio, ma non troppo, è alta ma non troppo, gli italiani ci tengono particolarmente semplicemente perché si tratta dell’unico Quattromila delle alpi che sorge completamente in territorio italiano”. L’animale rappresentativo di questo monte non poteva che essere lo stambecco. A fine Ottocento questi animali erano stati quasi completamente sterminati per delle stupide credenze come quella di un ossicino che gli stambecchi hanno vicino al cuore che preserverebbe dalle malattie cardiache improvvise o quella delle corna afrodisiache (un luogo comune che riguarda molti animali e anche per parti diverse dalle corna ndr), insomma per un motivo o per l’altro questi animali erano diventati trofei di guerra e pure in Svizzera non ce n’era più neanche uno. Essendo trofeo ambito, il re ne voleva un po’ per sé da cacciare. La sua riserva di caccia è diventata il nucleo di quello che oggi è il Parco Nazionale del Gran Paradiso, creato negli anni Venti del Novecento e preservato ora non più dalle guardie reali ma dal Corpo Forestale dello Stato. Gli stambecchi viventi oggi sono tutti discendenti di quei pochi esemplari preservati dal re per la sua caccia personale. Lo stambecco è uno splendido animale perfettamente adattato ai pendii ripidi coi loro zoccoli che si aprono sul davanti. L’età di uno stambecco si stabilisce contando i nodi sul corno. A me recentemente è capitato di trovare un corno (senza cervo perché capita che li perdono) con 27 nodi. Un nonno stambecco. Parlando delle alpi questa sera vi accennerò le principali. Il Monte Bianco, la più alta dell’arco alpino (ma non la più alta d’Europa perché recentemente ho scoperto che questo primato va ad un monte dell’Europa Orientale che mi pare stia sul Caucaso il Monte Ebron ndr) eccezionale sotto ogni punto di vista; altezza a parte un dato interessante è la cima, una cupola di ghiaccio che si trova a una quarantina di metri più in alto rispetto alla cima rocciosa e quaranta metri più ad ovest per via dell’azione dei venti. La storia della prima salita del monte a fine Settecento è particolarmente interessante. Erano stati promessi dei soldi a chi ci fosse riuscito da uno scienziato di Ginevra cui occorreva che qualcuno arrivasse in vetta per poter fare delle verifiche sperimentali sul barometro di Torricelli. Dopo ventisei anni due giovani riescono ad arrivare in vetta e lo scienziato che stava ad osservarli da lontano col binocolo per essere sicuro che tutto si svolgesse in regola ha chiesto che i due l’anno successivo lo accompagnassero, resosi conto che la salita non presentava particolari problemi. Una salita eccezionale perché questo scienziato si è portato dietro di tutto. Diciassette portatori che recavano damigiane di vino, tenda, un piccolo laboratorio scientifico per gli esperimenti in vetta, il suo letto e addirittura una stufa a legna. Essendo il monte Bianco dunque il monte più alto di tutti ed essendo che una funivia ne raggiunge facilmente le pendici ormai, ai giorni nostri ci salgono milioni di turisti ogni anno dunque il monte Bianco purtroppo non è più un posto dove fare esplorazione perché, sebbene sia un massiccio grandissimo c’è sempre tantissima gente. Io ci sono stato col mio amico Giovanni che in questo modo concludeva la sua esplorazione dei Quattromila delle alpi con cinque creste appunto situate sulla vetta principale del monte Bianco. Sulla cima del monte Bianco, abbiamo scoperto, non solo c’è molta gente, ma è tutta gente che lascia “ricordini” come quelli dei cani per le strade delle città, ma per accamparci siamo comunque riusciti, fortunatamente, a trovare un punto tutto con la neve bianca. Sulla cima dove saremmo dovuti salire ad un certo punto c’era un elicottero che portava via da quella stessa cima un gruppo di alpinisti come fossero delle salsicce. Il mattino dopo ci avviamo per la Cresta del Diavolo per raggiungere le famose cinque creste rocciose caratterizzate da un granito rosso, ruvido, generalmente solido, dove si alternano appunto passi di roccia a selle di neve e ghiaccio. All’inizio siamo soli, ma poi siamo raggiunti da carovane di gente; lì infatti le guide vengono pagate profumatamente per portare clienti e dunque la montagna diventa luogo di buisness, anche d’avventura ma regolata, dove tutti vanno negli stessi punti a fare le foto ricordo di fretta perché sono molti i gruppi che salgono. Una volta che noi raggiungiamo la cresta da scendere poi a corda doppia si sale si riscende un po’ di volte fino ad arrivare al punto dove avevamo visto l’elicottero che portava via come dei salsicciotti gli alpinisti. Arrivati li si scopre che è una calata nel vuoto da cui non ci si riesce più a liberare se non arriva appunto l’elicottero. Quando siamo arrivati c’era un gruppo di tedeschi che si stavano calando. L’ultima cresta rischiava di non essere conquistata per via della presenza di un ricordino particolarmente sovradimensionato che però non ha scoraggiato il mio amico dal compiere la sua impresa, la parte più coraggiosa di tutta la traversata. Dopo il monte Bianco non poteva mancare il Cervino, forse la montagna più bella delle alpi cui sono legate molte storie di alpinisti che l’hanno scalata, storie a volte tragiche; quella però cui la montagna è associata nell’immaginario collettivo è l’impresa di Walter Bonatti, la scalata della parete nord, un’impresa voluta per ricordare un gruppo di alpinisti che, cento anni prima, proprio su quella parete sono morti mentre erano di rientro dalla conquista della vetta: erano legati insieme in una cordata, è bastato che uno scivolasse per far precipitare tutti, tranne tre alpinisti che si sono salvati perché la corda (che a metà Ottocento era di canapa) si è rotta così loro non sono stati trascinati. Anche un altro monte, lo Iunfrao è associato ad imprese alpinistiche tragiche, ma è famoso soprattutto per l’imponente ghiacciaio dell’Aresh il più grande ghiacciaio delle alpi che è solo uno dei ghiacciai che occupano i vari versanti di questa montagna. I dati di questo grande ghiacciaio sono impressionanti: grande come 12 mila campi da calcio, 900 m di spessore nel punto più spesso e se pensassimo di mantenere l’attuale popolazione mondiale sciogliendone le acque ponendo che ogni abitante del mondo beva un litro di acqua al giorno, con l’acqua di questo ghiacciaio l’umanità potrebbe sopravvivere sei anni. è impressionante soprattutto se si considera il progressivo assottigliamento dei nostri ghiacciai che ormai non basterebbero al fabbisogno di una famiglia media per una settimana. Per quanto riguarda le montagna Valtellinesi nel libro c’è il pizzo Badile cui è associato il gallo Cedrone. Poi abbiamo il pizzo Bernina che è l’ultimo Quattromila delle Alpi a est delle stesse con una vasta distesa di neve mista a ghiaccio, la più vasta di tutto l’arco alpino. C’è poi la cima che porta alle Dolomiti con le loro rocce chiare i cui effetti cromatici si possono apprezzare in particolar modo all’alba e al tramonto. Sulle Dolomiti soggiorna spesso il nostro fotografo di punta, un ragazzo che ha realizzato la maggior parte degli scatti li ha fatti tra i diciannove e i vent’anni, un grande appassionato con una tecnica eccezionale, è riuscito, con mesi di appostamenti in tenda o in capanno, ad immortalare gli animali più difficili, uno di quei fotografi che cercano di acquisire confidenza con gli animali da fotografare cercando di scomparire nell’ambiente, di mimetizzarsi al punto tale che gli animali giungono a considerarli come parte dell’ambiente, come se fossero rocce o alberi e poi usando varie tecniche ingegnose. In questo modo ha fotografato i cuculi, che depongono le uova nei nidi di altre specie che diventano genitori adottivi a tempo pieno, anche perché, una volta che il cuculo esce dall’uovo, butta fuori dal nido le uova e gli eventuali altri piccoli che vi trova al suo interno; ha fotografato anche il martin pescatore un bellissimo uccello dal piumaggio azzurro e arancione un po’ cangiante, difficile non solo da fotografare, ma anche da avvistare perché è molto veloce. Per scovarlo bisogna seguirne un esemplare per un po’ e conoscere le sue abitudini. Si tratta infatti di un uccello abitudinario che caccia sempre nello stesso posto e si mette sullo stesso rametto a mangiare il pesce che ha catturato, perché è di pesce che si nutre. Il nostro fotografo, Jacopo, ha passato mesi a fare amicizia col martin pescatore fino appunto, come dicevamo prima, ad apparire come un elemento del paesaggio, nascosto nel suo capanno, mentre studiava le tecniche migliori per catturare i momenti significativi. Ha montato la macchina fotografica su una slittina galleggiante, ha costruito gabbie di vetro da mettere sottacqua collegata ad un cavo di scatto remoto lungo otto metri. Naturalmente i fotografi (e non solo quelli di natura) devono fare tantissimi scatti per ottenerne uno solo che è quello giusto, perfetto, che si trova nel mucchio e neanche sempre c’è (conosco addirittura un fotografo che si occupa di altri generi, ma che dice sempre che se una persona che vuol fare questo mestiere riesce a realizzare nell’arco di tutta la vita cento scatti ottimi è un bravo fotografo, questo per dire che bisogna puntare sulla qualità e non sulla quantità, pochi ma buoni insomma ndr). Dallo scatto perfetto però si può notare la particolarità di questo animale, una membrana che gli copre gli occhi rendendoli impermeabili e permettendogli dunque di immergersi. Nel libro c’è tutta la foto sequenza (mostrata anche nella presentazione proiettata ndr), immersione, cattura del pesce, consumazione del pasto. In generale tutte le foto di animali che si trovano nel libro sono opera di Jacopo e sono di una qualità eccezionale. Bisogna tenere conto che Jacopo, che lo ricordiamo è un ragazzo di poco più di vent’anni, pubblica per TIME, NATIONAL GEOGRAPHIC è uno dei più bravi fotografi d’Italia. Restando sulle Dolomiti parliamo della cima della Marmolada, che ci fa conoscere un altro ragazzo prodigio. Un ragazzo che a ventitré anni è salito per una via molto difficile sulla montagna con pochi attrezzi senza dire nulla a nessuno, una via molto rocciosa di 1200 m di dislivello. Altri alpinisti lo hanno visto salire quasi allo sbaraglio da solo, nel libro c’è pure una parte di un’intervista che questo ragazzo ha rilasciato in seguito in cui dichiara che la via non è difficile ci sono solo un paio di strapiombi che richiedono attenzione e accorgimenti particolari. Uno strapiombo che si apre su 600 m di vuoto che va saltato avendo dall’altra parte un appiglio largo un dito. Comunque questo ragazzo è ancora vivo e sta continuando a fare questo tipo di scalate con una tecnica davvero sopraffina. È un ragazzo straniero dal nome impronunciabile che a vederlo sembra il classico secchione della classe timido e occhialuto per nulla portato all’attività fisica ed è invece tra i cinque più forti rocciatori al mondo con un forte autocontrollo. Nel libro si incontrano anche le tre cime di Lavaredo (una splendida foto con la via Lattea sullo sfondo), poi le montagne su cui Messner ha mosso i primi passi e poi arriviamo alla montagna più orientale dell’arco alpino che sorge vicino a Caporetto, località divenuta tristemente famosa durante la Grande Guerra, una piana dritta di pascolo senza capannoni. La cosa che mi è piaciuta di più di questa terra quando l’ho visitata sono i fiumi che escono di colpo dalla montagna con un’acqua talmente trasparente che la si nota solo sentendo il bagnato sui piedi. Il Trigla, la montagna più orientale dell’arco alpino è anche la montagna nazionale della Slovenia caratterizzato da un fenomeno ottico spettacolare chiamato fantasma di Broken che io sono riuscito a vedere appena ci sono andato. Per vederlo bisogna avere il sole basso alle spalle e la nebbia di fronte. Si tratta di una sorta di arcobaleno circolare con l’immagine di chi sta osservando come stampata in mezzo. Alzando le braccia, nel riflesso di questa immagine compaiono lunghissime. La particolarità è che ognuno vede solo il suo fantasma di Broken. Se voi state osservando il vostro fantasma di Broken e c’è in quel momento una persona accanto a voi, il vostro non lo vede, è tutta una questione di posizione e di gradi, basta essere sfasati di pochissimo per non vederlo più. Io ho scoperto questo fenomeno su un libro di fine Ottocento che racconta di una spedizione in val di Togno di Bruno Galli Valerio con altre persone tra cui tre cacciatori che raggiunse il passo del Forame; arrivati in cima, fucile alla mano per via degli orsi, raccontano di vedere tre fantasmi cui puntano il fucile, ma che a loro volta puntavano il fucile verso la spedizione. Da quando l’ho letto l’ho visto 10 volte perché a quel punto sapevo dove guardare, è facile ovunque ci sia nebbia bassa. Per chi è appassionato di fotografia, una piccola curiosità: il fantasma di Broken è difficile da fotografare e lo è per un motivo preciso ed è che, essendo un’illusione ottica non ha una posizione precisa nello spazio una profondità e dunque la macchina fotografica non può determinare la profondità di campo, regolare la messa a fuoco. Dunque le foto non rendono mai davvero la reale bellezza di questo insolito fenomeno.
Il momento dell’acquisto dei saluti e degli autografi
A questo punto Beno ha concluso, il suo ricco racconto dando alcune informazioni di servizio. Il libro presenta tre copertine diverse più una quarta in edizione limitata, una per ogni zona delle alpi. Per chi fosse stato in ritardo coi regali di Natale era possibile acquistare tre copie a 50 euro dunque un prezzo inferiore di quello di ogni copia singola che era 20 euro.
Dopo la presentazione di Beno, l’assessore Lucica Bianchi ha voluto condividere i pensieri personali suggeritigli dall’ascoltare gli avventurosi racconti delle gite in montagna, ha voluto in particolar modo mettere l’accento sul senso di libertà che le montagne sanno trasmettere, sottolineando che lei non ci va come alpinista.
In sala tra il pubblico erano presenti anche gli amici di Beno coprotagonisti delle sue avventure che sono stati dunque omaggiati (grande assente lo sciatore spericolato) e poi è venuto il tempo del dialogo, delle domande, dei libri da comprare con le dediche che Beno si è offerto gentilmente di fare.
La fidanzata di Beno vendeva i libri e ha portato alcune copie della rivista MONTAGNE DIVERTENTI così mi è venuto di chiedere qualche delucidazione sull’iter che ci vuole per fondare e portare avanti una rivista. Un grosso impegno. Bisogna andare in tribunale, fare la registrazione, avere un pubblicista che faccia da direttore responsabile, avere soldi da investire per la stampa, avere un locale dove stampare che non per forza deve essere una tipografia vera e propria purchè sia registrata legalmente come sede, bisogna avere dei bravi collaboratori che abbiano voglia di lavorare, che consegnino i pezzi in tempo, compatibilmente con i tempi della stampa. C’è stato un periodo nella storia in cui si fondavano riviste a gogò. Oggi si aprono blog e siti, ma anche in questo caso c’è tutto un iter dietro. Per quanto riguarda le avventure di Beno mi restava un’ultima curiosità mentre mi firmava la mia copia del libro. Sarà stato nella zona dove fu ritrovata la mummia del Similaun? Risposta. No. Magari una prossima gita. E chissà, una prossima serata.
Antonella Alemanni