IL TESORO DI PIETROASA

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The Pietroasele Treasure (or the Petrossa Treasure) found in Pietroasele, Buzău, Romania, in 1837, is a late fourth-century Gothic treasure that included some twenty-two objects of gold, among the most famous examples of the polychrome style of Migration Period art. Of the twenty-two pieces, only twelve have survived, conserved at the National Museum of Romanian History, in Bucharest: a large eagle-headed fibula and three smaller ones encrusted with semi-precious stones; a patera, or round sacrificial dish, modelled with Orphic figures surrounding a seated three-dimensional goddess in the center; a twelve-sided cup, a ring with a Gothic runic inscription, a large tray, two other necklaces and a pitcher. Their multiple styles, in which Han Chinese styles have been noted in the belt buckles, Hellenistic styles in the golden bowls, Sasanian motifs in the baskets, and Germanic fashions in the fibulae, are characteristic of the cosmopolitan outlook of the Cernjachov culture in a region without defined topographic confines.


More about the treasure and the bowl at http://www.videoguide.ro/tezaurul-ist… und http://romanianhistoryandculture.webs.

Il Tesoro di Pietroasele (o Tesoro di Petrossa), ritrovato nel 1837 a Pietroasele,Romania, risale al IV secolo ed è composto di ventidue oggetti gotici comprendenti alcuni manufatti in oro. È considerato uno dei migliori esempi di stile policromo di arte barbarica.

Il tesoro originale, scoperto all’interno di un tumulo noto come Istriţa, nei pressi di Pietroasele, Romania, consisteva di 22 pezzi, compreso un grande assortimento di oggetti in oro, piatti e coppe oltre alla gioielleria, e due anelli completi di iscrizioni runiche. Quando fu scoperto, gli oggetti erano tenuti insieme da una non identificata massa scura, il che porta a credere che il tesoro sia stato ricoperto da qualche genere di materiale organico (ad esempio tessuti o pelle) prima di essere interrato. Il peso totale del tesoro era di circa 20 kg.

Dieci oggetti, tra cui uno dei due anelli, furono rubati poco dopo il ritrovamento. Quando i restanti oggetti furono ritrovati, si scoprì che l’altro anello era stato tagliato in almeno quattro parti da un orafo di Bucarest, ed uno dei caratteri runici era irrimediabilmente rovinato. Fortunatamente sono sopravvissuti dei disegni dettagliati, un calco in gesso ed una fotografia fatta dall’Arundel Society di Londra, il che ha permesso di stabilire l’identità del carattere perduto con relativa sicurezza.

Gli oggetti rimasti nella collezione mostrano un’altra qualità dell’artigianato, tanto che gli studiosi dubitano che gli oggetti abbiano origini locali. Isaac Taylor (1879), in uno dei suoi primi lavori parla della scoperta, ipotizzando che gli oggetti potrebbero rappresentare parte di un bottino recuperato dai Goti durante le scorribande in Mesia e Tracia (238-251). Un’altra delle prime teorie, probabilmente la prima proposta da Odobescu (1889) e ripresa da Giurascu (1976), identifica Atanarico, re pagano dei Tervingi, come probabile originario proprietario del tesoro, presumibilmente acquisito grazie al conflitto con l’imperatore romano Valente nel 369. Il catalogo Goldhelm (1994) suggerisce l’ipotesi che gli oggetti possano essere visti come un regalo fatto dai capi romani ai principi germanici alleati.

Recenti studi mineralogici svolti sugli oggetti indicano almeno tre differenti origini geografiche per l’oro utilizzato: Urali meridionali, Nubia(Sudan) e Persia. L’ipotesi dell’origine Dacia per l’oro è stata esclusa. Nonostante Cojocaru (1999) rifiuti la possibilità che monete romane siano state fuse e forgiate per dare vita a questi oggetti, Constantinescu (2003) giunge alla conclusione opposta.

Una comparazione della composizione mineralogica, delle tecniche di fusione e forgia, ed analisi tipologiche indicano che l’oro venne usato per creare le iscrizioni runiche all’interno dell’anello, classificate come celto-germaniche, non è puro come quello usato solitamente dai greco-romani, né quello in lega usato per gli oggetti germanici. Questi risultati sembrano indicare che almeno parte del tesoro (tra cui l’anello) venne creato con oro estratto nel nord della Dacia, e potrebbe quindi rappresentare oggetti in possesso dei Goti prima della migrazione verso sud (appartenenti alla Cultura di Cernjachov). Dato che queste ipotesi possono sembrare dubbie per la tradizionale teoria dell’origine romano-mediterranea dell’anello, ulteriori ricerche sono necessarie prima di dichiarare con certezza da dove proviene il materiale usato per la costruzione.

Come per molti altri ritrovamenti dello stesso tipo, resta incerto il motivo per cui gli oggetti siano stati posti nel tumulo nonostante siano state avanzate ipotesi plausibili. Taylor afferma che il tumulo in cui sono stati ritrovati gli oggetti era probabilmente la sede di un tempio pagano, e che secondo l’analisi delle iscrizioni rimaste faceva parte di un’offerta votiva che farebbe pensare ad un paganesimo ancora attivo. Nonostante questa teoria sia stata ignorata per molto tempo, le recenti ricerche,  hanno dimostrato che tutti gli oggetti rimasti hanno un “carattere decisamente cerimoniale”. Particolarmente importante è la patera decorata con disegni di divinità probabilmente germaniche.

L’ipotesi secondo cui gli oggetti sarebbero di proprietà di Atanarico suggerisce l’idea che l’oro fosse stato sepolto nel tentativo di nasconderlo agli Unni, che avevano sconfitto i Grutungi a nord del Mar Nero, iniziando a spostarsi nel 375 verso la Dacia abitata dai Tervingi. Resta comunque incerto il motivo per cui l’oro sia rimasto sepolto, dato che il trattato di Atanarico con Teodosio I (380), gli permise di assicurare al suo popolo la protezione dei Romani prima della sua morte, avvenuta nel 381. Altri ricercatori hanno suggerito che il tesoro fosse appartenuto ad un re ostrogoto che Rusu (1984) identifica con Gainas, generale gotico dell’esercito romano ucciso dagli Unni attorno al 400. Nonostante questo possa spiegare il motivo per cui il tesoro non sarebbe stato dissotterrato, non spiega perché un vistoso tumulo sia stato scelto per contenere un così ricco tesoro.

Sono state ipotizzate numerose datazioni per la sepoltura del tesoro, spesso derivate da considerazioni riguardo l’origine degli oggetti stessi ed il tipo di sepoltura, nonostante l’iscrizione sia stato uno dei fattori più importanti. Taylor considera un intervallo tra il 210 ed il 250. Studi più recenti hanno portato gli studiosi a spostare leggermente in avanti la datazione. Coloro che sostengono l’ipotesi di Atanarico parlano della fine del IV secolo, data proposta anche da Constantinescu, mentre Tomescu data il tesoro all’inizio del V secolo.

Dei ventidue pezzi, solo dodici sono sopravvissuti, conservati oggi presso il Museo Nazionale di Storia della Romania, a Bucarest: Una grande fibula con testa d’aquila e tre più piccole, tutte tempestate di pietre semi-preziose; una patera o piatto sacrificale, modellato con figure orfiche, che circondano una dea tridimensionale seduta; una coppa a dodici lati, un anello con un’iscrizione runica gotica, un grande vassoio, due collane ed una brocca.

I loro molteplici stili comprendono caratteristiche tipiche della dinastia Han cinese (fibbie per cinture), dell’Ellenismo (bocce in oro), motivi Sasanidi (cesti) e aspetti germanici(fibule). Questa varietà è tipica dell’aspetto cosmopolita della cultura di Cernjachov, in una regione senza confini topografici definiti.(approssimativamente odierna Ucraina e Bielorussia).

Quando Alexandro Odobescu pubblicò il suo libro sul tesoro, affermò che questo magnifico lavoro sarebbe potuto appartenere solo ad Atanarico (morto nel 381), capo dei Tervingi, uno dei popoli Goti. I moderni archeologi non sono in grado di collegare il tesoro a questo nome altisonante.

Il tesoro venne mandato in Russia nel dicembre 1916, quando l’esercito tedesco avanzò attraverso la Romania durante la prima guerra mondiale, e venne restituito solo nel 1956.

Lucica Bianchi

Note, fonti e bibliografia

La fotografia della Arundel Society, rimasta sconosciuta agli studiosi per circa un secolo, venne ripulita da Bernard Mees nel 2004.Cfr. Mees (2004:55-79). Per altre informazioni sulle prime vicende del ritrovamento, vedere Steiner-Welz (2005:170-175)

Taylor (1879,80) scrisse: “Il grande valore intrinseco dell’oro sembra indicare una provenienza di bottino di una grande vittoria e potrebbe trattarsi del saccheggio del campo dell’imperatore Decio, o del riscatto della ricca città di Marcianopoli”. Per altri studi sull’iscrizione vedere Massmann (1857)

Op.cit. Odobescu (1889), Giurascu (1976), Constantinescu (2003), Tomescu (1994)

Constantinescu (2003) descrive l’oggetto come “una patera con rappresentazioni di dei pagani (germanici)”. Analizzando l’immagine della patera Todd (1992) scrive: “al centro si trova una figura femminile su un trono circolare, con un calice nelle mani a coppa. Il fregio circolare rappresenta un gruppo di divinità, alcune in vesti classiche, altre con attributi più tipici dei pantheon germanici. Un potente dio maschio brandisce mazza e cornucopia, e siede su un trono dalla forma di testa di cavallo, ed è probabilmente più accostabile a Donar che ad Ercole. Un guerriero eroico in armatura completa, e con tre nodi nei capelli, è chiaramente un importante dio barbaro, mentre un trio di divinità femminili rappresenta probabilmente le Disir. Anche la dea seduta che presiede l’intero insieme non è facilmente classificabile come classica. Piuttosto sarebbe da vedere come una madre barbara degli dei”. (Fotografie della patera sono osservabili qui e qui.)

Michael Schmauder, Richard Corradini, The Construction of Communities in the Early Middle Ages: Texts, Resources and Artifacts, dicembre 2002

Alexandru Odobescu, Le trésor de Petrossa: Étude sur l’orfèvrerie antique, Parigi-Lipsia, J. Rotschild, 1889

Joseph Campbell, The Masks of God: Creative Mythology, 1968

M. Rusu, Cercetãri Arheologice, 1984

Herbert Kühn, Asiatic Influences on the Art of the Migrations, Parnassus

Avram Alexandru, Goldhelm, Schwert und Silberschätze: Reichtümer aus 6000 Jahren rumänischer Vergangenheit, Francoforte sul Meno, Sonderausstellung Schirn Kunsthalle, 1994

Malcolm Todd, The Early Germans, Blackwell Publishing, 1992

Dorina Tomescu, Der Schatzfund von Pietroasa, 1994, Goldhelm, Schwert und Silberschätze, Sonderausstellung Schirn Kunsthalle, 230–235, Francoforte

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