Scultura in bronzo raffigurante Marte, Veneto XVI sec., su base in marmo bianco, altezza cm 25, con base cm 34. Ritenuto padre di Romolo, il leggendario fondatore di Roma, Marte fu particolarmente caro ai Romani, che lo veneravano con feste solenni all’inizio della primavera e in ottobre. Ciò era dovuto sia alle sue relazioni con gli eventi del mondo agricolo, sia al fatto che a primavera si allestivano le imprese militari, che terminavano con l’autunno.
Molto prima che avesse inizio la documentazione storica, le tribù latine della costa centro-occidentale d’Italia credevano in un gran numero di spiriti impersonali e di numi (forze soprannaturali). I numi abitavano luoghi e cose particolari, per una ragione o per l’altra misteriose o sacre (per esempio, il legno e i boschetti, i fiumi e la casa). I Latini si servivano di vari riti per respingere il male che gli spiriti e i numi emanavano o per incoraggiare le loro buone disposizioni. Con lo sviluppo di Roma, dal VI secolo a.C.circa, i numi e gli spiriti ricevettero gli attributi di dèi personificati, specialmente il gran dio del cielo Iuppiter (cioè Giove), Marte (in origine uno spirito della vegetazione, poi dio della guerra), Giunone (la sposa di Giove e, come la greca Era, molto interessata alle faccende delle donne) e Minerva (di origine etrusca e protettrice delle arti e dei mestieri, nonché, come Marte, dea della guerra).
Statua della dea Minerva, Museo del Louvre,Parigi. Minerva fu una dea romana identificata con la greca Atena. Figurava nella triade capitolina a fianco di Giunone e Giove, ma non sembra che appartenga alla divinità del primitivo pantheon latino. Il termine Minerva fu importato dagli etruschi che la chiamavano Menrva. I romani ne confusero il nome straniero con il loro “lemma mens”(mente) visto che la dea governava non solo la guerra, ma anche le attività intellettuali.
Dal IV secolo a.C. circa, la religione latina si sviluppò su due linee, di cui una tra gli agricoltori e l’altra nella città di Roma, che cresceva rapidamente. I contadini continuarono i culti animistici (spiriti e numi), mentre in città la religione di Stato politeistica assumeva particolare importanza. La divinazione, per esempio, derivava in parte dai rituali etruschi: il popolo credeva che gli dèi rivelassero la loro volontà per mezzo delle grida degli uccelli, dei fulmini, dei sogni, delle interiora di animali, degli oracoli e così via. I sacerdoti avevano il compito di decifrare tali segni, e nessun capo cittadino avrebbe preso una decisione importante senza una divinazione favorevole.
Alla fine del III secolo a.C. entrò in gioco un’altra forza: Roma conquistò l’Italia Meridionale, dove l’influenza culturale greca era molto forte. Gli dèi greci vennero allora uguagliati a quelli di Roma: Poseidone fu Nettuno, Demetra Cerere, Ermes Mercurio, Zeus Giove e così via, il che confermò e accentuò la tendenza degli spiriti e dei numi a mutarsi in dèi con attributi umani.
I Romani pii di quel tempo coltivavano due atteggiamenti: la religio o sacro timore alla presenza degli spiriti e degli dèi, e la pietas o devozione e rispetto verso gli dèi, la patria, i genitori. Essi sottolineavano il lato formale, rituale della religione al fine di rafforzare i vincoli dello Stato e della famiglia, e non definirono chiaramente alcuna fede nell’immortalità fino al I secolo a.C., quando le speculazioni dei filosofi greci cominciarono a far breccia nel pensiero romano. Gli spiriti dei morti erano per loro simboleggiati dai Mani, originariamente affini alle divinità infernali.
La filosofia greca ebbe un duplice effetto, portando innanzi tutto allo scetticismo religioso. Il poeta Lucrezio (I secolo a.C.) espresse questo scetticismo nel suo De Rerum Natura con questi versi, scritti sotto l’influenza della dottrina epicurea:
“Tutti gli uomini sono stretti da paura quando osservano molti fenomeni terrestri e celesti di cui non riescono in alcun modo a scorgere le cause: allora essi ritengono che avvengano per volontà di un dio”.
Secondo e più importante effetto della filosofia greca fu l’adozione dello stoicismo da parte di molte persone illustri, mentre altri se ne lasciarono comunque influenzare. Questa filosofia fortemente morale spinse alla reinterpretazione dei valori tradizionali religiosi ed etici. Per gli stoici il cosmo era un tutto unitario: come un organismo, esso aveva qualità intellettuali e materiali. Un essere umano è così un microcosmo e dovrebbe automaticamente vivere in armonia col tutto. Lo scopo degli stoici nella vita era il raggiungimento della virtù perfetta, la quale rende l’uomo saggio e autosufficiente conferendogli una libertà simile a quella dell’intelligenza cosmica. Ma lo stoicismo assunse nella sua forma romana maggiore praticità: per esempio, l’ideale greco del saggio come persona tanto autosufficiente da poter vivere staccata dal mondo fu sostituito dall’ideale dell’uomo coraggioso e padrone di sé che esegue meticolosamente i propri doveri sociali e religiosi.
L’influenza delle religioni dell’Asia occidentale si accrebbe col passar del tempo. primi a distinguersi-nei secoli II e I a.C.- furono i culti della dea frigia Cibele, la “Gran Madre” o Magna Mater, e della dea della Cappadocia Ma (identificata con la dea della guerra Bellona).
Si diffusero anche i misteri di Iside e poi il culto di Mitra. Il loro successo, ottenuto a dispetto dell’opposizione della religione ufficiale dello Stato, sta a testimoniare della necessità che si sentiva di culti che avessero un significato individuale e non facessero parte della religione tradizionale allora ampiamente screditata. Quella religione che riprese vita, quando, seguendo i rituali delle dinastie ellenistiche orientali, i Romani cominciarono ad adorare i loro imperatori. Tale pratica le conferì un ruolo universale in tutto l’Impero. Ciò nonostante le religioni misteriche continuarono a rivaleggiare con essa, fino a che il Cristianesimo, divenuto la religione ufficiale, le soppiantò definitivamente.
Lucica