I SUMERI

G. A B R A M – C O R N E R

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Già nell’antichità più remota la terra fra il Tigri e l’Eufrate, la Mesopotamia, fu abitata da tribù provenienti dal nord, dai monti della Persia, dall’Armenia, dal Caucaso e dall’Anatolia.

I Sumeri presero dimora alcuni millenni prima di Cristo nel sud dell’attuale Iraq, allo sbocco dei fiumi nel Golfo Persico, terra ricca di vegetazione, pesci ed animali e favorevole all’agricoltura.

La loro origine è misteriosa, ma si presume che provenissero dai monti della Persia, e le città sumere furono molto probabilmente le più antiche città del mondo e fra queste Ur, capitale dei Sumeri, centro economico, sociale e culturale.

Da Ur proveniva anche il patriarca Abramo con al seguito la sua tribù semita, le robe e gli armamenti.

Indipendentemente dall’origine, gli aspetti più interessanti sono quelli che riguardano la loro vita pubblica e privata. Per quanto possa sembrare strano, presso questo popolo non esistevano distinzioni di classe, in quanto non c’erano né ricchi né poveri, ma ognuno lavorava, il re e i sacerdoti compresi, il proprio pezzo di terra che gli era stato affidato dallo stato. Non esisteva proprietà privata in quanto era comune credenza che le terre appartenessero agli Dei, ed ai templi veniva consegnato il raccolto, salvo quella parte che serviva per il sostentamento degli agricoltori. Il raccolto veniva ammassato nel tempio che sorgeva al centro della città, e serviva come scorta per i periodi di carestia.

(…)Il tempio non era importante solo in quanto fungeva da pubblico magazzino, ma perché era luogo di culto, sede del governo e luogo di commerci. Qui si custodivano le greggi, si vendevano carni e pelli, si lavoravano i metalli, oro argento e bronzo, si realizzavano i manufatti in legno e qui gli architetti progettavano strade, edifici e canali d’irrigazione. Ed infine il tempio fungeva anche da banca. Qui venivano depositati oro, argento, grano e manufatti vari e si procedeva alla concessione dei prestiti ai privati.

Dal punto di vista religioso i Sumeri vedevano l’origine di tutte le cose nello scontro fra i due principi fondamentali: Apsu il  principio maschile, il bene, e Tiamat il principio femminile, il male. Da questa infelice e malsana credenza discendevano conseguenze ferali per la donna, che veniva considerata come un oggetto qualsiasi, la cui unica utilità consisteva nel fatto che era capace di generare.

Da quelle parti però in 6000 anni non pare che le cose siano di molto cambiate.

E’ strano come un popolo così tecnicamente, economicamente e civilmente avanzato, trattasse le donne in maniera così barbara.

(…) I Sumeri avevano una visione pessimistica di ciò che li attendeva dopo la morte, in quanto si credeva che l’anima dell’uomo continuasse a vivere da spirito maligno fra spiriti maligni, nutrendosi di fango e di polvere e che nell’oltretomba ogni felicità fosse preclusa. La felicità poteva essere raggiunta solo su questa terra, per questo si praticava il culto degli Dei, nella speranza di acquistare beni terreni, salute e ricchezza, e si rifuggiva da comportamenti peccaminosi ed offensivi verso la divinità per evitare malattie, tempeste e alluvioni.

Questi Sumeri di 6000 anni fa, così moderni, così civili, così social-democratici mi hanno un po’ deluso per via del trattamento riservato alle donne. Bisogna però rammentare come non tutte le civiltà fossero così misogine. Nell’antico Egitto le donne godevano di diritti e dignità, presso gli Etruschi c’era quasi una sostanziale parità fra uomo e donna. Solo presso gli Ebrei, i Greci e i Romani, almeno in epoca repubblicana, le donne dovettero soffrire emarginazione e repressione.

(…) A questo punto si può concludere che un popolo può essere civile, progredito, socialista e cristiano anche senza amare le donne, che in fondo sono anche numericamente una parte irrisoria dell’umanità, attualmente non raggiungono che il 52% dell’intero genere umano!

AFORISMA. La Torre di Babele è la rappresentazione classica della follia umana.

G. ABRAM, “Il Trionfo di Kaino”, ediz. El Tiburon, 2004

Pubblicato online dal giornale “I tesori alla fine dell’arcobaleno” per gentile concessione dell’autore.

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