ROSMUNDA

G. A B R A M – C O R N E R 

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I Longobardi, così chiamati non si sa se per le lunghe barbe o per le spropositate alabarde, e che dettero il nome alla Longobardia, l’attuale Lombardia, provenivano dalle desolate e gelide lande della Svezia.

Forti, gagliardi, biondi, pelosi e sicuramente provvisti di anticorpi sovradimensionati, erano sbarcati sul continente, calzando stivali di cuoio e vesti di lino crudo, con al seguito le donne, bambini ed armenti in cerca di nuove terre, essendo nomadi ignari di ogni forma di coltivazione e vivendo di allevamento, caccia, pesca e soprattutto di rapina.

Erano completamente all’oscuro anche di codici, di morale, di diritto e di leggi scritte, avevano le loro credenze, usi e costumi, ma riguardo ai rapporti coi terzi, l’unica regola insindacabile era la forza.

Adoravano il sole e la terra e allorché in una regione avevano consumato ogni risorsa si trasferivano altrove, senza molto riguardo per quelli che già vi risiedevano.

Si erano infine stabili in Pannonia, l’attuale Ungheria, che il secolo precedente aveva visto l’epopea di Attila e dei suoi Unni, e che alla sua morte si erano liquefatti, inglobati da altre genti.

Nella primavera dell’anno del Signore 568 partirono dalla Pannonia e valicate le Alpi Giulie al passo del Predil, scesero in Italia, cosa facilissima in ogni stagione, essendo ormai la penisola completamente indifesa.

Vennero in numero di trecentomila, con armenti, donne e bambini con la precisa intenzione di fermarsi. Il loro re Alboino occupò mezza Italia. ed elesse a sua capitale Verona, e fu in quell’occasione che il Patriarca di Aquileia per sfuggire all’orda funesta si rifugiò con la sua gente sulle isole della laguna, dando il via all’avventura di Venezia.

Ma veniamo a Rosmunda. Il giovane Alboino aveva in battaglia ucciso Cunimondo, re dei Gepidi, un popolo sfortunato incontrato sulla sua strada, e ne aveva preso come schiava la figlia Rosmunda, la quale essendo bella, procace e forse anche scaltra, alla morte di Clotsuinda, la moglie legittima del re longobardo, ne aveva preso il posto.

Non si sa se fu un matrimonio d’amore e di passione, sicuramente nell’animo di Rosmunda un certo rancore ancora serpeggiava a causa dell’ucissione del padre, di cui Alboino conservava il cranio ripulito e levigato trasformato in coppa, da cui il re attingeva abbondantemente specie nelle feste comandate.

Era il 572 e si stava appunto festeggiando Longino, Esarca di Ravenna, venuto in visita a Verona alla corte di Alboino, quando questi chiese a Rosmunda la tazza “buona”, la coppa-cranio di Cunimondo per festeggiare degnamente l’ospite. Il re non si limitò a bere, sicuramente accennò da buon intenditore al fatto che il vino in quella superba coppa sviluppava aromi e profumi straordinari, e non contento impose alla povera Rosmunda coi suoi metodi spicci di bere pure lei. Molti personaggi si sono rovinati col bere, Alboino invece si rovinò col far bere, infatti Rosmunda da quel momento tramò per ucciderlo. Rosmunda in accordo col suo amante Elmichi, fratellastro del re, progettò l’assassinio.

Sapendo che Alboino si concedeva la siesta dopo le sue poderose libagioni lo uccisero nel sonno.

Si narra di come Alboino essendosi svegliato dal torpore meridiano, tentasse di sfoderare la spada che teneva sempre accanto e di come questa fosse stata da Rosmunda sigillata nel fodero, tale per cui Alboino impotente annegò nel proprio sangue.

Consumato il delitto, Rosmunda e Elmichi fuggirono a Ravenna, presso l’Esarca Longino, l’ospite della sera fatale, non senza prima aver razziato il tesoro reale.

A questo punto Longino, ch’era un bizantino perfido e intrallazzatore, nonché avido di denaro e di potere, propose alla signora di far fuori Elmichi, che in fondo non era altro che una figura succube e insignificante, un modesto gregario, e di sposarlo per diventare la prima signora di Ravenna.

Rosmunda valutò l’offerta e avendola trovata conveniente, decise di liquidare il povero Elmichi offrendogli una coppa di vino avvelenato. L’infelice dopo averne bevuto alcuni sorsi fu colto da dolori lancinanti al ventre, comprese ogni cosa, e dopo aver sfoderato la spada impose all’amante di tracannare il vino rimasto, che le fu fatale.

Così morì Rosmunda, l’orgogliosa figlia di Cunimondo, travolta dalla storia, dal destino e dall’oscena trivialità di Alboino, uomo rozzo e insensibile, ignaro dagli oscuri meandri della psicologia femminile.

AFORISMA: Preferisco un uomo senza denaro, che il denaro senza l’uomo. (Plutarco)

G.Abram,  Il Trionfo di Kaino,  Ediz. El Tiburon, 2004

Pubblicato online dal giornale culturale “I tesori alla fine dell’arcobaleno”, per gentile concessione dell’autore.

Un pensiero su “ROSMUNDA

  1. questo articolo, questa storia mi riporta indietro nel tempo alle scuole elementari quando si studiavano con rapide carrellate i fatti e i personaggi seguenti la caduta dell’impero romano d’occidente. è un periodo sempre poco approfondito peccato. comunque l’invettiva “bevi Rosmunda dal teschio di tuo padre” mi è rimasto per anni nelle orecchie anche quando tutta la storia non la ricordavo bene

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