Una Bibbia di luce e colori scolpita in vetro!
L’arte vetraria del Cantiere del Duomo seguì pari passo le vicende edilizie ed il problema di chiudere con vetri le finestre si pose già con la conclusione del primo organismo architettonico, la sacrestia aquilonare.
La prima soluzione proposta(1397) fu quella di inserire vetri colorati, ma nel 1403 si decise per dare alle finestre vetrate istoriate.Il motivo di questa scelta fu la facilità di lettura delle vetrate, decorate in modo da essere il racconto visivo con il quale Dio si manifesta al suo popolo, l’immagine della “luce vera / quella che illumina ogni uomo” (1 Gv 1,5), cioè il Cristo, il figlio del Dio vivente.
Nella seconda metà del XV sec. venne creato in Duomo un originalissimo linguaggio nell’arte vetraria, capace di tradurre le arditezze prospettiche di estrazione mantegnesca e ferrarese in una gamma cromatica di tessere vitree basate su toni fulgenti e freddi.Nella prima metà del Cinquecento si rese necessario un ampio programma di riordino e di risistemazione dell’intero corpus vetrario. In questo periodo ebbero varie commissioni Pietro da Velate, i fiamminghi Giorgio da Anversa e Dirck Crabeth ed emerse la personalità di Giuseppe Arcimboldi che creò numerosi cartoni per vetrate, tra cui quella di S. Caterina d’Alessandria. L’intervento di questo singolare artista e di Pellegrino Pelegrini (Vetrata dei Santi Quattro Coronati) segnò l’inizio di un nuovo modo di operare che distingueva nettamente la fase di progettazione, affidata ad un valido pittore ma inesperto di tecniche vetrarie, da quella di realizzazione, attuata da una abile maestro vetraio. La tecnica di lavorazione rimase pressappoco uguale fino all’Ottocento quando, con il rinnovamento culturale prodotto dal Romanticismo lombardo e con il “Gothic Revival” operato dal Palagi, dal Sanquirico e dall’Hayez, l’interesse per il patrimonio vetrario della Cattedrale di Milano crebbe moltissimo.
In questo clima di rinnovato entusiasmo operò Giovanni Battista Bertini ed i suoi figli, che impiegarono una nuova tecnica, quella della decorazione a smalto, sull’antico modello della vetrata istoriata.I Bertini eseguirono ex novo ben undici vetrate, tra le quali due absidali. Le vicende belliche comportarono lo smontaggio di tutte le vetrate, per metterle al sicuro dai bombardamenti, all’interno di un sotterraneo.Nel secondo dopoguerra si procedette all’esecuzione delle vetrate per la facciata: la Chiesa, la Sinagoga, la Trinità, opera di Giovanni Hajnal, al quale si sarebbe affidata nel 1988 la vetrata dedicata ai Beati Cardinali Andrea Carlo Ferrari e Ildefonso Schuster.Nel 1968, vennero eseguiti da vari artisti lombardi (De Amicis, Longaretti, Panigati, Filocamo) i cartoni di vetrata sul tema Maria Mater Ecclesiae e i Messaggi Conciliari.
Recentissima storia (1962-92) è l’imponente restauro di pulitura, consolidamento e riordino delle vetrate, che ha rappresentato un impegno per la Fabbrica fin dal Seicento, quando iniziò il lavoro di adattamento e restauro delle vetrate già esistenti.
Il vetro di rovina sia per gli effetti dell’azione antropica (polveri sottili, gas inquinanti e aggressivi, piogge acide, vibrazioni del traffico) sia per cause naturali (vibrazioni e lisciviazione prodotte dal vento, pioggia e nebbie, terremoti…) e di installazioni di una flora di funghi, licheni e muffe e di colonie di batteri.
Il restauro conservativo delle vetrate, per ovvi motivi di organizzazione del cantiere e di sicurezza, veniva attuato contestualmente al restauro marmoreo della parete nella quale si trova il finestrone. Il restauro, lungo e meticoloso, è avvenuto nel pieno rispetto del protocollo sottoscritto, dopo l’esecuzione di un finestrone campione, tra la fabbrica e due Soprintendenze milanesi. Sono stati trattati in trenta anni (1962-1992) oltre 1700 mq di vetri istoriati, più circa 800 mq di vetri a decoro.
Lucica Bianchi (NL, VBA)