LA LEGGENDA DELL’ANIMA DANNATA

 

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Non sono ancora morte nei focolari del mio paese le leggende di spettri e streghe, malefici e sortilegi “accaduti veramente” a Talamona.

Quando? Tutto si perde nella notte dei tempi, o meglio, quando si parla di occulto si entra in una dimensione mistica, in cui il tempo non esiste.

Mezze verità forse si nascondono dietro le fantasie “vere” della gente, ma vale la pena raccontarle e tramandarle alle generazioni che verranno, ché non siano dimenticate come tante altre cose dei nostri avi, povera gente semplice, perché è la loro storia e il nostro passato.

Tre sono gli aspetti di questi racconti talamonesi che è bene citare: “ul Talamun” (il dialetto talamonese), che è protagonista nelle vicende e ricordo sempre vivo delle nostre radici contadine, “la pagüra” (la paura), che sta all’origine di questa tradizione, perché in un paese profondamente credente era importante educare i bambini a ciò che era bene e ciò che era male, e il metodo più efficace era di punire severamente il miscredente che osava andare contro la volontà divina; ultima, ma non meno importante, era “la masun”, la stalla dove la sera si riuniva la contrada per discutere degli ultimi fatti, e dove d’inverno, accanto alla nonna, i bimbi ascoltavano rapiti le sue storie, magari in una sera di brutto tempo.

Tra queste, molto conosciuta in paese, è la leggenda dell’anima dannata di San Giorgio, una piccola località di montagna circondata da castagni, appena sopra Talamona: ci sono poche baite e una chiesa, probabilmente riconducibile al Medioevo.

È un edificio semplice e spoglio, e tutto ciò che rimane della sua storia secolare sono le parvenze di colori di affreschi perduti ormai da tempo.

La luce filtra a fatica dalle piccole finestre, il che rende la chiesa tetra e grigia, ma la sua bellezza risiede proprio in questo: nell’essere un po’ diversa dalle altre, nell’essere come una vecchia “nonna” che ha molte storie da raccontare.

Come questa: ebbene, questo borgo faceva parte, anche in tempi remoti, del comune di Talamona.

Poco distante dalla chiesa vi era un castello, ove abitava un signorotto tanto ricco quanto avaro, e geloso dei suoi averi che dovevano essere abbastanza cospicui.

Egli dalla sua dimora poteva dominare la valle con lo sguardo; comandava la zona di Premiana, che si trova lì vicino, e tutti i maggenghi circostanti.

Un giorno, senza dire niente a nessuno e senza offrire nulla ai sacerdoti per la chiesa di San Giorgio, caricò i suoi averi su un mulo e su un cavallo e, sistemandosi sotto braccio la sua cassetta piena di denari, si avviò per scendere a valle.

Aveva fatto appena pochi passi quando un’enorme voragine si aprì sotto i suoi piedi, e cadendo si aggrappò a una sporgenza, mentre le sue ricchezze e il suo castello sprofondavano nel baratro.

La gente accorse numerosa nel sentire le grida dell’uomo, e gli disse che lo avrebbero tirato su se avesse dato una parte del suo tesoro per le spese della chiesa.

Egli, pur di non separarsi dal forziere, non accettò la proposta, precipitò e morì.

Si dice che da allora il suo spirito, nelle notti di luna piena, esca dal buco, stenda un lenzuolo bianco in cima al dosso e apra lo scrigno per contare le sue monete, e che quando il vento soffia forte fra le fronde dei castagni si sente il lamento di quella povera anima dannata, perché per colpa della sua grettezza non può accedere al Paradiso.

Ancora oggi è possibile vedere “ul böcc de l’animo danado” (il buco dell’anima dannata), e il luogo è chiamato “despüüs castel”(dietro il castello).

Questa versione del racconto è quella ufficiale, ma secondo una minoranza di Talamonesi l’anima dannata era in realtà un ladro, che una notte si intrufolò nella chiesa rubando il suo tesoro e gli arredi sacri.

Compiuto indisturbato il furto tentò di fuggire nel bosco, ma una voragine si aprì sotto di lui, che cadendo finì all’Inferno.

Per altri, alcuni individui del posto, attratti dalle grida del ladro, cercarono di portargli soccorso calandogli una fune; ma egli, pur di non separarsi dal bottino che non riusciva a tenere con una sola mano, lasciò andare la cima della corda che gli era stata tesa e sprofondò.

Secondo un’altra testimonianza simile al racconto ufficiale, il ricco signore sarebbe un certo Magrini.

Egli, cercando un nascondiglio per il suo tesoro a “despüüs castel” (dietro il castello), lo appoggiò sotto le radici di un albero, ma il terreno cedette e una voragine inghiottì il forziere. Cercando di recuperarlo cadde anche lui e la gente che si offrì di aiutarlo chiese in cambio una parte del tesoro.

Egli si indignò e continuando a sprofondare nel buco scomparve.

Si racconta che anni dopo dei ragazzi gettarono un gatto nel buco, che non risalì più, e che lo stesso animale fu ritrovato pochi giorni dopo sporco e spaventato nella zona vicina di Premiana.

Riprendendo i tre punti cardine citati all’inizio, nella leggenda si nota chiaramente l’aspetto della “pagüra” (la paura) e il timor di Dio da infondere ai più giovani; per quanto riguarda “ul Talamun” (il dialetto di Talamona) è bene precisare che questa storia, come tutte le altre, era tramandata in dialetto, e per questo è interessante far cultura anche per strada.

Quindi quello che riporto di seguito è il testo in dialetto raccontato da Cesare Ciaponi, regista della compagnia teatrale “amici degli anziani” di Talamona.

Nä uölta nä uölta la gent éi diis chè su a San Giorsc ghèra sù ün um brüt e catiif ch’èl cumändaua tütto Prümiäno e daa  San Giorsc.

El ghiva su ün castèl su in dul doss è dè gliò èl duminäuo tüto la valado.

El sèro fac ün sciuruñ a fà laurà i otri è l’iuö imp-cenüü nä casèto dè palanch, tüti dè or e dè argent. Un bèl dì el sé met in ment da scapà cun tücc stì soldi senso dach nègutt gnäcà a al geso.

Nä matino èl cargo sù ün puu dè robo in d’ul caval è in d’ün mül, la casèto suto an brasc, po’ l’ sé n’via per vegnì din giù.

L’aa gnää facc’ quatru pass chè suto ai pee ghè sé abrii nä bogio è lüü l’è furaa giù.

Stremii èl sé metüü dree a usà è l’è rivaa ün puù dè gent a vedè cusè chè l’ero sucedüü.  

Vedüü stù um giù n’dul bocc iè n’daa a tò del cordi  è glirès tiraa sü sé però el ghè da o ün puu dè palänch per la geso chè sta gent èi vuliva fa sü.

Quèstu chilò avar cumè nä bèstio l’aa mingo vulüü daghen è gliura gliaa lagaa sprefundà giù.  

La bogia l’è fò despüs Castel  è suto ghè p-cee dè p-ciudisci.

Ei diis chè ul sò spiret el cumpariva ogni tänt gliò sü in dul doss in dèl nocc dè lüno, èl metivo giù ün lensööl biänch è pò èl stavo gliò a cüntà fò tüti èl sò palänch.

Ei diis daa chè in dèl nocc ch’èl sbreuègiaua sé sentivo quèlo Animo Danädo a lamentàs perché l’èro tropp avaro per indà in Paradiis.

 

La traduzione seguente è registrata parola per parola, senza aggiunta di punteggiatura o di opportune correzioni, per dimostrare le differenze tra dialetto e italiano, tra linguaggio parlato e scritto.

Una volta una volta la gente dice che su a San Giorgio c’era un uomo brutto e cattivo che comandava tutta Premiana e anche San Giorgio.

Aveva un castello su nel dosso e da lì dominava tutta la vallata.

Si era fatto un signore a far lavorare gli altri ed aveva riempito una cassetta di soldi, tutti d’oro e d’argento.

Un bel giorno si mette in testa di scappare con tutti questi soldi senza dare niente neanche alla chiesa. Una mattina carica su un po’ di roba sul cavallo e sul mulo, la cassetta sotto un braccio, poi si avvia per venire in giù.

Non aveva neanche fatto quattro passi che sotto ai piedi si apre un buco e lui è caduto giù. Spaventato si è messo dietro a gridare ed è arrivata un po’ di gente a vedere cos’è che era successo.

Visto quest’uomo giù nel buco sono andati a prendere delle corde e lo avrebbero tirato su se però gli dava un po’ di soldi per la chiesa che questa gente voleva fare su.

Questo qui, avaro come una bestia, non ha voluto dargliene e allora lo hanno lasciato sprofondare giù.

Il buco è fuori dietro il castello e sotto c’è pieno di piodesse.

Dicono che il suo spirito compariva ogni tanto lì sul dosso a contar fuori tutti i suoi soldi.

Dicono anche che nelle notti di pioggia battente si sentiva quell’anima dannata a lamentarsi, perché era troppo avara per andare in Paradiso.

 

Sempre legata alla sfera del linguaggio popolare è la canzone attuale del cantautore talamonese Piero Cucchi, che è riportata come fatto in precedenza.

Essa esprime il desiderio di tenere viva una tradizione antica che fa parte della nostra vita e del nostro paese.

 


L’animo danado la ghivä palanch e oor l’animo danado la ghivä un bel tesoor

quant che i prevecc iè vegnüü a savè

ei s’è metüü d’acordi iè indaa a vedè

se la ghe dava metà dul so valuur

per la giesä e n’puu per luur.

L’ animo danado la gaa dicc de no

l’ animo danado l’era gliò de fò

in t’un sberlusc el ghe mancaa ‘l tèrèe

sì la tera la tera sutä ai pee.

l’ animo danado l’è sfrefundado

l’era giù ‘n funt che la cridava

ul tesor egliva scià lee

quant che ‘l ghe mancaa ‘l tèrèe

subet uno cordo per salvalä

tucc d’acordi per autalo.

L’ animo danado l’era giu ‘n ginocc

l’ animo danado la seravä i öcc

a vergügn la ghe parivä morto

per la facio tuto smorto.

Quänt che l’era quasi sü

ei s’è metüü dree a dì sü

dai che mägari la n’è da vergut

l’ animo danado l’ha ciapaa ‘l sangiut

stesi parol ei gaa dicc amò

l’ animo danado la repunt de no.

Gliurä la cordo la s’è struncado

l’ animo danado l’è sprefundado

pesc ca primo l’è pasado giù

sì l’ animo danado l’è amò lagiù.

De tut quel che l’è capitaa

milä agn iè urmai pasàa

l’ animo danado l’ha pciacaa ‘l palanch

l’ animo danado l’è vestida de bianc

la cumparis dumò de nocc

se ghe in giir negügn la vee sü dul böcc.

Animo danado seet ün um?

Animo danado seet ün striun?

Fam vede dumò l’umbrio

animo danado scapä mingä viä.

Ghe staa quii che propri gliaa vedüdo

iaa ciapaa una grant pagüra

iaa pciuu durmii per quindes dì

l’ animo danado la fa stremì

de lee ei gää pagüra tuto la gent

quii de adès e quii d’un temp.

L’ animo danado la cünta ‘l stèl

l’è sü a sua cà sü despüüs castel

sü despüüs castel ul munt l’è bèl

per l’ animo danado a cüntà ‘l stèl

per l’ animo danado a vardà ‘l stèl.


 

L’anima dannata aveva soldi e oro

l’anima dannata aveva un grande tesoro

quando i preti sono venuti a saperlo

si sono messi d’accordo e sono andati a vedere

se gli dava metà delle sue ricchezze

per la chiesa e un po’ per loro.

L’anima dannata ha detto di no

l’anima dannata era lì di fuori

in un lampo gli è mancato il terreno

proprio la terra sotto i piedi.

L’anima dannata è sprofondata

era in fondo che gridava

il tesoro aveva con sé

quando gli è mancato il terreno

subito una corda per salvarla

tutti d’accordo per aiutarla.

L’anima dannata era in ginocchio

l’anima dannata chiudeva gli occhi

a qualcuno pareva morta

per la faccia tutta smorta.

Quando era quasi su

si sono messi a pregare

dai che forse ci da qualcosa

l’anima dannata ha preso il singhiozzo

le hanno detto ancora le stesse parole

l’anima dannata ha risposto di no.

E allora la corda si è spezzata

l’anima dannata è sprofondata

più di prima è andata giù

l’anima dannata è ancora laggiù.

Di tutto quello che è capitato

mille anni sono ormai passati

l’anima dannata ha nascosto le monete

l’anima dannata è vestita di bianco

compare solo di notte

se non c’è in giro nessuno sale dal baratro.

Anima dannata sei un uomo?

Anima dannata sei uno stregone?

Fammi vedere solo la tua ombra

anima dannata non scappare via.

Ci sono stati quelli che l’hanno proprio vista

hanno preso una gran paura

non hanno dormito per quindici giorni

l’anima dannata fa paura

di lei ha paura tutta la gente

quella di oggi e quella di un tempo.

L’anima dannata conta le stelle

è a casa sua dietro il castello

dietro il castello il mondo è bello

per l’anima dannata a contare le stelle

per l’anima dannata a guardare le stelle.

Mi soffermo ora su un altro punto citato prima: in genere una leggenda si basa su qualcosa di concreto, come fondamenti storici o semplicemente l’immaginario popolare;  in questo caso si pensa che sia nato tutto da qualcosa realmente esistito a San Giorgio.

Mi attengo al testo di Don Giacinto Turazza e alle sue ricerche riportate nel libro “Talamona, notizie documentate di storia civile e religiosa”.

Quasi certamente una delle prime zone abitate di Talamona furono le località di Premiana e di San Giorgio.

È attestata in molti documenti la presenza di una fortificazione nel suddetto luogo nell’ XI secolo.

Con l’arrivo dei Milanesi nell’anno 1225, tutti gli edifici difensivi della valle vennero danneggiati, e abbattuti completamente nel 1526 dai Grigioni.

Riguardo la chiesa si ipotizza che risalga al XII secolo, come riporta il Turazza : “la famiglia originaria abitante in Premiana fu quella dei Massizi, che si divise in tante ramificazioni (…) per cui anche intorno al San Giorgio trovammo famiglie Massizi (…). Ciò non basta a provare che sia stata costruita la chiesa da quei Massizi, ma se riflettiamo che fu famiglia potente e nobile ci rendiamo conto di un altro fatto importante per stabilire l’antichità di quell’edificio sacro.

Lassù era un castello che portava proprio il nome Castellum de Sancto Georgio, per cui potremmo credere che vi fosse una chiesa castellana dei Massizi nel secolo decimosecondo; e fu demolita forse nel 1225 dai milanesi (…) perché è certo che nella seconda metà del trecento non esisteva più (…). Nei primi dei trecento sorse la chiesa attuale (…) custodita da un Pietro Massizi (…)”.

I Massizi erano una delle tre famiglie antiche e potenti di Talamona, e uno di questi nobili potrebbe essere stato il conte avaro della storia.

Inoltre, a provare che lì vi era un vero e proprio centro abitato (si stima circa trecento persone tra San Giorgio e Premiana in periodo medioevale) è stata trovata la macina di un mulino, tutt’ora conservata nel sagrato della chiesa.

Vicino a quest’ultima c’è un’altura detta “dos mülin” (dosso del mulino): forse la vecchia casa del mugnaio sorgeva proprio in quel luogo, che è indicato così da generazioni, e si trova presso il buco dell’anima dannata.

L’edificio poi potrebbe essere andato distrutto in seguito ad una frana, che non si sa datare.

Se questa fosse avvenuta prima dell’arrivo dei Milanesi nel 1225, potrebbe aver trascinato via con sé non solo il mulino ma anche il castello: in questo modo potrebbe essere spiegata la leggenda del signorotto inghiottito dalla terra, interpretata dalla gente come punizione divina. Se così non fosse, la voragine potrebbe essere stata causata dalla stessa frana, ma in tempi successivi, quando il castello era in rovina o non esisteva già più; non ci è dato saperlo.

La leggenda che ho illustrato è sì una delle più conosciute in paese, ma non è l’unica: ogni contrada ha i suoi racconti, i suoi personaggi misteriosi, molte dicerie “vere” in un certo senso, molte altre frutto di un mondo superstizioso.

Un paese di montagna vivace, con una grande storia da raccontare: la mia Talamona.

Giulietta Gavazzi

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2 pensieri su “LA LEGGENDA DELL’ANIMA DANNATA

  1. Riguardo alla versione che voleva che l’Anima Dannata fosse quella di un certo”Magrini” (cognome ora scomparso da Talamona), mi viene in mente, quasi a conferma, che il sentiero che dalla Moia di San Giorgio va in premiana, alcune decine di metri sopra l’odierna strada asfaltata, viene chiamato” sentée di Magrin”.

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