IL TESORO DI PIETROASA

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The Pietroasele Treasure (or the Petrossa Treasure) found in Pietroasele, Buzău, Romania, in 1837, is a late fourth-century Gothic treasure that included some twenty-two objects of gold, among the most famous examples of the polychrome style of Migration Period art. Of the twenty-two pieces, only twelve have survived, conserved at the National Museum of Romanian History, in Bucharest: a large eagle-headed fibula and three smaller ones encrusted with semi-precious stones; a patera, or round sacrificial dish, modelled with Orphic figures surrounding a seated three-dimensional goddess in the center; a twelve-sided cup, a ring with a Gothic runic inscription, a large tray, two other necklaces and a pitcher. Their multiple styles, in which Han Chinese styles have been noted in the belt buckles, Hellenistic styles in the golden bowls, Sasanian motifs in the baskets, and Germanic fashions in the fibulae, are characteristic of the cosmopolitan outlook of the Cernjachov culture in a region without defined topographic confines.


More about the treasure and the bowl at http://www.videoguide.ro/tezaurul-ist… und http://romanianhistoryandculture.webs.

Il Tesoro di Pietroasele (o Tesoro di Petrossa), ritrovato nel 1837 a Pietroasele,Romania, risale al IV secolo ed è composto di ventidue oggetti gotici comprendenti alcuni manufatti in oro. È considerato uno dei migliori esempi di stile policromo di arte barbarica.

Il tesoro originale, scoperto all’interno di un tumulo noto come Istriţa, nei pressi di Pietroasele, Romania, consisteva di 22 pezzi, compreso un grande assortimento di oggetti in oro, piatti e coppe oltre alla gioielleria, e due anelli completi di iscrizioni runiche. Quando fu scoperto, gli oggetti erano tenuti insieme da una non identificata massa scura, il che porta a credere che il tesoro sia stato ricoperto da qualche genere di materiale organico (ad esempio tessuti o pelle) prima di essere interrato. Il peso totale del tesoro era di circa 20 kg.

Dieci oggetti, tra cui uno dei due anelli, furono rubati poco dopo il ritrovamento. Quando i restanti oggetti furono ritrovati, si scoprì che l’altro anello era stato tagliato in almeno quattro parti da un orafo di Bucarest, ed uno dei caratteri runici era irrimediabilmente rovinato. Fortunatamente sono sopravvissuti dei disegni dettagliati, un calco in gesso ed una fotografia fatta dall’Arundel Society di Londra, il che ha permesso di stabilire l’identità del carattere perduto con relativa sicurezza.

Gli oggetti rimasti nella collezione mostrano un’altra qualità dell’artigianato, tanto che gli studiosi dubitano che gli oggetti abbiano origini locali. Isaac Taylor (1879), in uno dei suoi primi lavori parla della scoperta, ipotizzando che gli oggetti potrebbero rappresentare parte di un bottino recuperato dai Goti durante le scorribande in Mesia e Tracia (238-251). Un’altra delle prime teorie, probabilmente la prima proposta da Odobescu (1889) e ripresa da Giurascu (1976), identifica Atanarico, re pagano dei Tervingi, come probabile originario proprietario del tesoro, presumibilmente acquisito grazie al conflitto con l’imperatore romano Valente nel 369. Il catalogo Goldhelm (1994) suggerisce l’ipotesi che gli oggetti possano essere visti come un regalo fatto dai capi romani ai principi germanici alleati.

Recenti studi mineralogici svolti sugli oggetti indicano almeno tre differenti origini geografiche per l’oro utilizzato: Urali meridionali, Nubia(Sudan) e Persia. L’ipotesi dell’origine Dacia per l’oro è stata esclusa. Nonostante Cojocaru (1999) rifiuti la possibilità che monete romane siano state fuse e forgiate per dare vita a questi oggetti, Constantinescu (2003) giunge alla conclusione opposta.

Una comparazione della composizione mineralogica, delle tecniche di fusione e forgia, ed analisi tipologiche indicano che l’oro venne usato per creare le iscrizioni runiche all’interno dell’anello, classificate come celto-germaniche, non è puro come quello usato solitamente dai greco-romani, né quello in lega usato per gli oggetti germanici. Questi risultati sembrano indicare che almeno parte del tesoro (tra cui l’anello) venne creato con oro estratto nel nord della Dacia, e potrebbe quindi rappresentare oggetti in possesso dei Goti prima della migrazione verso sud (appartenenti alla Cultura di Cernjachov). Dato che queste ipotesi possono sembrare dubbie per la tradizionale teoria dell’origine romano-mediterranea dell’anello, ulteriori ricerche sono necessarie prima di dichiarare con certezza da dove proviene il materiale usato per la costruzione.

Come per molti altri ritrovamenti dello stesso tipo, resta incerto il motivo per cui gli oggetti siano stati posti nel tumulo nonostante siano state avanzate ipotesi plausibili. Taylor afferma che il tumulo in cui sono stati ritrovati gli oggetti era probabilmente la sede di un tempio pagano, e che secondo l’analisi delle iscrizioni rimaste faceva parte di un’offerta votiva che farebbe pensare ad un paganesimo ancora attivo. Nonostante questa teoria sia stata ignorata per molto tempo, le recenti ricerche,  hanno dimostrato che tutti gli oggetti rimasti hanno un “carattere decisamente cerimoniale”. Particolarmente importante è la patera decorata con disegni di divinità probabilmente germaniche.

L’ipotesi secondo cui gli oggetti sarebbero di proprietà di Atanarico suggerisce l’idea che l’oro fosse stato sepolto nel tentativo di nasconderlo agli Unni, che avevano sconfitto i Grutungi a nord del Mar Nero, iniziando a spostarsi nel 375 verso la Dacia abitata dai Tervingi. Resta comunque incerto il motivo per cui l’oro sia rimasto sepolto, dato che il trattato di Atanarico con Teodosio I (380), gli permise di assicurare al suo popolo la protezione dei Romani prima della sua morte, avvenuta nel 381. Altri ricercatori hanno suggerito che il tesoro fosse appartenuto ad un re ostrogoto che Rusu (1984) identifica con Gainas, generale gotico dell’esercito romano ucciso dagli Unni attorno al 400. Nonostante questo possa spiegare il motivo per cui il tesoro non sarebbe stato dissotterrato, non spiega perché un vistoso tumulo sia stato scelto per contenere un così ricco tesoro.

Sono state ipotizzate numerose datazioni per la sepoltura del tesoro, spesso derivate da considerazioni riguardo l’origine degli oggetti stessi ed il tipo di sepoltura, nonostante l’iscrizione sia stato uno dei fattori più importanti. Taylor considera un intervallo tra il 210 ed il 250. Studi più recenti hanno portato gli studiosi a spostare leggermente in avanti la datazione. Coloro che sostengono l’ipotesi di Atanarico parlano della fine del IV secolo, data proposta anche da Constantinescu, mentre Tomescu data il tesoro all’inizio del V secolo.

Dei ventidue pezzi, solo dodici sono sopravvissuti, conservati oggi presso il Museo Nazionale di Storia della Romania, a Bucarest: Una grande fibula con testa d’aquila e tre più piccole, tutte tempestate di pietre semi-preziose; una patera o piatto sacrificale, modellato con figure orfiche, che circondano una dea tridimensionale seduta; una coppa a dodici lati, un anello con un’iscrizione runica gotica, un grande vassoio, due collane ed una brocca.

I loro molteplici stili comprendono caratteristiche tipiche della dinastia Han cinese (fibbie per cinture), dell’Ellenismo (bocce in oro), motivi Sasanidi (cesti) e aspetti germanici(fibule). Questa varietà è tipica dell’aspetto cosmopolita della cultura di Cernjachov, in una regione senza confini topografici definiti.(approssimativamente odierna Ucraina e Bielorussia).

Quando Alexandro Odobescu pubblicò il suo libro sul tesoro, affermò che questo magnifico lavoro sarebbe potuto appartenere solo ad Atanarico (morto nel 381), capo dei Tervingi, uno dei popoli Goti. I moderni archeologi non sono in grado di collegare il tesoro a questo nome altisonante.

Il tesoro venne mandato in Russia nel dicembre 1916, quando l’esercito tedesco avanzò attraverso la Romania durante la prima guerra mondiale, e venne restituito solo nel 1956.

Lucica Bianchi

Note, fonti e bibliografia

La fotografia della Arundel Society, rimasta sconosciuta agli studiosi per circa un secolo, venne ripulita da Bernard Mees nel 2004.Cfr. Mees (2004:55-79). Per altre informazioni sulle prime vicende del ritrovamento, vedere Steiner-Welz (2005:170-175)

Taylor (1879,80) scrisse: “Il grande valore intrinseco dell’oro sembra indicare una provenienza di bottino di una grande vittoria e potrebbe trattarsi del saccheggio del campo dell’imperatore Decio, o del riscatto della ricca città di Marcianopoli”. Per altri studi sull’iscrizione vedere Massmann (1857)

Op.cit. Odobescu (1889), Giurascu (1976), Constantinescu (2003), Tomescu (1994)

Constantinescu (2003) descrive l’oggetto come “una patera con rappresentazioni di dei pagani (germanici)”. Analizzando l’immagine della patera Todd (1992) scrive: “al centro si trova una figura femminile su un trono circolare, con un calice nelle mani a coppa. Il fregio circolare rappresenta un gruppo di divinità, alcune in vesti classiche, altre con attributi più tipici dei pantheon germanici. Un potente dio maschio brandisce mazza e cornucopia, e siede su un trono dalla forma di testa di cavallo, ed è probabilmente più accostabile a Donar che ad Ercole. Un guerriero eroico in armatura completa, e con tre nodi nei capelli, è chiaramente un importante dio barbaro, mentre un trio di divinità femminili rappresenta probabilmente le Disir. Anche la dea seduta che presiede l’intero insieme non è facilmente classificabile come classica. Piuttosto sarebbe da vedere come una madre barbara degli dei”. (Fotografie della patera sono osservabili qui e qui.)

Michael Schmauder, Richard Corradini, The Construction of Communities in the Early Middle Ages: Texts, Resources and Artifacts, dicembre 2002

Alexandru Odobescu, Le trésor de Petrossa: Étude sur l’orfèvrerie antique, Parigi-Lipsia, J. Rotschild, 1889

Joseph Campbell, The Masks of God: Creative Mythology, 1968

M. Rusu, Cercetãri Arheologice, 1984

Herbert Kühn, Asiatic Influences on the Art of the Migrations, Parnassus

Avram Alexandru, Goldhelm, Schwert und Silberschätze: Reichtümer aus 6000 Jahren rumänischer Vergangenheit, Francoforte sul Meno, Sonderausstellung Schirn Kunsthalle, 1994

Malcolm Todd, The Early Germans, Blackwell Publishing, 1992

Dorina Tomescu, Der Schatzfund von Pietroasa, 1994, Goldhelm, Schwert und Silberschätze, Sonderausstellung Schirn Kunsthalle, 230–235, Francoforte

L’ARTE PER IL GRANDE PUBBLICO

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Lo sviluppo raggiunto  durante l’ultimo secolo dalle tecniche di produzione nell’industria e dai mezzi di comunicazione di massa, vale a dire giornali, cinema e televisione, ha creato un nuovo tipo di artista, difficilmente classificabile sia come artista popolare sia come praticante delle “belle arti”. Fra questi nuovi artisti possiamo citare i cineasti, i disegnatori di tutti i tipi, le orchestre di musica da ballo, i cartellonisti e gli scrittori di teleromanzi. Tutte queste persone hanno una cosa in comune: lavorano per soddisfare le richieste di un vastissimo pubblico formato principalmente dagli abitanti dei centri urbani. In un certo senso, questo tipo di arte è l’arte “popolare”delle città, benché vi sia una grande differenza fra arte di massa e vera arte popolare. In primo luogo, l’arte di massa è più sofisticata: infatti, mentre l’artista popolare si accontenta generalmente di lavorare nell’ambito di una tradizione, l’artista che lavora per il grande pubblico cerca continuamente di dare alla sua opera un aspetto nuovo e aggiornatissimo. Inoltre, ricorre spesso al linguaggio artistico usato nel campo delle “belle arti”; per esempio, tecniche sperimentate tempo fa, come quella dei pittori impressionisti e quella di vari pittori non figurativi dei primi anni del XX secolo, sono entrate nell’uso comune nel campo del disegno tessile, nell’arte pubblicitaria, nell’arredamento delle vetrine e nelle scenografie teatrali e cinematografiche. In secondo luogo, l’arte di massa è altamente meccanizzata essendo collegata alle tecniche della produzione in serie. Il disegnatore industriale, per esempio, non è un artigiano come lo sono quasi tutti gli artisti popolari, ma è un uomo capace, che ha una notevole istruzione tecnica. Alle critiche mosse all’arte di massa, ritenuta semplice e superficiale, si risponde puntando proprio su questa eccellenza tecnica come su una delle sue maggiori virtù: la stessa intelligenza e cura impiegate nella registrazione dell’ultimo strepitoso successo di musica leggera sono applicate anche alla registrazione di qualsiasi opera o sinfonia, e i suonatori di tromba e di trombone d’una grande orchestra di musica da ballo devono avere quella stessa padronanza tecnica dei loro strumenti che possiedono i loro colleghi delle orchestre sinfoniche.Inoltre, l’eccellenza tecnica è indispensabile e addirittura vitale per consentire l’inserimento in un mercato a forte concorrenza.

Questa concorrenza accanita fa sì che le arti di massa cerchino in tutti i modi di far colpo immediatamente sul loro uditorio: i titoli dei giornali, la foto di stampa, il manifesto pubblicitario, la foto di stampa sono disegnati per colpirci nello spazio di un secondo. Lo sforzo che le arti di massa compiono per far colpo immediatamente ha effetti importanti sulla nostra capacità di apprezzare le belle arti. Sappiamo benissimo che la comprensione dell’Arte non è cosa facile, ma va coltivata col tempo e con la pazienza, poiché non esiste un‘arte che sia “istantanea”.

nel 1860 il dipinto di Sir John Everett Millais, Bolle, fu usato come manifesto pubblicitario per un tipo di sapone, e ciò scandalizzò i critici d'arte. Oggi, i manifesti pubblicitari sono spesso opera di artisti specializzati.

nel 1860 il dipinto di Sir John Everett Millais, Bolle, fu usato come manifesto pubblicitario per un tipo di sapone, e ciò scandalizzò i critici d’arte. Oggi, i manifesti pubblicitari sono spesso opera di artisti specializzati.

Lucica

LE BELLE ARTI

Cristo crocifisso in un dipinto italiano del XIII secolo, le cui caratteristiche stilizzate seguono il disegno e gli schemi tradizionali.

Cristo crocifisso in un dipinto italiano del XIII secolo, le cui caratteristiche stilizzate seguono il disegno e gli schemi tradizionali.

La definizione delle “belle arti” si adatta a quel tipo di musica, di poesia, di prosa, di pittura, di scultura, di architettura eccetera, in cui sentiamo la forte influenza della personalità dell’artista.

Questo termine distingue ad esempio la letteratura dal giornalismo, una sinfonia da una canzone di successo, un capolavoro della pittura da un manifesto e una scultura in marmo da una statuina di cera.

sotto, Cristo dipinto da Giotto, l'artista fiorentino che ruppe la tradizione medioevale e seppe infondere nelle proprie opere la sua personalità creativa e una piena conoscenza della validità della realtà umana.

Cristo dipinto da Giotto, l’artista fiorentino che ruppe la tradizione medioevale e seppe infondere nelle proprie opere la sua personalità creativa e una piena conoscenza della validità della realtà umana.

Tali distinzioni sono ovviamente esatte solo in linea molto astratta e generica. E’ la qualità dell’idea dell’artista e della relativa realizzazione in una forma d’arte che giustifica l’uso della definizione “belle arti” per descrivere quell’opera.

Lo scopo ci dà un altro mezzo per capire la definizione di cui sopra: le “belle arti”, infatti, non hanno uno scopo immediato e facilmente definibile. Un buon lavoro di ebanisteria è in fondo un mobile e ha uno scopo preciso, ma molti buoni dipinti non hanno una funzione così immediata e ovvia, se si eccettua un certo fine decorativo, che è tuttavia sempre limitato.

L’artista, sempre inteso nel significato pieno del termine, usa questa libertà per cercare nuove idee, per trovare nuove forme di espressione. In questo senso, lo studio di un artista è come un laboratorio scientifico: come lo scienziato tenta incessantemente di estendere con nuove scoperte i confini della conoscenza, così l’artista nel suo lavoro cerca continuamente di trovare migliori e nuovi modi d’espressione. E ancora, come le scoperte dello scienziato sono sfruttate dai tecnici e dall’industria, così l’opera dell’artista favorisce nuovi sviluppi delle arti di massa.

Dato che l’opera dell’artista è spesso sperimentale, è difficile capirla a prima vista e questa asserzione è particolarmente vera per quanto riguarda le arti del XX secolo. Le opere del Rinascimento, del resto, contenevano  elementi immediatamente interpretabili, ma anche elementi che erano contemporaneamente profondi e sottili, cosa non facile a essere spiegata in poche parole. Per capire esattamente, dobbiamo infatti passare parecchio tempo in una galleria di dipinti del Rinascimento. Dopo un certo periodo, ci accorgiamo di aver progredito dallo stadio iniziale, in cui vedevamo i dipinti come pure e semplici illustrazioni di certi avvenimenti, a uno stadio in cui incominciamo a intravedere il mondo sotto una nuova prospettiva, una prospettiva che è in certo qual modo espressa dai quadri.

Se si vuole apprezzare l’opera di un artista, bisogna perciò rinunciare ai giudizi-lampo e studiarla con pazienza. Questo è vero, particolarmente oggi, quando l’artista, come accade in molte altre professioni, è divenuto uno specialista: cinquecento anni fa un uomo colto si poteva interessare di quasi tutto lo scibile del suo tempo, mentre oggi sono pochi gli industriali che pretendono di capire che cosa fanno i loro impiegati-scienziati. Ciò è valido anche per l’artista: non possiamo aspettarci di capire la sua opera ad un primo sguardo.

Data la difficoltà di spiegare in termini semplici le creazioni delle “belle arti”, molti critici d’arte ripiegano sull’idea che si debba essere nati con una speciale “simpatia”(cioè compartecipazione) per poter capire l’opera di un artista. Ma la comprensione non è così semplice: richiede una grande pazienza, la buona volontà di apprendere dall’opera d’arte stessa, di ascoltare e di leggere a lungo.

Marta Francesca,Matilde,Lucica

L’ARTE POPOLARE

Gli artisti che praticano l’arte cosiddetta “popolare” non hanno un’istruzione artistica vera e propria, ma seguono le tradizioni della loro comunità. In questo campo un pittore, ad esempio, decorerà gli oggetti d’uso quotidiano invece di dipingere quadri e se anche ne dipingesse (icone o immagini di culto per esempio) eseguirebbe cose destinate a un uso specifico e che non esprimono certo la sua personalità.

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Il vaso di Dueno, VII sec.a.C., Museo di Stato di Berlino

Il vaso di Dueno, in bucchero, formato da tre recipienti rotondi conglobati, custodito nel Museo di Stato di Berlino, appartiene alla categoria dei cosiddetti “oggetti parlanti” ed è al centro di studi da più di 130 anni, proprio a causa della scritta che vi è incisa. Si tratta di un’iscrizione piuttosto difficile da interpretare, ordinata da destra verso sinistra, articolata in tre frasi che non presentano spazi tra una parola e l’altra. Finora nessuno è riuscito a trovare il significato definitivo delle misteriose parole incise sul vaso.
A Roma la scrittura fece la sua comparsa nel VII secolo a.C., il periodo in cui è stato prodotto il vaso di Dueno che, pertanto, costituisce una delle attestazioni di scrittura più antica. Non solo, si tratta di un oggetto di pregevole fattura, sicuramente appartenuto ad una persona piuttosto abbiente.

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Vaso peruviano in terracotta, Museo etnografico di Neuchâtel, Svizzera

I canti e i ritmi popolari hanno spesso una parte importante nel lavoro quotidiano: i tessitori del Nord Africa e del Medio Oriente intessono i tappeti seguendo istruzioni ritmiche cantate ad alta voce (e i maestri tessitori si spostano di località in località recando nella memoria i motivi di decorazione sotto forma di canti).

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 Tappeto africano con motivi etnici e schemi stilizzati seguiti dagli artisti popolari

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Tessitori di tappeti in Iran

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Tappeto “Shiraz”, collezione privata

Gran parte della musica popolare è fortemente ritmica, e spinge a cantare, a muoversi o a ballare. Quando i canti popolari sono basati sul racconto delle gesta dei eroi tradizionali o di avvenimenti e di emozioni quotidiani, raramente recano notazioni personali o individuali.

L’arte popolare non è però tutta “ingenua”. Alcune sue forme particolari sono, anzi, molto sofisticate. Inoltre, ovunque si pratichi ancora l’arte popolare troviamo che tutti riconoscono il senso di potenza insito nell’atto stesso della creazione artistica. In molti casi tale riconoscimento si accompagna con la credenza che questo tipo di artista debba lasciare deliberatamente una “pecca” nel suo lavoro, poiché solo Dio può compiere un’opera perfetta. Se non lo fa, si potrebbe pensare che stia cercando di “imitare” Dio. Per evitare un simile “sacrilegio”, l’ebanista di un villaggio, per esempio, inserirà un “errore” nel proprio lavoro o ne lascerà incompiuta una parte. Un decoratore lascerà un’estremità del suo motivo aperta oppure vi inserirà una nota di colore o una stonatura, in modo da turbarne leggermente la simmetria. Ed è proprio per ragioni del genere che i tessitori orientali e finnici lasciano una “coda” o difetto nel loro lavoro. Loro ritengono infatti che se non lo facessero, le loro anime verrebbero tessute dentro il lavoro stesso e in questo modo intrappolate.

Sebbene non abbia normalmente un’istruzione artistica vera e propria, l’artista popolare apprende quanto gli necessita dal lavoro tradizionale del passato. Dai precedenti artisti egli copia forme altamente stilizzate e così facendo spesso porta un grado più avanti la semplificazione o la stilizzazione. In questo modo il pittore popolare non impara a disegnare un fiore, ma a mischiare i colori, a caricare di colore il pennello in giusta misura e infine a vibrare la pennellata esatta per fare un petalo. In breve, impara un’azione, ed è la somma di queste azioni che determinerà la forma e l’aspetto del fiore.

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Esempi di carretti siciliani. Splendide opere d’arte popolare siciliana, decorati con disegni geometrici a vivaci colori, sono un’eredità degli invasori arabi dell’XI secolo. Sui pannelli vi sono scene della storia medioevale sicula.

 Concludendo, a caratterizzare l’arte popolare è un forte apporto creativo individuale, nato da una matrice artigianale tradizionale, e la storia dell’arte popolare dovrà essere una storia di opere indagate prescindendo da ogni teoria generalizzante, in rapporto con il particolare contesto storico e sociale che le ha prodotte.

                                                     Lucica

L’ARTISTA AL LAVORO

ESPERIENZE PERSONALI E IMMAGINAZIONE

Molti letterati, molti pittori e anche molti musicisti elaborano avvenimenti, sentimenti e situazioni che hanno vissuto in qualche particolare momento. Per fare due esempi, il poeta inglese William Wordsworth (1770-1850) che sentiva appassionatamente la natura, cristallizzò in alcune intense poesie, fugaci ma fortissime sensazioni procurategli dal paesaggio.

Immagine” Il mio cuore esulta quando ammiro un arcobaleno nel cielo:

così è stato quando la mia vita è cominciata;

così è adesso che sono un uomo;
 
Che sia così quando invecchierò,
 
o lasciatemi morire!
 
Il Bambino è Padre dell’Uomo:
 
vorrei che i miei giorni fossero
 
legati l’uno all’altro dall’affetto naturale.”
 
                                                                                             William Wordsworth, POEMS
 

La preoccupazione, che per tutta la vita accompagnò Emile Zola (1840-1902), per le condizioni infelici dei poveri in Francia verso la metà del XIX secolo traspare da quasi ogni riga del suo romanzo “Germinal”: egli tratteggiò un quadro cupamente realistico della povertà sostenendo essere quella la causa ( e non l’effetto, come molti credevano) della pigrizia, dell’ubriachezza e del vizio.

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Emile Zola con i suoi figli Denise e Jacques

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Il romanzo “Germinal”, prima edizione originale, 1885

Come quella di molti grandi artisti, quella di Zola mostra un’intensità che non è solo di sentimento ma anche di pensiero.

L’intensità di pensiero e di sentimento non conduce però necessariamente all’arte realistica: molti artisti scelgono infatti ambienti di fantasia, ma comunque nelle loro opere si ritrovano continui riferimenti al mondo reale. Nel racconto “Nella colonia penale“, Franz Kafka (1883-1924) descrive diffusamente la “macchina di punizione” di un innominato campo di detenzione. Nel 1919, quando fu pubblicata, la storia deve essere parsa assolutamente e puramente fantastica, ma oggi, decenni dopo la liberazione dei campi di concentramento nazisti, suona quasi come un resoconto reale.

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Lo scrittore Franz Kafka

A volte l’artista non ha coscienza diretta di cosa ispira la sua opera. Un breve racconto dello scrittore inglese Joyce Cary (1888-1957) ha per protagonista una ragazza dal viso pieno di rughe; lo stesso Cary era colpito dal fatto che non poteva descrivere il volto della ragazza senza le rughe, anche se parecchio tempo dopo che il racconto era terminato, ricordò improvvisamente che una volta aveva visto una ragazza proprio così.

In conclusione, sia la sua esperienza ricordata consciamente o inconsciamente, che l’ambiente scelto, realistico o fantastico, portano l’artista a rispecchiare la propria esperienza personale, così come il tipo di comunità in cui vive e il modo di pensare, di agire, di guardare della gente che lo circonda.

PROGETTAZIONE E IMPROVVISAZIONE 

Il compositore belga Cesar Franck (1822-1890) iniziava spesso il lavoro preparando la forma “architettonica” della composizione, che solo in un secondo momento rivestiva dell’aspetto melodico.

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Il compositore Cesar Franck

Analogamente si comportava il poeta irlandese W.B.Yeats(1865-1939), annotando le sue idee in prosa prima d’iniziare la composizione in versi.

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Il poeta W.B.Yeats

Al contrario, Franz Schubert (1797-1828) scrisse sei dei motivi della “Winterreise”in una sola mattina, e il poeta russo Aleksandr Puskin (1799-1837) compose di getto e con grande sveltezza enormi quantità di versi che sottoponeva poi a un’accurata selezione.

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                                                                                                                       Il compositore Franz Schubert                                                                                                                                                                                                                                                        

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Lo scrittore Aleksandr Puskin

Di questi quattro esempi, i primi due illustrano un’inconsueta progettazione. Gli ultimi due un’attività creativa straordinariamente intensa cui si dà talvolta il nome di ispirazione”. Gli artisti che lavorano solo attraverso l’ispirazione, spesso credono di essere posseduti da una specie di forza soprannaturale che opera per loro tramite. Questa convinzione può giovare all’artista se gli dà il coraggio di lavorare nonostante i dubbi e le avversità, ma certamente può nuocergli se lo priva del senso critico nei riguardi della propria opera.

Il nostro secolo, inoltre, ha visto nascere nuove forme d’arte, ad esempio il cinema, dove la realizzazione di un film richiede la massima collaborazione fra artisti e tecnici, collaborazione che risulterebbe impossibile senza una vasta progettazione preventiva.

                                                                                                                                                                                                             Lucica

LA FACOLTA’ CREATRICE

Ci si chiede spesso, da dove nasce quello stimolo interno, quell’imperativo profondo, quella necessità intima che porta un’artista a dare vita ad un’opera d’arte?

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La mia casa – opera d’un bimbo; la commozione o l’interesse dei bambini per il mondo che li circonda viene espresso spontaneamente e non è influenzato dalle tecniche convenzionali.

Un grande artista del Rinascimento, Michelangelo Buonarroti (1475-1564), lavorò ben quattro anni per portare a termine il ciclo di affreschi per la Cappella Sistina, e per la maggior parte del tempo dovette dipingere stando supino, con grande disagio e con inguaribile danno alla sua salute. Una tenacia come quella di Michelangelo dimostra quanto sia potente nell’artista l’impulso alla creazione, e quanto quasi sempre tale impulso sia necessario all’artista per esplicitare l’abilità che possiede.

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Michelangelo Buonarroti- Autoritratto

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 Michelangelo Buonarroti,  Roma ,Cappella Sistina, dettaglio con il Giudizio Universale

Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791), il famoso compositore austriaco del XVIII secolo, iniziò a comporre all’età di cinque anni e diede concerti in tutta Europa a sette. Evidentemente, un talento così eccezionale era dovuto principalmente alla sua abilità innata, ma perfino questa precoce abilità ebbe bisogno di esercizio e di preparazione tecnica.

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Wolfgang Amadeus Mozart 

Un lato importante dell’educazione di un artista consiste nello scoprire i limiti e le possibilità delle capacità artistiche: molto prima che le sue particolari abilità si mettano in evidenza, il bambino che diventerà artista può sviluppare le proprie capacità giocando: i giochi sono infatti per tutti, artisti in potenza o no, una parte vitale del processo di crescita. Giochi come ” a papà e mamma”, per esempio, insegnano ai bambini qualcosa del mondo degli adulti, e nello stesso tempo una gran parte del divertimento che i bambini traggono da tali finzioni giocose deriva inconsciamente proprio dalla scoperta dei limiti e delle capacità delle loro abilità.

Tra i fattori che, in particolari epoche, possono porre dei limiti all’arte troviamo regole intese a disciplinare idee e metodi. In passato molti artisti preferivano lavorare secondo serie fisse di regole: nel XVII secolo, il pittore francese Nicolas Poussin (1594-1665), creò tutte le sue opere attenendosi alle norme attentamente meditate che aveva ricavato dai suoi studi sui grandi pittori del Rinascimento.

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Nicolas Poussin – Autoritratto

Numerosissime accademie artistiche furono fondate in quel tempo in basse alla convinzione che la pittura potesse essere appresa semplicemente seguendo le regole. In realtà ciò non basta all’impulso creativo: l’artista autentico ha bisogno della libertà di scelta, giacché qualunque esperienza e qualunque idea possono riuscirgli utili.

Dato che in arte non esistono norme sicure, l’artista si assume un rischio ogni volta che si avventura su un terreno vergine: il lavoro suo non è perciò segnato solo dai successi che ci hanno indotto a riconoscere la sua grandezza, ma anche dagli insuccessi. Ludwig van Beethoven (1770-1827), per esempio, scrisse la Vittoria di Wellington (un insieme di motivi patriottici espressi in forma sinfonica) che è generalmente ritenuta molto inferiore a tutte le altre sue opere.

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Ludwig van Beethoven

Un lavoro creativo brillante richiede normalmente una grande abilità tecnica, abilità che può essere acquisita da pochi senza anni di prove e di tentativi. Come la storia insegna, infatti, la maggior parte degli artisti dà le opere migliori fra i 30 e i 40 anni. A questa regola ci sono tuttavia molte eccezioni: il pittore francese Eugene Henri Paul Gaugain (1848-1903) cominciò a dedicarsi seriamente alla pittura solo a 35 anni, e alcuni artisti raggiungono l’apice della loro attività creativa a tarda età.

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Eugene Henri Paul Gaugain

L’arte è un’attività tanto varia che non ci è possibile definire in poche parole il come e il perché del lavoro artistico. Ci pare tuttavia di poter trarre almeno queste conclusioni generali: ogni arte è retta sia dalle esperienze personali che dall’immaginazione dell’artista. Nelle opere degli artisti si combinano progettazione e improvvisazione.

                                                                                                         Lucica

RITUALE E MAGIA

E’ difficile per noi mettere in rapporto con le creazioni dei nostri artisti, le attività dell’uomo preistorico se ce lo immaginiamo intento a eseguire rituali mentre dipinge sulle pareti delle caverne. In realtà, la connessione è più stretta di quanto immaginiamo. Abbiamo visto che due degli elementi principali dell’arte preistorica sono la magia e il rituale; ora, tutti e due questi elementi, in una forma o nell’altra, esistono nelle arti del nostro secolo.

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Incisione rupestre di Alta, Norvegia, risalenti alla fine dell’età della pietra.

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Incisione rupestre di  Tadrart Acacus, Libia, età della pietra

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Incisione rupestre nella regione libica di Tadrart Acacus

Queste figure, e tante altre ancora, risentono della credenza degli uomini primitivi , secondo cui riproducendo pittoricamente un animale si acquista su di lui un potere magico di vita o di morte, nonché le abilità fisiche di quell’animale.

Anche se ha pochi legami con le arti delle nostre società altamente industrializzate, la magia svolge ancora una funzione di primo piano nelle arti dei popoli primitivi esistenti oggi. I Sepik della Nuova Guinea, i Bacuba del Congo, le molte tribù delle foreste dell’Amazzonia, gli aborigeni australiani sono solo alcuni fra le centinaia di popoli primitivi che praticano l’arte-magia nei loro canti, danze, drammi, sculture o pitture.

Consideriamo per esempio gli aborigeni australiani, molti dei quali hanno ancora pochi contatti col mondo esterno. Uno dei temi comuni della pittura aborigena sono i cosiddetti wondjina (visi dalla forma vagamente umana, con macchie al posto degli occhi e del naso ma senza mai un accenno di bocca) che troviamo dipinti e ridipinti infinite volte.

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Esempio di dipinto aborigeno con l’immagini di “wondjina”

Perché questi dipinti? “Per provocare la pioggia” dicono gli aborigeni, i quali credono che il solo atto di dipingere i wondjina possa assicurare le piogge, la benedizione più sospirata nelle aride regioni australiane. E’ perché i wondjina non hanno bocca? Perché, se l’avessero, la pioggia scorrerebbe a torrenti e provocherebbe inondazioni.

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Una copia di wondjina, senza la bocca, e con 2 macchie al posto dei occhi.

Dunque la magia, in quanto motivo di creazione di oggetti artistici, sopravvive nell’arte dell’XX secolo soprattutto presso i popoli primitivi; ma l’altro elemento dell’arte preistorica, il rituale, è insito in tutte le arti in ogni tipo di società. Prendiamo un esempio: in Grecia i rituali dionisiaci portarono al sorgere del teatro greco, con Aristofane e Eupoli (commediografi attivi ad Atene nella metà del V secolo a.C.) e Filemone e Menandro (attivi ad Atene nel IV-III secolo a.C.).

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Dionisio e Arianna a banchetto, in una brocca attica a figure nere

Le loro opere di questi commediografi si rifanno ad una serie di rituali ed eventi di diverso genere.

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Vaso etrusco raffigurante una scena di battaglia tra opliti e cavalieri greci.

Anche in tempi moderni il rituale ha avuto una parte enorme nella vita dei popoli e nella loro arte: pratiche religiose, processioni solenni e cerimonie, parate tradizionali, adunate politiche, incontri sportivi, carnevali implicano ognuno un tipo di rituale e ognuno di essi, a sua volta, richiede un genere d’arte. Per i carnevali e le adunate si preparano maschere e cartelli; per le assemblee politiche o d’altro genere si decorano le sale con bandiere, nastri colorati, palloni, eccetera; per molte cerimonie solenni, infine, compositori, pittori, scultori e altri artisti sono incaricati dell’esecuzione di opere che ricordino l’avvenimento.

Citiamo alcuni esempi: il kedivè d’Egitto celebrò l’apertura del Canale di Suez facendo costruire al Cairo un nuovo teatro dell’opera e commissionando a Giuseppe Verdi un’opera d’ambiente egiziano, l’Aida, rappresentata per la prima volta nel 1871. Nel 1950 Pablo Picasso disegno una colomba simbolica che fu riprodotta in molti parti del mondo su bandiere e manifesti in occasione di adunate per la pace.

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 Pablo Picasso, La colomba per la pace

Poco prima di morire, nel 1954, un contemporaneo di Picasso, Henry Matisse, disegnò decorazioni e paramenti a colori vivaci e a soggetto prevalentemente astratto per la cappella di un convegno a Vence, in Francia.

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Le decorazioni realizzate da H.Matisse per la Cappella del Rosario a Vence, Francia

Perciò il rituale è oggi uno stimolo all’arte tanto importante quanto lo è stato per i nostri antenati delle caverne, ma è spesso uno stimolo esterno: infatti, i rituali possono richiedere opere le cui ragioni sociali o religiose non rispecchiano le convinzioni personali dell’artista. Quello stimolo interno che viene dall’intimo dell’artista lo chiamiamo facoltà creatrice. Spesso ci si domanda se questa abilità, questa facoltà creatrice sia innata o acquisita: naturalmente, nessuno nasce con tali doti artistiche da poter fare a meno dell’educazione delle proprie capacità, ma è altrettanto ovvio che il solo addestramento non basta a fare di un uomo un artista. In conclusione, per tutti gli artisti l’istruzione professionale e l’abilità innata sono condizioni essenziali.

                                                              Lucica Bianchi

LO SPIRITO CREATIVO – I PRIMI ARTISTI

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Non sapremo probabilmente mai quando gli uomini cominciarono per la prima volta a cantare e a danzare o a raccontare e a rappresentare avvenimenti che li avevano commossi; i primi uomini che lo fecero, infatti, morirono molto prima che iniziasse la storia scritta. Sappiamo tuttavia per certo che gli uomini cantavano e danzavano già almeno 15.000 anni fa: lo sappiamo perché pitture rupestri all’incirca di quel periodo raffigurano uomini che danzano e cantano.

Quando gli uomini cominciarono a dipingere e a incidere la pietra per rappresentare animali e uomini, lo scopo principale fu quasi certamente quello di fare della magia: essi credevano infatti, o almeno così riteniamo, che gli oggetti che creavano contenessero poteri occulti in grado di dominare gli eventi naturali. Secondo questa credenza, perciò, un cacciatore che disegnava, per esempio, un cervo otteneva una specie di potere su un cervo vero.

Attorno a questi primi dipinti, disegni e graffiti si svilupparono probabilmente serie fisse di parole e di gesti che venivano ripetute in determinate occasioni, dando inizio così al rituale. Insieme, magia e rituale diedero all’uomo il primo impulso a quell’estremo perfezionamento dell’uso della voce, del corpo e della mano che chiamiamo “arte”. Gli uomini preistorici non avevano probabilmente una parola equivalente ad “arte”, ma graffiti e disegni erano semplicemente gli elementi principali della loro magia, sebbene qualcuno fra questi uomini dovesse già ricavare un piacere artistico da ciò che stava facendo. Verosimilmente, nelle primissime forme di questa arte-magia (forse addirittura 90.000 anni fa) c’era il tentativo di imprigionare per sempre delle ombre disegnando i loro profili sulla roccia.

Alcuni esperti ritengono che questi primi tentativi meccanici di disegno possano essere stati garanzie magiche che qualcosa della personalità del loro autore sarebbe sopravvissuta, un impulso che ancora si manifesta nel desiderio dell’uomo moderno di farsi immortalare nel ritratto fotografico o pittorico. In ogni modo, anche se non comprendiamo appieno i motivi che ispirarono quanto l’uomo primitivo ci ha lasciato, possiamo ricavarne piacere e interesse, e anche trarre qualche congettura sul perché della loro creazione.

Alcuni fra gli esempi più suggestivi ed emozionanti dell’arte dell’Età della Pietra si trovano nelle grotte della Francia meridionale e della Spagna settentrionale, nelle cui profondità mai raggiunte dalla luce del giorno, considerate luoghi magici o sacri, gli uomini dipinsero e scolpirono, alla luce vacillante delle torce e penetrati da sacro timore, le raffigurazioni fedeli di bisonti, di cervi e di altri animali. Le bestie devono essere state dipinte per garantire il successo alla caccia, ma accanto a tali raffigurazioni appaiono segni e simboli misteriosi con significato, forse almeno in parte, di mezzi magici intesi ad assicurare alla tribù la nascita di bambini in numero sufficiente a permetterle di sopravvivere. Le pitture scoperte nella grotta dei Trois-Frères nel sud della Francia sembrano dimostrare che i rituali venivano eseguiti contemporaneamente alle pitture: ci sono raffigurazioni di uomini vestiti di pelli e con maschere di animali sul volto che sembrano danzare, cantare, e suonare una specie di strumento musicale; ciò suggerisce l’idea che i nostri antenati possedessero una cultura complessa e molte delle capacità che si svilupparono più tardi in arti distinte.

Il cosiddetto “stregone” dei Trois-Frères, che indossa pelli di animali e porta corna di cervo maschio, presiede a tutte queste pitture di animali e di ballerini. Probabilmente, qualcuno come lui dirigeva le cerimonie con cui si iniziavano i ragazzi della tribù alla caccia o con cui si cercava di garantire che il cibo e la continuità della razza sarebbero stati salvaguardati. Riti simili ottennero sicuramente un certo successo rendendo gli uomini più fiduciosi, più arditi e più audaci di quanto sarebbero stati altrimenti.

Lucica Bianchi

LO SPIRITO CREATIVO

L’attività artistica sta nel far rivivere in noi stessi una sensazione che si sia sperimentata, e dopo averla fatta rivivere in noi stessi trasformare tale sensazione in movimento, o in linee, o in colori, o in suoni, o in forme espresse con le parole, così che altri possano provare quella stessa sensazione.”

Lev Nikolaeviç Tolstoi (1828-1910)

Nel corso della storia molti grandi pensatori si sono sforzati di formulare una definizione dell’arte; ciascuno ha aggiunto qualcosa alle nostre conoscenze, ma nessuno ha detto l’ultima parola; la sola cosa di cui siamo sicuri è che finché gli artisti esisteranno e lavoreranno gli uomini discuteranno e cercheranno di definire l’arte.

Pur non essendo in grado di dare una definizione complessiva dell’arte, possiamo tuttavia, cominciare a capire quale importanza essa abbia nella nostra vita solo se ci sforziamo di immaginare un mondo che ne sia privo: non più canto o musica, non più danza, non più teatro o racconti, non più cinematografo, scultura, pittura, disegni…

Dall’elenco appare chiaro che pur non potendo, ovviamente, tracciare lo sviluppo di ogni forma d’arte, cercheremo semplicemente di gettare le basi di tale studio prendendo in esame gli impulsi creativi, fondamento di ogni attività artistica.

Vedremo che quando l’arte è nata, le sue funzioni erano connesse con la magia e i rituali e che queste funzioni ancor oggi ci accompagnano in qualche modo. 

Grotta di Altamira – complesso di caverne nella Spagna settentrionaleImmagine

Grotta di Lascaux – complesso di caverne nel sud occidentale della Francia

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Vedremo l’uomo come artista, in che modo il suo impulso creativo possa venire disciplinato, ed esamineremo infine tre importanti parti che gli artisti possono interpretare nei diversi tipi di comunità: quella di artista popolare in società primitive e semplici, quella del artista raffinato in seno a culture altamente civilizzate e la parte dell’artista che lavora nel campo delle comunicazioni col grande pubblico.