BASILICA DI SANTA LUCIA AL SEPOLCRO

 

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Michelangelo Merisi da Caravaggio, Seppellimento di Santa Lucia,1608,Chiesa di Santa Lucia alla Badia, Siracusa

 

La Basilica di Santa Lucia al Sepolcro sorge sul luogo in cui la Santa fu martirizzata nell’anno 304.I Siracusani costruirono, infatti, dopo la pace di Costantino una chiesa dedicata alla martire della quale nulla ci è giunto a seguito delle distruzioni causate dai vari terremoti e dalla dominazione araba. L’attuale chiesa può essere fatta risalire alla restaurazione religiosa del periodo normanno che ebbe ripercussioni considerevoli nel campo dell’ architettura; la ripresa edilizia non solo si affermò con la ricostruzione di tutti quegli edifici sacri danneggiati dagli arabi, ma anche con nuove costruzioni, meglio rispondenti alle diverse esigenze dei nuovi conquistatori: il restauro della chiesa e dell’annesso convento, consistente in interventi di riedificazione e di abbellimento, che non alterarono le linee della basilica, fu prontamente effettuato dal benefattore Gerardo da Lentini.La pianta odierna rispecchia quindi, con ogni evidenza l’antica: la grande navata centrale, fiancheggiata dalle due minori, lo svolgimento triabsidato, rientrano nelle forme tipiche dell’ architettura normanna. Il più evidente richiamo alla fabbrica normanna proviene dal portale la cui struttura è rimasta immutata. Esso è costituito da un grande arco a pieno centro inscritto in un timpano ribassato. Agli inizi del XIV sec. su iniziativa di Filippo II d’Aragona, il complesso conventuale di Santa Lucia venne interessato da un ulteriore intervento di restauro, che si svolse sul piano precedente senza variazioni significative. Il rimaneggiamento trecentesco lasciò inalterate le linee del prospetto della chiesa, pur introducendo, o rifacendo il rosone centrale, realizzando la torre campanaria, che era originariamente a due piani, e il tetto a capriate lignee venuto alla luce solo nel 1939, dato che fino a quel momento era stato completamente ricoperto da volte a botte.Nel 1618, all’arrivo in città dei Padri Francescani riformati, si presentò al Senato l’occasione di disporre in maniera definitiva di una comunità che si occupasse del sepolcro e che abitasse il convento ormai in disuso. Nuovi interventi di restauro dovettero interessarlo insieme alla chiesa, e allo stesso tempo si intraprese la costruzione del tempietto ottagonale. Lasciando inalterato lo schema basilicale, l’architetto Giovanni Vermexio, a cui venne affidato l’incarico, introdusse le grandi arcate a tutto sesto e i pilastri che contengono, probabilmente, al loro interno le antiche colonne normanne.

SANTUARIO DI TIRANO

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“BENE AVRAI”

Il Santuario di Tirano sorge proprio nel punto dove, il 29 settembre 1504, festa di S. Michele, la Vergine Maria apparve al beato Mario Homodei, salutandolo con le parole: “Bene avrai” e chiedendo espressamente la costruzione di un tempio in suo onore con la promessa di salute spirituale e corporale a chi l’avesse invocata. L’immediato consenso creatosi intorno all’apparizione indusse le autorità di Tirano a chiedere alla Curia di Como l’autorizzazione per la costruzione del santuario. Questa fu subito concessa. Infatti il 10 ottobre 1504, undici giorni dopo l’evento, Guglielmo Cittadini, vicario del vescovo di Como, cardinale Antonio Trivulzio, autorizzava, con il permesso di celebrare la messa, la costruzione di una basilicam seu ecclesiam in onore della Vergine, sul luogo dell’Apparizione, dove già era stata eretta con frenetico zelo una cappella. Neppure sei mesi dopo l’apparizione, esattamente il 25 marzo 1505, fu posta la prima pietra. Presunti architetti i fratelli Rodari, Tommaso, Giacomo, Donato e Bernardino, originari di Maroggia sul lago di Lugano, nel Canton Ticino della Svizzera. Nel 1513 la chiesa era già officiata, anche se incompleta. Numerosi maestri d’arte, nei secoli successivi, gli diedero l’attuale bellezza e ricchezza artistica. La veridicità dell’apparizione, supportata dall’immediato verificarsi di miracoli, indusse la gente a sollecitare l’edificazione del tempio e rappresentò un’occasione per manifestare più apertamente la religiosità e la profonda devozione mariana di quella terra. La gente contadina era per lo più abituata a vivere l’esperienza religiosa anche negli episodi della vita quotidiana: è facile capire come spontaneamente corresse a quel luogo benedetto e poi alla cappella per i problemi di tutti i giorni, e il compiersi dei miracoli non poteva che accrescere questo fenomeno. Il santuario di Tirano è stato un punto di riferimento importante per i valligiani, soprattutto durante l’occupazione e le guerre, e la devozione alla Madonna come protettrice della valle e simbolo della sua libertà si è sicuramente andata consolidando nel tempo. Ora come allora il santuario è meta di numerosi pellegrini e turisti che, come recita la formella in marmo (1534) apposta sopra il portale principale del tempio, affidano alla Vergine Maria con cuore sincero le proprie preghiere. Qui, in questo santuario, ogni giorno accorrono i devoti per deporre ai piedi della Vergine gioie, speranze e sofferenze e per avere salute e consolazione.

VIDEO DEL SANTUARIO

Notizie storiche. Le prime notizie storiche documentate risalgono al secolo XI. Un documento del 1073 parla del castello del Dosso, costruito dalla famiglia Omodei; in seguito Tirano si costituisce in Comune, quindi è sottoposto alla Signoria dei Capitanei, dei Visconti e degli Sforza di Milano. Lodovico il Moro fortifica Tirano con una nuova cerchia di mura, con tre porte e con il nuovo castello di Santa Maria. Proprio in quel periodo, politicamente e religiosamente tanto agitato, avviene l’apparizione prodigiosa della Madonna che, con la costruzione del Santuario, rende celebre la città e l’intera regione.

Don Simone Cabassi, parroco di Tirano, l’8 settembre 1601 ne descrive per primo la storia:

Il giorno di San Michele29 settembre 1504, un contadino “di santa vita e religiosi costumi”, di nome Mario, della nobile famiglia degli Omodei, esce di casa prima dello spuntar del sole, per andare nella vigna a raccogliere alcuni pochi frutti, quando improvvisamente, ha l’impressione che le cime dei monti siano illuminate da una nuova strana luce.

Mentre incerto si domanda da dove provenga tanto chiarore, si sente alzare da terra e trasportare in un piccolo orticello, coltivato in quella zona solitaria. Deposto a terra, gli si presenta davanti agli occhi una fanciulla, dall’apparente età di 14 anni, o poco più, con una veste candidissima, dalla quale Mario comprende provenire la strana luce che lo avvolge. La fanciulla, circondata da una moltitudine di angeli, gli rivolge la parola, chiamandolo per nome «Mario! Mario!». Il buon Mario, rincuorato, risponde «Bene?». «Bene avrai!» riprende la fanciulla.

«Vai a Tirano, e chiedi a quella gente di costruire, in questo luogo, una chiesa per il culto del Signore ed in onore del mio santo Nome».

A Mario, preoccupato per l’incarico ricevuto, che teme di non essere creduto dai compaesani, la fanciulla assicura che, se non crederanno, la pestilenza che al presente affligge il bestiame, si estenderà anche alla popolazione. Come segno dell’autenticità delle sue parole, gli annuncia la guarigione del fratello Benedetto che ha appena lasciato infermo. Terminato il colloquio, la visione scompare lasciando un’intensa fragranza di soavi profumi.  Fattosi giorno, Mario, colmo di meraviglia, si precipita nella chiesa parrocchiale dedicata a San Martino,nella quale i fedeli stanno assistendo alla celebrazione della prima Messa, ed annuncia loro a gran voce quanto la Madonna gli ha comunicato. Dopo un primo iniziale momento di incredulità e di incertezza, i fedeli corrono alla casa di Mario, dove constatano la guarigione del fratello Benedetto che ormai credevano morto, e che invece li accoglie, in piedi, senza febbre, con solo una leggera debolezza dovuta alla lunga malattia.

Il 25 marzo del 1505 vengono gettate le fondamenta del Santuario di Nostra Signora di Tirano, su un terreno appartenente a un capitano degli Sforza. Molte furono le grazie ricevute dalla popolazione, tanto che nella sacrestia è conservato un “libro dei miracoli” che riferisce con minuziosi particolari i prodigi avvenuti nel periodo 1504-1519.

Ma proprio in questo periodo, anche i contrasti religiosi coi Grigioni si vanno acuendo e conducono alla sanguinosa rivolta del 1620, che sfocia, la mattina del 19 luglio, nella strage dei riformati che si estende poi per tutta la Valle. La mattina del 11 settembre gli Svizzeri prendono d’assalto Tirano. Ma i Valtellinesi, sostenuto il primo urto, escono in campo aperto e la battaglia si svolge con sorti alterne; alla fine gli Svizzeri sono sopraffatti e lasciano sul campo numerosi morti, tra i quali gli stessi comandanti. Gli storici riferiscono che in quel giorno la statua di bronzo di San Michele arcangelo, posta sulla cupola del Santuario, fu vista roteare su se stessa e brandire la spada di fuoco contro il campo avversario.

 

 

Lucica Bianchi

CHIESA DI SAN MAURIZIO IN PONTE DI VALTELLINA

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Affresco di Bernardino Luini, raffigurante la Vergine con il Bambino e San Maurizio

Stupendo esempio di arte sacra rinascimentale valtellinese!

La chiesa parrocchiale di Ponte, eretta nel XIII secolo, fu ampliata una prima volta nel 1347 -come attesta una lapide posta all’entrata – e portata alle attuali dimensioni durante la metà del XV secolo. L’intitolazione a San Maurizio -molto rara e forse unica nella nostra diocesi -pare sia da attribuire alla famiglia Quadrio, stabilitasi nel borgo dopo l’abbandono di Como, a seguito delle vicende belliche che videro la città lariana contrapposta ai milanesi. Ne potrebbe essere conferma uno dei due stemmi scolpiti sui piedritti di un portale laterale: quello con tre cubi disposti a piramide rovesciata, è quello dei Quadrio; l’altro, che ricorda il vessillo crociato del Santo martire, è divenuto stemma del comune di Ponte.
La facciata principale e l’esterno

 

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Completata nel 1460, dopo l’ampliamento della chiesa, ad opera del maestro Jacopo Corti di Valsolda, la facciata esibisce un maestoso portale in marmo decorato con fregi a motivi vegetali e colonnina tortile; si conclude superiormente con una lunetta ad ogiva – con effigie del Santo -, che racchiude il bell’affresco cinquecentesco di Bernardino Luini, raffigurante la Vergine con il Bambino e San Maurizio.
Il portone ligneo è stato rifatto dall’artigiano locale Raffaele Galimberti nel 1886 sul modello di quello originale, di cui si conservano alcune tessere – prezioso e raro documento delle opere di intaglio del Quattrocento lombardo – presso il Museo parrocchiale.
Sulla facciata meridionale, oltre il portalino con gli stemmi, sono degni di nota la meridiana realizzata nel 1879 e il vasto affresco che raffigura San Cristoforo, ascrivibile ad un maestro del XVI secolo.
Ad est si eleva l’elegante torre campanaria, alleggerita dalle aperture monofore, bifore e trifore. Sugli spigoli sono visibili alcuni conci con incisioni arcaiche.

L’interno

La chiesa è a pianta basilicale, a tre navate, scandite da poderose colonne granitiche, ornate da capitelli scolpiti, che reggono archi a tutto sesto. Il fregio sovrastante, realizzato nel XIX secolo dal pittore Giuseppe Reina, è intervallato da tondi con volti di Santi, titolari di alcune delle numerose chiese della parrocchia. Il pulpito, realizzato nel 1611 dal maestro ebanista Baldassarre Heger, è pregevole opera di scultura, intaglio e intarsio: è adorno di statue poste entro nicchie e volti di cherubini; sulla faccia principale è collocata una tarsia raffigurante il Santo titolare con i compagni che rifiutano l’idolatria.

L’organo è pure rilevante, sia per la cassa lignea, riccamente scolpita e intagliata, attribuita a Baldassarre Heger, sia per la parte strumentale, opera seicentesca di Carlo Prati da Gera Lario.
Sul pavimento ricoperto da pesanti lastre di pietra si aprono, riconoscibili da iscrizioni, stemmi e date incise, le tombe dei fedeli e dei parroci di Ponte.
Il soffitto delle navate presenta ancora le originali capriate lignee.
Alle pareti laterali sono accostati artistici confessionali ed è esposta una Via Crucis settecentesca, inviata alla parrocchia dai “benefattori di Roma”, migranti che, lasciato il paese per l’Urbe, si riunivano in confraternite e, periodicamente, inviavano alla chiesa del borgo natio – segno di gratitudine e di nostalgia -offerte in denaro, suppellettili preziose o paramenti realizzati con ricchi tessuti.
L’altare di sinistra
La cappella è intitolata a Santa Elisabetta; il polittico affrescato sulla parete è opera di Giovanni Battista da Musso ed è stato realizzato nel 1501: al centro sta la Vergine con il Bambino, alla sua destra San Maurizio e Santa Maria Maddalena, alla sua sinistra San Nicola da Tolentino e un Santo Papa. La cornice in stucco fu realizzata nel XVII secolo per ospitare una tela con la Visita di Maria ad Elisabetta, ora esposta sulla parete meridionale della chiesa. Gli affreschi della volta sono opera del pittore valtellinese Giovanni Gavazzeni (1899). Presso l’altare si trova il fonte battesimale costituito da una vasca monolitica in marmo, scolpita nel 1585, coperta da un coprifonte ligneo intagliato, a foggia di tempietto a base ottagonale.
L’altare di destra
La cappella è intitolata alla Madonna delle Grazie e custodisce l’ancona di Giacomo del Maino, scolpita, dipinta e dorata nell’ultimo decennio del XV secolo.

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Sopra la predella con tondi di Profeti, l’ancona è ripartita in due ordini:in quello inferiore, scandito da candelabri, sei formelle narrano le Storie di San Gioacchino e Sant’Anna, mentre nella nicchia centrale è posta la Vergine; nell’ordine superiore quattro nicchie accolgono altrettante statue con San Rocco, San Bernardino da Siena, San Pietro Martire e San Sebastiano. Tre lunette con angeli scolpiti e, al centro, Cristo, concludono la cimasa.
La volta è stata affrescata da Felice Scotti, che vi ha dipinto angeli musicanti e busti di Profeti e Sibille, occhieggianti, in suggestive prospettive, da cornici tonde. Alle pareti l’affresco raffigurante San Nicola da Tolentino e tre affreschi tardo quattrocenteschi “strappati” e riportati su tela, raffiguranti Sant’Antonio Abate e San Giovanni Battista.
Una cancellata in ferro battuto artisticamente lavorata chiude la cappella.
Gli altri altari laterali
Rimaneggiati sul finire del XIX secolo, i due altari posti a lato del presbiterio sono dedicati, quello di sinistra, al Sacro Cuore e, quello di destra, alla Madonna del Rosario. Gli affreschi delle volte e delle pareti sono opera del pittore Giovanni Gavazzeni.
Il presbiterio e l’abside
Si tratta delle ultime opere in muratura realizzate, e concluse nel 1500; furono dapprima commissionate all’architetto milanese Giovanni Antonio Amadeo, che, tuttavia, non potè portarle a conclusione; intervennero quindi i fratelli Giacomo e Tommaso Rodari di Mareggia che ultimarono la cappella, abbellendola con lesene culminanti in capitelli scolpiti e un grazioso portale che immette nella sagrestia. Alla stessa area rodariana è ascrivibile il tabernacolo degli Olii Santi, sulla parete sinistra, scolpito e datato 1536. Otto medaglioni in marmo bianco, di altissima fattura, con volti di Apostoli, sono disposti nel fregio che corre tutt’intorno alle pareti.
Il ciborio in bronzo, realizzato nel 1578 secondo i canoni controriformistici dettati da San Carlo Borromeo, è opera quasi unica di due orafi pontaschi, i fratelli Innocenzo e Francesco Guicciardi. A forma di piccolo tempio ottagonale, è abbellito da statue a tutto tondo, formelle lavorate a cesello e sbalzo raffiguranti scene dal Vecchio e dal Nuovo Testamento, i quattro Evangelisti, iscrizioni. Oltre una breve balaustra, si innalza la cupoletta terminale su cui si erge la statua del Cristo Risorto. Alle spalle del ciborio si trovano gli stalli corali, opera realizzata in momenti diversi, con l’intervento di Pietro Brasca, (1500), Pietro Ramus (seconda metà del 1600) e Giovanni Picceni (XX secolo).
Alle pareti tre tele del pittore morbegnese Giovan Pietro Romegialli: l’Ultima Cena, la Lavanda dei Piedi, sul fondo San Maurizio e Compagni. Le settecentesche quadrature che le ornano sono di Giuseppe Porro. Nell’arco trionfale, da una grande croce lignea del Cinquecento posta sopra una trave si legge l’ iscrizione, “Cristo volge il suo sguardo sofferente e misericordioso verso i fedeli.”

 

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Lucica Bianchi

LA BASILICA DI SANTA SOFIA (AYA SOFYA), ISTANBUL

 

 

 

È il monumento più importante e famoso di Istanbul, il gioiello non solo dell’età giustiniana ma di tutta l’architettura bizantina. Fu chiesa per 916 anni, moschea per altri 482; sconsacrata per ordine di Atatürk oggi è museo. Anche se il suo aspetto esterno non appare particolarmente bello, resta una delle testimonianze più importanti nella storia dell’umanità: non esiste un altro edificio bizantino che sia grande neppure la metà di questo, né fu mai imitata fino al XVI secolo, quando furono costruite le moschee ottomane, perché considerata un’opera miracolosa, condotta a termine soltanto grazie all’intervento divino. La sua storia è complessa: eretta in onore della Santa Sapienza (Hagia Sophia in greco e Aya Sofya in turco) dall’imperatore Costantino, ingrandita da Costanzo II, andò completamente distrutta nell’incendio del 404. Ricostruita da Teodosio II bruciò di nuovo durante la rivolta di Nika nel gennaio del 532, assieme ad altre chiese, alle terme, a parte del palazzo imperiale.L’imperatore Giustiniano ne decise la ricostruzione, ma con dimensioni e bellezza tali da superare il tempio di Salomone. Fu eretta in cinque anni e mezzo, vi lavorarono diecimila operai, e costò 180 quintali d’oro. Il 27 dicembre 537 Giustiniano in gran pompa, circondato dai dignitari di stato, si recò alla cattedrale su un carro tirato da magnifici cavalli. Ricevuto dal patriarca Nesso, assistette alla cerimonia di consacrazione e a un tratto, levate le braccia al cielo, gridò: “Gloria a Dio che mi ha giudicato degno di terminare quest’opera. Ti ho superato, Salomone!”.
Gli architetti furono Antemio di Tralles, famoso matematico, e Isidoro di Mileto, probabilmente scelti per esperienza pratica e conoscenze teoriche ma dei quali nessun altro edificio è conosciuto. Enormi erano le dimensioni di pianta (il rettangolo principale misura internamente 69,70 x 74,60 metri), eccezionali quella della cupola (31 metri di diametro) che per di più non poggiava su muri pieni ma era “sospesa nell’aria”, impresa mai tentata prima d’allora.E, narrano le cronache di Procopio, si deve all’imperatore la decisione di portare a termine la costruzione della cupola nonostante alcuni cedimenti strutturali che si erano verificati in corso d’opera. Procopio racconta anche dell’abbondanza di luce che pareva non provenire dall’esterno, ma prodursi dentro la chiesa: probabilmente le pareti sotto gli archi erano traforate e la luce, entrando, si rifletteva sulle grandi superfici a mosaico.

 

Lucica Bianchi

LA CAPPELLA DEL CROCIFISSO NEL DUOMO DI MONREALE, PALERMO

 

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Giovanni Roano, nato in Spagna nel 1618 e formatosi all’Università di Salamanca e a quella di Valladolid, nel 1659 fu nominato Vescovo di Cefalù e nel 1673 di Monreale dove rimase fino al 1703. Uomo dottissimo nelle scienze e personaggio intraprendente, diede segni tangibili della sua vigilante cura pastorale e di amore verso la sua diletta chiesa.
Grande committente d’arte, sistemò gli altari delle absidi del Duomo di Monreale adattando lo stile barocco alle forme architettoniche normanne. Tanto l’altare del Sacramento che quello della Madonna del Popolo, sono uguali per quel che riguarda i principali elementi architettonici, plastici, decorativi e l’ornato a mischio. A lui si deve la costruzione a fundamentis della cappella del Crocifisso nel Duomo di Monreale(chiamata anche la Cappella Roano), splendido esempio del barocco siciliano,realizzata tra il 1686 e il 1692 dall’architetto gesuita Angelo Italia, che l’illuminato prelato volle appartata e non invadente rispetto alla protagonista decorazione musiva del Duomo. All’interno vi collocò il proprio monumento funebre posto simbolicamente in adorazione perenne verso Cristo. L’esuberante cappella, che fonde l’eccesso del barocco alla ridondanza del gusto iberico del prelato, raccoglie numerose frasi tratte perlopiù dall’Antico Testamento che servono, assieme alle tante immagini simboliche, ad addottrinare il catecumeno che entra nel piccolo sacello. Concorrono a conferire solennità al monumento le statue dei quattro profeti maggiori, Daniele, Ezechiele, Isaia, Geremia, e quelle delle tre Virtù teologali Fede, Speranza e Carità. Roano arricchì la sacrestia della cappella con un armadio e un inginocchiatoio in noce intagliato, alto esempio di ebanisteria trapanese, e un lavabo in marmi mischi. La predilezione, da parte dell’Arcivescovo, per il variegato intreccio di colori si rivela ancora nelle preziose suppellettili liturgiche da lui commissionate e nei parati sacri. Gli arredi liturgici sono preziosissimi capolavori dell’arte orafa siciliana, come il pastorale, l’ostensorio e la palmatoria tutti in filigrana d’argento e pietre policrome che Roano utilizzò verosimilmente in occasione della solenne benedizione del piccolo edificio sacro.

 

 

 

 

Lucica Bianchi

SAN PIETRO IN BANCHI

Tra le varie sorprese che i vicoli del centro storico di Genova riservano, ce n’è una davvero molto particolare: la chiesa di San Pietro in Banchi.

 

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La particolarità più evidente di questa chiesa consiste nel fatto che è costruita sopra alcune botteghe: il perché di questa soluzione più unica che rara, ci rimanda alla storia della costruzione. Sul sito della chiesa che possiamo ammirare oggi, ne esisteva un’altra, antichissima (fu costruita molto prima dell’anno Mille: pare nel 972) che era detta San Pietro della Porta, e il cui ricordo permane oggi in una via che si chiama proprio “via di San Pietro della Porta”. Proprio nella piazza dove oggi sorge la chiesa si trovava infatti una delle antiche porte di accesso alla città, e la chiesa di San Pietro della Porta, data la sua vicinanza al porto, era quella dove si fermavano tutti coloro che giungevano a Genova per mare.

Tuttavia, nel 1398, uno scontro tra diverse fazioni politiche condusse alla distruzione della chiesa, che andò in rovina durante un incendio. Due secoli più tardi, nel 1572, alla fine di una pestilenza che aveva flagellato la città, si decise di ricostruirla: la costruzione fu completata otto anni dopo. Ci troviamo nel periodo di massima fioritura dell’economia della Repubblica di Genova: parte della costruzione però dovette autofinanziarsi. Fu così che si ideò di completare la chiesa con i fondi ricavati dall’affitto delle botteghe che furono aperte nei locali ricavati all’interno del basamento su cui sorgeva la chiesa stessa. L’idea ebbe successo, le botteghe furono affittate e la chiesa poté essere completata! I genovesi mostrarono quindi una modernità non indifferente, e ancora oggi i locali del basamento sono adibiti ad attività commerciali.

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E inoltre si tratta di una chiesa importante, perché la piazza su cui sorge,Piazza Banchi, era il centro delle attività economiche della Genova antica. Oggi ci si presenta con il suo aspetto severo, ma ingentilito dalle decorazioni a trompe l’oeil, ovvero quelle per cui gli elementi architettonici, invece di essere veri, sono dipinti. Colonne, cornicioni, balaustre, terrazzini: tutto dipinto, da lontano sembra marmo, ma in realtà sono pitture! Questa tecnica è frequentissima in Liguria per il fatto che l’aria salmastra del mare poteva risultare nociva per molti materiali usati in architettura.

 

 

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Tutta la chiesa è costruita su questo basamento-terrazza, ed è raccordata alla piazza attraverso uno scalone: tutto questo contribuisce a dare un senso di imponenza alla costruzione, accresciuto dalle due torrette campanarie che osserviamo ai lati della facciata. Una facciata divisa in tre parti, che sono segnate dai tre grandi arconi del portico, e una facciata caratterizzata dai colori rosso e verde (oltre che dal bianco delle finte architetture). Il progetto fu ideato dall’architetto Bernardino Cantone, che dimostrò di ispirarsi apertamente a un ben noto progetto del più celebre architetto perugino (ma attivo anche a Genova) Galeazzo Alessi,ovvero la Basilica di Santa Maria Assunta di Carignano, probabilmente la più imponente chiesa della città (è visibile da molte parti di Genova ed è uno dei primi edifici che si notano arrivando dal mare).

 

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Più indietro, vediamo stagliarsi il profilo della cupola. Oltrepassato il portico, ci avviamo verso l’interno, che è a navata unica con cappelle laterali ma soprattutto è particolarmente sontuoso: ci sono magnifiche decorazioni in marmo,stucchi, pregevoli capolavori d’arte del Cinquecento e del Seicento Genovese. Abbiamo una Immacolata concezione di Andrea Semino (che si trova nella cappella dedicata proprio all’Immacolata Concezione), abbiamo statue di Taddeo Carlone e Daniello Casella, abbiamo affreschi di Andrea Ansaldo. La pala d’altare è invece opera di Cesare Corte e il protagonista è, ovviamente, San Pietro.

 

 

 

Lucica Bianchi

LE VETRATE DEL DUOMO DI MILANO

Una Bibbia di luce e colori scolpita in vetro!

 

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L’arte vetraria del Cantiere del Duomo seguì pari passo le vicende edilizie ed il problema di chiudere con vetri le finestre si pose già con la conclusione del primo organismo architettonico, la sacrestia aquilonare.
La prima soluzione proposta(1397) fu quella di inserire vetri colorati, ma nel 1403 si decise per dare alle finestre vetrate istoriate.Il motivo di questa scelta fu la facilità di lettura delle vetrate, decorate in modo da essere il racconto visivo con il quale Dio si manifesta al suo popolo, l’immagine della “luce vera / quella che illumina ogni uomo” (1 Gv 1,5), cioè il Cristo, il figlio del Dio vivente.

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Nella seconda metà del XV sec. venne creato in Duomo un originalissimo linguaggio nell’arte vetraria, capace di tradurre le arditezze prospettiche di estrazione mantegnesca e ferrarese in una gamma cromatica di tessere vitree basate su toni fulgenti e freddi.Nella prima metà del Cinquecento si rese necessario un ampio programma di riordino e di risistemazione dell’intero corpus vetrario. In questo periodo ebbero varie commissioni Pietro da Velate, i fiamminghi Giorgio da Anversa e Dirck Crabeth ed emerse la personalità di Giuseppe Arcimboldi che creò numerosi cartoni per vetrate, tra cui quella di S. Caterina d’Alessandria. L’intervento di questo singolare artista e di Pellegrino Pelegrini (Vetrata dei Santi Quattro Coronati) segnò l’inizio di un nuovo modo di operare che distingueva nettamente la fase di progettazione, affidata ad un valido pittore ma inesperto di tecniche vetrarie, da quella di realizzazione, attuata da una abile maestro vetraio. La tecnica di lavorazione rimase pressappoco uguale fino all’Ottocento quando, con il rinnovamento culturale prodotto dal Romanticismo lombardo e con il “Gothic Revival” operato dal Palagi, dal Sanquirico e dall’Hayez, l’interesse per il patrimonio vetrario della Cattedrale di Milano crebbe moltissimo.
In questo clima di rinnovato entusiasmo operò Giovanni Battista Bertini ed i suoi figli, che impiegarono una nuova tecnica, quella della decorazione a smalto, sull’antico modello della vetrata istoriata.I Bertini eseguirono ex novo ben undici vetrate, tra le quali due absidali. Le vicende belliche comportarono lo smontaggio di tutte le vetrate, per metterle al sicuro dai bombardamenti, all’interno di un sotterraneo.Nel secondo dopoguerra si procedette all’esecuzione delle vetrate per la facciata: la Chiesa, la Sinagoga, la Trinità, opera di Giovanni Hajnal, al quale si sarebbe affidata nel 1988 la vetrata dedicata ai Beati Cardinali Andrea Carlo Ferrari e Ildefonso Schuster.Nel 1968, vennero eseguiti da vari artisti lombardi (De Amicis, Longaretti, Panigati, Filocamo) i cartoni di vetrata sul tema Maria Mater Ecclesiae e i Messaggi Conciliari.
Recentissima storia (1962-92) è l’imponente restauro di pulitura, consolidamento e riordino delle vetrate, che ha rappresentato un impegno per la Fabbrica fin dal Seicento, quando iniziò il lavoro di adattamento e restauro delle vetrate già esistenti.
Il vetro di rovina sia per gli effetti dell’azione antropica (polveri sottili, gas inquinanti e aggressivi, piogge acide, vibrazioni del traffico) sia per cause naturali (vibrazioni e lisciviazione prodotte dal vento, pioggia e nebbie, terremoti…) e di installazioni di una flora di funghi, licheni e muffe e di colonie di batteri.


Il restauro conservativo delle vetrate, per ovvi motivi di organizzazione del cantiere e di sicurezza, veniva attuato contestualmente al restauro marmoreo della parete nella quale si trova il finestrone. Il restauro, lungo e meticoloso, è avvenuto nel pieno rispetto del protocollo sottoscritto, dopo l’esecuzione di un finestrone campione, tra la fabbrica e due Soprintendenze milanesi. Sono stati trattati in trenta anni (1962-1992) oltre 1700 mq di vetri istoriati, più circa 800 mq di vetri a decoro.

Lucica Bianchi (NL, VBA)

DUOMO DI SIENA

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Duccio da Boninsegna, Maestà del Duomo di Siena, 1308-11,Museo dell’Opera del Duomo,Siena

Vanto di Siena, concepito come “il maggior monumento della cristianità”, il Duomo di Santa Maria Assunta è tra le più riuscite creazioni dell’architettura romanico-gotica italiana. La Cattedrale fu eretta nel luogo in cui – secondo la tradizione – esisteva una chiesa fin dal IX secolo La costruzione iniziò nel 1229 e fu portata a termine solo alla fine del Trecento. Tra il 1258 e 1285 la direzione dei lavori fu affidata ai monaci Cistercensi di San Galgano, che chiamarono a Siena Nicola Pisano e suo figlio Giovanni.

All’inizio del Trecento, Siena era al massimo della sua prosperità e le proporzioni della Cattedrale non apparvero più degne dello splendore della Repubblica. Si decise quindi di ricostruire una nuova e grandiosa Cattedrale – il Duomo Nuovo – di cui l’attuale chiesa sarebbe stata solo un transetto. Il progetto fu affidato a Lando di Pietro nel 1339. Ma la peste del 1348 e le guerre con le città vicine fecero precipitare la situazione che da florida divenne critica, e l’ambizioso progetto fu definitivamente abbandonato. Ancor oggi rimane la testimonianza di quest’opera incompiuta, in fondo alla fiancata destra del Duomo.

Dopo questa parentesi, si tornò a lavorare sul duomo originario e nel 1376 fu affidata la costruzione della facciata superiore a Giovanni di Cecco; nel frattempo la cupola e il campanile erano già stati eseguiti. Nel 1382 si provvedeva al rialzamento delle volte della navata centrale e alla ricostruzione dell’abside: solo allora il Duomo poté considerarsi terminato.

 

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L’ESTERNO – La facciata in marmi policromi ha una ricca decorazione scultoria. La zona inferiore, aperta da tre portali con timpani gotici, è opera di Giovanni Pisano, così come le statue dei profeti, dei filosofi e dei patriarchi, mentre la parte superiore è del Trecento e mosaici ottocenteschi decorano le tre cuspidi. Il fianco destro, scandito dalle fasce marmoree chiare e scure, è aperto da grandi finestre a tabernacolo e dalla Porta del Perdono, sormontata da un bassorilievo raffigurante la Madonna con il Bambino, attribuito a Donatello. I contrafforti sono coronati da statue di profeti, copie degli originali del XIV secolo, custoditi nella cripta di San Giovanni. Il campanile, a fasce bianche e nere, sorge su un’antica torre, presenta sei ordini di finestre ed è coronato da una cuspide a piramide ottagonale.

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L’INTERNO – A croce latina, è suddiviso in tre navate da pilastri, che sostengono le volte dipinte in azzurro con stelle d’oro. La bicromia delle fasce bianche e nere raggiunge qui un effetto di grande enfasi, accentuato dal magnifico pavimento con tarsie marmoree prevalentemente dello stesso colore. I più antichi dei 56 riquadri risalgono al 1370 circa, e sono eseguiti in graffito, mentre i successivi sono vere e proprie tarsie. Gli ultimi riquadri furono realizzati nel 1547. Domenico Beccafumi è l’artista più impegnato nella creazione di questo splendido pavimento, poiché eseguì 35 tarsie nel 1517-1547, ma complessivamente vi lavorarono più di 40 artisti, in maggior parte senesi. Per motivi di conservazione, solo alcuni riquadri sono sempre visibili, perciò nella sua interezza il pavimento si può ammirare solo per brevi periodi ogni anno.

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La navata centrale e il presbiterio presentano un cornicione sostenuto dai busti di 172 pontefici, sotto il quale si trovano i busti di 36 imperatori, opera del XV-XVI secolo. Vicino ai primi pilastri sono poste due acquasantiere, splendidamente scolpite da Antonio Federighi nel 1462-1463. La cupola, a pianta esagonale, è decorata da statue dorate di santi e da figure di patriarchi e profeti, dipinte a chiaroscuro alla fine del XV secolo.
Particolarmente interessante nel transetto destro è la Cappella Chigi o della Madonna del voto, a pianta circolare, eseguita per il papa Alessandro VII da Gian Lorenzo Bernini, al quale sono attribuite anche le due statue ai lati dell’ingresso (Maddalena e San Girolamo). Carlo Maratta dipinse la Visitazione, sulla parete sinistra, e da un suo quadro è stata eseguita a mosaico la Fuga in Egitto sulla parete destra. La Madonna del voto è della seconda metà del XIII secolo ed è oggetto di venerazione da parte dei Senesi, i quali si rivolgono a lei nei momenti di crisi o di difficoltà.

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:Altare Maggiore del Duomo di Siena

Nel presbiterio sopraelevato, l’altare maggiore in marmo fu eseguito nel 1532 da Baldassarre Peruzzi, mentre il maestoso ciborio bronzeo è opera del Vecchietta (1467-1472), proveniente dalla chiesa dell’Ospedale di Santa Maria della Scala e qui posto nel 1506. Ai lati dell’altare maggiore figure di angeli, capolavori di Francesco di Giorgio Martini (1439-1502), tranne le due superiori. Sui pilastri del presbiterio sono posti otto candelabri in forma di angeli, eseguiti da Domenico Beccafumi nel 1548-50, il quale è autore anche dell’affresco dell’abside, alterato nell’Ottocento. Sopra l’affresco si trova la preziosa finestra circolare realizzata nel 1288 su disegno di Duccio, probabilmente l’esemplare più antico di vetrata piombata esistente in Italia. Infine, il presbiterio conserva un bel coro ligneo della fine del XIV secolo ed ampliato nel XVI.

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Nicola Pisano(e allievi), Pulpito del Duomo di Siena, 1265-1268, marmo di Carrara

Nel transetto sinistro si può ammirare lo splendido pulpito di Nicola Pisano, capolavoro eseguito nel 1265-1269 con la collaborazione del figlio Giovanni, di Arnolfo di Cambio, di Donato e Lapo di Ricevuto. Il pulpito a pianta ottagonale è sostenuto da colonne, fra le quali si aprono eleganti archi trilobati, decorati da statue di profeti e di virtù. Delle nove colonne, quattro hanno la base a forma di leone, mentre la base della centrale è circondata dalle otto figure delle arti. Il parapetto è formato da sette pannelli con storie della vita di Cristo e con la raffigurazione del Giudizio Universale, uniti fra loro da statue di profeti e della Madonna con il Bambino. Il pulpito, eseguito a pochi anni di distanza da quello per il Battistero di Pisa,segna la piena adesione di Nicola Pisano allo stile gotico, che però non rinuncia alla sua formazione classica: la forza espressiva delle singole figure ne esalta l’individualità, mentre l’incalzante ritmo narrativo le fonde nell’unità della scena.
Si prosegue nel transetto sinistro, dove è posta la tomba del Card. Riccardo Petroni, eseguita da Tino di Camaino nel 1317-1318, il cui modello fu spesso ripetuto nel corso del XIV secolo. Di fronte, sul pavimento si noti la lastra tombale del vescovo Giovanni Pecci, opera di Donatello datata 1426. Si passa quindi nella Cappella di San Giovanni Battista, elegante costruzione rinascimentale che custodisce affreschi restaurati di Pinturicchio (1454-1513) e la statua bronzea di San Giovanni Battista, opera tarda di Donatello (1457). Nella navata sinistra è l’entrata alla Libreria Piccolomini. Usciti dal Duomo, si percorre la piazza sul fianco destro del Duomo e si scendono le scale, che conducono al Battistero di San Giovanni.

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Libreria Piccolomini

Libreria Piccolomini

Lucica Bianchi (NL VBA)

CHIESA DI SANTA MARIA PRESSO SAN SATIRO, MILANO

L’illusione è perfetta.

Si entra nella chiesa di Santa Maria presso San Satiro, a Milano, e pare che, dietro l’altare, ci sia un grande spazio, un’abside regolare, ben completata da colonne e decorazioni.

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Invece no, non è così: ma l’illusione dura a lungo, e per accorgersi che si tratta solo di un’illusione ottica bisogna arrivare proprio vicino all’altare, quasi toccare con mano: dietro l’altare non si passa, c’è poco meno di un metro di spazio. Insomma, l’abside che vedete nelle foto nella realtà non esiste.
L’artefice di questa meraviglia prospettica è uno dei nostri più grandi architetti, Donato Bramante.
Come è intuibile, dietro a questo strano capolavoro c’è una necessità pratica: al momento di costruire la chiesa, la diocesi non ebbe i necessari permessi. Lo spazio ridotto, anzi annullato, avrebbe ormai richiesto un altro progetto oppure reso impossibile l’opera; Bramante invece accettò la sfida e riportò in scala le stesse misure che aveva previste in origine. E difatti la finta abside realizzata misura 97 centimetri invece dei 9 metri e 70 previsti nel disegno originale; e da questo impedimento Bramante è riuscito a trarre un capolavoro inaspettato.
San Satiro era il fratello di Sant’Ambrogio (339-397 circa), e quindi contemporaneo di Sant’Agostino. A lui fu dedicata la chiesa originaria, fatta costruire probabilmente su un luogo di culto preesistente dall’arcivescovo Ansperto da Biassono, che fu a capo della diocesi di Milano dall’anno 868 all’anno 882. Al vescovo Ansperto si devono grandi lavori, la costruzione di nuove chiese, interventi sulla basilica di Sant’Ambrogio e sulle mura romane, e anche la basilica di San Satiro.
Nel 1242 l’immagine devozionale della Madonna col Bambino, conservata da sempre nella basilica, venne profanata; le cronache raccontano di un giovane,Massazio di Vigonzone, che pugnalò il Bambino, e del sangue che sgorgò subito da quell’immagine. Nella chiesa è ancora conservato il pugnale di Massazio, e l’immagine miracolosa divenne meta di pellegrinaggi.

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Per onorare quest’immagine miracolosa, si decise, nel 1480, di costruire la nuova chiesa. L’incarico verrà affidato al Bramante, e la chiesa prenderà il nome di Santa Maria presso San Satiro, inglobando l’antica basilica. Al centro dell’altare c’è ancora oggi l’immagine miracolosa.

Lucica Bianchi

BASILICA DI SAN PIETRO, VATICANO

“L’abilità dell’Architetto si conosce principalmente in convertir i difetti del luogo in bellezza.” Gian Lorenzo Bernini

Quando Bernini affrontò la sistemazione complessiva dello snodo tra il nuovo san Pietro e la città, si trovò a dover conciliare diversi elementi architettonici (come la grande facciata della basilica), urbanistici (come l’asse alessandrino eccentrico rispetto alla facciata), funzionali (come la necessità di ampi portici per ricovero dei pellegrini) e liturgici (relativi alle rituali benedizioni papali). La soluzione di un tale problema non poteva non avere un grande impatto urbanistico.La prima soluzione elaborata nel 1656 da Bernini fu il progetto di una piazza trapezoidale chiusa tra facciate di palazzi porticati, la cui presenza rispondevano anche ai presupposti economici e funzionali enunciati dalla Congregazione della Fabbrica di San Pietro, che intendeva vendere o affittare botteghe e alloggi di prestigio affacciati sulla grande piazza.La soluzione viene comunque rapidamente scartata, probabilmente perché non sufficientemente monumentale e rappresentativa del ruolo liturgico della basilica destinata a diventare sempre di più il centro della cristianità.Così nel 1657 il primo progetto fu sostituito da un altro con porticati liberi di archi su colonne a formare un’ampia piazza ovale e poco dopo con colonnati architravati. Il portico, rispondeva anche all’esigenza liturgica della tradizionale processione del Corpus Domini, guidata dal papa attraverso le strade vicine del Borgo e protetta da grandi baldacchini. In più l’altezza del portico, senza ulteriori costruzioni soprastanti, non avrebbe impedito al popolo la veduta del palazzo residenza del papa e a lui di veder loro e di benedirli.Decisivo fu l’intervento di papa Alessandro VII Chigi che consente di superare le obiezioni relative ai possibili rientri finanziari legati alla possibilità di edificare edifici sui margini della piazza. Nel ripensare il progetto Bernini dovette comunque destreggiarsi tra il papa stesso e i prelati della Fabbrica, superando intrighi e opposizioni.

La Basilica di San Pietro, le cui dimensioni sono di circa 130 metri di altezza per una lunghezza di circa 190 metri con una superficie totale di più di 22000 metri quadri, contiene circa 20000 fedeli e racchiude alcune tra le maggiori opere d’arte al mondo oltre a 45 altari e 11 cappelle.

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Veduta della facciata della Basilica di San Pietro dall’inizio di Via della Conciliazione su Piazza San Pietro

La costruzione del primo edificio iniziò nel 320, per volere dell’imperatore Costantino, nel luogo ove si trovava la tomba dell’apostolo Pietro, crocifisso e giustiziato intorno al 60 d.C., e dove si apriva il Circo di Nerone.Questa chiesa paleocristiana, che presentava molte analogie con la Basilica di San Paolo Fuori le Mura era costituita da cinque navate divise da colonne e preceduta da un atrio quadriportico con la vasca per le abluzioni nel mezzo; in essa erano conservati alcuni affreschi di Giotto. Fu consacrata da Silvestro I nel 326 e terminata nel 349 e nel 1452 papa Niccolò V avviò lavori di ristrutturazione che vennero sospesi alla sua morte.Giulio II decise la ricostruzione totale della basilica, che si trovava, dopo più di mille anni, in una situazione di degrado totale; il pontefice affidò la direzione dei lavori a Donato Bramante che optò per un impianto a croce greca con cupola emisferica simile a quella del Pantheon. I lavori iniziarono il 18 aprile 1506 ma la morte di Giulio II nel 1513 seguita da quella del Bramante nel 1514 rallentarono fortemente fino ad arrivare alla loro sospensione. Successivamente l’opera si altalenò tra progetti a croce greca e latina con Raffaello Sanzio, Baldassarre Peruzzi, Antonio da Sangallo il Giovane, fino a giungere a quello di Michelangelo che, pur rifacendosi alla concezione del Bramante, ne modificò il progetto ipotizzando un edificio più semplice, grazioso e slanciato, di dimensioni minori e coperto da una cupola completamente nuova che doveva costituire l’elemento predominante; la pianta venne prevista a croce, centrata su un ambulacro quadrato che portò ad una semplificazione dello spazio interno.

 

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Particolare dell’ingresso della Basilica di San Pietro

Michelangelo portò molto avanti i lavori che alla sua morte avvenuta nel 1564 furono conclusi da altri, la cupola per esempio venne terminata da Giacomo Della Porta.

Papa Paolo V però tornò all’idea della croce latina, per questo Carlo Maderno aggiunse un corpo longitudinale che andò a modificare radicalmente il progetto di Michelangelo; inoltre si occupò dell’aggiunta di tre cappelle per lato, portando in avanti le navate fino alla facciata attuale. La basilica venne consacrata nel 1626 da Urbano VIII.

La facciata è preceduta da una scalinata a tre ripiani realizzata da Gian Lorenzo Bernini con ai lati le colossali statue di San Paolo e San Pietro. Essa consta di una serie di colonne emergenti dalla massa muraria al di sopra delle quali si trova un cornicione nel quale è scolpito il nome del papa Paolo V. Tale ripartizione architettonica include, in basso un portico centrale e due arcate alle estremità e in alto nove balconi. Da quello centrale, che è il più grande, detto Loggia delle Benedizioni si affaccia il Papa per impartire ai fedeli riuniti sulla piazza le benedizioni solenni e viene annunciata l’elezione del pontefice.

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Veduta della facciata principale della Basilica di San Pietro da un lato di Piazza San Pietro

La facciata termina con un grande attico ripartito da lesene e coronato da una balaustrata su cui si profilano le 13 statue del Redentore, del Battista e degli apostoli, ad esclusione di S. Pietro; ai lati si trovano due orologi. Nel portico, costituito da cinque ingressi, si trovano a destra, dietro la porta che da accesso al vestibolo della Scala Regia, la statua equestre di Costantino; a sinistra la statua equestre di Carlo Magno; la volta è riccamente decorata di stucchi. La Porta Santa, che si apre soltanto negli anni giubilari, è l’ultima a destra ed è ornata da scene del Vecchio e Nuovo Testamento.

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Veduta della facciata della Basilica di San Pietro dalla Piazza San Pietro

La porta mediana ha grandiose imposte di bronzo.L’interno della basilica è di dimensioni imponenti e grandiose sia per le proporzioni eccezionali che per l’insieme degli elementi architettonici e decorativi che la compongono. La navata mediana si presenta con un solo ordine di altissime lesene corinzie abbinate e addossate a pilastri fra i quali si aprono le arcate di accesso alle navi minori e alle cappelle laterali. Sopra la trabeazione si incurva l’enorme volta a botte cassettonata. Lungo la linea assiale della navata sono segnate sul pavimento a partire dall’abside, le lunghezze delle più grandi chiese del mondo.La cupola è impostata su quattro grandiose arcate voltate su altrettanti piloni a sezione pentagonale. All’imposta della cupola si leva il tamburo sopra cui si incurva la calotta. Nelle quattro nicchie alla base dei pilastri della cupola si trovano altrettante statue. In posizione centrale si trova, secondo la tradizione, la tomba di San Pietro, posta sopra l’altare papale; quest’ultimo è coperto dal baldacchino di San Pietro, capolavoro in bronzo a pianta quadrata con un’altezza di 30 metri realizzato da Gian Lorenzo Bernini su incarico di Urbano VIII.Nella prima cappella della navata destra, chiamata di Santa Petronilla, dietro un cristallo di protezione, si trova la Pietà di Michelangelo, realizzata dall’artista quando era ancora molto giovane, in un unico blocco di marmo di Carrara.

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La Pietà di Michelangelo, custodita all’interno della Basilica di San Pietro

Nell’abside, fra le due grandi lesene, è collocata la scenografica cattedra di S. Pietro del Bernini (che racchiude la cattedra in legno che la tradizione vuole appartenuta a San Pietro).

 

(Galleria fotografica interno Basilica di San Pietro, Vaticano)

 

La Cupola della Basilica di San Pietro, alta circa 120 metri fino alla lanterna e con un diametro di 42 metri, fu ideata da Michelangelo su modello di quella di Brunelleschi di Santa Maria in Fiore a Firenze.

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Particolare della Cupola della Basilica di San Pietro da Piazza San Pietro

L’artista, prima della morte, ne diresse la costruzione di tutta la parte basamentale fino al tamburo; la calotta venne innalzata nel 1590, sotto il pontificato di Sisto V, da Giacomo Della Porta aiutato da Domenico Fontana, per la sua realizzazione ci vollero 22 mesi tra il 1588 e il 1589, per la realizzazione della lanterna cuspidata furono necessari altri sette mesi.Il basamento è suddiviso da 16 contrafforti, con colonne binate di ordine corinzio, tra i quali si aprono i finestroni rettangolari a timpano alternativamente curvilineo e triangolare, dall’attico del tamburo si slancia la calotta a doppio guscio che al tempo di Clemente VIII era ricoperta di lastre di piombo, essa è suddivisa in sedici spicchi con tre ordini di finestre con ricche cornici; la lanterna, ritmata da coppie di colonne, termina con una copertura cuspidata. Ai lati emergono due cupole minori puramente decorative, sormontanti le cappelle Gregoriana e Clementina.

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Particolare della Cupola della Basilica di San Pientro da Piazza San Pietro

All’uscita, sul fianco destro della chiesa, si trova l’ascensore, per la salita alla cupola, che arriva alla copertura a terrazza dalla quale si ha una veduta panoramica della città. Una scala di 330 gradini conduce nel tamburo della cupola.

 

Lucica Bianchi