Autori:
Annalisa Di Maria{1} Andrea da Montefeltro{2} Cinzia Paraboschi{3} Lucica Bianchi{4}
1 Esperta d’arte rinascimentale , Membro del gruppo di esperti in Arte e Letteratura del Club per l’UNESCO di Firenze, Firenze, Italia.
2 Biologo molecolare e Studioso d’arte (competenza nell’analisi comparata scientifica e figurativa).
3 Esperta di supporti cartacei antichi (specializzata nello studio e nell’identificazione dei materiali cartacei in ambito storico-artistico), Studio di Conservazione e Restauro, Monza, Italia.
4 Storica dell’arte, filosofa e project manager, titolare dello Studio ARTEC, Talamona (SO). Specializzata in ricerca archivistica, attribuzione opere d’arte e gestione progetti culturali.
Abstract
Il presente studio propone una valutazione stilistica, iconografica, archivistica e iconologica di un disegno a sanguigna raffigurante un guerriero, custodito in una collezione privata, di dimensioni 18,67 x 9,93 cm. Attraverso analisi tecniche e comparazioni con opere rinascimentali, il disegno è stato associato con alta probabilità alla mano di Sebastiano del Piombo, o a un artista a lui vicino, probabilmente ispirato da un prototipo attribuito a Michelangelo Buonarroti conservato presso l’Albertina di Vienna. Le indagini hanno rivelato un uso controllato della sanguigna, talvolta diluita con acqua per effetti sfumati, e una tecnica grafica che richiama chiaramente lo stile michelangiolesco, in particolare nello studio della muscolatura e nella costruzione del corpo umano in movimento. L’opera si distingue per l’interruzione deliberata del tratto prima dei margini, tipico del “non finito”, e presenta chiari riferimenti formali all’anatomia michelangiolesca, ma con peculiarità riconducibili all’elaborazione autonoma di Sebastiano del Piombo, forse con il supporto di Michelangelo stesso. Il confronto con opere di Cesari, Procaccini, Raffaello e i suoi allievi, evidenzia la distanza stilistica dell’autore del disegno in esame rispetto alla scuola raffaellesca. L’ipotesi più accreditata è che il disegno sia una copia realizzata direttamente da un originale michelangiolesco, con finalità di studio e non di incisione. Questo lavoro si inserisce nel contesto delle rivalità e delle sinergie artistiche del primo Cinquecento romano, offrendo un nuovo contributo alla comprensione della diffusione del linguaggio visivo michelangiolesco nel disegno del tempo.
Introduzione
Il presente contributo si propone di analizzare un disegno a sanguigna raffigurante un guerriero, custodito in una collezione privata, che presenta rilevanti affinità con la produzione grafica dell’ambito michelangiolesco. L’opera, di notevole qualità esecutiva e complessità iconografica, si inserisce in un contesto artistico e stilistico profondamente legato alla cultura figurativa della prima metà del Cinquecento, ponendosi in dialogo diretto con alcuni celebri disegni conservati presso la Graphische Sammlung Albertina di Vienna, in particolare con l’opera inventariata al n. 236, a lungo attribuita a Raffaello, Scuola di Michelangelo e infine al Semolei. L’obiettivo dello studio è duplice: da un lato, fornire un’analisi tecnico-materiale approfondita attraverso indagini diagnostiche non invasive, quali la riflettografia infrarossa e l’osservazione microscopica del supporto cartaceo e del medium; dall’altro, avviare un confronto sistematico di carattere stilistico, iconologico e attributivo con opere note della tradizione rinascimentale, con particolare riferimento alla produzione di Michelangelo Buonarroti, Sebastiano del Piombo, Battista Franco, Giuseppe Cesari e Giovan Francesco Penni. Nel corso dell’analisi sono emerse peculiarità grafiche che richiamano fortemente il linguaggio visivo michelangiolesco, come l’attenzione alla struttura anatomica, la tensione plastica delle membra e l’uso sapiente della sanguigna in funzione chiaroscurale. Particolarmente significativo risulta il concetto di “non finito”, ravvisabile nella scelta consapevole dell’artista di interrompere il tratto prima del margine del foglio, attribuendo al disegno una propria autonomia espressiva anche in assenza di compiutezza formale. Lo studio si avvale della collaborazione di specialisti in differenti ambiti – dalla storia dell’arte alla diagnostica, dalla biologia molecolare all’analisi dei supporti cartacei – al fine di restituire una lettura integrata e multidisciplinare dell’opera, con l’obiettivo ultimo di avanzare una nuova ipotesi attributiva e collocare il disegno entro un più preciso orizzonte storico e culturale.
Materiali e Metodi
Supporto e analisi della carta
Il disegno oggetto di studio è stato realizzato su carta artigianale prodotta con fibre di canapa, lino e cotone, come rilevato dalle analisi microscopiche condotte. Lo spessore delle fibre risulta compreso tra 10 e 20 µm, mentre lo spessore complessivo del foglio è pari a 70 µm. L’analisi qualitativa ha inoltre evidenziato la presenza di additivi minerali quali calcio e talco, compatibili con le pratiche di fabbricazione cartaria rinascimentale.La carta presenta vergelle (linee di filigrana orizzontali) distanziate di 2 mm, e filoni (verticali) a 28 mm, caratteristiche che permettono una datazione tipologica. Lungo il bordo sinistro è visibile una traccia di filigrana, difficilmente leggibile a causa del deterioramento del foglio. I margini superiore e destro mostrano un taglio netto, eseguito con forbici, mentre i bordi inferiore e sinistro appaiono strappati manualmente o incisi con strumenti rudimentali, presumibilmente in un momento successivo all’esecuzione del disegno.
Tecnica esecutiva e materiali grafici
L’opera è stata eseguita interamente con sanguigna, senza l’aggiunta di grafite, inchiostro o altri pigmenti. In alcune aree è stata applicata sanguigna diluita con acqua, allo scopo di ottenere effetti sfumati e variazioni tonali. L’analisi mediante riflettografia infrarossa (IRR) ha confermato l’assenza di materiali coprenti visibili nell’infrarosso, coerente con l’uso esclusivo di sanguigna, la cui ematite risulta trasparente in questo spettro. Le linee tracciate presentano una modulazione accurata della pressione e del tratto, con utilizzo del tratteggio incrociato, in funzione della definizione volumetrica e anatomica della figura. La diluizione della sanguigna in zone selezionate ha prodotto effetti di chiaroscuro sfumato, coerenti con lo studio plastico del corpo umano in movimento.
Tecniche di imaging e indagini diagnostiche
L’impiego della riflettografia all’infrarosso ha permesso l’individuazione di tracce secondarie di numeri, lettere e disegni parziali, verosimilmente trasferiti per pressione da altri fogli, suggerendo l’ipotesi che il supporto cartaceo fosse parte di un quaderno da studio o di un album di appunti. La totale trasparenza del pigmento conferma l’assenza di underdrawing (disegni preparatori), indicando un’esecuzione diretta, istintiva ma controllata.
Analisi comparativa e confronto stilistico
Un approfondito confronto è stato condotto con disegni attribuiti a Michelangelo Buonarroti, Sebastiano del Piombo, Giovan Francesco Penni, Giuseppe Cesari (Cavalier d’Arpino) e Battista Franco detto il Semolei, con riferimento a opere conservate presso la Graphische Sammlung Albertina di Vienna, la Casa Buonarroti di Firenze, il British Museum e il Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi. In particolare, il disegno in studio risulta derivato direttamente dall’opera n. inv. 236 dell’Albertina, eseguita a carboncino e storicamente attribuita a Raffaello, Michelangelo e infine al Semolei. Il confronto formale e morfologico ha evidenziato una somiglianza strutturale diretta, sebbene con dimensioni ridotte e leggere semplificazioni nel tratto. La ricerca non ha rilevato finalità incisorie nel disegno, escludendo dunque che sia stato prodotto per una stampa. La mancanza di tratti sistematici per il ricalco conferma che l’opera è stata probabilmente concepita a scopo di studio o come copia autonoma da un originale, piuttosto che come modello destinato alla riproduzione seriale.
Stato di conservazione e interventi di restauro
Le indagini tecniche e visive hanno evidenziato tracce di restauro sul supporto, in particolare lungo i bordi. L’adesione del pigmento risulta stabile, senza segnali di abrasione o sovrapposizione. In alcuni punti si evidenzia la presenza di due differenti tipologie di sanguigna, elemento che potrebbe indicare un intervento successivo, o una variazione deliberata dell’autore, anche se non è stato possibile stabilire con certezza se entrambe le mani appartengano allo stesso artista.
Come da indagini scientifiche, il supporto impiegato per la realizzazione di questo disegno è una carta creata a partire da stracci, costituita da fibre di canapa, lino e qualche fibra di cotone. Lo spessore di queste fibre varia da 10 a 20 µm. Nella carta c’è la presenza di additivi quali Calcio e Talco. Lo spessore della carta risulta essere pari a 70 µm.

Fig.1
Il foglio risulta rifilato con tagli netti, realizzati con delle forbici sul lato superiore e sul lato destro. Mentre sul lato sinistro e in quello inferiore il taglio è stato effettuato senza forbici ma probabilmente a strappo, vista la sfibratura, oppure con strumenti di taglio più rudimentali.
Fig. 2
Il foglio ha una vergatura. Lo spazio tra le vergelle è di 2 mm, mentre lo spazio tra i filoni è di 28 mm. E’ identificabile sul bordo sinistro, una traccia di filigrana, non di facile lettura. Si conferma inoltre quanto espresso dallo studio tecnico di laboratorio, circa il fatto che il foglio debba aver subito un intervento di restauro.
Fig. 3
In alcuni punti la sanguigna è stata diluita con acqua per ottenere una tecnica sfumata. Come possiamo osservare in questa immagine con i punti interessati, segnati con frecce rosse.
Fig. 4
Nell’immagine a lato ottenuta attraverso la tecnica ad infrarosso, possiamo notare che il disegno non risulta essere più visibile, questo elemento ci da la conferma che l’intero disegno sia stato realizzato con tecnica a sanguigna senza l’impiego di altri materiali per il tratto. Infatti l’ematite che costituisce la sanguigna risulta essere trasparente alla visione infrarossa.
Grazie alla riflettografia che si è compiuta sull’opera, si è potuto evidenziare anche la presenza di tracce di numeri, scritte e disegni che sono rimaste impresse sulla carta, probabilmente perché questo foglio era parte di un taccuino o altro nella quale venivano presi appunti o annotati elementi, in questo modo si può spiegare il trasferimento per pressione di questi.
Fig. 5
Quello che appare nell’immediatezza di fronte allo sguardo di questo disegno, è che ritroviamo un controllato utilizzo delle linee, con meticolosa realizzazione di segni incrociati in alcuni punti sovrapposti e ispessiti necessari per descrivere la muscolatura, creando una manipolazione sicura che infonde una qualità classica all’opera. Ritroviamo elementi di forte richiamo, nello specifico con lo stile classico michelangiolesco.
Fig. 6
Nelle immagini sopra, possiamo osservare come in questo disegno, e nello specifico nei bordi più esterni, prossimi al limite del foglio, il tratto si interrompa molto prima del bordo. Questo aspetto risulta essere molto interessante, in particolar modo legato ad un linguaggio del segno che potremmo definire del “non finito”. L’interruzione del tratto prima del margine del foglio, manifesta la volontà da parte dell’autore di far si che il disegno anche se come schizzo, possa avere una sua centralità. Inoltre, l’interruzione del tratto, ci fa presupporre che sia un disegno realizzato a schizzo di getto, altrimenti l’artista avrebbe impiegato un foglio più grande, oppure avrebbe ridotto le dimensioni dell’opera, visto che il disegno risulta in parte mancante non a causa di una rimozione della parte esterna, ma a causa di una interruzione del tratto grafico, come bene si può vedere nelle immagini sopra. Sul bordo inferiore il disegno del piede termina dunque prima del limite, questo ci fa comprendere che l’opera fosse terminata in quel punto e non che c’era dall’altra parte del foglio il proseguo del disegno. Possiamo inoltre ipotizzare che il taglio sinistro e inferiore compiuto a strappo, sia stato eseguito in successione alla realizzazione del disegno.
Fig. 7
Questo aspetto del non finito lo ritroviamo in diversi artisti, uno tra i più famosi che riportano questo concetto anche al di fuori del disegno, era Michelangelo Buonarroti che imprimeva questa caratteristica anche nella propria opera scultorea oltre che negli affreschi e nei disegni. Dietro questa idea del “non finito” si ritrova spesso una riflessione sulla tensione tra il potenziale creativo e l’impossibilità di realizzare completamente l’opera. Inoltre, nel caso di Michelangelo, lavorò spesso sotto pressione, con scadenze rigorose che potevano influenzare la sua capacità di completare tutte le sue opere con la perfezione che immaginava. Dunque, questo lasciare incompiuto, può essere visto come un modo per rappresentare l’incompiutezza della condizione umana e come una sorta di sfida alla perfezione assoluta.
Il disegno dell’opera analizzata presenta il soggetto di un guerriero con specifici elementi anatomici e studi della struttura muscolare e di fisicità. I muscoli disegnati presentano ombreggiature intricate per riflettere profondità e dimensione, indicando la forma dinamica come elemento caratteristico che si ritrova nelle opere di Michelangelo. Questo studio rappresenta un ottimo esempio di come catturare il realismo e la vitalità del corpo umano, fungendo da lavoro preparatorio come per i capolavori più rinomati del Buonarroti.
Fig. 8
In questa immagine possiamo osservare come venga in realtà utilizzata non un’unica sanguigna ma la presenza di due diverse tipologie di sanguigne. Non è possibile in base alle analisi condotte capire se queste due sanguigne siano state utilizzate dallo stesso artista, oppure in due momenti diversi, magari in fase di un restauro. Le due frecce che troviamo sopra indicano le due tipologie di sanguigne utilizzate. In alcuni punti questa sanguigna è stata passata con acqua fornendo un effetto sfumato.
Fig.9 Studio per la Pietà del Giudizio Universale, Casa Buonarroti – Firenze, 39,8 cm x 28,2 cm, Inchiostro
Opere e stile di Michelangelo
Questo disegno di nudo maschile con la schiena inarcata come un arco, si basa sia su modelli classici che su modelli viventi.
Fig.10 Studio di Nudo Maschile 1503-1504, Penna e inchiostro – 40,9 cm x 28,5 cm, Casa Buonarroti – Firenze
Presenta un collegamento con lo studio compositivo della Battaglia di Cascina. Michelangelo conservò il presente disegno nella sua bottega e lo riutilizzò circa dopo 25 anni.
Fig.11 Studio per la Pietà del Giudizio Universale, Casa Buonarroti – Firenze -39,8 cm x 28,2 cm – Inchiostro
Questo disegno fu creato da Michelangelo a Roma. Realizzato con inchiostro su carta, questo pezzo appartiene al movimento artistico del tardo rinascimento e funge da schizzo e studio. Il soggetto fa parte della serie di disegni per gli affreschi della cappella Sistina attualmente ospitati presso Casa Buonarroti a Firenze. Il soggetto che ritroviamo in quest’opera in studio, ovviamente è un guerriero che stà combattendo. Se pensiamo a scene di combattimento, tra le immagini più emblematiche, ci viene in mente Michelangelo, e tra le opere da lui create con la presenza di battaglie ci viene subito alla mente la Battaglia di Cascina.
Fig 12 Michelangelo, Studio di Composizione per la Battaglia di Cascina, 1504-1505 – Firenze, Penna e Punta d’Argento su carta, 23,5 cm x 35,6 cm, Gallerie degli Uffizi (Gabinetto dei Disegni e delle Stampe)
In questo schizzo per intero di Michelangelo vi si notano delle varianti rispetto alle stampe. Ad esempio nella porzione di destra è aggiunta qualche figura a quelle che si vedono nelle stampe.
Nel 1503-1504 Pier Soderini commissionò a Michelangelo e a Leonardo due cicli di affreschi, raffiguranti uno la battaglia di Cascina e l’altro la Battaglia di Anghiari, commissionati per il Salone dei cinquecento di Palazzo Vecchio a Firenze. Purtroppo l’incarico non verrà portato a termine da Michelangelo perché l’anno successivo fu chiamato a Roma (1505) da Papa Giulio II per la realizzazione del proprio monumento funebre da collocare nella nuova Basilica di San Pietro. Michelangelo studiò il corpo umano in tutte le sue posizioni e tutte le possibilità di espressione. Nella Battaglia di Cascina, Michelangelo non voleva rappresentare uno studio di paesaggio, o di atmosfera, o di effetti di luce, ma voleva rendere il senso dello spazio con i corpi, il loro movimento e la loro interazione. Molto interessante nel disegno posto sotto studio è l’approfondimento del movimento di torsione del busto, della testa e delle spalle. Scopo principale dunque di questo disegno, rimane lo studio della muscolatura e degli effetti d’ombra creati dalla torsione del busto.
Fig.13Michelangelo, Studio per la Battaglia di Cascina, Oxford Ashmolean Museum, Penna e inchiostro marrone, 17,8 cm x 25 cm
Fig.14 Michelangelo, Studio figure per la Battaglia di Cascina, Parigi – Louvre, Punta di metallo e inchiostro, 34 cm x 18 cm
Fig.15 Michelangelo, Foglio con altri studi e studio del movimento dei corpi nello spazio. Oxford Ashmolean Museum, Matita rossa -24,5 cm x 33,5 cm
Quando parliamo della Battaglia di Cascina dobbiamo considerare la voce degli artisti del tempo, e del loro pensiero circa quest’opera. Benvenuto Cellini scrisse in merito ai cartoni sia di Michelangelo che di Leonardo da Vinci definendoli la Scuola del Mondo. La Battaglia di Cascina venne descritta da Cellini nel seguente modo:
“questo cartone fu la prima bella opera di Michelangelo, il quale mostrò le sue meravigliose virtù, e lo fece a gara con un altro che lo faceva Leonardo da Vinci, che dovevano servire per la Sala del Consiglio del Palazzo della Signoria”.
Michelangelo sulle sue opere preparatorie riguardanti la Battaglia di Cascina, riporta nella scena, una quantità di soldati che a causa del calore estivo, si erano spogliati e denudati per rinfrescarsi nel fiume Arno e le raffigurazioni, ci fanno rivivere quegli istanti frenetici dell’allarme dell’attacco. Questi Fanti nudi in bellissime gesta, non si erano mai visti nell’antichità e nemmeno nell’epoca moderna da parte di nessun artista. Lo stile delle opere dei due cartoni messi a confronto furono studiati dai più grandi dell’epoca.
Fig.16 Marcantonio Raimondi, dal Cartone di Michelangelo per la Battaglia di Cascina -Galleria degli Uffizi – Firenze
Un sentimento di ammirazione verso tali opere, la ritroviamo anche in Raffaello d’Urbino che nel 1506 visitò Firenze, il quale, nei suoi cartoni, seppe assimilare dall’uno e dall’altro maestro, elementi senza nulla perdere della sua propria grazia. Anzi, il viaggio a Firenze, fu per lui molto prolifero e costruttivo. La conoscenza relativa al cartone della Battaglia di Cascina, ci giunge a noi per via indiretta attraverso l’operato degli artisti che ne hanno copiato gli elementi e le incisioni che nel tempo sono state create. Le stampe dell’opera di Michelangelo non evocano la battaglia, ma l’appello improvviso al campo durante il bagno nell’Arno; fu un ottima scelta da parte di Michelangelo, che in questo modo riuscì a rappresentare la bellezza eroica del nudo in movimento. Osservando il disegno in studio si può affermare che non è un disegno di traduzione per futura incisione, ma forse per farne copia da un originale. Questo elemento va ad escludere la finalità del disegno studiato per essere utilizzato con scopo di stampa e per incisioni. Possiamo dunque escludere che l’artista che ha realizzato questo disegno sia un incisore, in quanto altrimenti avrebbe dovuto mantenere una aderenza ai caratteri intrinseci ed estrinseci dell’opera originale, mantenendo uno stile personale e con carattere distintivi, che in questo disegno non abbiamo. Deve essere dunque il disegno una traduzione da un originale. Dal primo sguardo si può identificare questa opera come non soggetta a definire una stampa che imita un disegno, in quanto per la stampa si richiede una tecnica complessa incisoria perfezionata nel corso del tempo, dunque c’erano artisti che si specializzarono proprio in tale tecnica, uno per tutti nel caso di Raffaello, era Marcantonio Raimondi.
Fig.17 Antonio Veneziano, Dal cartone di Michelangelo per la Battaglia di Cascina , Galleria degli Uffizi
Fig.18 Luigi Schiavonetti, Dal cartone di Michelangelo per la Battaglia di Cascina, Galleria degli Uffizi
In questa stampa dello Schiavonetti è rappresentato l’intero gruppo di guerrieri che si prepara a correre verso la battaglia.
Fig.19 Copia di Bastiano da Sangallo della “Battaglia di Cascina di Michelangelo”- 1542, 78,7 cm – 12,9 cm, Collezione Ear of Leicester, Holkham Hall
Tra i primi disegni di Michelangelo ritroviamo le sue riproduzioni dei personaggi del “ Tributo di Masaccio” nella Cappella Brancacci al Carmine, e delle storie di San Giovanni Evangelista di Giotto nella Cappella Peruzzi in Santa Croce, a Firenze. Negli studi giovanili effettuati a penna dal Buonarroti, si evince una tecnica grafica per la resa degli effetti chiaroscurali e di risalto volumetrico, mediante un fitto tratteggio incrociato a linee corte, molto simili a quelle di alcuni schizzi del contemporaneo Rodolfo del Ghirlandaio, figlio del suo maestro Domenico, dal quale Michelangelo copiò probabilmente elementi. La Battaglia di Cascina nacque dall’episodio dei “bagnanti” che viene narrato dalla cronaca di Filippo Villani, dove il giorno prima della Battaglia a causa di un eccessivo caldo la maggior parte dei soldati fiorentini che erano accampati a Cascina, si era disarmata. Ma in quell’occasione di fronte al pericolo imminente, Michelangelo, sfruttò tale situazione come impareggiabile pretesto per rappresentare corpi nudi in movimento.
Nel reale, la battaglia di Cascina si verificò in due giornate, ma nella sua raffigurazione, Michelangelo unisce le due cose, in un unico drammatico evento.
Fig.20 Michelangelo, Studio di figura per la Battaglia di Cascina, Vienna – Graphische Sammlung Albertina
Fig.21 Michelangelo, Studio di figura per la Battaglia di Cascina, Londra – British Museum
Il soggetto rappresentato nel disegno in studio non può essere associabile ad un personaggio della Battaglia di Cascina, per diverse motivazioni. La Battaglia di Cascina si svolse il 28 luglio 1362 tra le forze di Firenze e quelle di Pisa, due delle principali potenze del XIV sec.
Al comando di Firenze, all’epoca, c’era Galeotto Malatesta, mentre Pisa era comandata da Giovanni d’Acuto. La battaglia fu vinta da Firenze, che riuscì a respingere l’attacco pisano nei pressi di Cascina vicino a Pisa. Gli indumenti indossati dai combattenti in questa battaglia erano quelle tipiche della moda del tardo medioevo. Nella battaglia di Cascina disegnata da Michelangelo, però si mostravano i soldati colti nell’atto di spogliarsi per fare il bagno, perciò nei disegni preparatori troviamo tutti i soggetti nudi o seminudi, mettendo in risalto l’anatomia più che l’equipaggiamento, ma era una scelta simbolica non realistica dal punto di vista militare. Oltre al fatto che i soldati fossero nudi, abbiamo come altri elementi negativi a questa ipotesi, la tipologia degli indumenti indossati dal guerriero posto sotto studio, indumenti che sembrano richiamare più l’epoca romana.
Fig.22 La Conversione di Saulo (o di san Paolo), dettaglio, è un affresco (625×661 cm) di Michelangelo Buonarroti, databile al 1542–1545 e situato nella Cappella Paolina in Vaticano.
Nel presente affresco ritroviamo come il soldato indossi i medesimi elementi del gonnellino che ritroviamo nell’opera in studio, con l’unica differenza che nel disegno abbiamo il torace nudo. Questo affresco, ci porta ulteriore conferma relativa all’identità del guerriero che, molto probabilmente, è associabile ad un guerriero romano piuttosto che a un soldato fiorentino. Nel disegno in studio, non è possibile identificare l’arma del guerriero perché probabilmente era sfoderata posizionata nella mano destra che purtroppo non è visibile nel disegno. Lo scudo che ritroviamo nel disegno sembra assomigliare ad uno scudo usato dai romani nel IV sec. chiamato clipeus , scudo ovale delle truppe ausiliarie. Gli scudi erano realizzati in legno, ricoperti di cuoio dipinto con i bordi legati con pelle non conciata.
Fig.23 Uomo Nudo in piedi di Schiena, Intorno al 1503, Michelangelo Buonarroti, Penna e inchiostro bruno su tracce di un disegno preparatorio a gessetto nero, 38,7 cm x 19,5 cm
Allievi e copisti dello stile e opere di Michelangelo
Michelangelo uno dei più grandi artisti del Rinascimento italiano, non aveva “copisti”nel senso moderno del termine.
Tuttavia, molti suoi disegni e opere sono stati copiati o riprodotti da altri artisti per diversi scopi, come studi per la trasmissione delle idee e diffusione del suo stile.
Alcuni dei suoi allievi e seguaci lo hanno fortemente imitato e copiato nelle loro opere principali. Tra questi possiamo annoverare i seguenti nomi:
- Giorgio Vasari, il quale ammirava profondamente Michelangelo descrivendolo nei suoi scritti come una figura centrale, nel panorama artistico dell’epoca.
- Daniele da Volterra, considerato spesso uno dei principali allievi di Michelangelo, fu influenzato in modo significativo dal maestro e ne riprese molti elementi stilistici che riportò nelle sue opere.
- Marcello Venusti, altro allievo di Michelangelo che copiò le opere del maestro.
- Sebastiano del Piombo, non fu tecnicamente un allievo di Michelangelo ma il loro rapporto fu molto stretto e ricco di collaborazioni artistiche e intellettuali con un rapporto tra maestro e discepolo.
Inoltre, ci furono molti artisti che operarono a Roma e in altre città italiane nel periodo post-rinascimentale che furono influenzati da Michelangelo.
Michelangelo, proprio per il suo genio, si è sempre rifiutato di prendere qualche artista per metterlo nella sua bottega come spettatore e osservatore, motivo per cui oggi non abbiamo un vero e proprio gruppo dei suoi discepoli che abbiano continuato la sua arte, come invece è accaduto per Raffaello.
Queste informazioni ci derivano dalle parole di uno storico, Paolo Giovio, che evidenziava quanto sostanziale fosse la diversità tra l’operato di Michelangelo e quello di altri artisti che operavano all’interno di botteghe ben organizzate.
Opere similari compiute da Raffaello
Fig.24 Studio di Nudo – Raffaello Sanzio, Fondo Corsini – Prima metà del XVI sec. , 26,2 cm x 20,3 cm
Un’ importante raccolta di disegni di Raffaello, ci deriva dalla collezione del museo dell’Albertina di Vienna. C’è comunque da dire che delle 144 opere presenti associate inizialmente all’artista, dopo un accurato esame nel tempo si è messo in evidenza che solo poche di queste sono ascrivibili alla mano dell’urbinate. La collezione dell’Albertina conserva una delle più importanti raccolte di disegni rinascimentali italiani, inclusi numerosi studi di Raffaello e Michelangelo. Nel corso dei secoli, molti artisti hanno copiato e reinterpretato queste opere contribuendo alla diffusione e alla comprensione del linguaggio visivo rinascimentale.
Queste opere furono passate in eredità dalle prime collezioni, quella del Crozat, del Mariette, di Giuliano da Parma e dal Principe di Ligne. Raffaello invogliò fin da subito i falsificatori e sembra che persino Andrea del Sarto abbia effettuato copie, come fecero i Carracci per guadagnare.
Per Raffaello il disegno fu soprattutto uno strumento indispensabile del processo creativo e produttivo. E’ infatti attraverso una elaborazione metodica e simmetrica puntuale che portò avanti nei disegni, con delle soluzioni efficaci, che prendevano forma in fase finale nelle tavole, negli affreschi e negli arazzi.
I suoi disegni possono andare dal primo schizzo al cartone vero e proprio, cioè al progetto finale che poi sarà realizzato nella stessa scala in altra tecnica, fino a bozzetti appena accennati. Ricordiamoci che isolare il segno autografo di Raffaello all’interno dei disegni non è cosa semplice ne sempre possibile. Dietro ai disegni di Raffaello ci furono tanti nomi che spaziarono a livello temporale, i quali se ne sono presi cura e ne hanno valorizzato l’opera e la loro custodia. Tra questi nomi potremmo citare personaggi di diversi periodi storici, come ad esempio Timoteo Viti, che nel tempo ne riconobbe il grande valore e che li utilizzò come modelli. Timoteo Viti era conterraneo di Raffaello e occasionalmente collaborò con lui. Ritroviamo anche l‘artista Peter Lely celebre artista del ‘600 inglese e Sir Thomas Lawrence, il ritrattista alla moda del primo ottocento. Abbiamo dunque luoghi e circostanze diverse, dove ognuno di loro raccolse i disegni di Raffaello per poi farli confluire in molte collezioni importanti. Se prendiamo ad esempio le collezioni londinesi di Raffaello possiamo osservare come molti di questi disegni derivassero dalla collezione di Timoteo Viti, e che rimasero sempre all’interno della sua famiglia e giunsero in Inghilterra nel 1823 quando il mercante d’arte Samuel Woodburn si assicurò la collezione a Pesaro dagli ultimi eredi.
Opere e Stile di Giuseppe Cesari (Cavalier d’Arpino)
Viene riportato di seguito degli esempi da utilizzare come confronto con il disegno in studio, visto che l’opera era stata attribuita in passato a questo artista.
La carriera artistica del Cavalier d’Arpino, possiamo dire che incomincia con il suo ingresso a Roma all’interno della bottega del Circignani. La sua mansione fu quella iniziale del garzone, in quel tempo fu impiegato presso le logge del terzo piano del palazzo vaticano.
La sua tecnica artistica e il suo operato divenne estremamente apprezzato a Roma e le figure da lui create, mostrano un forte accademismo formale e nel complesso manca di monumentalità.
Fig. 25 Queste due immagini fanno riferimento all’opera di Schizzo di Nudo virile – 26 cm x 14,2 cm Tecnica a Carboncino, Gabinetto Disegni e stampe del fondo nazionale
Sotto Clemente VIII Aldobrandini il Cesare, divenne il pittore ufficiale più importante a Roma soprattutto da commissioni e da grandi imprese decorative. In questi disegni assistiamo ad una tecnica a carboncino riguardanti schizzi veloci, questi schizzi veloci non permettono di fare un raffronto ottimale.
Fig.26 Giuseppe Cesari, Dettaglio Adamo ed Eva Cacciata dal Paradiso, 1602-1603, 17,3 cm X 12,8 cm Kunsthaus di Zurigo
Fig.27 Confronto opera in studio e Cacciata di Adamo ed Eva di Giuseppe Cesari.
Il disegno posto a confronto, risulta essere un disegno curato con più dettagli rispetto ad uno schizzo, e possiamo dunque comprendere meglio alcune tecniche di disegno specifiche. In entrambe le opere si ritrovano la rifilatura in alcuni punti dei bordi, questo conferisce un maggior effetto d’ombra e uno snellimento delle linee. Ritroviamo in entrambe le opere uno sfumato interessante della muscolatura, particolarmente curato e aree invece quelle in ombra, che hanno un tratto più pesante. Il tocco appare leggero con un aumento delle irregolarità nelle linee e aumento della sinuosità per quanto riguarda le parti degli svolazzi che sono mossi dal vento. In entrambe le opere ritroviamo un tratto netto nei riguardi delle linee di contorno, accurato e preciso. Ma rimane comunque la differenza evidente della mano che realizza i due disegni: siamo infatti di fronte chiaramente per stile, e modo di realizzazione a due artisti ben distinti.
Fig.28 Giuseppe Cesari il Cavalier d’Arpino, Mosè con le Tavole della legge, 1580 – Kunstpalast di Dusseldorf, 21 cm x 15,3 cm – Pietra nera e sanguigna – Francia – Lille
Fig.29 Confronto tra il Combattimento degli Orazi e Curiazi di Giuseppe Cesari e il disegno in studio.
Fig. 30 Giuseppe Cesari il Cavalier d’Arpino, Combattimento degli Orazi e dei Curiazi , 1612-1613 , Museo Capitolino di Roma
Questo confronto non serve per descrivere che si tratti di un disegno preparatorio per quest’opera, ma serve ad evidenziare le similarità dei soggetti rappresentati, aiutando a delineare il tipo di guerriero disegnato. Dalle frecce ritroviamo il gonnellino con i doppi ornamenti, la fascia passante sul petto, il pennacchio sopra l’elmo e la fascia al braccio dell’indumento. I disegni di Giuseppe Cesari della sua età tardiva, risultano essere caratterizzati da una economia e da una certa geometrizzazione delle forme e dei volumi. Dallo stile, è dunque evidente che si tratti di guerriero romano e che lo stile di realizzazione sia differente.
Fig.31 Disegno di Giuseppe Cesari, il Cavalier d’Arpino, Nudo maschile visto da dietro, Collezione privata
Fig.32 A sinistra il disegno in studio, a destra disegno del Cavalier D’Arpino.
Nell’immagine sopra, mettiamo in confronto l’opera in studio, con un disegno del Cesari. Come si può chiaramente notare, il tratto, lo sfumato, le linee, i contorni e la modalità di esecuzione, sono totalmente differenti. Inoltre, e dettaglio fondamentale, è il gonnellino del guerriero, punto chiave nel disegno di destra, associabile con i dettagli esecutivi al Cavalier d’Arpino. Si ipotizza dunque che il Casari, abbia visto il disegno in studio e che si sia ispirato allo stile del disegno in studio. Un ductus grafico molto differente.
Fig.33 Giuseppe Cesari il Cavalier d’Arpino, Studio di Braccio e Piede, Stadel Museum
Il Cavalier d’Arpino fu uno dei disegnatori più vivaci e fecondi della sua epoca, e nel corso di oltre sessant’anni di carriera, il pittore si dedicò senza interruzione alla pratica e all’insegnamento del disegno. Molto spesso Giuseppe Cesari era consueto fare il tratteggio dello sfondo. Nel disegno in studio però non ritroviamo questa peculiarità. I disegni di Giuseppe Cesari presentano molte volte l’utilizzo di due Medium Grafici di colore diverso, ad esempio matita nera e sanguigna. L’impiego della matita nera non è solo una scelta coloristica, ma si rivela un indispensabile escamotage tecnico per camuffare la linea di ricalco. Quando ad esempio la tramatura risultava essere fitta, questo serviva per nascondere la traccia del ricalco rosso. Nell’opera in studio non si riscontrano la presenza di due medium.
Fig.34 Giuseppe Cesari il Cavalier d’Arpino Ercole e Anteo Matita rossa e matita nera, 40,2 cm x 25,6 cm
Anticamente l’opera è stata attribuita a Daniele da Volterra, il disegno è uno degli studi preparatori per una delle lunette delle logge Orsini.I l foglio fu ricopiato dal Cesari in due diverse versioni, di cui una conservata presso il Cabinet des Dessins del Museo del Louvre.
Fig.35 Cavaliere romano in armatura con spada sguainata che carica ,Gesso rosso, carta marroncina 44,7 cm x 35,3 cm ,Albertina –Vienna (Provenienza da Alberto di Sassonia), Giuseppe Cesari il Cavalier d’Arpino
Fig.36 Ercole Procaccini – Il Vecchio (1520-1595), Conversione di San Paolo, Pittura a olio su tela, Pala d’Altare, Basilica di San Giacomo Maggiore (Bologna)
Altro artista che merita un confronto con lo stile del disegno in studio, Ercole Procaccini il Vecchio. La Pala nella foto sopra, fu realizzata da Procaccini seguendo un impianto compositivo tibaldesco(da Pellegrino Pellegrini, detto il Tibaldi (Puria, 1527 – Milano, 1596), è stato un architetto e pittore italiano) e nel ricordo della cultura romana della metà del secolo. Ercole Procaccini Il Vecchio, nacque a Bologna e poi si trasferì a Milano dove lavorò gran parte della sua carriera.
Il suo stile risulta essere tardo rinascimentale con influenze manieriste, caratterizzato da eleganza compositiva e colori delicati.
La famiglia Procaccini fu una delle più importanti dinastie artistiche dell’Italia del nord tra XVI sec. e XVII sec.
Nelle opere di Procaccini si possono trovare delle influenze riconducibili a Michelangelo e in misura minore a Sebastiano del Piombo. Ercole risulta spesso accostato a Michelangelo per la resa scultorea dei corpi e l’uso del colore; questa affinità stilistica suggerisce una profonda conoscenza da parte del Procaccini delle opere di Michelangelo.
Fig.37 Confronto tra l’opera in studio a destra e l’opera di Ercole Procaccini a sinistra
Dobbiamo considerare che la famiglia Procaccini, trasferitasi da Bologna a Milano nel 1585, fu protagonista del rinnovamento artistico lombardo durante l’era borromea. La loro bottega era dunque un centro di produzione e diffusione artistica, dove le influenze dei grandi maestri rinascimentali erano studiate e reinterpretate. Anche il Procaccini dunque, potrebbe aver visto il disegno in studio.
Ci sono stati molti artisti, che nel tempo si sono ispirati a questi disegni copiandoli oppure apportando loro delle modifiche. Di seguito si riporteranno alcuni esempi in merito.
Fig.38 Studio di Nudo Virile, Orsi Lelio (1508-1511), Gabinetto dei Disegni del Fondo Corsini , soggetto ripreso da un disegno di Raffaello.
Lelio Orsi, è stato un disegnatore italiano molto noto, fu educato tra Mantova e l’Emilia, e il suo stile grafico e pittorico riprende fortemente elementi di Giulio Romano, Correggio e Parmigianino. Tra il 1545 e il 1546 Lelio fece un viaggio a Roma nel quale ebbe la possibilità di studiare le opere di Michelangelo, rimanendo particolarmente colpito dalla Cappella Paolina dei Palazzi Vaticani. Un altro artista che realizzò opere ispirandosi a Raffaello e Michelangelo fu Alberti Cherubino.
Fig.39 Figura maschile con copricapo di un soldato- Alberti Cherubino – Collocazione: Famiglia Alberti Opera copiata da un’opera di Raffaello -Tecnica Sanguigna – 36,2 cm x 25,6 cm. Presenza di una filigrana con albero inscritto in un cerchio.
Alberti Cherubino nato a Sansepolcro dal quale il suo soprannome di Borghegiano, figlio d’arte studio a Roma con Cornelius Cort e Agostino Carracci. Nel corso degli anni realizzò disegni e incisioni ispirati da opere di Raffaello, Michelangelo, Polidoro da Caravaggio, Andrea del Sarto e Rosso Fiorentino. Nel tempo divenne anche principe dell’Accademia di San Luca.
Fig.40 Studi di Busti Maschili – Alberti Cherubino, Gabinetto Disegni e stampe, Famiglia Alberti. Derivazione da Michelangelo -1591 a.c 28,2 cm x 42 cm, Penna inchiostro bruno,sanguigna,matita Presenza di una filigrana con ancora inscritta in un cerchio sormontato da una stella.
Fig.41 Alberti Giovanni, Il Crepuscolo della Cappella Medicea, Derivazione da Michelangelo Buonarroti, 20 cm x 28,6 cm, Matita nera e sanguigna. Giovanni Alberti lavorò a Sansepolcro e Mantova
Fig.42 Studio di Gambe, Alberti Cherubino, Autore originale Michelangelo Buonarroti, 43,8 cm x 28,8 cm Matita nera. Presenza di filigrana con giglio
Fig.43 Studio di figura maschile nuda visto di spalle, Allori Alessandro, Carta e matita nera. Il foglio è attribuito all’Allori da due antiche inscrizioni
Fig.44 Girolamo Romani detto il Romanino, Carta e matita, 32,4 cm x 22 cm – Galleria Nazionale della Puglia. Il foglio riporta un’antica attribuzione a Michelangelo Buonarroti. Da notare come la derivazione da disegni di Michelangelo sia assolutamente presente, ma lo stile dell’artista molto diverso dall’artista toscano.
Fig.45 Daniele da Volterra (Daniele Ricciarelli), 14 cm x 21,2 cm, Gesso Rosso
Daniele da Volterra (Il Braghettone) ricordato soprattutto per la sua associazione con le ultime opere di Michelangelo. Inizialmente allievo del Sodoma e di Baldassarre Peruzzi diventò in seguito apprendista di Perin del Vaga. Michelangelo gli fornì degli schizzi sui quali Daniele basò alcuni dei suoi dipinti.
Daniele da Volterra è famoso per aver coperto con le vesti e foglie di fico i genitali dell’affresco del Giudizio Universale nel 1565, appena un anno dopo la morte di Michelangelo. Grazie al suo intervento censorio, gli affreschi non vennero rimossi del tutto, come invece era previsto inizialmente, e potevano conservarsi fino ad oggi. Questi schizzi per tecnica risultano essere molto calibrati, non associabili direttamente allo stile Michelangiolesco se non nel soggetto.
Fig.46 Dettaglio dell’Incisione di Marcantonio Raimondi su Opera originale Raffaello
Un soggetto che presenta alcune caratteristiche simile all’opera in studio anche se in posizione diversa, ci deriva da copie e incisioni eseguite su un’opera di Raffaello Sanzio. L’opera in questione è la Strage degli Innocenti. La Strage degli innocenti è una stampa a bulino dell’incisore Marcantonio Raimondi, su invenzione di Raffaello, pervenutaci in più copie e stati.
Il disegno relativo alla strage degli innocenti di Raffaello, risulta essere un’opera preparatoria per un dipinto che rappresenta una scena tragica tratta dal Vangelo, nel quale viene immortalato il momento in cui su ordine di Re Erode, tutti i bambini maschi di Betlemme sotto i due anni, dovevano essere uccisi, per cercare di eliminare il neonato Gesù.
Raffaello realizzò un disegno preparatorio utilizzato poi dai suoi seguaci destinato ad un grande altare. Nel disegno, Raffaello pone al centro della scena la figura di Erode circondato da soldati che compiono l’atroce strage.
La composizione è particolarmente complessa, con figure in movimento che trasmettono il dramma e la sofferenza. Il disegno giovanile evidenzia il talento precoce di Raffaello e il suo approccio innovativo alla rappresentazione del movimento e delle emozioni.
Il soldato che sfodera la spada, presenta uno studio di torsione molto importante che risulta essere accostabile al disegno posto sotto studio. Non va quindi eliminata l’ipotesi che in principio furono stati eseguiti dei bozzetti preparatori con situazione similare con attributi però diversi come ad esempio gli indumenti, copricapo e variazioni.
Fig.47 Guerriero che cammina a grandi passi, Anonimo, Albertina –Vienna
In questo disegno ritroviamo da un punto di vista dell’abito e delle impostazioni del soggetto, grandi elementi similari, non ritroviamo però una similarità nel ductus grafico.
Fig.48 Nudo maschile da dietro-Girolamo Romanino, 21 cm x 12,9 cm – Gesso Rosso, Albertina Museum
Fig.49 Baccio Bandinelli – Due nudi maschili in piedi, 42,2 cm x 27,9 cm – inchiostro,penna
Fig.50 Agostino Veneziano, un modello di Raffaello Sanzio, 1515-1530 – Incisione su lastra di rame, 15,4 cm x 10,4 cm. In questa lastra ritroviamo la presenza di un guerriero probabilmente romano.
Fig. 51 Agostino Veneziano, Copia da Marcantonio Raimondi, 1515-1530, Incisione su rame, 25,2 cm x 18,2 cm, Albertina Museum
Fig.52 Bellona, Andrea Meldolla detto Schiavone, 22,4 cm x 11,7 cm, Acquaforte
In quest’opera ritroviamo elementi interessanti molto simili all’opera in studio, in particolar modo negli svolazzi che attorniano la figura.
Fig.53 Andrea Schiavone – Il Ratto di Elena – 1547
Andrea Meldolla detto Schiavone è stato un pittore attivo e incisore italiano a Venezia e fu considerato uno dei protagonisti del manierismo veneto.
Fig.54 Battaglia di Scudo e Lance – Giovanni Jacopo Caraglio – Ispirato a Raffaello Sanzio
Caraglio fu un grande incisore, orafo e medagliere italiano, attivo a Verona, Roma e anche in Polonia. Fu importante per la sua capacità di tradurre in stampe i disegni di maestri come Raffaello, Rosso Fiorentino, Parmigianino e Tiziano.
In quest’opera di grande dinamicità conservata presso l’Art Institute di Chicago, si raffigura un violento scontro tra soldati armati di lance, spade e scudi, sia a cavallo che a piedi. L’incisione di quest’opera di Caraglio si ispira agli affreschi della stanza di Costantino in Vaticano, eseguiti su disegno di Raffaello dai suoi collaboratori, in particolare da Giulio Romano. Il soggetto riprende un dettaglio della Battaglia di Ponte Milvio, evento storico fondamentale per la cristianizzazione dell’Impero Romano.
Attraverso la sua maestria Caraglio è riuscito ad infondere grande movimento e forte tensione alla scena, ha contribuito fortemente alla diffusione dello stile manierista in Europa; influenzando anche la scuola francese di Fontainebleau, pur non avendo mai lavorato direttamente in Francia. Il soggetto rappresentato in quest’opera non è frutto di Caraglio ma a lui si deve la traduzione in forma stampata attraverso incisione, probabilmente è una copia a partire da un modello di Raffaello oggi andato perduto, ma la sua invenzione è arrivata a noi proprio grazie al bulino di Jacopo Caraglio che la creata tra il 1525 e il 1527. Potrebbe rappresentare dunque un soggetto per l’idea per un particolare della composizione della Battaglia di Ponte Milvio, però scartata, l’anomalia è che il disegno non presenta i dettami di Raffaello ma di altra scuola improntata su Michelangelo. In questa battaglia l’Imperatore Costantino schiacciò con le sue truppe l’usurpatore Massenzio nel 313 d.c. Nel gabinetto delle stampe e dei disegni degli Uffizi è custodito un disegno con lo stesso soggetto che reca un’antica ma non possibile attribuzione a Perin del Vaga, tutto questo per portare verso un’opera originale di Raffaello. Il ruolo delle stampe e delle incisioni è stato fondamentale per la trasmissione, conoscenza e ricostruzione dell’opera di molti maestri del Rinascimento, in particolar modo di Raffaello Sanzio, la cui produzione è in parte andata perduta o rimasta incompiuta. Molte opere di Raffaello sono andate distrutte nel tempo soprattutto affreschi e cartoni preparatori tra cui molti disegni. Le incisioni e le stampe permettono di ricostruire solo in parte queste composizioni perdute, anche perché gli incisori dovevano tradurre l’opera a loro modo apportando modifiche.
Fig.55 Visione della Croce, Sala di Costantino – Vaticano-Affresco. Eseguito dagli allievi di Raffaello (Giulio Romano, Giovanni Francesco Penni, Raffaellino del Colle)
La sala di Costantino presente nella stanze di Raffaello in Vaticano, fu decorata da lui e dai suoi allievi, che dopo la sua morte utilizzarono per completare le decorazioni, i cartoni del maestro e completando i lavori nel 1524. La commissione venne affidata a Raffaello da Leone X nel 1517, questo era ricordato sia da Vasari che da Giovan Francesco Penni. Raffaello però negli ultimi anni di vita affidava il compito molto spesso ai suoi allievi. A Raffaello è attribuita l’ideazione del complesso decorativo, ma l’intera stesura è probabilmente, anche la composizione della scena nella parete, spetta agli allievi. Nel 1524 all’epoca di Clemente VII la decorazione doveva essere già terminata, quando Giulio Romano partì per Mantova. La Sala di Costantino è dedicata alla vittoria del cristianesimo sul paganesimo e all’affermazione del primato dalla chiesa romana, con evidenti richiami alla delicata situazione contemporanea. Vasari assegnò la visione della croce a Giulio Romano, posizione ripresa poi da tutta la critica successiva con interventi forse di Raffaellino del Colle.
Fig.56 Costantino sconfigge il tiranno Massenzio con angeli con portano le spade, Giulio Bonasone, 1544, 37,3 cm x 44,5 cm, Metropolitan Museum, Incisione
L’opera qui sopra è una incisione di Giulio Bonasone, in parte ispirato a Marcantonio Raimondi e dal sarcofago romano (oggi custodito a villa medici a Roma) che fu una delle fonti principali d’ispirazione di Raffaello per il progetto. Bonasone mostra molto meno interesse per le forme scultoree. La sua versione più lirica del soggetto è composta da figure morbide e modellate con dei motivi più fluidi. Giulio Bonasone era attivo principalmente a Bologna nel XVI sec. ed è stato uno degli incisori più importanti del manierismo italiano.
Nella scena dello scontro tra Costantino e Massenzio presso il ponte Milvio, viene ritratta una scena di battaglia di soldati armati di scudi e lance, con cavalli in corsa, in una composizione molto dinamica, tipica dello stile manierista.
Come detto in precedenza, la natura compositiva iniziale è quasi certamente ispirata a cartoni perduti e progetti per la Battaglia di Ponte Milvio. Oggi purtroppo abbiamo solo testimonianze indirette frutto degli allievi di Raffaello e degli incisori dell’epoca, con diversità nello stile. Dunque chi ha realizzato il disegno deve aver visto questi soggetti iniziali, ma sono stati reinterpretati seconda altra scuola. Pur avendo ricevuto la committenza di realizzare i progetti della “Sala di Costantino” Raffaello morì prima di completarli. Le scene della sala furono eseguite dalla sua scuola, in particolare da Giulio Romano, uno dei suoi più bravi allievi. Giuseppe Bonasone per la realizzazione di queste incisioni, avrebbe potuto trarre ispirazione da cartoni preparatori, bozzetti e composizioni conosciute nella bottega di Raffaello. Tra queste impostazioni che ritroviamo in queste incisioni e il disegno in studio, abbiamo molte analogie e punti in comune, anche se non è possibile rintracciare il guerriero con certezza di compatibilità e il suo stile è molto più michelangiolesco. Questa mancanza di un match di comparazione più elevato, ci deriva dal fatto che ciò che conosciamo oggi nelle stampe è frutto di copie e rivisitazioni eseguite su opere a sua volta copiate da allievi a partire da originali di Raffaello, mancano sempre alcuni elementi di contatto con questo disegno, che invece ritroviamo nella tecnica michelangiolesca.
Fig.57 Frammento del cartone preparatorio di Giulio Romano relativo alla Sala di Costantino
Dunque, è fortemente plausibile che il guerriero che vediamo nel disegno in studio, sia un soggetto dei prototipi iniziali per la Sala di Costantino, però non realizzati da Raffaello. L’influenza dell’urbinate sulle arti grafiche del tempo è evidente anche nelle composizioni, nella drammaticità dalla postura e nell’eroismo classico che traspare da queste scene.

Fig.58 Cartone di Giovan Francesco Penni – Louvre Sala di Costantino
Quando pensiamo all’opera della Battaglia di Ponte Milvio, dobbiamo sempre tenere presente che l’opera fu commissionata a Raffaello dal Papa. In quel periodo, Raffaello affidava il compito molto spesso ai suoi collaboratori di operare per lui, sia a livello di cartoni preparatori che a livello operativo in affresco.
Quindi non possiamo conoscere con precisione quanto ci sia di Raffaello in quell’opera. Risulta altamente probabile che Raffaello, abbia realizzato dei bozzetti iniziali e la stesura della organizzazione dei soggetti per poi essere ripreso e riproposto da Giulio Romano e da Penni.
Di questi bozzetti iniziali di Raffaello oggi non conosciamo nulla, quindi rimane una tesi ancora aperta e discussa. I suoi due principali collaboratori furono appunto Giulio Romano e Giovan Francesco Penni che collaboravano direttamente, ereditando anche i lavori non ultimati di Raffaello.
Giovan Grancesco Penni detto il Fattore, entrò in bottega da Raffaello molto giovane e la sua personalità artistica si è rivelata sfuggente, si sa però che prediligesse alla pittura il disegno e infatti realizzò molti disegni finiti. Dopo la fine del sodalizio con Giulio Romano nel 1524 Penni, fu chiaramente incapace di intraprendere una carriera autonomamente.
Successivamente seguì Giulio Romano a Mantova nella speranza di poter continuare la collaborazione, ma fu respinto, non sappiamo le motivazioni di questo rifiuto a continuare la collaborazione. Penni riprodusse molte composizioni di Raffaello.
Ci sono opere oggi attribuite a Giovan Francesco Penni, che riproducono per lo più composizioni di Raffaello, è plausibile pensare che alla morte di quest’ultimo, Penni abbia utilizzato il posto di privilegio dentro la bottega, per compiere molte copie di questi soggetti dai disegni originali, questo perché da tali disegni si nota la presenza di piccole variazioni e pentimenti con segni di difficoltà creativa. Dobbiamo quindi considerare Giovan Francesco Penni come un assistente addestrato a fungere da amanuense artistico, capace di interpretare le idee del maestro e di elaborarle in modelli ordinati su uno stile strettamente basato al suo.
Fig.59 Studio per la Battaglia di Ponte Milvio, Associato a Raffaello, Gesso rosso e penna su carta, 22 cm x 24 cm
L’opera a matita rossa su carta è stata di recente attribuita e identificata come un disegno tardo di Raffaello, inizialmente associato alla scuola. Questo disegno, servì per la decorazione degli appartamenti papali in Vaticano. I dettagli compositivi e stilistici confermano che si tratti di uno studio preparatorio di Raffaello per il celebre affresco.
Fig.60 Confronto con disegno sopra
Confronto con lo stile di Sebastiano del Piombo e aiuto di Michelangelo
Il disegno in studio, sembra presentare elementi di analogia con Michelangelo per quanto concerne l’aspetto stilistico. L’aspetto allungato del corpo ci porta infatti verso un effetto più manieristico discostante da Raffaello. Anche se come abbiamo visto come impostazione e tipologia di soggetto, ci sono dei punti di avvicinamento alla Battaglia di Ponte Milvio della scuola raffaellesca.
Fig. 61 Studio per il Cristo nella Flagellazione in San Pietro in Montorio, Roma -Sebastiano del Piombo
La profondità di Sebastiano del Piombo a livello di disegno, risulta essere particolarmente evidente, sebbene in alcuni casi aiutato da Michelangelo. Sebastiano rimane comunque un artista con un tratto inferiore a quello di Raffaello.
In questo disegno qui a lato ritroviamo un ottimo sfumato e molti punti d’incontro con la tecnica del disegno posta sotto studio.
Sebastiano del Piombo è stato un grande artista dotato di forte raffinatezza. Il disegno di S. del Piombo è stato nel tempo fortemente influenzato da Michelangelo, soprattutto nella resa anatomica e nel senso del volume. Molto spesso utilizzava il carboncino e gesso bianco per modulare la luce e ottenere così dei chiaroscuri drammatici. Nel disegno in studio, si nota un approccio molto scultoreo, con contorni netti e muscolatura esagerata per accentuare la forza delle figura.
Il legame tra Michelangelo e Sebastiano fu particolarmente stretto e strategico, infatti, Michelangelo vedeva in Sebastiano un alleato contro Raffaello, e gli fornì Cartoni e Disegni per alcune sue opere.
Infatti, Michelangelo non voleva competere direttamente con Raffaello e delegò a Sebastiano il compito di contrastarlo.
Anche se Sebastiano fu fomentato da Michelangelo contro Raffaello, la sua rivalità fu indiretta e per certi versi ci fu ammirazione da parte di Sebastiano, il quale fu anche lui influenzato dalla sua grazia compositiva.
Nel periodo in cui fu creata la Battaglia di Ponte Milvio, Sebastiano era li a Roma e conosceva bene il progetto; Michelangelo stesso potrebbe aver discusso con lui delle grandi battaglie come soggetti pittorici. Quando fu creata la Battaglia di Ponte Milvio Raffaello era morto, quindi anche se con riluttanza il Papa diede il compito agli allievi di Raffaello di portare a compimento l’opera.
Dopo la morte di Raffaello nel 1520, ci fu un momento delicato e di forte tensione artistica e politica riguardo le commissioni papali, in particolare la Sala di Costantino nei Palazzi Vaticani.
Raffaello alla sua morte aveva lasciato bozzetti e studi sulla sala; Giulio Romano che all’epoca era il capo bottega e allievo più dotato, e che rappresentava di fatto l’erede della gestione tecnica e creativa dei lavori, prese in mano le committenze in sospeso, ma la Sala di Costantino non fu una commissione così scontata perchè Papa Leone X e successivamente Adriano VI non si fidavano completamente dei giovani discepoli di Raffaello. La vittoria di Costantino sul paganesimo era un tema troppo importante per la chiesa, per essere lasciato a un allievo per quanto talentuoso. Giulio Romano ottenne comunque l’incarico, ma non lavorò da solo, fu affiancato da altri allievi come Giovan Francesco Penni. I lavori vennero eseguiti a condizione di una continua supervisione del papato.
Si può ipotizzare che Michelangelo potesse essere stato consultato e che Sebastiano del Piombo fosse stato preso in considerazione come alternativa. La Battaglia di Ponte Milvio, affrescata nella Sala di Costantino, mostra un linguaggio ancora legato a Raffaello, ma con una maggiore teatralità e dinamismo, tratta proprio dall’impronta giuliesca.
Sebastiano del Piombo, cercò attivamente di inserirsi nella decorazione della Sala di Costantino dopo la morte di Raffaello con il sostegno e la spinta di Michelangelo stesso. Michelangelo sosteneva infatti che Sebastiano avrebbe potuto portare a termine l’opera con maggiore qualità e spirito, seguendo un’ideologia più affine alla sua. Si può ipotizzare dunque che Michelangelo possa aver creato alcuni bozzetti e disegni che sarebbero stati poi usati da Sebastiano del Piombo come presentazione per le opere della Sala. Alla fine, i committenti del Vaticano, non accettarono perché rischiavano di avere con l’allievo di Michelangelo una eccessiva differenza di stile tra le tecniche utilizzate.
Esiste un disegno custodito all’Albertina di Vienna con lo stesso soggetto, che potrebbe essere l’opera autografa di Michelangelo, disegnata per Sebastiano come schizzo da presentare di uno dei personaggi della battaglia e, il disegno posto sotto studio, sarebbe la copia di Sebastiano del Piombo. Il disegno dell’Albertina, dopo una serie di attribuzioni, viene associato dalla Dottoressa Veronika Birke e da Janine Kentesz nel 1997 a Battista Franco detto il Semolei.
Fig.62 Attribuito a Giovanni Battista Franco gen. Semolei (Venezia c. 1510 – 1561 Venezia), sanguigna, 27,8 x 14,2 cm. Numero di inventario 236
Una lettera di Sebastiano a Michelangelo, datata 5 settembre 1520, conferma questo tentativo. In essa, Sebastiano esprime la sua frustrazione per non essere stato scelto e menziona che Michelangelo aveva scritto al Papa per raccomandarlo. E dunque, la commissione fu affidata agli allievi di Raffaello, come Giulio Romano e Giovanni Francesco Penni, per garantire la continuità stilistica con i progetti originali di Raffaello. Questo episodio evidenzia le tensioni artistiche dell’epoca e la rivalità presenti tra le scuole di Raffaello e Michelangelo. Nonostante il sostegno di Michelangelo, Sebastiano non riuscì a ottenere l’incarico desiderato, ma l’episodio testimonia la sua ambizione e il desiderio di affermarsi nel panorama artistico romano.
Fig. 63 Particolare per uno studio per la Cappella Chigi di Santa Maria del Popolo Roma, Sebastiano del Piombo, Royal Collection, Disegno a gessetto nero. Per questo disegno Sebastiano richiese e probabilmente e ricevette l’aiuto grafico di Michelangelo, in una lettera del 25 marzo 1532 esiste una testimonianza scritta in merito.
Nel giorno di venerdì santo del 1520, avvenne la morte di Raffaello, questo fu annunciato a Michelangelo da Sebastiano del Piombo con una lettera datata 12 aprile 1520. In occasione di questa sciagura, tutta Roma era in lutto, il Papa lo piangeva e il popolo accorse a pregare sulla salma, dietro la quale era stata collocata la tavola della Trasfigurazione non ancora compiuta.
A causa della morte di Raffaello, la posizione di Michelangelo si avvantaggiava. Nel giorno della morte di Raffaello, Michelangelo era fuori da Roma.
Anche nelle lettere successive alla morte di Raffaello non si abbassavano i toni di livore contro la bottega degli allievi di Raffaello.
Sebastiano, cercò fin da subito di approfittarsi della scomparsa di Raffaello per ottenere una commissione importante. Infatti, come menzionato in precedenza nella medesima lettera scritta da Sebastiano a Michelangelo dove si annunciava la morte di Raffaello lo pregava di poter scrivere a monsignor reverendissimo perché gli venisse concessa la Sala di Costantino, lagnandosi che il Papa l’avesse già concessa ai garzoni di Raffaello, i quali bramavano molto e volevano dipingerlo a olio.
Michelangelo scrisse al Cardinal Dovizi di Bibbiena, il 3 luglio venne ricevuto dal Cardinale che però non potè assecondare i suoi desideri.
Nella lettera del 7 settembre 1520 Michelangelo scrive che ha parlato con il Papa circa i termini per l’opera, e scrisse così:
« et tuto quello che io ho parlato al Papa, ed i termini che io ho uxato circha questa hopera è statto per puro amore et riverenzia vi porto. Et con mezzo vostro far le vendette vostre et mie a un tratto et dare ad intendere a le persone maligne che ‘1 c’è altri semidei che Rafael da Urbino con i soi garzoni… Me scrivete ancora che non m’empromettete affirmative. Vi prego per l’amore vui me portate, vui vogliate risolvervi de questa cossa ; sì, over non è, a ciò possi tornar la resposta al Papa, perchè el manda a veder quello me havete scripto et io dico che non ho havuta resposta ancora : et se vui volete lì mostri la vostra Httera gela mostrare : dateme aviso di questo : che io no voria far cossa centra vostra volontà » .
Finisce con questo pistolotto : « quello desiderava io lo faceva per fare miracoli, et dare ad intendere a le persone che quelli homeni che non sono semidei sanno dipingere anche loro ». Sebastiano con tutti questi suoi sforzi non riuscì nell’intento e sotto il pontificato di Clemente VII la sala di Costantino fu condotta a termine dagh scolari di Raffaello. Durante le trattative fu offerto al Luciani di dipingere la sala di sotto a quella di Costantino ; ma egli la rifiutò, come si esprime nelle sue lettere, non volendo che i garzoni di Raffaello dipingessero le sale dorate, e a lui si riservassero le cantine.
Sebastiano non ebbe la fortuna di entrare nelle grazie di Leone X, il Sanzio e Michelangelo lo assorbivano non poteva restarvi posto per altri. Egli però aveva acquistato forti relazioni col cardinale Giulio de’ Medici e col Cardinale Rangoni, per i quali fece delle cospicue opere.
Tutte queste vicissitudini accaddero in seno a forti cambiamenti in Vaticano. Infatti, nel 1521 Papa Leone X morì e gli succedette Papa Adriano VI. Questo provocò un grande cambiamento nel campo delle arti e dei maestri. Il nuovo Papa aveva smesso con il fasto e la grandezza del suo predecessore, e non nutriva amore per i soggetti artistici. Inoltre era infastidito dal classico perchè aveva orrore dei nudi e fece cessare i lavori nella Sala di Costantino. Anche se questo Papa aveva di buon occhio Sebastiano del Piombo tanto da commissionargli il suo ritratto, non potè ottenere la commissione per la Sala di Costantino.

Fig.64 confronto tra opera in studio a sinistra e opera dell’Albertina
Confronto tra opera in studio e il disegno presente all’Albertina Museum di Vienna
Il disegno posto in studio è stato portato in confronto con una immagine fotografica eseguita dall’Alinari relativa al disegno collocato presso l’Albertina Museum di Vienna. Il colore scuro che troviamo nell’immagine fotografica è da imputare al tipo di scatto. La tecnica dell’opera risulta essere a carboncino.
L’immagine dell’Archivio fotografico Alinari presenta le seguenti caratteristiche: Opera associata a Raffaello Sanzio – Datata 1500-1512. Collocazione Vienna Graphische Sammlung Albertina. Foto scattata 2002, Dimensione 26 cm x 14 cm
Di seguito si riporteranno tutta una serie di confronti tra le due opere. Sul lato sinistro opera in studio e sull’opera di destra quella collocata nel Museo dell’Albertina.
La freccia Verde vede i due tratteggi a confronto: nell’opera di sinistra abbiamo la perdita del tratto in quel punto, inoltre le linee presenti risultano avere un tratteggio meno fitto e meno lineare rispetto l’opera del museo.
La freccia azzurra indica la mancanza di un tratto del disegno che invece ritroviamo nell’opera del museo. La presenza di un numero di dettagli minori e un numero di tratti più ridotto nell’opera in studio, ci porta a dare una ipotesi di copia del manufatto posto in studio.
Nelle parti evidenziate con cerchi rossi ritroviamo tutta una serie di macchie causate da invecchiamento e carbonio. Queste macchie sono presenti nell’intero disegno a tutti i livelli. Tutte queste macchie risultano essere completamente assenti dal disegno posto in stud

Fig. 65 Confronto con altri particolari
Da questo secondo confronto, vediamo che la freccia rossa indicante il tratto grafico dello svolazzo laterale, porta diversità notevoli in parte dovute alla tipologia di pigmento utilizzato che risulta essere diverso. Sul lato sinistro troviamo infatti un tratto con una granulometria molto più spessa. La stessa identica cosa la possiamo ritrovare nella freccia nera che indica anche qui un tratto meno incisivo con perdita della linearità relativa all’opera.

Fig. 66 Confronto
Anche in questo confronto nella foto sopra, ritroviamo degli elementi di diversificazione. Nella freccia verde sulla sinistra ritroviamo la mancanza di questo tratto, mentre sulla destra tale linea la ritroviamo. Le linee blu mostrano anche qui variazioni nel tratto. Anche nelle frecce rosse ritroviamo la mancanza di corrispondenza. Dal confronto, nel complesso, possiamo dire che il disegno posto sotto studio sembra essere stato creato a partire da questo disegno come copia, emerge anche che l’intensità del tratto e una profusa titubanza nel disegno, sia legata da parte del copista di rendere il più possibile simili le due opere, infatti, solo da un attento controllo si può evidenziare queste anomalie. Inoltre, l’opera non può essere una copia da parte del medesimo autore, in quanto sicuramente lo stesso autore avrebbe apportato molte più variazioni o pentimenti rispetto all’opera originale, ma soprattutto, le variazioni che avrebbe apportato sarebbero state naturali.
Confronto opera dell’Albertina e valutazione con tecnica del Semolei
Fig.67 Collezione Albertina –Vienna, 27,8 cm x14,2 cm, Numero inventario 236, Scritta in basso a destra “Rap. Urb.” . Credits: Alinari
Attribuzioni storiche dell’opera: Raffaello Sanzio (Tradizionale); Artista michelangiolesco(Wickhoff); Nessuna associazione con cerchia di Raffaello (Fischel); Successore di Michelangelo Buonarotti (Stix); Cerchia di Michelangelo (Ragazzo); Semolei (Birke Veronika / Janine Kertesz).
La seguente opera, è presente presso la collezione Albertina di Vienna e nel tempo, ha subito tutta una serie di attribuzioni. L’opera in studio risulta con certezza creata a partire da questo soggetto. La realizzazione della versione risulta essere creata con una dimensione più ridotta rispetto al disegno collocato presso l’Albertina Collection.
Gli elementi di legame risultano essere fortissimi il che determina con assoluta certezza che il realizzatore dell’opera in studio, abbia avuto accesso direttamente all’opera originale per poter realizzare la sua.
Si esaminerà di seguito l’opera custodita presso l’Albertina con il tratto dell’ultimo artista al quale è stato attribuito e cioè il Semolei.
Battista Franco, detto il Semolei era un pittore e incisore (Venezia 1498-1561). Questo artista, a Roma, si ispirò profondamente alle opere di Raffaello, Michelangelo e Giulio Romano, e in seguito dalle proprie invenzioni, seguendo la tradizione di Marcantonio Raimondi. Si inscrisse all’Accademia di San Luca nel 1535. Ma dopo aver visto il Giudizio Universale nella Cappella Sistina, non volle fare altra cosa che disegnare per un certo tempo. Fu notato da Raffaello da Monte Lupo e fu raccomandato da Antonio da Sangallo il giovane, il quale lo impiegò nell’allestimento in onore dell’ingresso di Carlo V d’Asburgo, sia a Roma che a Firenze.
Il giovane artista si distinse soprattutto per la grande abilità dei suoi disegni, che prevalevano sulla tecnica pittorica. Questo artista aveva l’ossessione di copiare non solo da Michelangelo ma anche da altri artisti perché non aveva un suo stile personale le sue invenzioni erano carenti e prive di freschezza e originalità. A Firenze Salomei, conobbe Vasari e strinse amicizia con Bartolomeo Ammanati presso cui andò ad abitare insieme al Genga di Urbino con cui ebbe un proficuo sodalizio artistico. Fu al servizio di Cosimo I de Medici e dipinse molte opere che furono apprezzate. A Roma, entra al servizio del Cardinale Francesco Corner e si mise in competizione con Francesco Salviati con un San Giovanni imprigionato da Erode, che risultò non all’altezza del confronto, questo a causa della sua estrema cura dei particolari disegnati che tolsero spontaneità e colore all’opera nel suo insieme.
Semolei aveva la capacità di creare composizioni complesse, spesso raffiguranti scene mitologiche, religiose e con numerose figure. Il disegno dell’Albertina, presenta una tensione muscolare creata con energia e una muscolatura dinamica con impiego dello sfumato e tratteggio incrociato, che modella le forme e crea profondità, questi elementi non li ritroviamo nelle opere del Semolei.
Fig.68 Dettaglio opera Allegoria con uomo barbuto seduto con libro, Metropolitan Museum, Battista Franco, 19 cm x 20,5 cm. Penna , inchiostro marrone, pennello e acquerello
Di seguito si riporterà un confronto tra l’opera qui sopra del Semolei, con il disegno del guerriero custodito presso l’Albertina Collection di Vienna. Sono stati valutati tutta una serie di parametri stilistici e del tratto. Il disegno dell’uomo barbuto, presenta un tratto del Semolei molto controllato, pulito e uniforme nella sua struttura. L’intensità del tratto risulta essere costante e molto descrittiva. Lo studio anatomico risulta essere dettagliato ma manca di movimento, risulta statico con una impostazione classica del corpo. Il tratteggio è lineare e omogeneo nell’intero disegno. La forza del tratto grafico offre un senso meditativo e con poca teatralità del soggetto. Il disegno presente presso l’Albertina Museum, ha un tratto grafico fluido, energico a volte tumultuoso, l’intensità del tratto è molto variegato, a tratti contrastanti e netti e in altre aree il tratto è più lieve conferendo una resa di dinamismo elevato con una muscolatura amplificata. Il tratteggio è misto con linee curve, semicircolari e drammatiche. La composizione con il corpo in torsione crea un movimento centrifugo e di grande emozionalità. Il disegno si presenta così con una forza molto alta ed una gestualità vibrante. Questo disegno presenta elementi di tratto molto elevati in forza espressiva, composizione dinamica e tratto grafico vigoroso, con marcata enfasi sulla torsione anatomica e tensione muscolare, contrariamente al disegno dell’uomo barbuto di Semolei che ha uno stile più stabile e misurato, con un’ottima padronanza anatomica, ma con una composizione meno teatrale e un tratto più sobrio. Questa analisi, suggerisce che i due artisti, abbiano approcci molto diversi, anche se condividono una certa raffinatezza tecnica. Tuttavia, il primo disegno mostra caratteristiche fortemente associate a Michelangelo e non al Semolei.
Grafico comparativo che offre una uno spaccato sulla compatibilità stilistica dei diversi elementi analizzati tra il disegno dell’Albertina associabile a Michelangelo, e quello del Metropolitan Museum associato al Semolei. La somma dei diversi elementi, da una compatibilità grafica dei due artisti al 47%
Fig.69 Grafico Comparativo
Studio Anatomico e la sua importanza
Lo studio dell’anatomia era importante per un artista, sia esso scultore o pittore. Lo studio approfondito della relazione tra la figura umana e il mondo in cui si muove, era necessario da parte degli artisti e i teorici del Rinascimento, soprattutto per poter organizzare e controllare lo spazio attraverso il sistema della prospettiva.
Fig.70 Nudo maschile con le proporzioni indicate, Sanguigna – Michelangelo, 28,9 cm x 18 cm, Royal Library
Il corpo era dunque studiato in termini di misure e proporzioni. Per questo motivo molto spesso, veniva incorniciato, racchiuso e suddiviso in diagrammi e schemi geometrici con cifre e numeri. Questo elemento era particolarmente evidente in Leonardo da Vinci. Tra i codici del tempo che maggiormente esplicitavano questi elementi, vi erano i codici di Leonardo, Piero della Francesca e Durer. Questo aspetto geometrico inserito nella figura umana, era importante per costruire degli schemi in relazione alla pratica architettonica.
Alcuni disegni di Piero della Francesca, mostravano che egli usò griglie lineari e geometriche per studiare le proporzioni del volto e del cranio. Fu uno dei suo allievi, il matematico Luca Pacioli, che nel 1509 pubblicò un trattato intitolato De Divina Proportione. Secondo Pacioli, la proporzione perfetta e ideale è quella della sezione aurea, e per lui, i numero hanno un significato mistico.
Fig. 71 Albrecht Durer, Simmetria dei Corpi Umani
Lo studio della proporzione, passò anche da un importantissimo personaggio: Leon Battista Alberti. Egli utilizzò le regole stabilite da Vitruvio esaminando le relazioni tra proporzioni e prospettiva. Anche Leonardo da Vinci cercò di stabilire una relazione tra proporzione e movimenti della figura umana e del sistema prospettico. Anche Durer basò i suoi studi su quello di Vitruvio, sottolineando la simmetria e la schematizzazione del corpo. Con Michelangelo, verso la fine del Rinascimento, assistiamo ad un certo allontanamento dal canone ideale, che si manifestava nella deliberata distorsione e allungamento della figura umana. Questa tendenza soggettiva in contrasto con l’oggettività matematica, si sviluppò ulteriormente con il manierismo e il barocco, quando gli effetti della muscolatura, dell’espressione facciale e del movimento, interessarono di più gli artisti rispetto alle regole dell’armonicità.
Fig.72 Adamo (disegno di costruzione), Albrecht Durer – 1504. Penna marrone,proporzione sulla gamba di supporto e linee di costruzione con penna marrone, pentimenti presenti sulle braccia superiori, 26,2 cm x 16,64 cm
Fig.73 Eva (disegno di costruzione), Albrecht Durer, 1506 – 26,2 cm x 16,5 cm. Tecnica: Penna marrone, linee di costruzione con penna
Gli studi anatomici nel Rinascimento rappresentarono un vero e proprio settore. Relativamente all’approccio di Michelangelo, è legittimo supporre che anche lui in modo simile ad altri artisti, come Leonardo da Vinci utilizzasse cadaveri o parti di cadavere a scopo di studio.
Fig.74 Da Michelangelo, Studio anatomico di gamba destra con marcatura dei muscoli, Tecnica : Sanguigna, 28,3 cm x20,7cm, Royal Library
Tale materiale, possiamo definirlo come materiale didattico e fu ripetutamente utilizzato come compendio di riferimento e servì a scopi propedeutici.
Di questa tipologia di studi anatomici, di quelli attribuibili direttamente a Michelangelo non c’è ne sono, e quelli oggi conosciuti probabilmente sono di suoi allievi e seguaci copiati dagli originali.
Visto le numerosissime copie superstiti, questo fa pensare che esistesse un vero e proprio corso di anatomia creato da Michelangelo, dove i muscoli erano siglati con delle lettere per facilitare il riconoscimento e l’individuazione.
A differenza di Leonardo da Vinci a Michelangelo, non interessava l’aspetto delle vene, arterie e capillari, ma solo l’articolazione strutturale dell’organismo, soprattutto per ciò che riguarda la posizione dei muscoli e le combinazioni volumetriche che determinano rilievi e le depressioni della pelle. Dunque i disegni anatomici di Michelangelo, vanno trattati più come studi anatomici d’artista che come trattato medico.

Fig.75 Confronto tra opera in studio a sinistra e studio anatomico della muscolatura ripreso da un disegno di allievi di Michelangelo.
Da questo confronto è possibile individuare elementi molto interessanti, infatti nella gamba posta sotto studio. abbiamo una muscolatura che riporta sia elementi muscolari visti da dietro che elementi muscolari visto da una zona latero-posteriore. Questo aspetto risulta essere molto interessante perché in questo disegno, non solo l’effetto del movimento viene garantito dalle doppie linee della gamba e dalle variazioni d’intensità del tratto, ma la presenza di una muscolatura ibrida come se fosse in due posizioni in contemporaneo è unica. Questo aspetto aiuta a rendere maggiore l’effetto della dinamicità.
Considerazioni Finali e Conclusioni
Il seguente studio è stato un percorso alla ricerca non solo del possibile realizzatore di questo disegno, ma anche per capire lo scopo e la destinazione finale di esso. Si è cercato dunque di collocare l’opera all’interno di un contesto specifico. Di seguito si riportano elementi importanti di conclusione. Il disegno presenta caratteristiche stilistiche e tecniche spiccatamente importanti che richiamano senza dubbio l’ambiente michelangiolesco, riprendendo anche elementi di prassi grafica di Sebastiano del Piombo. Si può ipotizzare dunque che il disegno possa essere stato creato sotto l’influenza di Michelangelo. L’uso della tecnica a sanguigna, con tratti morbidi e il chiaroscuro presente tramite sfumature ottenuto per pressione modulare, è una tecnica molto vicina a quella di Michelangelo, soprattutto nei disegni preparatori per affreschi. Le differenze che ritroviamo tra questo disegno a confronto con quello di medesimo soggetto dell’Abertina Museum, è dato da gradi di incertezza grafica presenti. Per quanto concerne la muscolatura, è volumetrica e plastica resa con attenzione come avrebbe fatto uno scultore; dunque visto che Sebastiano del Piombo non era uno scultore, tale elemento è un segno distintivo dell’influenza diretta di Michelangelo, che impostava il disegno come fosse una scultura su carta. Lo studio di figura è perfetta nella sua posa dinamica e torsionato alla maniera michelangiolesca. Lo studio anatomico risulta spinto e accentuato, con la muscolatura resa ipertrofica tipica del Buonarroti, con la presenza di un grande senso del movimento. Un altro elemento di rilevanza è la visione posteriore della spalla, che punta sull’enfasi della potenza fisica. Sebastiano del Piombo non era un disegnatore di questo tipo prima di conoscere Michelangelo, infatti, i suoi primi disegni veneziani erano molto meno plastici. Dopo l’incontro con Michelangelo e il suo aiuto soprattutto durante il lavoro della flagellazione e alla Pietà di Viterbo del 1512-1516, Sebastiano sviluppò un linguaggio più scultoreo influenzato da Michelangelo. Possiamo dunque affermare che l’opera in studio è frutto di un artista della cerchia michelangiolesca, probabilmente creata come copia da Michelangelo, sotto la sua diretta influenza e con l’ausilio di un disegno autografo di Michelangelo. Per quanto concerne lo studio anatomico, abbiamo da parte dell’artista una buona conoscenza dell’aspetto anatomico, specialmente dalla parte posteriore della coscia e del polpaccio. Si noti una chiara definizione del grande gluteo che sfuma verso il bicipite femorale presente nella parte esterna della coscia, che risulta essere correttamente orientato e ben raccordato al ginocchio. Il muscolo gastrocnemio del polpaccio è ben evidente e si divide correttamente nelle due teste muscolari, con una lieve torsione che denota il movimento delle gambe. Quindi, il disegno, offre anche l’effetto della flessione posteriore. Per quanto riguarda l’inserzione finale del tendine del ginocchio, appare di un tratto troppo rigido mancando di morbidezza. Un’altra anomalia è derivata dal perone laterale lungo non rappresentato con chiarezza, motivo per cui questo disegno possa essere stato realizzato a partire da quello dell’Albertina Museum meglio strutturato. Possiamo dunque affermare che da un punto di vista anatomico abbiamo un disegno plausibile anatomicamente, e i piccoli aggiustamenti espressivi puntano all’enfasi del dinamismo più che all’esattezza reale. Da un punto di vista stilistico l’elmo è chiaramente visibile sulla testa, con una cresta o cimiero, la decorazione è quella usata da contesti artistici rinascimentali per evocare il mondo classico, piuttosto che autentici modelli storici. L’indumento sulla zona pelvica è una sorta di “pteyges”, cioè un indumento fatto da strisce di cuoio e stoffa sovrapposte, tipiche delle armature romane, questo elemento è associabile fortemente alle raffigurazioni di guerrieri romani nelle arti figurative Rinascimentali. La posa è eroica, con un forte movimento rotatorio del busto e slancio del braccio, come se stesse per lanciare qualcosa o per difendersi, un gesto dunque molto comune nelle rappresentazioni dei combattenti antichi. Potremmo definire questo guerriero una rappresentazione di un guerriero romano ideale ispirato al mondo classico ma filtrato da un’estetica manierista. Il disegno è molto raffinato e presenta un’ottima padronanza del chiaroscuro pieno di energia. Il gesto artistico di questo disegno dimostra una conoscenza consapevole dell’anatomia, ma sceglie volontariamente di forzare alcune proporzioni per ottenere una maggiore tensione drammatica. L’uso della sanguigna, le curve morbide e le linee di contorno fluttuanti per i panneggi e a costruzione volumetrica, sono coerenti con gli studi michelangioleschi con l’ideale di una figura eroica romana. Nel disegno posto sotto studio la rappresentazione della muscolatura, in particolare delle gambe, mostra una notevole attenzione al volume e alla tensione muscolare, elementi caratteristici che possiamo ritrovare anche in alcune opere di Sebastiano del Piombo, come ad esempio nella Pietà di Viterbo(1512-1516), qui la figura del Cristo presenta, infatti, un campo modellato con cura, evidenziando la struttura muscolare e la tensione dei tendini, elementi che richiamano l’influenza di Michelangelo. Tuttavia, è importante ricordare che Sebastiano del Piombo, pur collaborando con Michelangelo, non raggiungerà la medesima precisione anatomica dei disegni. Sebbene Sebastiano non abbia lasciato opere con soggetti militari, la sua capacità di rappresentare figure eroiche e la sua attenzione ai dettagli dell’abbigliamento sono evidenti in opere come il Martirio di Santa’Agata del 1520, dove i carnefici indossano abiti dettagliati e realistici. L’uso della tecnica a sanguigna presente nel disegno in studio, presenta tratti morbidi e sfumature ottenute tramite variazioni di pressione, tecnica che Sebastiano del Piombo ha utilizzato intenzionalmente. Ad esempio, nella preparazione della Pietà di Ubeda, Sebastiano si avvale di disegni forniti da Michelangelo, che mostrano un uso raffinato del chiaroscuro e una modellazione accurata del corpo. Questo disegno basato su quello dell’Albertina Museum, potrebbe essere l’opera realizzata su spunto da Michelangelo, che pur non essendo mai direttamente coinvolto nella decorazione delle stanze vaticane, prestò a Sebastiano del Piombo disegni e appoggio nel tentativo di ostacolare l’egemonia raffaellesca, e per far si che la committenza venisse affidata a lui. Pensiamo dunque che, il soggetto sia stato ideato da Michelangelo(disegno Albertina) per Sebastiano del Piombo che a sua volta creò il suo(opera in studio). I pittori del tempo, infatti, dovevano convincere il committente con disegni preparatori, Sebastiano con questo disegno, e forte del suo rapporto con Michelangelo, avrebbe voluto proporre uno stile muscolare eroico perfettamente in linea con il soggetto della Battaglia di Ponte Milvio, evento simbolo della vittoria del Cristianesimo sul paganesimo. In conclusione, per questa nostra ipotesi attributiva, riassumiamo di seguito gli elementi di forte interesse. Per la tecnica l’uso della sanguigna con tratto energico e accenni di movimento spiraliforme, coerenti con gli studi influenzati da Michelangelo, compatibile con il Sebastiano del Piombo nella sua fase matura. La figura rappresentata un guerriero con elmo, muscolatura marcata e postura dinamica che sono elementi assolutamente coerenti con un soggetto per la Battaglia di Ponte Milvio. L’anatomia attenta, espressiva e plastica associata ad un potenziale stile di Sebastiano del Piombo compatibile con un lavoro preparato con l’aiuto di Michelangelo che gli forniva i modelli disegnati. Gli indumenti indossati dal guerriero, con il gonnellino piumato (pteryges), l’elmo con cimiero e la nudità parziale, tutti elementi di raffigurazioni di soldati romani idealizzati nel Rinascimento e tardo Rinascimento. Dunque è plausibile affermare che, questo disegno sia parte di un ciclo di studi eseguiti da Sebastiano del Piombo come proposta per la Sala di Costantino, un bozzetto dunque di presentazione destinato alla commissione vaticana di valutazione. Tale disegno fu realizzato con la consulenza anatomica di Michelangelo, e forse proprio con il suo diretto intervento in molti punti, e rappresenta un raro esempio di studio militare della produzione grafica di Sebastiano del Piombo eseguita partendo da un’opera di Michelangelo.
Conclusioni
Il presente studio ha condotto un’indagine multidisciplinare su “Studio di Guerriero”, combinando analisi tecniche del supporto cartaceo con un esame stilistico, iconografico e archivistico. Le indagini scientifiche hanno rivelato che il supporto è costituito da carta prodotta a partire da stracci di canapa, lino e cotone, con uno spessore omogeneo di 70 µm e l’impiego di additivi quali calcio e talco. La presenza di vergatura regolare (2 mm tra le vergelle, 28 mm tra i filoni) e una traccia di filigrana, seppur non pienamente leggibile, contribuiscono alla datazione e all’identificazione delle origini del supporto.
Le osservazioni relative alla tecnica esecutiva confermano l’uso della sanguigna, talvolta diluita, e un processo di rifilatura differenziato, con tagli precisi sui margini superiore e destro e strappi o interventi meno regolari sui margini sinistro e inferiore. Queste evidenze tecniche, unitamente all’indicazione di un pregresso intervento di restauro, forniscono un quadro dettagliato della materialità e della storia conservativa dell’opera.
Dal punto di vista attributivo, l’analisi iconografica e stilistica suggerisce una complessa relazione con il contesto artistico romano del XVI secolo, con richiami significativi alle opere di Sebastiano del Piombo e al dibattito attributivo che include figure come Michelangelo. L’assenza di dati archivistici diretti impone un approccio cautelativo all’attribuzione definitiva.
In sintesi, lo studio ha fornito dati materiali e osservazioni stilistiche fondamentali per una più approfondita comprensione dello “Studio di Guerriero”. Sebbene la questione attributiva richieda ulteriori indagini comparative e magari l’impiego di tecniche non invasive avanzate per l’analisi dei pigmenti, i dati raccolti rappresentano un contributo significativo alla conoscenza dell’opera e del contesto in cui è stata prodotta
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