ALLA CASA UBOLDI UN PUNTO SU FURTI E TRUFFE

TALAMONA 10 dicembre 2015 incontro con le forze dell’ordine

 

CON IL LUOGOTENENTE ANTONIO SOTTILE DELL’ARMA DEI CARABINIERI UNA SERIE DI DRITTE PER TUTELARE I NOSTRI DIRITTI E LE NOSTRE PROPRIETA’

di Antonella Alemanni

Nonostante la tv e i canali di comunicazione in genere dedichino ampio spazio a queste tematiche dispensando consigli e talvolta proponendo simulazioni, la questione dei furti in casa e delle truffe, perpetrate soprattutto a danno degli anziani, è una questione perennemente d’attualità della quale sembra non si parli mai abbastanza. Ed ecco perché anche il comune di Talamona ha voluto dedicare un incontro informativo a riguardo questo pomeriggio alle 14.30 alla Casa Uboldi, un’incontro nato dalla specifica collaborazione tra l’Assessorato per le Politiche Culturali e l’Arma dei Carabinieri.“Un incontro facente parte di un ciclo che coinvolge vari comuni allo scopo soprattutto di informare le fasce più deboli, quelle che vengono più facilmente colpite da questo tipo di reati” come ha sottolineato Fabrizio Trivella, sindaco di Talamona, nell’introdurre il luogotenente Antonio Sottile, nuovo comandante della stazione dei carabinieri di Morbegno che dopo i ringraziamenti ha cominciato il suo intervento sottolineando il particolare interesse delle forze dell’ordine a creare una campagna informativa intorno a queste tematiche “non solo per cercare di individuare e consegnare all’autorità giudiziaria i responsabili di tali azioni, ma anche perché questi ultimi, nei casi più recenti di truffe, stanno cominciando a palesarsi come forze di polizia”. Una campagna che, come ha ribadito il comandante riprendendo le parole del sindaco “si rivolge in particolar modo agli anziani perché sono le fasce più deboli e dunque più esposte a questo tipo di reati, avendo capacità di difesa limitate rispetto ai giovani sia dal punto di vista delle reazioni mentali che di quelle fisiche”. Il comandante si è anche premurato di fornire delle dispense scritte con i punti salienti delle sue spiegazioni in modo da fornire al Gruppo Anziani, intervenuto all’incontro di oggi, uno strumento concreto di conoscenza e di difesa. “La figura del truffatore si è evoluta nel corso degli anni” ha poi ripreso a spiegare “ha imparato a presentarsi al cittadino sotto varie vesti. In questi ultimi anni si è camuffato principalmente sotto le vesti di rappresentante di enti pubblici dunque dipendenti dell’ENEL piuttosto che dell’IMPS e via dicendo, ma si sono verificati anche, nella nostra provincia, degli episodi in occasione dei quali i truffatori si sono qualificati come carabinieri, finanzieri, in generale come membri delle forze dell’ordine. Questo naturalmente ci spinge a intervenire per evitare che possa essere pregiudicata la fiducia del cittadino nei confronti di questi enti, cosa che succede facilmente nel caso di chi subisce una truffa da un soggetto qualificatosi ad esempio come carabiniere. La prima cosa da dire a riguardo è che, perlomeno in Valtellina sono rarissimi, se non nulli del tutto gli episodi in occasione dei quali un carabiniere o altro funzionario delle forze dell’ordine si potrebbe presentare a casa vostra da solo e in borghese. I carabinieri, poliziotti o finanzieri in servizio indossano sempre la divisa riconoscibile e si presentano in casa dei privati cittadini per motivi validi, di certo non per verificare la validità del denaro tenuto in casa o l’effettiva purezza e autenticità dei preziosi. Questi sono tra gli stratagemmi utilizzati dai truffatori per introdursi in casa, un punto su cui riflettere per capire come riconoscere sicuramente un truffatore. L’attenzione che bisogna avere va posta non solo dentro casa, ma già andando in posta o in banca a ritirare la pensione. Questo perché è dimostrato dalla casistica degli episodi che si verificano che la scelta della vittima avviene già al di fuori di questi uffici o davanti allo sportello del bancomat”. Un truffatore individua facilmente i soggetti che possono essere potenziali prede perché deboli fisicamente e/o mentalmente. A questo punto il comandante Sottile ha citato un caso avvenuto a Sondrio di un’anziana che poco dopo essere rientrata a casa coi soldi della pensione ritirati all’ufficio postale, ha sentito suonare il campanello e si è trovata davanti un soggetto con un improbabile cappello riportante lo stemma dell’arma che dopo essersi qualificato come carabiniere, ha chiesto di vedere i soldi facendole credere che all’ufficio dove era stata le avevano dato dei soldi falsi. Egli l’aveva pedinata dall’ufficio fino a casa e poi si è mostrato molto gentile, disponibile ad andare egli stesso all’ufficio a risolvere la questione senza scomodare la signora che così si è lasciata convincere a consegnare i soldi che poi il finto carabiniere si è portato via sparendo poi nel nulla naturalmente. “gli anziani tendono a tenere tutti i loro soldi in casa sebbene non abbiano grandi necessità che implichino grandi disponibilità di contanti” ha sottolineato il comandante “bisognerebbe che si convincano a depositarli in banca o in posta, o quantomeno a detenerli nei luoghi più sicuri della casa che non sono cassetti, comodini o vasi dove possono essere facilmente trovati. Se in casa c’è un quantitativo minimo di contante, anche nel caso in cui si verificassero episodi di raggiro il danno sarebbe più contenuto. Se poi quando si effettuano i prelievi agli uffici ci si accorge di soggetti che destano dei sospetti è meglio non andare subito a casa, ma entrare in un bar o comunque confondersi tra la gente cercare qualcuno che possa assistere e dissuadere il truffatore dall’entrare in azione. Chi truffa tende a mettere in atto i suoi piani quando le persone sono rientrate in casa e sono sufficienti dei piccoli accorgimenti per impedire comunque al truffatore di agire. Il primo è quello di non aprire la porta, interloquire dal terrazzo piuttosto che dal citofono, dalla finestra da dietro la porta chiusa o aperta solo con la catenella. Evitando di aprire si pone davanti al truffatore un ostacolo notevole, perché una volta che il truffatore riesce a farsi aprire sa già quali strategie mettere in atto per portare la sua truffa a compimento, attraverso piani ben congeniati che chi truffa è in grado di modificare anche in corso d’opera, a seconda delle specifiche situazioni che si presentano. Oltre ad evitare di aprire bisognerebbe evitare di far capire al truffatore ce si è soli in casa è meglio sempre essere pronti a dichiarare l’imminente ritorno di un parente in modo da togliere al truffatore tutte le possibilità di agire. La tecnica dei truffatori procede a step. Il primo è accertarsi che la persona da truffare sia sola in casa, il secondo consiste nel riuscire a entrare in casa e a quel punto sa adeguarsi alle varie situazioni, a seconda che il truffato sia uomo o donna o che il truffatore sia uomo o donna il tutto per farsi consegnare i soldi o quantomeno farsi dire dove i soldi sono custoditi per riuscire poi a prenderli di nascosto. Nel momento in cui chi si presenta dichiara ad esempio di essere dell’ENEL  e di dover effettuare la lettura dei contatori, bisogna sapere innanzitutto che la lettura dei contatori è automatica e che in ogni caso per queste operazioni non si è tenuti mai a mostrare la bolletta e poi bisogna cercare di prendere tempo di farsi dire dal presunto funzionario da che ufficio viene così da chiamare e verificare. Ad ogni possibile stratagemma dei truffatori bisogna essere pronti a controbattere. Così come non è possibile che impiegati dell’ENEL richiedano di mostrare la bolletta altrettanto non richiederanno versamenti. Se qualcuno si presenta parlando di bollette non pagate e richiedendo l’immediato versamento delle somme, quelli sono senza ombra di dubbio dei truffatori, perché nel caso di bollette non pagate arrivano i solleciti per posta non vengono mandate persone a riscuotere” A questo  punto il comandante ha chiesto alle persone del pubblico di raccontare eventuali aneddoti, anche solo avvistamenti di persone sospette e quasi tutti avevano qualcosa da dire, ma non sempre si trattava effettivamente di situazioni poco pulite, a volte le persone avvistate erano semplicemente tecnici che effettuavano rilevamenti senza la benché minima intenzione di avvicinarsi a persone o case. In alcuni casi ascoltare questi aneddoti si è rivelato utile per fare ulteriori considerazioni, la più importante delle quali è stata quella di porsi con atteggiamento di diffidenza nei confronti di qualsiasi sconosciuto che viene a suonare alla porta, annunciare sempre l’intenzione di chiamare le forze dell’ordine e farlo per davvero. Già da come la persona che abbiamo di fronte reagisce a questa nostra difesa si può capire con chi si ha a che fare: una persona che davvero è stata mandata da un qualche ente pubblico e non ha nulla da nascondere accetterà il controllo dei carabinieri i quali identificheranno la persona stessa e saranno in grado di identificarla anche per successive segnalazioni in modo da tranquillizzare i cittadini; una persona che invece si dimostra nervosa, cerca di scappare e riesce a dileguarsi prima che arrivino i controlli non è mai chi afferma di essere. Inoltre i funzionari di enti pubblici (come i soggetti preposti a proporre nuovi contratti energetici a domicilio) devono seguire tutta una serie di regole, devono comunicare al comune la presenza sul territorio, di modo che si possa informare la polizia locale e inoltre le autorità devono disporre delle generalità di tutti questi soggetti. Questo perché i truffatori sanno bene che per determinati servizi ci sono enti che mandano effettivamente persone a domicilio e sperano di approfittare dei dubbi di chi li riceve per poter agire. Ma se il cittadino nel dubbio non perde la lucidità fa attendere il soggetto fuori casa e nel frattempo verifica, allerta le forze dell’ordine si ha sempre modo di sventare i piani di chi ha cattive intenzioni. L’importante è togliersi i dubbi subito. Non tutto quello che si vede è per forza sospetto, ma è meglio verificare certi dettagli nel momento in cui si presentano piuttosto che, come accade molto spesso, quando l’evento è già avvenuto. Qualcuno ha raccontato di telefonate sospette e non è un mistero che le truffe passano spesso anche da quel canale senza bisogno di una persona che si presenti fisicamente in casa. Nel corso di queste telefonate spesso vengono richiesti dati sensibili. Chi effettua queste telefonate molto spesso, pur affermando il contrario non si trova nemmeno in Italia e utilizza questi dati per mettere in atto illeciti. Infine la testimonianza di un uomo circa un furto subito in casa ha offerto lo spunto per passare all’altro argomento oggetto dell’incontro, i furti nelle abitazioni appunto, una realtà che in Valtellina, essendo una zona relativamente tranquilla si sta scoprendo solo da pochi anni e per fortuna, almeno per ora, non con le modalità aggressive riportate dai notiziari che si verificano tuttalpiù nei grandi centri urbani, nelle zone residenziali eccetera. Nonostante tutto è necessario imparare a fronteggiare questo fenomeno, a dargli il giusto peso, perché si tratta comunque di eventi in grado di creare danni che si protraggono nel tempo e non soltanto dal punto di vista economico, ma anche morale e psicologico, nel fatto di vedere invaso il proprio spazio, di veder violata la sua intimità, di vedersi sottrarre oggetti importanti che rimandano a legami affettivi. “Avrete certamente appreso dai giornali e dai notiziari locali che la lotta contro questo fenomeno si è fatta particolarmente intensa da parte delle forze dell’ordine” ha ripreso a spiegare il comandante “una lotta che ha portato ad un discreto numero di arresti, soprattutto di cittadini albanesi e ha permesso di capire in che modo operano questi gruppi che si specializzano nei furti in casa. Formano gruppi di tre persone chiamati in gergo batterie. Tra queste uno ha compito di autista e di palo mentre gli altri due eseguono materialmente il furto. Queste bande però, contrariamente a quanto si pensa, non effettuano appostamenti di giorni, non spiano di nascosto i nostri movimenti per individuare il momento opportuno. Nel 99% dei casi non è così. Si tratta si di ladri di mestiere che dunque hanno una certa esperienza e hanno dei metodi precisi, ma questi metodi consistono innanzitutto nella scelta della zona, preferibilmente zone residenziali di villette e case isolate, non certo condomini dove ci sono più movimenti di persone a tutte le ore ed è altissimo il rischio di essere scoperti. Una volta scelta la zona, devono poi scegliere un obiettivo preciso e un periodo propizio. L’inverno è un periodo ottimale perché viene presto buio e se in casa c’è qualcuno c’è la luce accesa dunque scarteranno le case con le luci accese dentro” ecco perché il comandante ha consigliato di tenere sempre una luce accesa in almeno una stanza, anche quando si è fuori casa, una luce che faccia pensare ai ladri che c’è qualcuno in casa anche se non è così (questo però crea dei problemi in materia di consumi energetici e di surriscaldamento globale; è di questi giorni la conferenza di Parigi sul clima che dice chiaramente che la temperatura della Terra non deve più aumentare pena sconvolgimenti ecologici inimmaginabili scomparsa di habitat e di specie animali già a rischio, la cui vita vale molto di più di quella dei ladri di mestiere contro i quali si dovrebbero adottare misure un po’ più crudeli ndr). “una volta scelta la casa” ha proseguito il comandante “il passo successivo dei ladri consiste nel cercare di capire se in casa c’è un sistema d’allarme. A questo proposito bisogna dire che è bene per tutti dotarsi di allarmi e soprattutto di accenderli perché c’è gente che denuncia furti e poi si scopre che l’allarme era spento. Si crede che se ci si assenta pochi minuti da casa non può succedere nulla e invece la realtà è che il furto è questione di minuti non di ore. C’è chi invece non li accende perché possono partire anche accidentalmente e producono rumori molesti”. A questo punto c’è stato chi ha voluto sapere la classica questione che tutti si pongono almeno una volta nella vita: come comportarsi se siamo in casa e sentiamo i ladri che entrano? “La casistica dei furti sul nostro territorio dimostra che non ci si trova di fronte a bande aggressive che entrano in casa e non si limitano a rubare, ma brutalizzano anche gli abitanti qualora li trovassero presenti” ha puntualizzato subito il comandante “questo fenomeno è una realtà che per ora riguarda altre zone, Milano e dintorni tuttalpiù. Dunque la prima cosa importante è non lasciarsi prendere dal panico, non perdere la lucidità. Queste persone entrano dalla porta-finestra che è l’infisso che offre minore resistenza e lo forzano servendosi di un grosso cacciavite da 30 cm che lascia tracce riconoscibili e che i ladri sanno infilare nelle cerniere che dunque vengono forzati con pochi colpi, senza nemmeno fare troppo rumore a volte. Quando poi si accorgono di essere scoperti scappano. Dunque il consiglio è gridare, minacciare di chiamare i carabinieri o la polizia. Questi soggetti non hanno alcun interesse a rimanere dopo aver compiuto il furto e nemmeno a terminare il colpo una volta che ci si è accorti di loro. Se il colpo va male in una casa ne scelgono un’altra dopo essersi tempestivamente allontanati. Addirittura per assicurarsi la fuga bloccano l’ingresso con una chiave o un catenaccio così rientrando il proprietario trova la porta bloccata, cerca di forzarla, fa rumore e nel lasso di tempo in cui realizza che potrebbero esserci dei ladri in casa questi se ne vanno. In questo contesto è determinante che anche i vicini abbiano gli occhi aperti. Si vuole stimolare una sorta di senso civico che porti a pensare anche per gli altri non solo per sé. Certo è un senso civico molto difficile da sviluppare, perché nel momento in cui si è testimoni di un reato, bisogna presentarsi in tribunale, riconoscere una persona arrestata, i cittadini potrebbero avere timore a prendere posizione, però anche da questo punto di vista si può stare tranquilli in realtà, perché nessun testimone di eventi simili ha mai ricevuto minacce o ritorsioni di un qualche tipo. I ladri mettono in conto che qualcosa possa andare storto e si tratta quasi sempre di persone non residenti che arrivano con dei visti turistici e una volta compiuto un determinato numero di furti in una zona, si spostano in un’altra e si spostano in continuazione, assoldati da organizzazioni con sede nel milanese perlopiù che li pagano come ladri operai in base al bottino che riescono a raccogliere, per poi sostituirli spesso. Questo non vuole essere un modo per creare pregiudizi verso gli stranieri, ovviamente ci sono anche italiani che commettono queste azioni”. Il ladro può essere chiunque e può essere anche il più insospettabile e dovunque lo si può incontrare. Qualcuno tra il pubblico ha raccontato degli aneddoti personali che fanno capire come molto spesso, proprio come dice il proverbio, è l’occasione che fa l’uomo ladro, tra la folla e nei luoghi pubblici soprattutto. “l’importante è denunciare e non subire passivamente questi atti” ha chiarito il comandante “nel momento in cui entrano in casa e siamo presenti, bisogna prima di tutto farli scappare e poi allertare subito le forze dell’ordine”. A questo punto ha cominciato a farsi strada nel pubblico una certa dose di indignazione. Qualcuno ha voluto sapere precisamente le pene previste per queste persone e se tali pene poi si rivelino effettivamente deterrenti “il codice penale prevede pene precise per questo tipo di reati” ha risposto il comandante “pene che dipendono dal trovarsi di fronte ad un soggetto già noto alle forze dell’ordine oppure no, un soggetto che abbia dei precedenti, che sia recidivo e dipende anche quanti sono questi precedenti, quanto sono gravi. In genere in seguito al primo arresto e in assenza di precedenti sono due anni con la condizionale, il che significa che il soggetto viene arrestato e dopo il processo rimesso in libertà e questo è garantito indipendentemente dalla nazionalità”. E se, una volta rimesso in libertà, il ladro torna a colpire, si è chiesto qualcuno “può capitare che una stessa casa sia oggetto di più furti” ha risposto il comandante “ma questo non perché i ladri si accaniscono, ma perché la casa in questione è collocata in un luogo particolarmente buio, isolato, è senza allarme, è incustodita e dunque più bande di ladri giungono a ritenerla particolarmente idonea al loro scopo. Di solito c’è una zona più esposta in ogni comune e si tratta sempre di zone che rispondono a queste caratteristiche suddette. Bisogna investire sui mezzi di difesa passiva (oltre ad assicurarsi di aver chiuso bene ogni porta, finestra o altro possibile accesso), allarmi soprattutto, che possono essere accompagnati da impianti di videosorveglianza i quali però, da soli servono a poco . ormai gli allarmi si trovano nei supermercati a prezzi abbordabili. Non bisogna sottovalutare l’importanza degli animali domestici, anche quelli piccoli, tenuti nelle gabbiette” e a questo punto il comandante ha descritto il caso di una donna che è stata svegliata nel cuore della notte da un animaletto che teneva in casa, porcellino d’India o simile, che ha avvertito la presenza di un ladro in casa e agitandosi nella gabbietta ha allertato la padrona e messo in fuga il ladro in questione che ha abbandonato la sua attrezzatura “a seconda dei periodi e del gruppo di ladri si riscontrano più tecniche di scasso” ha spiegato il comandante “non soltanto col cacciavite dal retro, ma anche praticando buchi sui vetri delle finestre con trapani a mano relativamente silenziosi e inserendo poi dal buco dei marchingegni che permettono di girare la maniglia della finestra. Il tutto cercando di produrre il minor rumore possibile. Chi fa furti di notte sa che si introduce in un’abitazione dove i proprietari sono facilmente presenti e dunque sa che deve fate il possibile per non farsi sentire. A questo proposito un altro mito da sfatare è la convinzione che i ladri utilizzino un qualche tipo di sostanza soporifera per addormentare gli abitanti della casa. Ci possono essere solo due modi per mettere in atto questo: il primo è impregnare un fazzoletto di una qualche sostanza e premerlo sulla bocca, ma in quel caso la persona si accorgerebbe e ricorderebbe il giorno dopo questo fatto; il secondo modo consisterebbe nel diffondere nell’ambiente un qualche gas soporifero che però costringerebbe i ladri ad indossare delle protezioni per introdursi in casa. dunque nessun ladro cercherà mai di anestetizzare le persone presenti in casa. Se ci si sveglia col mal di testa cio è dovuto allo stress causato dall’aver subito un furto”. Nel mentre il comandante spiegava, in più d’uno tra il pubblico sentiva il bisogno di intervenire per raccontare delle esperienze dirette oppure sentite dire che permettevano di confermare quanto detto o di fare nuove considerazioni. “Un’altra tecnica usata che non fa rumore consiste nel rompere la serratura” ha ripreso a spiegare il comandante “una tecnica che si può sventare applicando dei chiavistelli, catenacci, eccetera proprio perché i ladri non sono interessati a produrre rumore, cercano di evitarlo e dunque tali protezioni, che non si possono forzare in silenzio, li farebbero desistere. Un’altra cosa importante da tenere a mente è che i ladri si comportano anche a seconda del bottino che intendono fare. Ci sono quelli che una volta introdottisi in casa arraffano tutto il più possibile di quello che trovano e ci sono quelli che ricercano specificatamente valori e oro piuttosto che denaro contante o attrezzature specifiche. C’è chi si specializza con le auto di lusso o che se le ritrova facilmente a portata anche se molto spesso le auto vengono prese esclusivamente perché sono un mezzo per assicurarsi la fuga, perché molto spesso i ladri vengono accompagnati da chi li ha assoldati solo all’andata e non più al ritorno. Va detto inoltre che per la maggior parte i ladri quando entrano in una casa non sanno di preciso cosa troveranno. Sta a noi impedire loro di trovare cose che destino il loro interesse come ad esempio chiavi bene in vista, denaro e preziosi facilmente scovabili”.

L’ultima parte dell’incontro è stata riservata esclusivamente al pubblico che ha espresso ulteriori perplessità, opinioni dando luogo anche ad accesi dibattiti. C’è chi ha fatto notare il fatto di ricevere telefonate a ogni ora portando l’attenzione sul fatto che i dati sensibili tramite internet sono facilmente acquisibili perché basta acconsentire al trattamento dei dati e questi si diffondono (c’è da dire che per certe cose come lo scarico legale di programmi o altri dispositivi viene bloccato se non si acconsente al trattamento dei dati e così l’iscrizione a siti, gruppi, forum a concorsi, tipo letterari o fotografici ndr). C’è chi ha fatto notare come, chi si spaccia per carabiniere o poliziotto riesce a procurarsi divise false che sono indistinguibili da quelle vere. Il comandante assicurava che le divise false sono riconoscibilissime e ribadiva il fatto che chi ha commesso truffe spacciandosi per carabiniere o poliziotto ci è riuscito anche esibendo abbigliamenti assurdi come cappellini con le scritte magari comprati all’autogrill e presentandosi in casa di anziani mettendoli in confusione infilando una dietro l’altra una gran quantità di domande. Ancora una volta il principio è quello di verificare nel dubbio, telefonare al 112. C’è chi ha fatto notare che non tutti gli uffici postali o gli istituti di credito sono dotati di telecamere che potrebbero monitorare eventuali adescamenti e chi ha osservato come per gli anziani sarebbe meglio delegare tali operazioni di prelievo anche se le deleghe non sono mai così semplici da mettere in atto, scegliendo un familiare a scapito di tutti gli altri che potrebbero risentirsene. Sono stati discussi casi specifici e qualcuno ha sottolineato il grande disagio che tali azioni provocano. Il dibattito più acceso si è scatenato quando il discorso è caduto sull’opportunità di reagire ai ladri che entrano. La cronaca racconta spesso casi di persone che reagiscono ai furti aggredendo i ladri o uccidendoli addirittura e tutti sanno come in questi casi si passino grossi guai. Il comandante ha spiegato bene questo punto. Non si può sempre invocare con leggerezza la legittima difesa, bisogna poi essere in grado di descrivere dettagliatamente la situazione (che le forze dell’ordine sono comunque in grado di ricostruire al giorno d’oggi) e da tali ricostruzioni deve emergere indubbiamente una situazione di pericolo che faccia capire come chi ha aggredito, ucciso, lo ha fatto perché in quel frangente non poteva fare altrimenti. Questo ha scatenato proteste e indignazioni nei presenti e io non nascondo di essere la più accesa detrattrice di questi principi di legge che secondo me dovrebbero essere completamente rivisti. Chi entra in casa mia senza il mio permesso ha comunque torto e io cittadino ho il diritto di agire verso quella persona come più ritengo opportuno. Non ritengo assolutamente corretto dare ai delinquenti di mestiere (che sono ben diversi da chi si trova a dover rubare per bisogno perché si trova in stato di indigenza; di solito questi ultimi agiscono commettendo un sacco di errori e vergognandosi pure di quello che si trovano a fare) i miei stessi diritti perché chi sceglie di fare il ladro di mestiere potrebbe benissimo scegliere altrimenti, un mestiere più onesto, oppure mettere in conto di venire ferito o ucciso senza sentirsi in diritto, come è stato detto a un certo punto, di armarsi per tutelare la propria vita. Si è parlato di senso civico durante questo incontro. Senso civico significa anche non scordare le regole base della convivenza civile come ad esempio non sentirsi in diritto di entrare in una casa solo perché si trovano luci spente o passaggi aperti. D’estate in molti dormono con le finestre aperte per via del caldo.  Io ritengo a questo punto doverosa una riflessione. Un privato cittadino per colpa di tali soggetti non è più padrone in casa propria deve vivere costantemente in ansia e terrorizzato dalla minima disattenzione, deve rinchiudersi come se fosse lui in galera e nascondere tutto, quando in realtà dovrebbero essere tutte le persone ad avere ben chiaro il principio secondo cui cio che non ci appartiene non va preso e non ci si può introdurre ovunque solo perché si trovano le vie d’accesso spianate. Chi ancora non lo ha capito deve essere punito, ma non soltanto con l’arresto e la detenzione. Questo però è il mio pensiero che durante l’incontro ho espresso solo in parte e che credo di avere in comune con molte altre persone. In questo dibattito è rientrata anche la questione del porto d’armi, consentito dalla legge a patto di dimostrare la necessaria dose di responsabilità ed ecco perché dal 2002 le leggi si sono fatte più severe intensificando i controlli periodici per monitorare lo stato psicofisico di chi detiene armi.

Esaurito questo discorso si è passati a spiegare più dettagliatamente come le forze dell’ordine agiscono effettivamente una volta allertate per questi fatti. Ultimamente si tende a non soffermarsi più sul sopralluogo nelle abitazioni quanto a concentrarsi sui controlli a tappeto nelle strade. È così ad esempio che sono stati effettuati qui sul territorio degli arresti importanti come si diceva all’inizio. Dunque è molto importante che le persone non premano per avere i carabinieri in casa, ma che capiscano la maggiore utilità della ricerca del ladro o dei ladri sul territorio. Certo è anche da sottolineare l’importanza di controlli preventivi costanti sul territorio anche senza che si verifichino episodi. Qualcuno in sala ha lamentato ad esempio la scarsità di controlli nella sua zona. Ma sicuramente dopo questa giornata chi ha ascoltato ha sicuramente acquisito degli strumenti in più per fronteggiare determinate eventualità. Una cittadinanza più informata facilita notevolmente l’operato delle forze dell’ordine. Ecco perché questi incontri si rivelano particolarmente utili, ma devo dire che oltre alle informazioni mi sono portata a casa anche un po’ d’amarezza.

 

 

 

 

 

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Legione Carabinieri Lombardia

 Stazione di Morbegno

Tel./fax 0342/610210

e-mail stso12b140@carabinieri.it – pec tso27802@pec.carabinieri.it

BUON COMPLEANNO ARIOSTO!

TALAMONA 8 settembre 2014 la stagione culturale riapre i battenti

 

UN INTENSO POMERIGGIO RICCO DI ARTE E CULTURA

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Ritratto di Ludovico Ariosto

L’8 settembre di 540 anni fa nasceva in quel di Reggio Emilia il poeta dell’ORLANDO FURIOSO Ludovico Ariosto, un compleanno che l’Associazione Bradamante (attiva in Valtellina dal 2008 nella riscoperta della figura e delle opere dell’Ariosto in particolar modo dei cicli ariosteschi affrescati a Palazzo Valenti a Talamona, a Palazzo Besta a Teglio e a Castel Masegra di Sondrio) non poteva non festeggiare unendosi ai festeggiamenti nazionali. È molto insolito che si festeggi il 540esimo anniversario di un qualcosa, ma in questo caso la scelta è stata determinata dalla necessità di impedire eventuali accavallamenti con i dovuti festeggiamenti che avranno luogo nel 2016 e che festeggeranno i 500 anni dell’ORLANDO FURIOSO, dell’apparizione dell’opera sulla scena letteraria.

 

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Prima edizione dell’opera “Orlando Furioso”

 

Un compleanno che a Talamona è stato festeggiato con un pomeriggio, si potrebbe quasi dire saturo di arte e cultura. Il contributo artistico è stato dato da un pittore locale, Gigi Valsecchi, nato a Milano, vissuto a Domaso e insegnante presso il Liceo Artistico di Morbegno dal 1994 fino al pensionamento forzato dovuto ad una grave malattia circa un anno dopo, che lo ha portato a vivere ora alla Casa San Vincenzo di Gravedona, qui in mostra con una sua antologica dei suoi migliori dipinti e di schizzi dal vero degli ospiti e del personale della struttura dove ora si trova a vivere. Una mostra vivida ed emozionante che l’Associazione Bradamante ha voluto parte della giornata di quest’oggi per ricordare la stima che l’Ariosto nutriva nei confronti degli artisti figurativi e in generale. Il contributo culturale è stato dato da due esimi professori, Alessandro Rovetta e Cristina Zampese con due conferenze sospese tra storia locale, storia generale, letteratura e arte e da Beatrice Pellegrini che ha presentato la sua tesi di laurea dedicata proprio ai cicli ariosteschi affrescati valtellinesi. Immancabile inoltre la coinvolgente lettura recitata di Elena Riva, presenza fissa di tutti gli appuntamenti organizzati dall’Associazione Bradamante che alla fine della ricchissima giornata ha offerto un buffet nei giardini di Palazzo Valenti.

Antonella Alemanni

A seguire la locandina coi prossimi appuntamenti.

 

Listener

Per accedere a tutte le informazioni, manifestazioni, incontri e approfondimenti sugli eventi culturali organizzati dalla Biblioteca di Talamona, clicca: http://www.comune.talamona.so.it/ev/hh_anteprima_argomento_home.php?idservizio=10054&idtesto=577

BOSCHI E LEGNO A TALAMONA – UN FILO ROSSO

 

TALAMONA ,22 marzo 2014, la casa Uboldi diventa anche archivio storico. Gli statuti della magnifica comunità di Talamona

VIAGGIO NELL’ANTICO COMUNE DI TALAMONA

IN OCCASIONE DEL TRASFERIMENTO DELL’ARCHIVIO STORICO DAL COMUNE ALLA CASA DELLA CULTURA UNA MOSTRA RIEVOCA UNO SPACCATO DELLA TALAMONA CHE FU, COSI’ COME EMERGE PROPRIO DAI DOCUMENTI

Da quando ormai due anni fa cominciò ufficialmente l’avventura culturale della Casa Uboldi, si sono susseguiti diversi eventi di vario genere e tutti preparati con grande entusiasmo, ma, senza nulla togliere al resto, credo che nessun evento sia mai stato preparato con un lavoro, una cura, un impegno, una passione, pari a quelle spese per l’evento presentato oggi a partire dalle ore 16.30. Un evento che, lo possiamo dire fin d’ora, merita senz’altro di essere ricordato come il momento clou della stagione culturale 2013-2014, un evento che rappresenta in qualche modo il traguardo di un’avventura cominciata cinque anni fa quando sono cominciati anche i progetti di ristrutturazione della Casa Uboldi per far si che diventasse ciò che è ora, uno spazio, per dirla con le parole del sindaco Italo Riva che ha aperto col suo intervento questa ricca giornata, “in cui i talamonesi di tutte le età e generazioni hanno la possibilità di passare piacevolmente del tempo arricchendosi culturalmente anche attraverso un patrimonio di memorie che conta elementi unici nel panorama archivistico. Ecco dunque il motivo per cui oggi siamo qui ad inaugurare una nuova sala di questa casa che conterrà il nostro archivio storico e contemporaneamente ad inaugurare una mostra con la quale si intende celebrare questo importante evento”. Un evento che, come dicevamo, è il coronamento di un’avventura che parte da lontano e che quest’oggi è stata sinteticamente narrata dall’assessore alla cultura Simona Duca che ha preso la parola subito dopo il sindaco. Un’avventura cominciata per l’assessore già nel 2000 dunque quattordici anni fa quando un giorno si trovò a dover fare una ricerca che necessitava proprio la consultazione dell’archivio. Allora la sala che lo conteneva era ubicata ai piani alti del comune e versava in uno stato di disordine e abbandono. Da li l’idea di dare una sistemata, un proposito portato a termina nel 2007 quando tutti i faldoni hanno trovato posto dentro un armadio. Ma poteva questa sistemazione essere quella giusta? L’archivio aveva un senso in questo modo finalmente ordinato, ma nascosto, come chiuso in prigione? Che cos’è un archivio innanzi tutto? Un insieme di documenti certo anche molto vecchi, talmente vecchi che il sentire comune della gente è di estraneità, un pensare “ma noi che c’entriamo?” ma anche e soprattutto un tesoro che scopri, che trovi e che studi al punto che ti entra dentro e diventa parte di te, al punto che non sei più tu a possedere l’archivio, ma ne sei posseduto, un tesoro che racchiude l’identità di una comunità, il suo passato, da traghettare nel presente verso il futuro. Un tesoro cui bisogna dare un senso, una collocazione che ne valorizzi il contenuto e tutto ciò che rappresenta. Ecco dunque l’idea di un’analisi più accurata e di una sua collocazione alla casa della cultura dove già ha trovato posto la biblioteca. Archivio e biblioteca altro non sono che due diverse sfumature di cultura, la nostra cultura che ci identifica e ci caratterizza. Ed eccoci dunque oggi dopo un paziente lavoro di riordino, studio, catalogazione dei documenti durato cinque anni ad opera delle archiviste Rita Pezzola (che si è occupata dei documenti più antichi), Annalisa Castangia e Simona Cometti (che si sono occupate dei documenti più recenti a partire da quelli successivi all’età napoleonica) a condividere finalmente col pubblico questa avventura presentando questo evento.

 

L’intervento di Rita Pezzola

Ed è con grande emozione che Simona Duca ha condiviso il suo racconto di questa avventura paragonandola ad un’intensa scalata in montagna e passando poi la parola a Rita Pezzola la quale ha subito tenuto a sottolineare come questo evento di oggi rappresenta si il coronamento di un percorso, ma anche un punto di partenza di un nuovo rapporto della comunità con la propria identità culturale. Che cos’altro rappresenta l’archivio se non la testa dell’enorme corpo collettivo, la mente, la guida, il pensiero? Come può essere definito se non come la progettualità che si manifesta in un pensiero collettivo, un’identità da ritrovare e riordinare in modo sensato, un tesoro da leggere, da valorizzare, da vivere? Come un patrimonio da conoscere? Un tesoro prezioso che, nel nostro caso, contiene carte risalenti alla fine del Quattrocento e un’ampia documentazione risalente al Cinque e Seicento tra cui multe. Secondo il presidente della soprintendenza archivistica Maurizio Savoia, nessun comune, perlomeno in Lombardia, contiene multe del Cinquecento. Ma queste carte sono anche verbali di consigli comunali ininterrottamente dal Seicento fino agli anni Ottanta del Novecento e poi gli Statuti del 1525. Una memoria storica che riguarda tutti indistintamente e del quale la mostra inaugurata oggi (che rimarrà aperta per i prossimi 15 giorni sino al 6 aprile negli orari di apertura della biblioteca più la domenica dalle 15 alle 18 con aperture straordinarie su richiesta per gruppi e scolaresche ndr) e che sarà portata anche all’Expo di Milano del 2015 (che detiene anche parte del patrocinio) rappresenta un primo approccio aperto a più persone possibile, una sorta di reazione chimica tra l’oggi, l’habitat e il contesto di Talamona e ciò che le carte offrono in merito alle questioni di natura gestionale del patrimonio naturalistico che ci circonda così come venivano affrontate nei secoli passati. Una miniera di informazioni di natura storico-giuridica, ma anche naturalistica con descrizioni dettagliate della vegetazione che, a detta di se medesima, hanno permesso a Rita Pezzola di riuscire a vedere il bosco con occhi diversi sotto la lente di una maggiore conoscenza degli organismi che lo popolano. Una miniera di informazioni che testimoniano (come ha giustamente sottolineato in chiusura l’assessore alla cultura Simona Duca riportando le osservazioni dei suoi alunni delle scuole medie) lo stato avanzato della legislazione talamonese in materia di tutela del patrimonio ambientale già nel Cinquecento. La mostra si propone di raccontare tutto questo di dare voce in modo schematico chiaro e conciso alle storie e ai personaggi che ruotano intorno al bosco storie prese direttamente dai documenti, vivida testimonianza della Storia come materia viva, un punto di inizio di un meraviglioso canto possibile che si sprigiona da questi documenti.

L’archivio e il bosco: gli interventi congiunti di esponenti della Comunità Montana, del Parco delle Orobie Valtellinesi e dell’ufficio archivistico della regione Lombardia

Poiché, come stiamo appunto dicendo, molti documenti ritrovati nell’archivio riguardano il bosco e il suo ruolo fondamentale nella vita della comunità, non potevano mancare alla realizzazione di questo evento e in particolar modo della mostra enti che col bosco hanno direttamente a che fare tutt’oggi portando in qualche modo avanti l’opera di tutela del patrimonio boschivo già promossa dagli antichi statuti ritrovati. Non potevano nemmeno mancare alla presentazione, non potevano mancare di arricchire con le loro osservazioni questa ricca giornata, non potevano mancare di sottolineare, come di già l’esponente del parco delle Orobie, quanto questa collaborazione sia stata piacevole ed arricchente permettendo di conoscere la storia dei comuni di Talamona e di Tartano e la loro civiltà basata sul patrimonio boschivo e da esso dipendenti, un patrimonio che rappresenta l’identità comunitaria e che, come ha sottolineato il referente per l’Ufficio archivistico della regione Lombardia, non ha nulla da invidiare a quello di Trentino e Val d’Aosta anche per quanto riguarda la grande competenza con cui tutto viene gestito, un patrimonio che, come ha raccontato la referente della comunità montana, è stato rievocato persino durante una conferenza a Bolzano in occasione della quale Talamona è stata citata da un professore universitario toscano nel corso di un suo intervento riguardante le antiche teleferiche.

È venuto a questo punto il momento di toccare con mano e vedere quanto sino ad ora presentato.

Inaugurazione della sala dell’archivio storico intitolata a Fausto Pasina

Per consuetudine, tutte le sale della casa della cultura sono intitolate a persone che non ci sono più, ma che in vita si sono distinte per essere talamonesi di spicco, la cui vita e opere si sono spese in gran parte a beneficio della comunità e dello sviluppo generale di Talamona. Per l’intitolazione della sala dell’archivio storico è stato scelto Fausto Pasina per il contributo da egli dato nel recupero dell’archivio stesso e in generale per il suo sapere e le sue competenze messi sempre generosamente a disposizione. Una figura rivissuta oggi attraverso le parole di un suo amico, Elio Luzzi, che ha letto un testo abbozzato di suo pugno. Eccolo riportato di seguito.

Fausto Pasina fu geometra nel senso euclideo del termine, appassionato della scienza della geometria da quella che ci permette di distinguere i confini degli orti e calcolarne la superficie a quella che permette di relazionare il movimento gravitazionale delle stelle alla piccola pallina cui siamo ancorati dalla gravità con tutte le speculazioni filosofiche suggerite nell’andare dall’orto alle stelle. Fausto Pasina amava i paradossi. Discutendo una volta delle professioni a noi prossime, quelle degli ingegneri e degli architetti, egli disse “sul frontone del tempio di Atene vi è la critta NON ENTRI CHI NON E’ GEOMETRA” conseguentemente gli ingegneri e gli architetti dovevano restare fuori ad aspettare il verbo. Ricordo una sera, forse all’uscita di un’aggrovigliata riunione di attivisti politici. Si fermò un momento ad osservare il cielo pensoso commentando “guarda su, noi al confronto siamo due moscerini e contiamo come tali” poi alzando la voce al resto del gruppo disse “e adesso che ci siamo confessati possiamo ricominciare a beccarci”. Era un talamonese con la consapevolezza (che per altri è comunque un’atavica e latente percezione) che i talamonesi non sono soltanto abitanti di un paesetto delle Orobie ma un piccolo popolo. Conosceva egregiamente la storia italica, quella europea, quella del socialismo, quella internazionale, quella antica delle grandi civiltà e la nostra storia locale di piccolo popolo. Mi raccontò di una volta che si trovava in vacanza da pensionato solitario su alcune isole greche e venne ospitato per una festa su una barca da alcuni pescatori ingegnandosi a far cantare loro una nostra canzone locale in dialetto. Sul finire degli anni Ottanta mi aveva invitato a cena, era il suo compleanno, l’11 marzo, quando il sole è nella costellazione dei Pesci. Mi informò che aveva recentemente recuperato delle fotografie delle pagine di un manoscritto degli statuti di Talamona. Un suo conoscente le possedeva per via di discendenze familiari e le aveva date a Fausto in cambio di consultazioni tecniche, ma anche cimeli e carabattole varie. È un ricordo ben preciso il mio: la cena di compleanno, i discorsi sul manoscritto da recuperare e i contenuti che aveva iniziato ad indagare, i suoi contatti con gli amministratori del comune. Per farla breve, in tempi successivi propose agli amministratori del comune dell’epoca la sua disponibilità a fornire fotocopie di quanto in suo possesso a condizione che venisse fatta una traduzione stampa da distribuire gratuitamente alle famiglie talamonesi. La cosa bella è che grazie all’interessamento del sindaco Domenico Luzzi fu curata dal sodalizio soci della crusca del quale era componente padre Mario Abramo Guatti che li tradusse e commentò sommando alla sua competenza specifica la profonda conoscenza della lingua e della cultura del nostro piccolo popolo. Il resto è storia recente. I preziosi testi originali degli statuti e del libro degli estimi (documenti catastali con descrizioni delle varie proprietà ndr) sono riemersi dagli anfratti del mansardato archivio del municipio perché Italo Riva, curioso e caparbio, convinto assertore del valore fondante della storia e della cultura, ha attivato tutto quanto era nelle sue facoltà.

Nel ricordare con voce rotta dall’emozione il suo caro amico e libero pensatore Fausto Pasina, Elio Luzzi ha voluto estendere il pensiero anche ad altri amici vivi solo nel ricordo: Mario Tarabini, Emilio Guerra, Mario Ciocchini e Mario Pasina. Amici di tante passioni.

 La mostra e le sue storie.

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È venuto dunque il momento tanto atteso di vedere finalmente la mostra che ho potuto rivedermi con calma più volte durante i turni dell’apertura. Una mostra decisamente non convenzionale studiata nei minimi dettagli nel corso di circa una decina di riunioni o poco meno.  Una mostra che si ripropone di raccontare l’archivio storico talamonese (per quanto riguarda la parte dedicata ai boschi e alle norme contenute negli statuti riguardante il loro utilizzo) attraverso le immagini le storie e i personaggi risalenti a quel periodo. Un racconto che scrollando via la polvere dei secoli riporta il passato a parlare al presente. Un racconto che è stato ben introdotto di già durante la conferenza nella sala Valenti da due dei curatori, Marco Brigatti (che ha curato l’allestimento e la grafica dei pannelli) e Annalisa Azzalini (che ha illustrato i personaggi). Attraverso le loro parole i presenti si sono già potuti fare una prima idea di ciò che avrebbero visto.

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Il piccolo Giovanni

 

Ciò che colpisce immediatamente entrando alla mostra è il forte odore del legno. L’odore del compensato delle strutture che sostengono i pannelli illustrativi realizzati appositamente da una falegnameria e studiati per essere montati ad incastro non soltanto per essere più facilmente smontabili e rimontabili in vista delle trasferte cui la mostra è destinata, ma anche per fungere da richiamo alla struttura dei nuclei abitativi in utilizzo in zona all’epoca (che saranno approfonditi in seguito). Questa mostra è stata concepita per essere tutta di legno e di carta, per essere un percorso intellettuale, ma anche un percorso sensoriale, una mostra che riproduce un bosco e le sensazioni che suscita il fatto di passeggiarvi al suo interno.

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Il legno e l’archivio dei documenti sono i protagonisti principali dell’evento di oggi e della mostra che segue. A legarli un filo rosso che, complice il profumo del bosco ci guida idealmente indietro nel tempo. Dalle nebbie del passato così diradate fa capolino il piccolo Giovanni con la sua veste color crema e il suo bastone che ci prende idealmente per mano e ci conduce nel suo mondo, un mondo dove i bambini avevano a che fare con la natura e con il legno sin dalla più tenera età in ogni ambito della vita quotidiana. Ricevevano giocattoli in legno e giocavano molto all’aria aperta dove si divertivano a raccogliere rametti e bastoni come Giovanni (e come facevo anche io da piccola) e la piccola Caterina, bionda con la veste azzurra, due piccoli che le pagine dei documenti ci hanno restituito e che sono stati fatti rivivere da Annalisa Azzalini grazie a ricerche accurate anche da Internet da vari libri, affreschi secondo un procedimento di ricostruzione antropologica di genere seguito per tutti i personaggi che qui appaiono (il clamator, il notaio, il sindaco, il boscaiolo…).

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I nomi dei due bambini non sono stati scelti a caso, ma perché dai documenti è emerso che parecchi bambini venivano battezzati così e che dunque questi erano i nomi più utilizzati. Essi appaiono talmente vividi che sembra quasi di vederli mentre corrono, ridono e si inoltrano nel bosco, del quale sapevano tutto. I nos regiur ancora raccontano che loro da bambini avevano una sola sapienza ed era quella trasmessa dal bosco e dagli adulti che avevano acquisito la sapienza del bosco prima di loro. La gente di allora sapeva riconoscere ogni pianta, ogni erba, gli animali, gli uccelli dai loro nidi, sapevano dove li costruivano, distinguevano le uova, i diversi canti. Il rapporto col bosco era qualcosa di vivo, di concreto ed è questo che si è cercato di far emergere. Un rapporto di persone consapevoli di relazionarsi ad altri esseri viventi tanto che c’era l’usanza di piantare un albero ogni volta che un bambino nasceva. Così il legno non era soltanto un materiale utile come descritto nel pannello qui sopra. Certo utile lo era moltissimo, indispensabile in un’epoca dove non esistevano altri combustibili dove non c’era altro modo per cuocere e conservare i cibi e dove c’era solo un altro materiale disponibile, la pietra essendo lontanissima l’epoca dove c’è fin troppa roba a disposizione (non è un caso se allora non c’era l’emergenza rifiuti).  Ecco dunque le antiche storie che il bosco ha vissuto e che potremmo vivere ancora oggi se solo non ci dimenticassimo che il bosco è ancora li a due passi da noi e che oggi come allora può ispirare persino l’ingegno di creazione artistica dell’uomo, come ben mostra la tavola intagliata di Egidio Ruffoni (già ospite ad una mostra precedente)  che rappresenta il capolettera che caratterizza quasi tutti i documenti dell’archivio.

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La piccola Caterina

 

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Questo pannello mostra il territorio di Talamona che anticamente era un tutt’uno con la Val Tartano. Un territorio fatto di acqua, legno e pietra e con una nutrita presenza di verde ancora oggi. L’Adda costituiva e costituisce tutt’ora il confine del comune di Talamona fino alle cime del versante. Il nucleo abitativo più antropizzato sorgeva sul conoide del torrente Tartano e presso i torrenti Roncaiola e Malasca e fu abitato sin dai tempi più remoti come testimonia anche la necropoli romana ritrovata in tempi relativamente recenti sotto l’attuale cimitero.

La chiesa altomedievale di Talamona si trova ancora oggi laddove sorgono la piazza principale e il comune. La chiesa attuale risale all’XI secolo.

Dal conoide si sale fino a mezza montagna dove sono ancora ben visibili le tracce della transumanza nelle selve composte da castagni che salendo sempre più verso la Val Tartano si convertono in boschi di conifere prima di arrivare al confine con la provincia di Bergamo e condurre nel suo territorio.

Il paesaggio è composto da case di pietra di tutte le tonalità del grigio ravvivato dal verde dell’erba e dai colori della frutta e delle coltivazioni.

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Questo pannello illustra invece il contesto storico dell’epoca abbracciata dai documenti dell’archivio e dunque anche dalla mostra, un periodo che abbraccia i secoli dalla fine del Quattrocento, tutto il Cinque e Seicento. Si vuole in particolar modo mettere in evidenza il confronto tra gli eventi salienti della Storia universale di quell’epoca e le vicende più strettamente legate al nostro territorio. A partire dal 1512 la Valtellina cominciò ad essere assoggettata ai Grigioni (un popolo della Svizzera meridionale) divenne un distretto del suo governo delle tre leghe, l’unico che riuscì a mantenere la fede cattolica in un contesto dove imperversava il protestantesimo cosa portò qualche tensione e alcuni cambiamenti (come nell’ambito dei commerci del vino prima molto fiorenti con la Svizzera). Il governo delle tre leghe a sua volta suddivideva la Valtellina in tre terzieri: quello superiore che faceva capo a Tirano, quello medio che faceva capo a Sondrio e quello inferiore a sua volta suddiviso in retico che faceva capo a Traona e orobico che faceva capo a Morbegno. Talamona apparteneva a quest’ultimo. Il suo territorio era diviso in colondelli (dai quali pare siano derivate le nostre contrade attuali), cioè nuclei abitativi (colondello deriva dal latino colere che significa abitare). I capi delle famiglie dei vari colondelli una volta all’anno (tendenzialmente nel mese di gennaio) tenevano delle assemblee pubbliche per leggere e discutere gli statuti. In occasione di eventi particolari (come l’arrivo di nuovi amministratori o preti) si potevano convocare assemblee straordinarie con pubbliche discussioni trascritti su verbali che riportavano i nomi dei colondelli e delle famiglie che li rappresentavano. Tali documenti sono tutt’ora custoditi nel nostro archivio storico a fungere da spaccati di vita. La loro lettura risulta complicata dal fatto di essere scritti a mano in un linguaggio misto tra il latino e il parlato dell’epoca.

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Giovan Battista Camozzi

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Gli statuti di cui ogni famiglia possiede una copia stampata in casa (e di cui il comune di Talamona pare sia l’unico a possedere ancora gli originali) sono stati scritti dal notaio Giovan Battista Camozzi nel 1525 il 21 gennaio su incarico ufficiale del comune e del sindaco. Quest’uomo apparteneva ad una famiglia che ha “sfornato” notai per generazioni e ha influenzato molto la cultura. I documenti all’epoca erano artigianali e più di adesso erano davvero il frutto della cultura di chi li produceva.

La figura del notaio all’epoca era molto importante, rivestiva un ruolo ben più di rilievo rispetto a quello che gli viene attribuito oggi. Era suo compito cogliere il significato storico di una proprietà e nel nostro caso di sottolineare l’importanza del legno come materiale naturale, protagonista assoluto della vita della nostra comunità dell’epoca per ogni generazione, in una società rurale ancora lontana dall’industria e dalla tecnologia e l’importanza del bosco come patrimonio identitario da custodire e non sprecare centro della vita quotidiana sociale e politica. Non a caso l’80% delle regole scritte riguardavano il bosco ed è questo il significato profondo degli statuti, la loro grande importanza.

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Gli statuti cominciano con la lettera I. In particolar modo gli statuti aprono con la dicitura in primis impreziosita dallo splendido capolettera illustrato nel pannello e che, lo abbiamo visto prima, è stato riprodotto sulla tavoletta intagliata.

L’importanza della figura di Camozzi e di questi statuti risiede nel fatto che se essi fossero andati persi avremmo perso la nostra identità storica e culturale. Cio che sta scritto in questi documenti non è soltanto un insieme di norme, ma anche un resoconto della struttura sociale e della vita quotidiana di un tempo. È grazie a Camozzi e al suo inestimabile lavoro se noi oggi sappiamo come si viveva nel Cinquecento e nel Seicento.

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Gli statuti venivano continuamente aggiornati in relazione soprattutto ai mutamenti sociali. Vecchi proprietari che morivano nuovi che compravano e in generale tutti quei piccoli eventi che caratterizzano la vita della comunità ancora oggi.

 

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Le regole circa l’utilizzo del bosco erano tanto precise quanto intransigenti le multe che punivano le trasgressioni. Multe che ammontavano a somme insormontabili per la gente dell’epoca. Ecco perché i boscaioli raccontano che chi veniva sorpreso ad abbattere alberi senza permesso, in quantità maggiore rispetto a quella regolamentata, un tipo di pianta diversa da quella che si era autorizzati a prendere,  in zone vietate soprattutto quella offlimits sui versanti che prevedeva le frane, non potendo molto spesso pagare, subiva l’amputazione delle dita nonché la confisca di tutto cio che possedeva.

Queste leggi e queste multe derivavano soprattutto da una questione di cuore, dal legame affettivo che, come già abbiamo detto, univa la comunità ai suoi boschi.

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Il clamator

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Oggi come allora la legge non ammette ignoranza. Ecco perché una volta che le leggi venivano emesse dal podestà (il capo che dominava le nostre valli per conto dei Grigioni) molto importante diventava la figura del clamator. Questo termine deriva dal latino clamare cioè gridare e il clamator era appunto colui che annunciava gridando nelle piazze le nuove leggi emesse che, appunto per questo motivo venivano denominate gride. Tali gride venivano poi lasciate appese in piazza in modo che tutti potessero vederle, ma bisogna considerare che allora erano molto pochi coloro i quali sapevano leggere e scrivere e dunque il clamator diventava un punto di riferimento molto importante per essere messi al corrente di tutto.

 

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Oggi come allora a capo della comunità c’era un sindaco. Fare il sindaco allora e più in generale ricoprire una carica politica non era vissuto come viene vissuto al giorno d’oggi, ma veniva davvero inteso nel modo in cui la politica dovrebbe sempre essere e cioè un servizio alla comunità. Il sindaco con la sua comunità stringeva un vero e proprio patto di sangue pungendosi il dito con uno spino di rosa canina. Era una grande cerimonia cui tutta la comunità assisteva. Proprio per questo veniva scelta la rosa canina, una pianta già documentata a quei tempi con spine abbastanza grandi in modo che anche chi si trovava ad una certa distanza poteva assistere al rituale.

 

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Il sindaco Giovanni Battista Spini

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Oltre agli statuti altri documenti fondamentali per viaggiare idealmente nel tempo e riscoprire un’epoca perduta sono gli estimi, i documenti catastali scritti elegantemente sia per quanto riguarda la grafia che per quanto riguarda la struttura, lo stile della scrittura. Anche se furono scritti essenzialmente a scopo burocratico per essere poi in grado di distribuire le tasse in modo equo, essi a tutt’oggi valgono più come preziosa testimonianza storica e per il loro essere mappa di parole che descrivono magistralmente tutto l’abitato casa per casa ciascuna coi suoi dintorni. Chi ha una certa età ancora oggi riesce a riconoscere i luoghi descritti in questi documenti.

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Gli estimi ci permettono di ricavare informazioni sulle coltivazioni diffuse a Talamona in quell’epoca lontana. Coltivazioni che ritroviamo ancora oggi. Tutto ciò che è scritto nei pannelli che compongono la mostra è una semplificazione e una schematizzazione delle informazioni ricavate dai documenti.

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Qui siamo giunti in quello che è in qualche modo il cuore del nostro percorso. Con i dovuti permessi e nel rispetto delle regole erano i boscaioli a recarsi materialmente nel bosco ad effettuare i tagli necessari ai bisogni comunitari.

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Il boscaiolo

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Ancora oggi il paesaggio talamonese è costellato di vitigni di cui si prendono cura uomini volenterosi seguendo la tradizione che viene da lontano, seguendo i tempi giusti della raccolta, della potatura e avvolgendo i tralci con rametti di salice appositamente preparati.

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Le castagne venivano denominate il pane dei poveri. Proprio un tipo di pane (e in altre zone dell’arco alpino e della pianura padana anche di polenta) si ricavava dalle castagne e si può trovare tutt’oggi in alcuni panifici artigianali.

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Ecco dunque il salice scialesc in dialetto così come veniva utilizzato per legare i tralci di vite potata. Venivano scelti dei rametti molto sottili che venivano scortecciati con uno strumento di legno simile alle mollette per i panni, ma di forma molto più allungata. La scortecciatura avveniva nel periodo primaverile quando si diceva che il salice era in amore e si scortecciava più facilmente. I tralci così scortecciati venivano avvolti in fascine e prima di usarli era sempre meglio lasciarli un po’ di tempo a stagionare e poi metterli a bagno prima di legare con essi i tralci di vite.

Con le varietà di salice più selvatico si potevano realizzare dei cestini intrecciati. Il salice più selvatico si riconosce per il fatto di essere più scuro.

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 Preparazione dei tralci di scialesc

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Come abbiamo gia accennato i documenti, sebbene per motivi essenzialmente di funzione burocratica e amministrativa fornivano anche dettagliate informazioni naturalistiche. Leggendoli si impara a conoscere la vegetazione spontanea, da quali specie era composta e come distinguerle l’una dall’altra. Il percorso della mostra propone degli spazi dove si possono vedere e toccare le piante i tronchi, i rami, gli aghi, le pigne, le ghiande e con alcune indicazioni capirne le peculiarità. Si impara ad esempio che il larice è l’unica conifera che perde gli aghi ma dal quale le pigne si staccano con difficoltà. Si impara a distinguere l’abete bianco dall’abete rosso. L’abete bianco ha i rami più chiari ha le pigne erette verso l’alto, ha delle piccole righe bianche sotto gli aghi disposti a pettine che pungono meno rispetto a quelli dell’abete rosso, inoltre cresce molto in alto perché vuole ambienti umidi e ombreggiati. L’abete rosso ha molti più aghi per ramo, rami di colore scuro, rossiccio appunto, pigne pendule e cresce più in basso. Sapienze queste che ormai sembrano non contare più nulla nella nostra civiltà odierna ma che sarebbe bene conservare.

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Essendo gli estimi descrittivi delle varie proprietà, molto spazio è dedicato alla minuziosa descrizione delle case. Da ciò riemerge il carden una particolare abitazione in legno presente soprattutto nella val Tartano. La struttura su cui sono stati montati i pannelli di questa mostra è stata pensata come delle tavole di compensato ad incastro proprio per richiamare alla struttura di questi carden molti dei quali tuttora presenti nel territorio della Val Tartano anche se non sono più abitati.

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I vari nuclei abitativi è un tema che si è pensato di approfondire quando la mostra era già in corso d’opera. Sulle strutture di queste case esiste un’ipotesi che al momento non è comprovata dai documenti. Si è notata una certa rassomiglianza coi nuclei abitativi tirolesi e dunque si pensa ad una qualche connessione tra le nostre popolazioni e quelle di quei territori in tempi remoti. L’indagine continua.

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Non poteva mancare un piccolo approfondimento anche sulla Val Tartano che, come abbiamo detto, a quel tempo con Talamona faceva comune unico tanto che si sono mantenuti rapporti molto stretti tra i due centri abitati che durano ancora oggi. Molti talamonesi hanno la loro origine in Val Tartano soprattutto quelli che portano i cognomi Spini e Bertolini.

 

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Didascalia in braille

La particolarità di questa mostra è il fatto di essere stata pensata per un’ampia fascia di persone e per avere più piani di lettura. Unica nel suo genere questa mostra propone anche delle didascalie in braille per i non vedenti, anche quella una cosa che è emersa in corso d’opera.

 

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Ad opera di Antonella Alemanni e di tutti i volontari che si sono prodigati nell’accompagnare i visitatori in questo viaggio nel tempo. Il gruppo boscaioli, Luigi Scarpa, Simona Duca e Lucica Bianchi.