Europa nella Prima Guerra mondiale 1914. Le frecce indicano le strategie d’attacco della Germania e l’Austro-Ungheria
I piani. L’iniziativa strategica che segnò nel 1914 l’inizio della guerra fu presa dal comando militare tedesco, che in pratica controllava quello di Vienna, mentre nell’altro schieramento non esistevano né direzione di guerra comune, né, tanto meno, un comando unico. Il piano che il generale von Moltke (capo di SM tedesco e nipote del vincitore delle guerre del 1866 e del 1870) aveva ereditato dal suo predecessore von Schlieffen affidava alle deboli forze del comando di von Prittwitz nella Prussia Orientale e agli Austro-Ungarici l’incarico di contenere i Russi, mentre lo sforzo principale sarebbe stato operato immediatamente verso la Francia.
Generale Alfred Graf von Sclieffen
Generale Helmuth Johannes Ludwig von Moltke
Il generale Joffre, autore del piano di difesa francese, aveva il comando dell’esercito francese. Nei riguardi dei Russi alleati, vi era soltanto un accordo di massima per il quale essi avrebbero attaccato non appena possibile nella Prussia orientale con il massimo dei mezzi per alleggerire la pressione tedesca sul fronte francese: il piano russo (affidato al granduca Nicola) era quindi subordinato a quello francese. Il piano austro-ungarico invece, prevedeva l’eliminazione rapida della Serbia e un attacco alla Russia dalla Galizia.
Generale Joseph Joffre
Granduca Nicola di Russia
Appena dichiarata la guerra ed iniziata la mobilitazione, il grosso delle truppe francesi furono ammassate lungo il confine tedesco.
La mobilitazione delle forze russe avveniva invece molto lentamente per la scarsezza di mezzi di trasporto e l’insufficienza di strade e ferrovie. Così la Germania poté riversare tutte le sue forze contro la Francia, per cercare di sconfiggerla rapidamente e poi dirigere contro la Russia sul fronte orientale. Per poter effettuare questo piano della guerra lampo,la Germania doveva evitare le potenti fortificazioni francesi costruite sul suo confine: perciò l’esercito tedesco invase il Belgio, che era neutrale, per assalire le truppe francesi alle spalle.
L’entrata delle truppe tedesche in Bruxelles
I tedeschi dopo un mese di aspri combattimenti, giunsero a quaranta chilometri da Parigi, ma sul fiume Marna furono bloccati e respinti alla fine di una battaglia durissima.
Mappa della prima battaglia della Grande Guerra – Fiume Marna, 5 settembre-12 settembre 1914
La non prevista resistenza ostinata dei Francesi fa fallire ben presto l’illusione della guerra lampo.
Questo succede perché scavando delle trincee e attendendo l’assalto del nemico il difensore è fortemente avvantaggiato sull’attaccante. Gli assalti ,infatti, sono ancora effettuate dal fante armato di fucile, che attacca le mitragliatrici nemiche sistemate sui bordi della trincea e protette da un riparo ben munito.
Dopo la battaglia della Marna le truppe tedesche e franco-britanniche si fronteggiarono lungo una linea che andava dalla Manica alla Svizzera. La guerra di movimento si trasformò in guerra di posizione. I soldati furono costretti a vivere dentro trincee lunghe centinaia di chilometri, sotto le intemperie, su un fronte praticamente fermo.
La Germania attacca sul fronte orientale. Nel frattempo a oriente, l’esercito tedesco riuscì ad occupare la Polonia dopo due vittorie ottenute presso i laghi Masuri e Tannenberg. Il fronte austro-russo, a sud, si estendeva per centinaia di chilometri, senza alcun avanzamento da parte dei combattenti. L’offensiva austriaca in Galizia venne arrestata dai Russi, i quali iniziarono qui una vigorosa controffensiva, obbligando il nemico tedesco ad abbandonare la zona, ripiegando sulla catena montuosa dei Carpazi. Nonostante il contrattacco del generale tedesco Mackensen (novembre-dicembre), il fronte si stabilizò sulla linea Memel-Gorlice, a occidente di Varsavia.
Sul fronte navale il primo scontro fra navi tedesche e inglesi si ebbe presso Helgoland il 28 agosto, e la battaglia si risolse a favore dell’ammiraglio inglese Beatty. Nel Pacifico occidentale la squadra tedesca di crociera di von Spee inflisse una dura sconfitta al largo di Coronel (1 novembre) alla squadra inglese di Cradock, ma fu poi annientata nelle battaglie nelle isole Falkland (8 dicembre)
Vice-ammiraglio Maximilian Reichsgraf von Spee
Contrammiraglio Cristopher George Cradock
Mappa della battaglia di Coronel. In rosso sono indicate le navi inglese, in blu quelle tedesche.
Risultati. Alla fine del 1914, anche se il piano di Moltke non era andato a buon fine, il territorio tedesco era stato tuttavia preservato dalla temuta invasione russa, anzi le truppe germaniche occupavano a occidente parte del Nord della Francia. Quanto all’Austria, il suo esercito non riusci a venire a capo della resistenza della Serbia, che anzi, dopo le vittorie del Cer in Bosnia, e di Rudnik, liberò il suo territorio e riprese Belgrado (13 dicembre). I tedeschi persero a opera dei Giapponesi i possedimenti del Pacifico (caduta di Chiao-chou), il 17 novembre. La Francia era riuscita a fermare l’invasione tedesca, ma la perdita di una parte essenziale del suo territorio aveva diminuito il suo potenziale umano ed economico all’inizio di una guerra di cui non si intravedeva la fine, e che avrebbe richiesto sforzi senza precedenti.
I Longobardi, così chiamati non si sa se per le lunghe barbe o per le spropositate alabarde, e che dettero il nome alla Longobardia, l’attuale Lombardia, provenivano dalle desolate e gelide lande della Svezia.
Forti, gagliardi, biondi, pelosi e sicuramente provvisti di anticorpi sovradimensionati, erano sbarcati sul continente, calzando stivali di cuoio e vesti di lino crudo, con al seguito le donne, bambini ed armenti in cerca di nuove terre, essendo nomadi ignari di ogni forma di coltivazione e vivendo di allevamento, caccia, pesca e soprattutto di rapina.
Erano completamente all’oscuro anche di codici, di morale, di diritto e di leggi scritte, avevano le loro credenze, usi e costumi, ma riguardo ai rapporti coi terzi, l’unica regola insindacabile era la forza.
Adoravano il sole e la terra e allorché in una regione avevano consumato ogni risorsa si trasferivano altrove, senza molto riguardo per quelli che già vi risiedevano.
Si erano infine stabili in Pannonia, l’attuale Ungheria, che il secolo precedente aveva visto l’epopea di Attila e dei suoi Unni, e che alla sua morte si erano liquefatti, inglobati da altre genti.
Nella primavera dell’anno del Signore 568 partirono dalla Pannonia e valicate le Alpi Giulie al passo del Predil, scesero in Italia, cosa facilissima in ogni stagione, essendo ormai la penisola completamente indifesa.
Vennero in numero di trecentomila, con armenti, donne e bambini con la precisa intenzione di fermarsi. Il loro re Alboino occupò mezza Italia. ed elesse a sua capitale Verona, e fu in quell’occasione che il Patriarca di Aquileia per sfuggire all’orda funesta si rifugiò con la sua gente sulle isole della laguna, dando il via all’avventura di Venezia.
Ma veniamo a Rosmunda. Il giovane Alboino aveva in battaglia ucciso Cunimondo, re dei Gepidi, un popolo sfortunato incontrato sulla sua strada, e ne aveva preso come schiava la figlia Rosmunda, la quale essendo bella, procace e forse anche scaltra, alla morte di Clotsuinda, la moglie legittima del re longobardo, ne aveva preso il posto.
Non si sa se fu un matrimonio d’amore e di passione, sicuramente nell’animo di Rosmunda un certo rancore ancora serpeggiava a causa dell’ucissione del padre, di cui Alboino conservava il cranio ripulito e levigato trasformato in coppa, da cui il re attingeva abbondantemente specie nelle feste comandate.
Era il 572 e si stava appunto festeggiando Longino, Esarca di Ravenna, venuto in visita a Verona alla corte di Alboino, quando questi chiese a Rosmunda la tazza “buona”, la coppa-cranio di Cunimondo per festeggiare degnamente l’ospite. Il re non si limitò a bere, sicuramente accennò da buon intenditore al fatto che il vino in quella superba coppa sviluppava aromi e profumi straordinari, e non contento impose alla povera Rosmunda coi suoi metodi spicci di bere pure lei. Molti personaggi si sono rovinati col bere, Alboino invece si rovinò col far bere, infatti Rosmunda da quel momento tramò per ucciderlo. Rosmunda in accordo col suo amante Elmichi, fratellastro del re, progettò l’assassinio.
Sapendo che Alboino si concedeva la siesta dopo le sue poderose libagioni lo uccisero nel sonno.
Si narra di come Alboino essendosi svegliato dal torpore meridiano, tentasse di sfoderare la spada che teneva sempre accanto e di come questa fosse stata da Rosmunda sigillata nel fodero, tale per cui Alboino impotente annegò nel proprio sangue.
Consumato il delitto, Rosmunda e Elmichi fuggirono a Ravenna, presso l’Esarca Longino, l’ospite della sera fatale, non senza prima aver razziato il tesoro reale.
A questo punto Longino, ch’era un bizantino perfido e intrallazzatore, nonché avido di denaro e di potere, propose alla signora di far fuori Elmichi, che in fondo non era altro che una figura succube e insignificante, un modesto gregario, e di sposarlo per diventare la prima signora di Ravenna.
Rosmunda valutò l’offerta e avendola trovata conveniente, decise di liquidare il povero Elmichi offrendogli una coppa di vino avvelenato. L’infelice dopo averne bevuto alcuni sorsi fu colto da dolori lancinanti al ventre, comprese ogni cosa, e dopo aver sfoderato la spada impose all’amante di tracannare il vino rimasto, che le fu fatale.
Così morì Rosmunda, l’orgogliosa figlia di Cunimondo, travolta dalla storia, dal destino e dall’oscena trivialità di Alboino, uomo rozzo e insensibile, ignaro dagli oscuri meandri della psicologia femminile.
AFORISMA: Preferisco un uomo senza denaro, che il denaro senza l’uomo. (Plutarco)
G.Abram, Il Trionfo di Kaino, Ediz. El Tiburon, 2004
Pubblicato online dal giornale culturale “I tesori alla fine dell’arcobaleno”, per gentile concessione dell’autore.
Già nell’antichità più remota la terra fra il Tigri e l’Eufrate, la Mesopotamia, fu abitata da tribù provenienti dal nord, dai monti della Persia, dall’Armenia, dal Caucaso e dall’Anatolia.
I Sumeri presero dimora alcuni millenni prima di Cristo nel sud dell’attuale Iraq, allo sbocco dei fiumi nel Golfo Persico, terra ricca di vegetazione, pesci ed animali e favorevole all’agricoltura.
La loro origine è misteriosa, ma si presume che provenissero dai monti della Persia, e le città sumere furono molto probabilmente le più antiche città del mondo e fra queste Ur, capitale dei Sumeri, centro economico, sociale e culturale.
Da Ur proveniva anche il patriarca Abramo con al seguito la sua tribù semita, le robe e gli armamenti.
Indipendentemente dall’origine, gli aspetti più interessanti sono quelli che riguardano la loro vita pubblica e privata. Per quanto possa sembrare strano, presso questo popolo non esistevano distinzioni di classe, in quanto non c’erano né ricchi né poveri, ma ognuno lavorava, il re e i sacerdoti compresi, il proprio pezzo di terra che gli era stato affidato dallo stato. Non esisteva proprietà privata in quanto era comune credenza che le terre appartenessero agli Dei, ed ai templi veniva consegnato il raccolto, salvo quella parte che serviva per il sostentamento degli agricoltori. Il raccolto veniva ammassato nel tempio che sorgeva al centro della città, e serviva come scorta per i periodi di carestia.
(…)Il tempio non era importante solo in quanto fungeva da pubblico magazzino, ma perché era luogo di culto, sede del governo e luogo di commerci. Qui si custodivano le greggi, si vendevano carni e pelli, si lavoravano i metalli, oro argento e bronzo, si realizzavano i manufatti in legno e qui gli architetti progettavano strade, edifici e canali d’irrigazione. Ed infine il tempio fungeva anche da banca. Qui venivano depositati oro, argento, grano e manufatti vari e si procedeva alla concessione dei prestiti ai privati.
Dal punto di vista religioso i Sumeri vedevano l’origine di tutte le cose nello scontro fra i due principi fondamentali: Apsu il principio maschile, il bene, e Tiamat il principio femminile, il male. Da questa infelice e malsana credenza discendevano conseguenze ferali per la donna, che veniva considerata come un oggetto qualsiasi, la cui unica utilità consisteva nel fatto che era capace di generare.
Da quelle parti però in 6000 anni non pare che le cose siano di molto cambiate.
E’ strano come un popolo così tecnicamente, economicamente e civilmente avanzato, trattasse le donne in maniera così barbara.
(…) I Sumeri avevano una visione pessimistica di ciò che li attendeva dopo la morte, in quanto si credeva che l’anima dell’uomo continuasse a vivere da spirito maligno fra spiriti maligni, nutrendosi di fango e di polvere e che nell’oltretomba ogni felicità fosse preclusa. La felicità poteva essere raggiunta solo su questa terra, per questo si praticava il culto degli Dei, nella speranza di acquistare beni terreni, salute e ricchezza, e si rifuggiva da comportamenti peccaminosi ed offensivi verso la divinità per evitare malattie, tempeste e alluvioni.
Questi Sumeri di 6000 anni fa, così moderni, così civili, così social-democratici mi hanno un po’ deluso per via del trattamento riservato alle donne. Bisogna però rammentare come non tutte le civiltà fossero così misogine. Nell’antico Egitto le donne godevano di diritti e dignità, presso gli Etruschi c’era quasi una sostanziale parità fra uomo e donna. Solo presso gli Ebrei, i Greci e i Romani, almeno in epoca repubblicana, le donne dovettero soffrire emarginazione e repressione.
(…) A questo punto si può concludere che un popolo può essere civile, progredito, socialista e cristiano anche senza amare le donne, che in fondo sono anche numericamente una parte irrisoria dell’umanità, attualmente non raggiungono che il 52% dell’intero genere umano!
AFORISMA. La Torre di Babele è la rappresentazione classica della follia umana.
G. ABRAM, “Il Trionfo di Kaino”, ediz. El Tiburon, 2004
Pubblicato online dal giornale “I tesori alla fine dell’arcobaleno” per gentile concessione dell’autore.
Questo articolo metterà davanti agli occhi dei lettori due mostri sacri – uno della letteratura e l’altro della storia – Il conte Dracula. Per quanto riguarda Dracula letterario tutti noi abbiamo qualche notizia, informazione, abbiamo magari letto il libro o visto una delle numerose produzioni cinematografiche.Per quanto riguarda invece il principe Vlad Dracula, le cose sono diverse. Vi presentiamo quindi, la figura di questo personaggio storico, realmente esistito, un personaggio rappresentativo per la storia della Romania e del popolo rumeno.
Nel 1488 a Norimberga in Germania, venne pubblicato un manoscritto, intitolato “Storie tedesche del voievoda Dracula”, che si apre cosi: “ Ecco la storia crudele e terribile di un uomo selvaggio e assetato di sangue, Dracula il voievoda. Da come impalò e arrosti gli uomini e li fece a pezzi come cavoli. Arrosti anche bambini e costrinse le madri a mangiarli. Molte altre cose sono scritte in questo libello, anche sulla terra su cui regnò.
Nel 1897 lo scrittore irlandese Abraham Stoker crea il suo più famoso personaggio – il conte Dracula, antagonista dell’omonimo romanzo. L’ispirazione per il celebre personaggio con cui diventa poi famoso in tutto il mondo gli venne grazie ad un incontro avvenuto nel 1892 con il professore di nazionalità ungherese Arminius Vambery, che gli narrò la leggenda del principe rumeno Vlad Tepes, trasfigurato poi da Stoker nel Conte Dracula.
Lo scrittore Abraham (Bram) Stoker
Tuttavia, il personaggio Dracula letterario ha ben poco in comune con il Dracula storico, considerato un eroe patriotico dal popolo rumeno, ed inoltre nel romanzo non viene specificato se i due siano effettivamente la stessa persona (anche se ci sono numerosi indizi che danno conferma a questa ipotesi).
La prima edizione del libro “Dracula” di Bram Stoker
Bram Stoker non è il primo scrittore che ha collocato il suo personaggio in Transilvania. Alexandre Dumas-padre, nel libro “Les mille et un fantomes” del 1860, racconta la storia di un vampiro che si aggira per le montagne di Carpati, la principale catena montuosa che attraversa la Romania dal nord, circondando la Transilvania per finire in Valacchia. Jules Verne nel suo romanzo “Il Castello di Carpati”, del 1892, parla delle credenze in una serie di creature soprannaturali provenienti da queste montagne.
A ogni modo, molte autorità storiche ritengono che il personaggio Dracula nel romanzo di Stoker si basi sulla figura storica di Vlad Tepes, che ha governato in modo intermittente una zona dei Balcani, chiamata Valacchia, nell’ odierna Romania, alla metà del XV secolo.
Vlad Tepes (1431-1476)
Castelli minacciosi e montagne rocciose fanno dalla Romania lo scenario perfetto e ideale per le leggende sui vampiri. Nel libro “Dracula”, Jonathan Harker, uno dei protagonisti, dice: “ho letto che ogni superstizione del mondo si raccoglie nel ferro di cavallo dei Carpazi, come se fosse il centro di una sorte di vortice di fantasia.”
Ma se guardiamo sotto i sentieri e fortezze in rovine, troviamo la vera storia di Vlad Dracula.
Vlad III Dracula, soprannominato Tepes , nacque a Sighisoara, il 2 novembre del 1431 nella zona sassone della Transilvania, una regione che allora era vassalla, sotto il dominio dell’ Impero Ungherese. Tutt’oggi, la città ricorda i natali del principe con una lapide commemorativa apposta alle mura esterne dell’edificio dove è venuto al mondo.
La casa natale del principe Vlad Tepes
Lapide commemorativa con i periodi del regno di Vlad Tepes
E’ stato voievoda (titolo reale attribuito al principe regnante in Romania del XV secolo) della Valacchia in tre periodi diversi, nel 1448, dal 1456 al 1462, e infine nel 1476 l’anno della sua morte, diventando uno dei sovrani più temuti della storia.
Mappa geografica della Romania con le regioni
Da imponenti castelli e fortezze medievali, alle prigioni nelle quali le vittime aspettavano la loro morte, fino alle caverne piene di pipistrelli da dove sono nate le leggende sui vampiri, il territorio della Romania trabocca di segreti e misteri. Nel libro, Stoker descrive la Transilvania come una regione arretrata, abitata dai animali selvaggi e dai contadini superstiziosi, una residenza adeguata per un mostro che esce dalla sua tana per minacciare la popolazione. Il romanzo si apre e si chiude in Transilvania, e quindi questa regione ha lasciato un impronta indelebile sul lettore. Un mondo di cose oscure e terribili che assume le dimensioni di un mito e metafora, una terra al di là della comprensione umana.
Il padre di Vlad Dracula, Vlad II, si unì all’ Ordine del Drago – ORDO DRAGONIS – un ordine cavalleresco creato all’inizio del XV secolo dal Re d’Ungheria, Sigismondo.
Lo stemma dell’ordine del Drago
La spada dei cavalieri appartenenti all’ordine del Drago
L’onore di ricevere dall’ imperatore le insegne del Drago era elevatissimo, se si considera la fama internazionale acquistata in quei anni dall’ordine, al quale chiesero di poter aderire sovrani lontani tra loro per civiltà e cultura, come Ladislau II Jagellone, Re di Polonia, e Alfonso II d’Aragona e Sicilia, il conquistatore di Napoli.
Lo scopo dell’ordine era di proteggere la Cristianità e lottare contro i turchi ottomani. Vlad II venne chiamato “Diavolo” – Dracul in lingua rumena, e tale divenne il suo stemma e il suo simbolo. Il figlio, Vlad III prende il nome di” Vlad Draculea“, cioè il “Figlio del Diavolo”. Il suo epiteto più famoso fu però” Tepes”,” l’Impalatore”, causa la sua predilazione per questo tipo di supplizio nell’eliminazione dei suoi nemici e dei criminali, che venivano puniti dal principe dolorosamente, cioè impalati. A partire dal 1550 tutti i documenti circolanti nel Impero Ottomano chiamavano il principe Vlad – “Kaziglu Bey”, principe impalatore in lingua turca.
Per apprezzare e soprattutto per capire la storia di Vlad Tepes è essenziale comprendere le forze sociali e politiche della regione nel XV secolo. In termini generali si tratta di una storia di lotte per ottenere il controllo della Valacchia, una zona direttamente interessata alle due forze potenti all’epoca: Ungheria e L’Impero Ottomano.
L’assetto politico nella regione dei Balcani nel XV secolo. Si nota la posizione geografica della Valacchia tra l’Ungheria e l’Impero Ottomano
Per quasi mille anni, Costantinopoli era rimasto come l’avanposto di protezione dell’Impero Romano Orientale, bloccando l’accesso dell’Islam in Europa. Con la caduta di Costantinopoli nel 1453 e l’arrivo sulla scena politica del sultano Maometto, il Conquistatore, tutta la Cristianità fu improvvisamente minacciata dalla forza armata dei turchi ottomani. Il regno ungherese a nord e ovest della Valacchia, un regno che raggiunse il suo apice nel corso di questo stesso tempo, assunse il mantello di difensore della Cristianità. I governanti della Valacchia, quindi, sono stati costretti a placare i due imperi per mantenere la loro sopravvivenza, spesso alleandosi con l’uno o con l’altro, a seconda di ciò che era utile ai loro interessi.
Un altro fattore che influenzava la vita politica era la modalità di successione al trono della Valacchia. I ricchi proprietari terrieri ed i nobili rumeni (chiamati boieri) avevano il diritto di eleggere il principe sovrano tra i vari membri della famiglia reale. Questo ha permesso la successione al trono di principi che usavano la corruzione, la violenza o addirittura il crimine (eliminando i rivali) come mezzi per essere eletti. Infatti sia Vlad padre che suo figlio, Vlad III hanno assassinato i loro concorrenti per impossessarsi del trono della Valacchia.
E’ questa la scena sulla quale cresce il futuro principe valacco, Vlad Tepes! La violenza e il crimine, ma anche forti giochi di potere hanno sempre accompagnato la sua esistenza.
Nel 1442 i turchi aiutano Vlad II, a conquistare il trono della Valacchia, ma come compenso lui deve mandare due dei suoi tre figli in ostaggio preso gli ottomani, quindi se il padre dovesse tradirli, i turchi si vendicherebbero sui ragazzi. I due figli minori Radu e Vlad rispettivamente di 11 e 12 anni, restano ostaggi del sultano per 6 anni, mentre il padre ritorna in patria. In quelle terre orientale, i due principi adolescenti conobbero grandi piaceri ma anche tremende crudeltà: quasi sicuramente Vlad ebbe modo di assistere agli impalamenti, praticati con grande frequenza e che ne condizionarono profondamente il suo carattere. Mentre Radu, detto “Il Bello”, ebbe una sorte diversa , entrando a far parte dell’ harem maschile del sultano Murad.
Intanto in patria, Vlad II e il figlio maggiore Mircea, si distinsero nella lotta contro l’avanzata ottomana. La fedeltà all’Ordine del Drago del voievoda Vlad e la sua relazione con i sovrani d’Occidente, uniti contro l’espansione ottomana, naturalmente non hanno contribuito ad alleviare la sorte dei due giovani prigionieri.
Nel 1447, gli ungheresi circondano la Valacchia e si preparano ad attaccare. A peggiorare le cose è il fatto che l’anziano Vlad è odiato dal popolo su cui regna. I suoi sudditi si uniscono agli ungheresi e rovesciano la situazione. Il figlio maggiore, Mircea venne sepolto vivo, mentre il padre venne ucciso per decapitazione dai suoi stessi uomini. Dopo la morte del genitore, i turchi liberano il giovane Vlad, ma solo per metterlo a capo di una delle loro armate con lo scopo di vendicare la morte del padre e riconquistare il trono della Valacchia. Nell’ ottobre del 1448, all’età di soli 17 anni, Vlad Tepes grazie ad una congiura e aiutato dall’armata ottomana, sale al trono per alcune settimane, ma un altro pretendente, Vladislau II, appoggiato dall’Impero Ungherese, ha la meglio su di lui. Vlad è costretto a fuggire in esilio in Transilvania e attendere il 1456. Quest’anno segna l’inizio del suo principato più lungo – 6 anni. Dall’esilio rientra in patria con un cospicuo numero di soldati e fedeli, uccide Vladislau II e s’impossessa del trono della Valacchia. A soli 25 anni, Vlad sta per fare qualcosa di molto più terrificante di quanto raccontano le leggende sui vampiri.
Nel principato di Valacchia con la capitale a Targoviste, il principe Vlad Tepes ha preso il potere, suo padre è morto così come il fratello maggiore. E’ circondato dai nemici, ottomani al sud, ungheresi a ovest, e innumerevoli assassini tra la sua gente. Per difendere i suoi titoli e il trono, Vlad fortifica la capitale Targoviste contro gli attacchi, e pianifica una vendette così brutale, così sanguinosa contro coloro che hanno partecipato all’assassinio del padre e del fratello,che questa gli darà un nuovo soprannome: L’Impalatore! Lo storico rumeno Constantin Cantacusino (1650-1716) nelle sue “Cronache”, lasciò una ricostruzione drammatica del massacro compiuto da Vlad ed entrato nella storia con il nome “Pasqua di sangue a Targoviste”.
Una litografia dell’epoca che mostra il principe Vlad che mangia sul campo d’impalamento nel giorno di “Pasqua di sangue a Targoviste”
Intanto, anziani, donne e bambini erano deportati nella Valle di Arges, a 60 km dalla capitale Targoviste, dove avrebbero costruito il castello di Poenari, un castello che si trova in cima ad una montagna rocciosa a 860 m. Anche se la letteratura colloca il castello di Dracula in Transilvania (Castello Bran), ciò è dovuto alla propaganda dei mercanti di origine sassone. La vera fortezza di Vlad è quella di Poenari, che è anche il teatro del suicidio della moglie del voievoda- Elisabeta- che si gettò da una torre per non essere catturata dall’armata ottomana durante uno dei loro innumerevoli attacchi.
Il video a disposizione mostra le rovine della fortezza di Poenari.
La tortura e l’impalamento sono metodi che Vlad Tepes usa di continuo per mantenere l’ordine nel suo regno!
Nel 1459, durante il giorno di San Bartolomeo, in una città della Transilvania – Brasov – Dracula fece invitare a palazzo alcuni mercanti che avevano mostrato odio e disprezzo nei confronti della sua persona. Decise di farli saziare di cibo, e quindi fece sventrare il primo, e obbligò il secondo a mangiare ciò che il collega, ormai senza vita, aveva nello stomaco. L’ultimo mercante venne fatto bollire e la sua carne fu data in pasto ai cani.
Nella città di Sibiu, sempre in Transilvania, nel 1460, Vlad Tepes fece impalare 10.000 persone colpevoli di aver appoggiato Vladislau II, e cosparse i corpi con miele per attirare ogni tipo di insetto. Le donne macchiatesi di tradimento nei confronti del marito venivano impalate davanti alla loro casa e ai loro famigliari. I ricchi venivano impalati stendendoli più in alto degli altri o facendo ricoprire l’asta d’argento.
Nel 1461 due ambasciatori del sultano turco Mehmed arrivarono al palazzo, poiché quella era l’occasione per Vlad di fare la pace con il sultano, che era il suo nemico più potente e poteva distruggere la Valacchia senza il minimo sforzo. Quando si prostrarono ai piedi di Vlad, chinarono la testa ma non si vollero togliere il turbante, perché rappresentava il simbolo della loro religione. Ma quel gesto fu fatale, perché era un segno di disprezzo per Dracula, che irritato, ordinò di inchiodare il turbante alla testa dei ambasciatori.
Gli ambasciatori ottomani davanti al principe Vlad Tepes
A dimostrazione di come Vlad Tepes abbia combattuto a lungo e senza pietà i turchi ottomani si può citare una lettera da lui scritta al re d’Ungheria, Mattia Corvino l’11 febbraio 1462, in cui lo informa “di aver giustiziato ben 23.883 turchi solo negli ultimi tre mesi”.
Lettera di Vlad Tepes a Mattia Corvino
Ora Vlad è nemico dei turchi ottomani e nell’aprile del 1462 questi attaccano, invadendo la provincia di Valacchia con un’armata tre volte superiore a quella del principe rumeno. Lui si ritira nella fortezza di Targoviste, una fortezza che a quei tempi era sulla misura del nome del principe che l’aveva scelta come capitale! Parti di questa fortezza sono tutt’ora in piedi, anche se rappresentano solo un terrificante ricordo! Quello che succederà qui segnerà la sinistra reputazione di Vlad!
La fortezza di Targoviste
Ritirandosi, fa terra bruciata alle sue spalle, mettendo a fuoco i villaggi, avvelenando i pozzi d’acqua in modo da non lasciare niente da mangiare e da bere ai suoi nemici. Quando l’esercito ottomano arriva alle mura della fortezza si trova davanti una scena d’incubo! Vlad ha impalato 20.000 prigionieri tra cui molte donne e bambini! Ha utilizzato addirittura i tronchi d’alberi! Si gode la scena dal punto più alto della fortezza, una torre che tutt’oggi è ancora in piedi. I turchi si fermano inorriditi urlando: “Setyan Aramizda Uldugunu” ! “Il Diavolo è qui tranoi“! La tattica di Vlad funziona, i turchi si ritirano perché a Targoviste hanno incontrato il Diavolo in persona.
Comunque la città è distrutta, le forze di Vlad ridotte ai minimi termini, e un nuovo voievoda venne messo sul trono di Valacchia : Radu il Bello, il fratello minore di Vlad, che era rimasto presso la corte del sultano, abbracciando la religione musulmana.
L’odio profondo che lui mostrava nei confronti di Vlad, costrinse quest’ultimo a rifugiarsi nella provincia di Transilvania, e a confidare in una possibile alleanza con il re d’Ungheria. Ma la situazione era mutata a suo svantaggio. Il re ungherese Mattia Corvino si trovava ad aver molto bisogno dell’appoggio dei ricchi mercanti tedeschi che erano stati in passato duramente perseguitati dal voievoda. Mentre Vlad cerca di raggiungere il castello di Poenari dove sarebbe stato al sicuro, fu fermato da alcune truppe ungheresi, che lo arrestarono e lo condussero prigioniero nel castello di Bran.
Castello Bran nella regione della Transilvania. Costruito nel 1431 sullo spuntone di una roccia, doveva difendere e controllare la strada commerciale che univa la provincia di Valacchia alla Transilvania. Era anche un posto di dogana. Fu il re Ludovico d’Anjou che accordò il diritto agli abitanti della città di Brasov di costruire questa fortezza in pietra, per permettere la sorveglianza della strada commerciale tra le due più importante province rumene.
Due anni dopo Vlad fu portato nella fortezza di Visegrad, in Ungheria dove rimasse per ben 12 anni come prigioniero.
La fortezza di Visegrad, Ungheria
Nel 1476 i turchi ripresero i loro attacchi contro la Moldova, un’altra della regioni della Romania. Il re ungherese decise di servirsi delle indiscusse capacità guerresche di Vlad Tepes. Così, uscito dalla prigione, venne inviato in Valacchia dove riusci a riprendere il suo trono, sconfiggendo Laiota Basarab, che da poco aveva sostituito Radu il Bello. Ancora una volta, la sua vendetta si compì e per tredici mesi, innumerevoli nemici furono impalati su un bosco di pertiche erette ovunque.
Ritratto d’epoca di Vlad Tepes
Niccolo Modrussa, un delegato del papa Paulus II ,vedendo Vlad Tepes, lo descrive come un nobile pieno di mistero,”non troppo alto di statura, ma forte e robusto, freddo e terribile di aspetto, con un gran naso aquilino, narici larghe, un volto magro e rossiccio, con grandi occhi verdi spalancati e incorniciati da nere ciglia, molto folte e lunghe, che davano agli occhi un aspetto terrificante. Il viso e il mento erano rasati ma portava i baffi. Le tempie larghe aumentavano l’ampiezza della fronte. Un collo taurino univa la testa alle sue larghe spalle coperte da ciocche dei suoi lunghi capelli neri”.
Non sappiamo con certezza come avvenne la morte di questo inquietante personaggio. Sono tante le leggende che raccontano la sua fine. Una di esse ci dice che fu ucciso dagli ottomani durante una battaglia, la sua testa tagliata ed inviata insieme alla sua spada a Costantinopoli, dove il sultano Mehmet II le nasconde in una prigione segreta… per impedirgli di tornare in vita!