LA SALVAGUARDIA DEL TERRITORIO NEGLI ANTICHI STATUTI TALAMONESI

(terza e ultima parte)

 

L’art. 72 regola il taglio di piante da opera per farne assi. E’ consentito il taglio di sole due piante per ogni masseria e non dieci, come previsto da un’ordinanza precedente.

Bisogna prima giurare davanti al console di averne necessità per ottenere la licenza di tagliare quelle due piante, assicurare che si faccia per uso proprio, nei boschi non tensati, e di non cederle a terze persone e specialmente a quelle forestiere. Chi non si attiene a queste condizioni, pagherà tre ducati aurei per ogni pianta, oltre al numero consentito. “ E tutto ciò perchè i detti boschi siano conservati dal disfacimento che grandemente minaccia i campi e i beni del suddetto comune e delle persone private.”

Per prevenire l’astuzia dei furbi, l’art 73 obbliga i segantini (resegatori) che possiedono segherie a notificare il  numero delle  borre e borratelle, e il nome di chi le porta in segheria per farne assi: pena la multa di 20 soldi per ogni volta e per ogni tronco non denunciato.

Inoltre tutte le persone che possiedono assi devono notificarle per numero al console o ai sindaci, ogni anno. E non si può cedere e neppure regalare a persone foreste  assi o tavole segate nel comune di Talamona: e questo vale per tutto il comune compresi Campo e Tartano.

Vita dura per i carrettieri che osassero trasportare assi fuori dal comune!

Non solo dovranno pagare due ducati d’oro per ogni carro e uno per “cavallata”, ma ogni persona di Talamona potrà sequestrare, con la forza, tali assi e portarle in comune, denunciando tutti quelli che osano trafugare assi.

Qui la tutela del bene pubblico diventa feroce. Per “l’utilità della cosa pubblica” è ancora proibito tagliare qualsiasi tipo di pianta o arbusto per darli  a persone forestiere. Multa di due scudi aurei per ogni pianta e arbusto, tolti dalle selve o boschi del comune.

E’ tuttavia consentito, ma solo nei boschi non tensati e solo per uso proprio e della famiglia, quindi da non cedere ad altri, tagliare e portar via rami e legni secchi, come anche fare pertiche per gli edifici, le stalle e le siepi, ma non da bruciare.

E’ lecito anche fare dieci carri di “borrelli” per ogni masseria e non di più, e sempre nei luoghi non tensati, ma non “priale” di legni o pali per nasserie e peschiere.

L’art. 79 proibisce di vendere o regalare o in qualsiasi modo alienare alle persone forestiere, legname, legna verde o secca da ardere, varca, brughi o foglia secca sia dei boschi privati che pubblici.

Multa di scudi tre aurei per ogni carro e di una scudo per ogni gerlo, fascina, mazzo e per ogni legno che si alienasse. In uno statuto precedente si specificava che le suddette cose non si vendessero specialmente a quelli della congregazione di Traoni chiamati volgarmente “Li Ciechi”.

Una pena di 5 scudi più i danni si applica a chi causa incendi nei boschi.

E’ severamente proibito asportare letame e zolle di terra dai pascoli della comunanza: è però lecito farlo nell’Isola, se di adoperano quelle zolle per otturare e chiudere qualche canaletto.

Il letame che si trova sulle vie pubbliche in prossimità dei propri beni  si può asportare. E’ proibito smuovere muri e terra nei beni privati  e nelle strade pubbliche per cercarvi lumache.

…E’ lecito, ma solo a coloro che sono registrati sui conti degli oneri dell’estimo portar via  legname e legni trasportati dall’alluvione di fiumi, eccetto i tronchi segnati dai proprietari a monte.

E’ severamente vietato passare, con persone e armenti, attraverso i poderi e i beni altrui senza il consenso dei proprietari: si devono usare gli anditi e gli accessi prestabiliti dal diritto. Tuttavia i mugnai e i fornai possono, ma con discrezione, accedere ai fiumi per la servitù dei mulini.

Chi non avesse disponibilità monetaria per pagare pene o condanne, a richiesta del console,  degli ufficiali comunali deve dare in pegno a quelli tanti beni mobili per l’ammontare delle pene. Gli stessi ufficiali, di propria autorità, possono procedere al sequestro di beni mobili pari alla somma dovuta, qualora quelle persone non volessero cederli in pegno, con la possibilità per i pignorati di riscattarli entro dieci giorni, passati i quali, i beni sequestrati saranno a disposizione del console e dei sindaci, i quali possono devolverli a beneficio e per l’utilità del comune.

Così pure si farà per i dazi, i fitti e gli incanti non onorati, fino al punto di procedere all’arresto di quelle persone debitrici.

Due persone oneste e idonee sono deputate dal comune per la cura dell’Isola: per una giusta mercede dovranno roncarla e pulirla dai sassi, scavare canali per l’irrigazione, perchè quel luogo diventi un buon pascolo.

Una multa di 4 scudi aurei verrà infesta a chi costruisse peschiere non autorizzate lungo l’Adda, recando nocumento ai pascoli della comunanza. Quelle peschiere devono essere sradicate.

…l’art. 90 ritorna ancora sulla questione dei forestieri per ribadire che essi non osino pascolare il loro bestiame nella comunanza di Talamona e sempre per lo stesso principio: “non rechino danno e impoverimento al comune e agli abitanti di Talamona”. Le multe previste hanno lo scopo di scoraggiare ogni sconfinamento.

“Poichè la memoria è labile”, si ordina di scrivere sul quaderno l’ammontare delle multe e i nomi dei trasgressori e il motivo della condanna, perchè nessuno vada impunito.

…Si raccomanda altresì di non lasciare cadere e di osservare le antiche e consolidate tradizioni nel comune.

Dalla lettura dello statuto Statuto, possiamo trarre alcune considerazioni.

Innanzitutto l’aspetto, in qualche modo stupefacente, dell’organizzazione sociale dei talamonesi, il senso comunitario della popolazione, una forma di società pianificata in cui i contadini lavorano secondo le singole possibilità, traendo dal lavoro, certamente faticoso, ciascuno secondo il personale bisogno, i mezzi di sussistenza, in questo aiutati e sorretti da leggi, a nostro parere, sagge e oggettive.

Salta agli occhi anche la severità delle leggi e delle ordinanze, ma chi ha a cuore il bene comune deve anche salvaguardarlo dalle interferenze di una natura non sempre benigna, dalla cupidigia dei prepotenti e dei profittatori.

Le malattie epidemiche, le piene dei fiumi, le carestie, le pesanti interferenze sociali, religiose ed economiche dei dominatori  Grigioni hanno reso i legislatori talamonesi del ‘500 guardinghi, oculati e determinati a salvaguardare, con tutti i mezzi consentiti, il benessere della comunità.

Se questo era il fine ultimo di quelle leggi, possiamo dire che esse hanno raggiunto lo scopo.  ( Dal commento agli Statuti di Padre Abramo Bulanti).

 

Concludo qui l’esame degli Statuti, per quanto riguarda la salvaguardia del nostro territorio talamonese.

Mi riprometto, tra  un po’ di tempo, di riprendere qualche argomento interessante, spero senza annoiare nessuno, come quello del “fiüm”, negli Statuti, chiamato  “roggia”,  perchè richiama l’operosità e la grande capacità d’inventiva dei nostri padri, con un utilizzo del territorio e delle risorse naturali molto intelligente.

Spero anche che queste note possano invogliare qualche lettore a rileggere gli Statuti nelle parti più attuali. E ce ne sono, che possono farci riflettere, come dice Padre Abramo, al quale va il nostro grazie.

                                                                                         Guido Combi

 

UN VIAGGIO NEL TEMPO CON TALAMONA (seconda puntata)

In pieno medioevo sono diventata sede del Podestà che da Cosio, l’allora capoluogo della Bassa Valtellina- aveva preferito trasferirsi in Coseggio- il nome della contrada ricorda l’evento- perchè luogo più salubre.

Divento, poi, feudo dei vescovi di Como, una posizione favorevole dal punto di vista fiscale perchè, rispetto ad altre comunità, le tasse da versare erano inferiori. Ci penseranno in seguito i milanesi ad alzare questo modesto censo quando la Valtellina diverrà loro dominio.

Ma andiamo con ordine e torniamo a prendere in mano documenti: il primo a riportare chiaramente il mio nome risale al 1029: è l’atto di compravendita della Torre(1), quella di…via Torre, l’unica rimasta. E pensare che in quel periodo mi potevate chiamare “il paese delle torri” da tante che ce n’erano. Però se avete l’occhio attento potreste notare che alcune vecchie stalle hanno ancora oggi quella tipica forma di parallelepipedo con il tetto ad un solo spiovente.

Tutte queste fortificazioni sorgono nel periodo in cui termina il controllo feudale del vescovo di Como- a metà XIII- e divento un libero Comune, anzi, permettetemi di vantarmene: ero la Magnifica Comunità di Talamona! Suona bene.

E’ allora che vengono edificate le maggiori fortificazioni , i castelli come quello che già c’era a S.Giorgio dai tempi di Carlo Magno- sede di un giudice- e quello più piccolo di Faedo.

Che fine hanno fato? Sono stati danneggiati dai Milanesi e poi distrutti dai Grigioni (1526) quando conquistarono la Valtellina.

E’ adesso, tra XIV e XV, che si intensifica l’allevamento dei bovini, e dal punto di vista economico posso dire di aver vissuto un buon periodo. Ottimo anche per quanto riguarda l’aspetto culturale: le famiglie Mazzoni e Spini mi abbelliscono con i loro palazzi, e nelle contrade sorgono le principali chiese oltre ai gisoi. Niente male, un paese da cartolina.

(fine seconda puntata)

—————————

(1) Sul documento si legge che i coniugi Redaldo e Cesaria hanno venduto al vescovo di Milano per 300 lire il loro castello con la torre, alcune case, una cappella, dei mulini, alcune vigne e delle selve di castagni.

Puntata realizzata dagli alunni dell’Istituto Comprensivo G.Gavazzeni,  Secondaria, primo grado