I BUCHI NERI. LE PRIME TEORIE

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Una ricostruzione artistica del centro di un buco nero. Esso è dotato di un campo gravitazionale così intenso da impedire a qualsiasi oggetto e perfino alla luce di allontanarsi da esso: per questo non può essere osservato direttamente e viene detto, appunto, nero.

Pensiamo ai buchi neri come a una scoperta del 20 ° secolo, più precisamente nel 1916, quando Albert Einstein pubblicò la sua teoria della relatività generale e il fisico Karl Schwarzschild usò quelle equazioni per immaginare una sezione sferica dello spazio-tempo così deformata intorno ad una massa estremamente densa da essere invisibile al mondo esterno.

Il primo a suggerire l’esistenza di “stelle oscure” dalla forza di gravità tanto grande da poter impedire la fuga perfino alla luce, fu John Michell, nel lontano 1783.

Nato nel 1724, Michell frequentò l’Università di Cambridge e insegnò lì per un tempo, prima di diventare rettore di Thornhill, vicino alla città di Leeds. Egli è descritto dai suoi contemporanei come “un uomo molto ingegnoso, e un filosofo eccellente.” Gli interessi di ricerca di Michell si espandevano in diverse aree della scienza. Iniziò esaminando il magnetismo, dimostrando che la forza magnetica esercitata da ogni polo di un magnete diminuisce con il quadrato della distanza. Dopo il terremoto di Lisbona del 1755, ipotizzò che i terremoti si propagassero come onde attraverso il terreno, contribuendo in tal modo allo sviluppo della sismologia. Questa intuizione gli valse l’elezione alla Royal Society.

Nel campo della fisica, ha ideato e progettato l’apparato sperimentale in seguito usato da Cavendish per misurare la forza di gravità tra le masse in laboratorio, in modo da ottenere il primo valore preciso per la costante gravitazionale (“G”). E fu il primo ad applicare metodi scientifici per l’astronomia. Ha studiato come le stelle sono distribuite nel cielo notturno. La sua analisi ha fornito la prima prova di stelle binarie e ammassi stellari.

Ma è in un documento che Michell ha scritto nel mese di novembre 1783 al Cavendish, poi pubblicato nel Royal Society Journal che lo stesso si è rivelato “preveggente”.

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Il suo intento non era quello di “inventare” oggetti esotici, ma di scoprire un metodo utile per determinare la massa di una stella. Michell aderiva alla teoria corpuscolare della luce di Isaac Newton, e dal momento che la luce era fatta di particelle, pensò che la forza gravitazionale della stella emettente avrebbe ridotto la velocità della luce in maniera dipendente dalla massa dell’astro. Misurando la velocità della luce delle stelle poteva pertanto calcolare le loro rispettive masse.

Un’idea errata come sappiamo oggi, ma abbastanza ragionevole in base a ciò che era noto al momento: Ole Roemer aveva misurato la velocità della luce nel secolo precedente, quindi Michell aveva una cifra approssimativa con cui lavorare. Comprendeva anche il concetto di “velocità di fuga”, e che questa velocità critica era determinata dalla massa e dalle dimensioni della stella. In particolare, Michell si domandava che cosa sarebbe successo se una stella fosse stata così massiccia, e la sua gravità così forte, che la velocità di fuga fosse stata equivalente alla velocità della luce.

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Effetto lente gravitazionale causato dal passaggio di una galassia dietro a un buco nero in primo piano

Michell suppose che le particelle della luce fossero soggette alla forza di gravità come qualsiasi altro oggetto. Egli partì dalla constatazione che la velocità di fuga della superficie del Sole è solo lo 0,2% rispetto alla velocità della luce, ma che per oggetti di dimensioni progressivamente maggiori, aventi sempre la densità del Sole, la velocità di fuga aumenta notevolmente. Michell arrivò così a poter ipotizzare che, un oggetto di diametro 500 volte superiore a quello del Sole (grande pressappoco come tutto il Sistema Solare) avrebbe una velocità di fuga maggiore della velocità della luce, e che se un tale oggetto esistesse, la luce non potrebbe uscire da esso, risultando così buio e invisibile. Michell scriveva: “Pur essendo tali oggetti invisibili, se qualche corpo luminifero dovesse orbitare intorno ad essi noi potremmo forse dal moto di questi corpi orbitanti, notare l’esistenza dei corpi centrali.” In altri termini egli suggerì che i buchi neri potevano essere facilmente individuati qualora facessero parte di sistemi binari. In tal caso potremmo osservare una stella che sta ruotando intorno ad un “nulla”.

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Probabile aspetto di un buco nero, se posto davanti ad uno sfondo ricco di stelle. Da notare la luce distorta dalla gravità e l’orizzonte degli eventi. Il buco è pensato con una massa pari a dieci volte quella del Sole, e visto da 600 km di distanza.

Su posizioni sostanzialmente identiche era giunto per vie del tutto indipendenti anche il francese Pierre Simon  Laplace, che pubblicò le sue teorie nella prima edizione del l‘Esposition du systéme du monde nel 1796.

Pierre Simon Laplace

Pierre Simon Laplace

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Rappresentazione artistica dell'ipotesi della nebulosa di Laplace (detta anche "Teoria di Kant-Laplace")

Rappresentazione artistica dell’ipotesi della nebulosa di Laplace (detta anche “Teoria di Kant-Laplace”)

La teoria corpuscolare della luce di Newton perse il favore della comunità scientifica dopo che Thomas Young nel suo  esperimento del 1799 dimostrò che la luce si comporta come un’onda, e poiché la “stella oscura” di Michell si basava sul presupposto della luce fatta di particelle, anch’essa fu abbandonata. Tuttavia, l’intuizione inattesa di Michell a proposito di particelle di luce “intrappolate” ha resistito alla prova del tempo. Il termine “buco nero” fu coniato dal fisico John Wheeler nel 1968 in una conferenza alla American Astronomical Society.

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Un buco nero in una rappresentazione artistica della NASA

Si potrebbe dire che John Michell, nacque sotto una stella oscura. Le sue idee non hanno mai raggiunto la velocità di fuga sufficiente per uscire da Thornhill. È morto nell’oscurità tranquilla, e la sua idea di una “stella oscura” è stata dimenticata fino a quando i suoi scritti sono ri-emersi nel 1970. Infine, le sue idee hanno trovato la loro strada verso la luce.

Tuttavia, la nozione di stelle oscure  fu  ripresa solo nel contesto della teoria della relatività di Einstein, quando gli astronomi accettarono l’idea che poteva essere davvero un modo per dare vita alla creazione di singolarità, con caratteristiche simili a quelle dei buchi neri.    (segue...)

Lucica

Bibliografia

John Michell, On the means of discovering the distance, magnitude etc. of the fixed stars, Philosophical Transactions of the Royal Society (1784)

Introduzione nella Teoria dei Buchi Neri, Institute for Theoretical Physics / Spinoza Institute.

Wald Robert M. ,  Relatività Generale, Università di Chicago, 1984