LUCE E COLORE. TURNER E LA TEORIA DI GOETHE

Il motivo per cui le teorie dei colori di Isaac Newton (1642-1727) e di Wolfgang Goethe (1749-1832) vengono presentate insieme nonostante le separi un secolo di tempo, è che dagli inizi dell’800 furono percepite come antagoniste l’una dell’altra. Lo stesso Goethe quando mandò alle stampe nel 1808 la sua Teoria dei Colori, pensava di avere dato un colpo di grazia alle teorie scientifiche di Newton. Goethe ed una vasta cerchia di artisti ed intellettuali, pensavano che la teoria di Newton fosse un errore, un eccesso di fiducia da parte dell’uomo nei confronti delle sue capacità razionali, e che un fenomeno naturale come quello dei colori, apportatore di intense emozioni estetiche ed emotive, non potesse essere spiegato attraverso una teoria scientifica meccanicistica. La teoria di Newton, nonostante il tentativo di Goethe, rimase la base per gli sviluppi successivi della ricerca scientifica sui fenomeni legati all’ottica e alla luce, mentre la teoria di Goethe ebbe un certo seguito nel mondo dell’arte, perché poneva al centro della fenomenologia dei colori l’uomo e i suoi sensi. Tale attenzione da parte di Goethe al ruolo attivo dei sensi nella visione dei colori si rivelò, comunque,un intuizione valida scientificamente, come dimostrarono i risultati delle ricerche condotte nell’800, in tempi diversi, dai due scienziati britannici Thomas Young (1773-1829) e Charles Maxwell (1831-1879).Il pittore e incisore inglese William Turner ha assorbito la teoria di luce e ombra di Goethe e ha raffigurato la loro relazione in varie sue opere. L’artista esprime l’idea che ogni colore è una combinazione individuale di luce e ombra, cercando di rispondere anche ai concetti “del più” e “del meno” che Goethe ha ideato per creare un collegamento tra l’occhio e le emozioni. Pose grande attenzione alla post-immagine che resta sulla retina dopo la visione dell’immagine stessa. Attraverso questa il più si rivolge a colori come il rosso e il giallo mirata ad evocare ottimismo e sentimenti positivi, mentre il colore blu dà contrasto come se creasse l’emozione di malinconia e desolazione. Secondo il concetto di Goethe, il giallo si sottopone ad una transizione della luce che si oscura nel momento in cui la luce raggiunge il suo massimo bagliore, così come il sole splende nel cielo, e tende ad luce bianca che è senza colore. Ma la luce diventa più profonda e trasforma il giallo in arancione e infine alla tinta rossa. Turner illustra il processo transitorio del giallo nelle fasi della luce mostrando come, se l’osservatore si sposta dal centro, gli estremi della tela sono più scuri.

Lucica Bianchi

 

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nell’immagine: W.Turner, Mattino dopo il diluvio, 1843,Tate Gallery, Londra

I BUCHI NERI. LE PRIME TEORIE

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Una ricostruzione artistica del centro di un buco nero. Esso è dotato di un campo gravitazionale così intenso da impedire a qualsiasi oggetto e perfino alla luce di allontanarsi da esso: per questo non può essere osservato direttamente e viene detto, appunto, nero.

Pensiamo ai buchi neri come a una scoperta del 20 ° secolo, più precisamente nel 1916, quando Albert Einstein pubblicò la sua teoria della relatività generale e il fisico Karl Schwarzschild usò quelle equazioni per immaginare una sezione sferica dello spazio-tempo così deformata intorno ad una massa estremamente densa da essere invisibile al mondo esterno.

Il primo a suggerire l’esistenza di “stelle oscure” dalla forza di gravità tanto grande da poter impedire la fuga perfino alla luce, fu John Michell, nel lontano 1783.

Nato nel 1724, Michell frequentò l’Università di Cambridge e insegnò lì per un tempo, prima di diventare rettore di Thornhill, vicino alla città di Leeds. Egli è descritto dai suoi contemporanei come “un uomo molto ingegnoso, e un filosofo eccellente.” Gli interessi di ricerca di Michell si espandevano in diverse aree della scienza. Iniziò esaminando il magnetismo, dimostrando che la forza magnetica esercitata da ogni polo di un magnete diminuisce con il quadrato della distanza. Dopo il terremoto di Lisbona del 1755, ipotizzò che i terremoti si propagassero come onde attraverso il terreno, contribuendo in tal modo allo sviluppo della sismologia. Questa intuizione gli valse l’elezione alla Royal Society.

Nel campo della fisica, ha ideato e progettato l’apparato sperimentale in seguito usato da Cavendish per misurare la forza di gravità tra le masse in laboratorio, in modo da ottenere il primo valore preciso per la costante gravitazionale (“G”). E fu il primo ad applicare metodi scientifici per l’astronomia. Ha studiato come le stelle sono distribuite nel cielo notturno. La sua analisi ha fornito la prima prova di stelle binarie e ammassi stellari.

Ma è in un documento che Michell ha scritto nel mese di novembre 1783 al Cavendish, poi pubblicato nel Royal Society Journal che lo stesso si è rivelato “preveggente”.

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Il suo intento non era quello di “inventare” oggetti esotici, ma di scoprire un metodo utile per determinare la massa di una stella. Michell aderiva alla teoria corpuscolare della luce di Isaac Newton, e dal momento che la luce era fatta di particelle, pensò che la forza gravitazionale della stella emettente avrebbe ridotto la velocità della luce in maniera dipendente dalla massa dell’astro. Misurando la velocità della luce delle stelle poteva pertanto calcolare le loro rispettive masse.

Un’idea errata come sappiamo oggi, ma abbastanza ragionevole in base a ciò che era noto al momento: Ole Roemer aveva misurato la velocità della luce nel secolo precedente, quindi Michell aveva una cifra approssimativa con cui lavorare. Comprendeva anche il concetto di “velocità di fuga”, e che questa velocità critica era determinata dalla massa e dalle dimensioni della stella. In particolare, Michell si domandava che cosa sarebbe successo se una stella fosse stata così massiccia, e la sua gravità così forte, che la velocità di fuga fosse stata equivalente alla velocità della luce.

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Effetto lente gravitazionale causato dal passaggio di una galassia dietro a un buco nero in primo piano

Michell suppose che le particelle della luce fossero soggette alla forza di gravità come qualsiasi altro oggetto. Egli partì dalla constatazione che la velocità di fuga della superficie del Sole è solo lo 0,2% rispetto alla velocità della luce, ma che per oggetti di dimensioni progressivamente maggiori, aventi sempre la densità del Sole, la velocità di fuga aumenta notevolmente. Michell arrivò così a poter ipotizzare che, un oggetto di diametro 500 volte superiore a quello del Sole (grande pressappoco come tutto il Sistema Solare) avrebbe una velocità di fuga maggiore della velocità della luce, e che se un tale oggetto esistesse, la luce non potrebbe uscire da esso, risultando così buio e invisibile. Michell scriveva: “Pur essendo tali oggetti invisibili, se qualche corpo luminifero dovesse orbitare intorno ad essi noi potremmo forse dal moto di questi corpi orbitanti, notare l’esistenza dei corpi centrali.” In altri termini egli suggerì che i buchi neri potevano essere facilmente individuati qualora facessero parte di sistemi binari. In tal caso potremmo osservare una stella che sta ruotando intorno ad un “nulla”.

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Probabile aspetto di un buco nero, se posto davanti ad uno sfondo ricco di stelle. Da notare la luce distorta dalla gravità e l’orizzonte degli eventi. Il buco è pensato con una massa pari a dieci volte quella del Sole, e visto da 600 km di distanza.

Su posizioni sostanzialmente identiche era giunto per vie del tutto indipendenti anche il francese Pierre Simon  Laplace, che pubblicò le sue teorie nella prima edizione del l‘Esposition du systéme du monde nel 1796.

Pierre Simon Laplace

Pierre Simon Laplace

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Rappresentazione artistica dell'ipotesi della nebulosa di Laplace (detta anche "Teoria di Kant-Laplace")

Rappresentazione artistica dell’ipotesi della nebulosa di Laplace (detta anche “Teoria di Kant-Laplace”)

La teoria corpuscolare della luce di Newton perse il favore della comunità scientifica dopo che Thomas Young nel suo  esperimento del 1799 dimostrò che la luce si comporta come un’onda, e poiché la “stella oscura” di Michell si basava sul presupposto della luce fatta di particelle, anch’essa fu abbandonata. Tuttavia, l’intuizione inattesa di Michell a proposito di particelle di luce “intrappolate” ha resistito alla prova del tempo. Il termine “buco nero” fu coniato dal fisico John Wheeler nel 1968 in una conferenza alla American Astronomical Society.

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Un buco nero in una rappresentazione artistica della NASA

Si potrebbe dire che John Michell, nacque sotto una stella oscura. Le sue idee non hanno mai raggiunto la velocità di fuga sufficiente per uscire da Thornhill. È morto nell’oscurità tranquilla, e la sua idea di una “stella oscura” è stata dimenticata fino a quando i suoi scritti sono ri-emersi nel 1970. Infine, le sue idee hanno trovato la loro strada verso la luce.

Tuttavia, la nozione di stelle oscure  fu  ripresa solo nel contesto della teoria della relatività di Einstein, quando gli astronomi accettarono l’idea che poteva essere davvero un modo per dare vita alla creazione di singolarità, con caratteristiche simili a quelle dei buchi neri.    (segue...)

Lucica

Bibliografia

John Michell, On the means of discovering the distance, magnitude etc. of the fixed stars, Philosophical Transactions of the Royal Society (1784)

Introduzione nella Teoria dei Buchi Neri, Institute for Theoretical Physics / Spinoza Institute.

Wald Robert M. ,  Relatività Generale, Università di Chicago, 1984

ISAAC NEWTON – L’UNIVERSO MATEMATICO

        “Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo è un oceano!”

                                                                                                        Isaac Newton

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Sir Isaac Newton

Il maggiore fisico del XVII secolo fu Isaac Newton (1642-1727). Un altro grande fisico, il contemporaneo Albert Einstein, ha definito l’opera di Newton “forse il più grande passo nel campo intellettuale che sia mai stato concesso a un uomo di fare”.

Newton non era adatto a lavorare in collaborazione con altri. Le sue cose migliori non le fece alla Royal Society e nemmeno a Cambridge, ove ottenne a 27 anni una cattedra di matematica, ma, come egli stesso affermò, quando la peste portò alla chiusura dell’Università ed egli poté ritirarsi a casa sua in campagna, isolato da tutti.

Negli anni 1665-66 inventò la formula del binomio che da lui prende nome, il calcolo differenziale e quello integrale. Quindi fece la sua più famosa scoperta, quella della legge della gravitazione universale (essa completava l’opera di Keplero fornendo una spiegazione matematica del movimento dei pianeti). Newton elaborò inoltre, con l’aiuto di prismi, una teoria ottica e una della luce.

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Nel telescopio riflettente (1688) Newton usò come “raccoglitore di luce” uno specchio anziché una lente, che avrebbe provocato errori cromatici.

Tra il 1665 e il 1666, Isaac Newton realizzò col prisma una serie di esperimenti che trasformarono radicalmente le idee tradizionali intorno alla natura della luce e dei colori. Egli praticò un forellino nella finestra della sua stanza perfettamente oscurata. Fece in modo che un prisma intercettasse il raggio di luce che penetrava dalla piccola apertura, proiettando l’immagine su una parete a molti metri di distanza, sulla quale osservò uno spettro non circolare, ma di forma allungata nel quale erano riconoscibili tutti i colori dell’iride. Newton mostrò anche la reversibilità dell’esperimento: proiettando lo spettro policromo su una lente convergente, veniva infatti rigenerato il raggio di luce bianca. Da questi esperimenti dedusse che i colori non erano, come si era ritenuto da Aristotele a Cartesio, modificazioni accidentali della luce bianca. Quest’ultima non appariva più una sostanza elementare, ma eterogenea: il prodotto cioè della miscelazione dei diversi colori. Newton affermò correttamente che lo spettro appariva allungato perché i vari colori presentano diversi indici di rifrazione. Egli derivò da questa scoperta l’idea del telescopio a riflessione, capace di attenuare notevolmente i fastidiosi effetti dell’aberrazione cromatica. I risultati di queste ricerche furono pubblicati da Newton nelle Philosophical Transactions della Royal Society nel 1672 e 1675.

Il link sotto è un’invito nel museo “Galileo Galilei” di Firenze, con un video che tratta l’esperimento di Newton.

http://catalogo.museogalileo.it/multimedia/EsperimentoPrisma.html

 ESPERIMENTO  “PRISMA 1666”
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PRISMA 1666 è un’installazione luminosa interattiva ispirata a questa scoperta, che consiste in quindici cristalli triangolari disseminati casualmente su una superficie bianca all’interno di una sala buia. I visitatori possono utilizzare un’interfaccia gestita da un iPad con cui orientano i fasci di luce proiettati, sperimentando quello che Newton ebbe l’occasione di scoprire molti anni fa.
L’installazione nasce dalla collaborazione tra Wonwei (società tecnologica con sede a Tokyo) e lo studio di design, con base a Shanghai, Super Natura Design. È stata esposta per la prima volta all’International Science and Exhibition Art di Shanghai di quest’anno dove ha ricevuto il Premio per il Miglior Design Creativo.
Newton fece tutte queste scoperte fra i 23 e i 24 anni d’età, ma le pubblicò solo sedici anni più tardi. Carattere chiuso per natura, lui non amava la pubblicità. Inoltre era inquieto per la sua teoria della gravitazione universale. Si racconta, a proposito di questa sua grande scoperta, che un giorno vide una mela cadere da un albero del suo frutteto, e questo gli fece pensare che doveva essere la Terra che attirava la mela. In realtà, egli si stava chiedendo quale forza d’attrazione poteva tenera la Luna nella sua orbita, quando la vista di una mela che cadeva gli fece balenare l’idea che potesse trattarsi della stessa attrazione che agiva sulla mela. Ma era perplesso sulla collocazione dell’attrazione terrestre. Era possibile che la gravità attirasse la mela verso il centro della Terra?
Solo molto più tardi Newton poté rispondere a questo interrogativo con certezza, ma già allora i suoi calcoli erano abbastanza avanzati da poter dimostrare che una sfera uniforme di materia gravitazionale, quale la Terra, attrae i corpi esterni come se tutta la sua massa fosse concentrata nel suo punto centrale. Si possono facilmente immaginare le conseguenze che tale scoperta ebbe sull’astronomia poiché, una volta stabilito che il Sole e i pianeti sono corpi solidi, anche i calcoli astronomici avrebbero potuto raggiungere l’esattezza matematica.
Newton si rese conto che se le particelle si fossero attratte l’una l’altra in modo aleatorio, ci sarebbe stato ben poco ordine nella natura. Così nel primo libro della sua opera Principia Mathematica, dimostrò non solo che le forze di attrazione dei pianeti agiscono come se fossero concentrate ai rispettivi centri, ma anche che esse variano in misura inversamente proporzionale al quadrato della distanza fra i loro centri.
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 Isaac Newton – Principia Mathematica, l’opera in cui lo scienziato espose un unico sistema di leggi fisiche atto a spiegare sia i movimenti dei corpi sulla superficie della Terra, sia quelli dei corpi celesti. 
LA LEGGE DELLA GRAVITAZIONE DI NEWTON
Ogni punto materiale attrae ogni altro singolo punto materiale con una forza che punta lungo la linea di intersezione di entrambi i punti. La forza è proporzionale al prodotto delle due masse e inversamente proporzionale al quadrato della distanza fra loro.
 
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dove:

Schema di due masse che si attraggono l'un l'altra

Era così dimostrato che la natura non solo è una macchina, ma una macchina dotata di un’armonia e di un equilibrio veramente eccelsi.
Newton, che era una persona religiosa, considerò tutte le sue scoperte sul funzionamento dell’universo come una prova dell’esistenza di Dio, della sua grandezza e della sua perfezione. Egli era anche estremamente modesto, e fu solo per insistenza dell’astronomo Edmund Halley (1656-1743) che pubblicò la sua opera Principia. I rapporti fra Newton e gli altri membri della Royal Society furono però a volte poco felici, e alcuni dei suoi contemporanei, fra cui lo scienziato Robert Hooke (1635-1703), gli contestarono la priorità di certe scoperte di matematica. tali controversie erano in parte dovute al grande ritardo con cui Newton pubblicava le sue scoperte.
Newton divenne più socievole invecchiando. Quando Giacomo II tentò di abolire i privilegi delle Università, egli si batté tenacemente in Parlamento per Cambridge. Più tardi fu eletto presidente della Royal Society e direttore della Zecca Reale.
Nel suo trattato del 1705, Edmund Halley, basandosi sul metodo di Newton, calcolò gli elementi orbitali di 24 comete, le sole per cui avesse osservazioni affidabili. Halley era convinto già da alcuni anni che le comete fossero oggetti permanenti del Sistema Solare, caratterizzate da orbite ellittiche estremamente eccentriche. Notando come gli elementi orbitali da lui calcolati per le comete del 1531,1607 e 1682 fossero estremamente simili, propose che si trattasse di una stessa cometa che si ripresentava a intervalli regolari di circa 76 anni. Imputò la differenza di periodo tra i successivi passaggi della cometa, più’ di 76 anni tra il primo e il secondo, ma meno di 75 tra il secondo e il terzo, all’effetto di “perturbazione” che i grandi pianeti, Giove e Saturno, esercitavano sull’orbita cometaria. Halley previde il ritorno della cometa per l’anno 1759! Era la prima volta che qualcuno annunciava l’arrivo di una cometa e la cosa suscitò grande scalpore. Per calcolare il periodo esatto con cui la cometa sarebbe tornata e la zona del cielo in cui sarebbe inizialmente apparsa era dunque necessario includere questi effetti perturbativi nei calcoli della sua orbita. Per le capacità di calcolo di cui disponevano gli astronomi dell’epoca, le difficoltà dell’impresa erano formidabili.
Tabella astronomica di Halley con i movimenti delle comete da lui studiate (ed. del 1752). Si noti la somiglianza tra gli elementi orbitali per le comete del 1531, 1607 e 1682.
Orrery ( dal nome del conte d'Orrery (1676-1731), un modello meccanico dell'universo newtoniano.

Orrery ( dal nome del conte d’Orrery (1676-1731), un modello meccanico dell’universo newtoniano.

                                                                                                                                                              Lucica

COSMOLOGIA – CENNI STORICI – prima parte

In ogni secolo gli esseri umani hanno pensato di aver capito definitivamente l’Universo e, in ogni secolo, si è capito che avevano sbagliato. Da ciò segue che l’unica cosa certa che possiamo dire oggi sulle nostre attuali conoscenze è che sono sbagliate.

                                                              Isaac Asimov, Grande come l’universo, Saggi sulla scienza

La cosmologia nasce quando l’uomo incomincia a porsi le grandi domande che riguardano la propria collocazione nell’universo e l’origine, ed eventualmente la fine, dell’universo stesso.

All’alba della civiltà, queste domande hanno una risposta di tipo religioso: gli astri sono visti come dei e a essi si attribuisce il potere di influire sui destini umani. L’interpretazione religiosa lascia tracce anche in quella successiva, di tipo filosofico, che si consolida in Grecia con Aristotele: dagli dei gli oggetti celesti ereditano caratteristiche come la perfezione, l’immutabilità, l’eternità. La cosmologia diventa scientifica quando , con Galileo Galilei (1564-1642), la riflessione sull’universo incomincia a basarsi sull’osservazione.

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Un’incisione con l’orbita dei pianeti e delle costellazioni intorno alla Terra, pubblicata da Andreas Cellarius nell’opera Harmonia Macrocosmica (1660) 

L’attuale concezione evolutiva dell’universo è però molto recente: si afferma soltanto nella seconda metà del Novecento, con l’accumularsi di indizi osservativi a favore del Big Bang, il grande scoppio primordiale dalla cui energia si sarebbe formata, 15 miliardi di anni fa, la materia. Questa materia, con successive trasformazioni, ha generato tutto ciò che oggi osserviamo.

La cosmologia è per definizione “Scienza del Tutto“. Questa definizione soffre tuttavia di una limitazione fondamentale: non tutte le cose che appaiono nell’universo sono percepibili o osservabili con gli strumenti attualmente in nostro possesso e dobbiamo per forza di cose limitarci a considerare solamente quelle che sono sia pure indirettamente accessibili o ipotizzabili. Ne segue che ogni concezione dell’universo risente del contesto storico in cui è stata formulata e che quello che nel passato era considerato come l’intero universo appare oggi come una parte inpercettibile del tutto. Non possiamo quindi escludere che lo stesso destino attenda la pur grandiosa macchina cosmica del modello attuale.

L’universo geocentrico di Aristotele era eterno e supponeva che tutti i corpi celesti si muovessero intorno alla Terra lungo orbite circolari. Nel II secolo d.C. lo schema aristotelico fu ripreso da Tolomeo (100 circa-175 circa) che lo strutturò in una serie di sfere concentriche, fatte di “quintessenza” (il Quinto Elemento, oltre il mondo fenomenico, costituente i corpi celesti), e di epicicli, ossia di cerchi minori in movimento lungo le sfere principali.

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Claudio Tolomeo

Il modello di Tolomeo fu infine incorporato da San Tommaso d’Aquino nella visione cristiana del mondo.

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Claudio Tolomeo, Almagesto

E’ il nome arabo (“al-Magesti”) di un trattato astronomico del II° secolo (intorno al 150) che spiega i moti delle stelle, dei pianeti e della Luna secondo un modello geocentrico che pone la Terra al centro dell’universo. Per più di mille anni fu accettato nei paesi occidentali e arabi come il corretto modello cosmologico. Fu scritto originariamente in greco col titolo “He’ Megale’ Syntaxis” (“Il grande trattato”) da Claudio Tolomeo di Alessandria d’Egitto. Il modello descritto è quindi detto modello tolemaico.

Nella cosmologia di San Tommaso l’universo perde la sua immutabilità perché creato da Dio e lo stesso Dio continua a essere presente nel cosmo come motore immobile della sfera delle stelle fisse che trascina con sé le altre. Questo modello, che è in effetti una sintesi di quello biblico e di quello aristotelico, regnò incontrastato fino a quando  Giovanni Buridano (1300 circa- 1361) mosse nel Trecento una prima critica sostenendo che il moto delle stelle non era mantenuto dall’intelligenza divina, il dantesco “amor che muove il sole e le altre stelle”, bensì dalle stesse leggi che governano il moto dei corpi materiali sulla Terra.

Un’altra crisi fu aperta da Giordano Bruno (1548-1600) con la transizione dall’universo finito all’universo infinito e privo di centro; lo stesso Bruno pagò con il rogo questa idea.

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Giordano Bruno

Il sistema eliocentrico, cioè il sistema che pone il Sole al centro del mondo, fu proposto in forma anonima dal canonico Nicolò Copernico nel 1514 e successivamente venne sostenuto sia da Galileo Galilei che da Keplero, nonostante alcuni difetti.

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Una rappresentazione dell’universo in chiave eliocentrica, con il Sole al centro dell’orbita della Terra e di quella dei altri pianeti. Il primo a suggerire questa visione fu Copernico nel 1514.

Nel 1609 Galileo, usando il cannocchiale, scoprì i satelliti di Giove e inflisse un ultimo colpo al sistema tolemaico.

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Ritratto di Niccolò Copernico esposto presso il municipio di Torun (Polonia) dal 1580

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Galileo Galilei

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Giovanni Keplero

Nella nascita della cosmologia moderna va sottolineata l’importanza che ebbe la visione di Galilei e di Keplero, ambedue convinti che il “gran libro della natura” fosse scritto in linguaggio matematico. La scoperta del cannocchiale espanse i limiti dell’universo al di là di quanto era immaginabile per Tolomeo. Galileo fu il primo a rendersi conto che la Via Lattea era un immenso aggregato di stelle.

La pubblicazione nel 1687 dei “Philosophiae naturalis principia mathematica” (Principi matematici della filosofia naturale) di Newton(1642-1727) rimane uno dei avvenimenti più significativi nella storia della scienza e in particolare della cosmologia.

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Sir Isaac Newton

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Isaac Newton, Philosophiae naturalis principia mathematica, copertina, prima edizione 1686/1687

In quest’opera Newton propose una teoria del moto dei corpi ed elaborò il calcolo infinitesimale che ne era la controparte matematica. Inoltre Newton postulò quella legge della gravitazione universale che ancora oggi rende conto con grande precisione del moto dei corpi celesti.

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Una pagina del trattato di Newton con la legge del moto dei corpi celesti

Secondo Newton, l’universo infinito non aveva centro ed evitava così il collasso. In realtà l’universo infinito non sarebbe stato comunque stabile, poiché un piccolo addensamento locale avrebbe creato le condizioni per la propria crescita destabilizzando l’intera struttura. Nessun discorso cosmologico può prescindere da una stima delle dimensioni dell’universo.  La conquista di questo parametro è stata molto difficile ed è avvenuta soltanto nell’Ottocento. Fino a meno di due secoli fa si conoscevano esclusivamente le dimensioni del Sistema Solare, e anche questo con larga approssimazione. Non si aveva invece un’idea realistica della distanza delle stelle. Nel 1838 Friedrich Wilhelm Bessel (1784-1846) misurò per la prima volta la distanza tra una stella e l’altra, mediante il metodo della triangolazione diretta ottenendo 10 anni luce.

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Friedrich Wilhelm Bessel

La stella più vicina risultò ad essere Alfa Centauri, che dista 4,3 anni luce dalla Terra.

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La posizione della stella Alfa Centauri nella costellazione Centauro

(segue…) 

                                                                       Lucica