Aldo Manuzio, il perfetto equilibrio tra arte, tecnica e mercato.

di Donatella Salambat

Aldo Manuzio genio dell’umanesimo e fondatore dell’arte tipografica. In mostra all’Ambrosiana nel V° centenario della sua morte.

 

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In un’epoca in cui il libro corre velocemente verso trasformazioni digitali, grandi gruppi editoriali si uniscono e l’e-book tenta di cambiare le nostre abitudini di lettura. La Biblioteca Ambrosiana, fondata dal cardinale Federico Borromeo (e  che ha oggi come prefetto monsignor Franco Buzzi) tuttora legittima espressione e vanto della Chiesa cattolica per essere uno dei centri mondiali d’irradiazione culturale, celebra con un evento straordinario la figura di Aldo Manuzio, uno dei più famosi tipografi ed editori d’Europa.

Nato a Bassiano (oggi comune di Latina) nel 1449, morì a Venezia nel 1515. Dopo anni di formazione umanistica vissuta tra Roma e Ferrara, si trasferì nel capoluogo veneto, città che fu per secoli crocevia di creatività, apertura culturale e fonte d’ispirazione per artisti, scrittori e umanisti.

Aldo Manuzio diventa uno dei maggiori tipografi del suo tempo, il primo editore moderno in quanto introduce innovazioni destinate a segnare la storia della tipografia e dell’editoria sino ai giorni nostri, come nell’ambito della punteggiatura l’apostrofo, il punto, la virgola ed il punto e virgola. In questa mostra si può constatare che tra le immagini appare il geroglifico con l’ancora e il delfino che dal 1502 diviene l’emblema della tipografia.

L’esposizione delle “Aldine”, curata dalla dott.ssa Marina Bonomelli, dell’Accademia Ambrosiana, e dal dott. Angelo Colombo, Catalogatore della Biblioteca, che si terrà presso la Pinacoteca Ambrosiana, dal 2 dicembre 2015 al 28 febbraio 2016, ripercorrerà il meticoloso lavoro di Manuzio, attraverso una selezione dei suoi stampati custoditi nella Biblioteca.

Aldo Manuzio rappresenta il perfetto equilibrio tra arte, tecnica e mercato e per comprendere al meglio la sua figura, ciò che ha rappresentato e tuttora rappresenta abbiamo rivolto alcune domande sia alla curatrice della mostra, dott.ssa Marina Bonomelli, sia al dott. Angelo Colombo, catalogatore della Biblioteca Ambrosiana e sia al Dott. Federico Gallo, direttore dell’Ambrosiana.

Rivolgiamo il primo quesito al dottore dell’Ambrosiana, Federico Gallo, direttore della Biblioteca.

Prima della Mostra delle “Aldine”, in Ambrosiana si è svolto un convegno internazionale su Aldo Manuzio. Qual è il bilancio degli studi presentati?

Il Convegno internazionale svoltosi in Ambrosiana il 19-20 novembre si è chiuso con un bilancio altamente positivo. Sono intervenuti, tra gli altri, i maggiori specialisti sull’argomento a livello mondiale. La biografia di Aldo Manuzio, la storia della sua attività, lo studio delle collezioni dei suoi libri hanno ricevuto nuova luce, nuovi dati, nuove prospettive per la ricerca. Particolarmente interessanti sono stati i momenti di dibattito tra gli studiosi, ai quali ha partecipato in modo costruttivo e competente il pubblico qualificato presente.

Alcune domande specifiche sull’obiettivo della mostra e il messaggio che vuole trasmettere le abbiamo invece rivolte ai curatori della medesima, il dott. Angelo Colombo e la dott.ssa Marina Bonomelli. Cominciamo con il dott. Colombo.

Che cosa vi siete prefissi con questa esposizione?

La mostra ha uno scopo didattico: far conoscere la figura e l’opera di Aldo Manuzio. Non vuole essere un evento riservato ad una ristretta cerchia di bibliofili, bensì aperto al grande pubblico per far conoscere un protagonista della nostra storia culturale. Manuzio fu stampatore, editore, umanista. Alla base della sua attività c’era un deale ben preciso: rivelare, far conoscere il bello, additare agli uomini la grandezza dei pensieri di Platone, la profondità delle ricerche di Aristotele, la suggestione delle liriche greche … pubblicare opere belle … moltiplicare i libri per tutti … far partecipi tutti della ricchezza spirituale della cultura classica.

Che cosa dice a noi contemporanei un personaggio come Manuzio?

Manuzio introduce nella sua stamperia alcune importanti novità, che sono all’origine del libro moderno. Per comprenderne il valore e la portata, potremmo definire Manuzio lo Steve Jobs dell’umanesimo: colui che ha saputo introdurre nella nuova arte della stampa, criteri insieme di bellezza e di efficienza, fino allora sconosciuti. Un vero salto di qualità!

Quali sono queste novità introdotte da Aldo e dalla sua stamperia?

La prima riguarda i caratteri di stampa: l’italico e il corsivo. La seconda il formato dei volumi: non più i grossi volumi che connotavano i manoscritti, ma il formato tascabile, in ottavo. La terza la disposizione grafica del testo, con l’utilissima introduzione della punteggiatura, che rende finalmente leggibili testi alle volte di ostica comprensione. Il suo messaggio per l’uomo d’oggi è riassumibile nelle sue stesse parole:

“ … se si maneggiassero di più i libri che le armi, non si vedrebbero tante stragi, tanti misfatti e tante brutture, tanta insipida e tetra lussuria …”

Con la dottoressa Marina Bonomelli ci siamo invece avventurati nelle campo delle sensazioni persnali.

Quanto tempo l’ha impegnata a pensare la mostra e quanto tempo le è occorso per allestirla?

L’allestimento di questa mostra ha comportato un accurato lavoro, durato più di anno, di ricognizione e analisi del patrimonio delle aldine della Biblioteca Ambrosiana che conserva in tutto ben 296 esemplari, una collezione preziosissima, fra le più rilevanti a livello internazionale. Una suggestiva selezione di 30 aldine è esposta in mostra, in un percorso tematico-cronologico lungo il quale il visitatore potrà ammirare le edizioni più rappresentative della produzione aldina, come anche gli esemplari più singolari di questa collezione.

C’è un lavoro di Manunzio che predilige e che trova spazio nella mostra da lei curata?

In realtà sono due le opere che prediligo e che segnano in modo profondo e durevole la storia del libro. La prima è l’Hypnerotomachia Poliphili del 1499,in assoluto il più bel libro illustrato del Rinascimento, per la varietà della composizione tipografica con cui Aldo sa unire il testo alle immagini. La seconda è il Virgilio del 1501, il primo libro in formato portatile e stampato con il carattere corsivo, opera con la quale Aldo dà avvio alla produzione dei classici latini, greci e in volgare.

 

Il cittadino chiede “certezza della pena”, come Beccaria 250 anni fa

di Donatella Salambat

Una recente mostra alla Biblioteca Ambrosiana ha riproposto il tema della giustizia partendo dal pensiero dell’illustre Milanese vissuto nel secolo XVIII e diventato celeberrimo nel mondo per il suo “Dei delitti e delle pene”.

 

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Nell’apprendere notizie su reati contro le persone o la proprietà la reazione del cittadino, dell’uomo della strada, è di chiedere che il reo sia arrestato e condannato. Ognuno di noi pretende che si possa contare sulla cosiddetta “certezza della pena”, intesa soprattutto come presupposto per la sicurezza.

Spesso, però, dimentichiamo che l’insicurezza che oggi ciascuno di noi avverte è dovuta non solo agli atti criminali, ma anche a un’ assoluta mancanza di legami all’interno della società. È mutato il rapporto con le autorità; il lavoro precario è aumentato così come è cresciuta enormemente la disoccupazione. Di fatto l’intera realtà che ci circonda ha subito trasformazioni epocali.

La Biblioteca Ambrosiana (l’importante centro d’irradiazione della cultura cattolica voluto dal cardinale Federico Borromeo), nei mesi scorsi ha allestito la mostra “Giustizia e ingiustizia a Milano tra Cinquecento e Settecento” e una serie d’incontri con la partecipazione di selezionati studiosi italiani e stranieri.

La mostra, che si articolava in sette vetrine ricche di documenti e incisioni, affrontava questo tema attraverso una capillare e metodica ricerca iconografica e documentaria del materiale presente nei fondi della Biblioteca per ricostruire un quadro sintetico delle diverse rappresentazioni attinenti la sfera della giustizia.

Nella Sala del Prefetto dell’Ambrosiana, si trova una targa con il motto “Securitas propriae vitae jus nautrale est securitas bonorum jus societatis” che rievoca l’ispirazione e il fondamento dell’opera “Dei delitti e delle pene” del nobile Cesare Beccaria (Milano 15 marzo 1738 – Milano 28 Novembre 1794), giurista, filosofo, economista ed anche una figura di spicco della scuola illuminista milanese.

Il libro, un’approfondita analisi politica e giuridica contro la pena di morte e la tortura, ispirò il codice penale voluto dal granduca Pietro Leopoldo di Toscana e fu fonte di ispirazione per i padri fondatori degli Stati Uniti d’America come Thomas Jefferson, Benjamin Franklin e John Adams.

Beccaria ebbe quattro figli; la primogenita Giulia sposò un gentiluomo lecchese, Pietro Manzoni, più anziano di ventisei anni, padre di quell’Alessandro scrittore e poeta italiano di fama internazionale, il quale, dopo la scomparsa del Beccaria, riprenderà alcune riflessioni sulla giustizia nel suo capolavoro “I Promessi Sposi” e ancor di più nella “Storia della colonna infame”.

La storia della giustizia annovera, tra gli studiosi più rappresentativi, ben tre personaggi milanesi, Cesare Beccaria, Pietro Verri ed Alessandro Manzoni, legati tra di loro oltre che per i contenuti dell’opera “Dei delitti e delle pene”, da una riflessione più ampia sul sistema di detenzione e di rieducazione dei carcerati.

Beccaria riteneva che l’entità della pena dovesse essere commisurata al delitto. La sua critica ai metodi barbarici dell’espiazione della pena in vigore ai suoi tempi ottenne un successo mondiale. Beccaria inoltre criticava quei regimi in cui non esisteva la presunzione di innocenza né la certezza della pena; sosteneva poi che il processo dovesse avere una ragionevole durata e che la sentenza dovesse arrivare in tempi certi.

Oggi chiedere più sicurezza significa innanzi tutto realizzare uno stato di diritto che tutela i cittadini proteggendoli da coloro che li vessano o minacciano. Purtroppo nel nostro Paese l’operato delle forze di pubblica sicurezza viene spesso vanificato dalla lentezza di un sistema giudiziario ed istituzionale incapace di consegnare i delinquenti alla giustizia. La pubblica opinione chiede quello che Cesare Beccaria intuì molto tempo fa: “la certezza della pena”.

La giustizia è un pilastro fondamentale di ogni società; e con Beccaria dovremmo pensare alla pena detentiva non solo come ad una “condanna”, ma vedere in essa la capacità di “rieducare” il reo, almeno in tutti casi in cui ciò sia possibile. La mostra tenuta alla Biblioteca Ambrosiana avrà dato qualche suggerimento al dibattito sulla riforma della giustizia in atto in Italia?

 

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