COSMOLOGIA – CENNI STORICI – prima parte

In ogni secolo gli esseri umani hanno pensato di aver capito definitivamente l’Universo e, in ogni secolo, si è capito che avevano sbagliato. Da ciò segue che l’unica cosa certa che possiamo dire oggi sulle nostre attuali conoscenze è che sono sbagliate.

                                                              Isaac Asimov, Grande come l’universo, Saggi sulla scienza

La cosmologia nasce quando l’uomo incomincia a porsi le grandi domande che riguardano la propria collocazione nell’universo e l’origine, ed eventualmente la fine, dell’universo stesso.

All’alba della civiltà, queste domande hanno una risposta di tipo religioso: gli astri sono visti come dei e a essi si attribuisce il potere di influire sui destini umani. L’interpretazione religiosa lascia tracce anche in quella successiva, di tipo filosofico, che si consolida in Grecia con Aristotele: dagli dei gli oggetti celesti ereditano caratteristiche come la perfezione, l’immutabilità, l’eternità. La cosmologia diventa scientifica quando , con Galileo Galilei (1564-1642), la riflessione sull’universo incomincia a basarsi sull’osservazione.

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Un’incisione con l’orbita dei pianeti e delle costellazioni intorno alla Terra, pubblicata da Andreas Cellarius nell’opera Harmonia Macrocosmica (1660) 

L’attuale concezione evolutiva dell’universo è però molto recente: si afferma soltanto nella seconda metà del Novecento, con l’accumularsi di indizi osservativi a favore del Big Bang, il grande scoppio primordiale dalla cui energia si sarebbe formata, 15 miliardi di anni fa, la materia. Questa materia, con successive trasformazioni, ha generato tutto ciò che oggi osserviamo.

La cosmologia è per definizione “Scienza del Tutto“. Questa definizione soffre tuttavia di una limitazione fondamentale: non tutte le cose che appaiono nell’universo sono percepibili o osservabili con gli strumenti attualmente in nostro possesso e dobbiamo per forza di cose limitarci a considerare solamente quelle che sono sia pure indirettamente accessibili o ipotizzabili. Ne segue che ogni concezione dell’universo risente del contesto storico in cui è stata formulata e che quello che nel passato era considerato come l’intero universo appare oggi come una parte inpercettibile del tutto. Non possiamo quindi escludere che lo stesso destino attenda la pur grandiosa macchina cosmica del modello attuale.

L’universo geocentrico di Aristotele era eterno e supponeva che tutti i corpi celesti si muovessero intorno alla Terra lungo orbite circolari. Nel II secolo d.C. lo schema aristotelico fu ripreso da Tolomeo (100 circa-175 circa) che lo strutturò in una serie di sfere concentriche, fatte di “quintessenza” (il Quinto Elemento, oltre il mondo fenomenico, costituente i corpi celesti), e di epicicli, ossia di cerchi minori in movimento lungo le sfere principali.

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Claudio Tolomeo

Il modello di Tolomeo fu infine incorporato da San Tommaso d’Aquino nella visione cristiana del mondo.

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Claudio Tolomeo, Almagesto

E’ il nome arabo (“al-Magesti”) di un trattato astronomico del II° secolo (intorno al 150) che spiega i moti delle stelle, dei pianeti e della Luna secondo un modello geocentrico che pone la Terra al centro dell’universo. Per più di mille anni fu accettato nei paesi occidentali e arabi come il corretto modello cosmologico. Fu scritto originariamente in greco col titolo “He’ Megale’ Syntaxis” (“Il grande trattato”) da Claudio Tolomeo di Alessandria d’Egitto. Il modello descritto è quindi detto modello tolemaico.

Nella cosmologia di San Tommaso l’universo perde la sua immutabilità perché creato da Dio e lo stesso Dio continua a essere presente nel cosmo come motore immobile della sfera delle stelle fisse che trascina con sé le altre. Questo modello, che è in effetti una sintesi di quello biblico e di quello aristotelico, regnò incontrastato fino a quando  Giovanni Buridano (1300 circa- 1361) mosse nel Trecento una prima critica sostenendo che il moto delle stelle non era mantenuto dall’intelligenza divina, il dantesco “amor che muove il sole e le altre stelle”, bensì dalle stesse leggi che governano il moto dei corpi materiali sulla Terra.

Un’altra crisi fu aperta da Giordano Bruno (1548-1600) con la transizione dall’universo finito all’universo infinito e privo di centro; lo stesso Bruno pagò con il rogo questa idea.

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Giordano Bruno

Il sistema eliocentrico, cioè il sistema che pone il Sole al centro del mondo, fu proposto in forma anonima dal canonico Nicolò Copernico nel 1514 e successivamente venne sostenuto sia da Galileo Galilei che da Keplero, nonostante alcuni difetti.

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Una rappresentazione dell’universo in chiave eliocentrica, con il Sole al centro dell’orbita della Terra e di quella dei altri pianeti. Il primo a suggerire questa visione fu Copernico nel 1514.

Nel 1609 Galileo, usando il cannocchiale, scoprì i satelliti di Giove e inflisse un ultimo colpo al sistema tolemaico.

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Ritratto di Niccolò Copernico esposto presso il municipio di Torun (Polonia) dal 1580

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Galileo Galilei

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Giovanni Keplero

Nella nascita della cosmologia moderna va sottolineata l’importanza che ebbe la visione di Galilei e di Keplero, ambedue convinti che il “gran libro della natura” fosse scritto in linguaggio matematico. La scoperta del cannocchiale espanse i limiti dell’universo al di là di quanto era immaginabile per Tolomeo. Galileo fu il primo a rendersi conto che la Via Lattea era un immenso aggregato di stelle.

La pubblicazione nel 1687 dei “Philosophiae naturalis principia mathematica” (Principi matematici della filosofia naturale) di Newton(1642-1727) rimane uno dei avvenimenti più significativi nella storia della scienza e in particolare della cosmologia.

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Sir Isaac Newton

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Isaac Newton, Philosophiae naturalis principia mathematica, copertina, prima edizione 1686/1687

In quest’opera Newton propose una teoria del moto dei corpi ed elaborò il calcolo infinitesimale che ne era la controparte matematica. Inoltre Newton postulò quella legge della gravitazione universale che ancora oggi rende conto con grande precisione del moto dei corpi celesti.

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Una pagina del trattato di Newton con la legge del moto dei corpi celesti

Secondo Newton, l’universo infinito non aveva centro ed evitava così il collasso. In realtà l’universo infinito non sarebbe stato comunque stabile, poiché un piccolo addensamento locale avrebbe creato le condizioni per la propria crescita destabilizzando l’intera struttura. Nessun discorso cosmologico può prescindere da una stima delle dimensioni dell’universo.  La conquista di questo parametro è stata molto difficile ed è avvenuta soltanto nell’Ottocento. Fino a meno di due secoli fa si conoscevano esclusivamente le dimensioni del Sistema Solare, e anche questo con larga approssimazione. Non si aveva invece un’idea realistica della distanza delle stelle. Nel 1838 Friedrich Wilhelm Bessel (1784-1846) misurò per la prima volta la distanza tra una stella e l’altra, mediante il metodo della triangolazione diretta ottenendo 10 anni luce.

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Friedrich Wilhelm Bessel

La stella più vicina risultò ad essere Alfa Centauri, che dista 4,3 anni luce dalla Terra.

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La posizione della stella Alfa Centauri nella costellazione Centauro

(segue…) 

                                                                       Lucica

ARISTOTELE

Se si deve filosofare, si deve filosofare e se non si deve filosofare, si deve filosofare; in ogni caso dunque si deve filosofare. Se infatti la filosofia esiste, siamo certamente tenuti a filosofare, dal momento che essa esiste; se invece non esiste, anche in questo caso siamo tenuti a cercare come mai la filosofia non esiste, e cercando facciamo filosofia, dal momento che la ricerca è la causa e l’origine della filosofia.”

Aristotele, Protrettico, fr.424, in Opere, a c. di G. Giannantoni, Roma-Bari , Laterza, 1973

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Aristotele (384 a.C.-322 a.C.), filosofo greco antico

Aristotele fu il più famoso fra gli allievi dell’Accademia Platonica. Nato a Stagira, in Tracia, nel 384 a.C., nel 366 andò ad Atene, ove rimase fino alla morte di Platone. Divenne poi precettore del giovane Alessandro di Macedonia e, quando questi salì al trono, fondo in Atene il Liceo e vi insegnò. Morto Alessandro Magno nel 323, Aristotele si ritirò a Calcide di Eubea (Grecia Centrale), ove si spense l’anno successivo.

Anche se, quale membro dell’Accademia, Aristotele fu a conoscenza della matematica dell’epoca, il suo interesse scientifico era rivolto alla biologia, una materia che richiede che si affrontino in modo diverso molte questioni di metodo (lo schema aristotelico di classificazione degli animali, la “scala di natura” faceva ancora testo nel Medioevo). D’altra parte Aristotele andò totalmente fuori strada nel campo delle scienze fisiche-ove gli Ionici( una delle stirpi dell’antica Grecia) e Platone si erano avvicinati di lui più alla verità- perché egli applicò anche alla fisica e all’astronomia il cosiddetto principio teleologico.

In base a tale principio noi dovremmo cercare non l’origine delle cose ma i fini cui esse tendono (télos in greco significa “scopo”). Ora, se questo modo di pensare va benissimo nelle cose umane, dove possiamo effettivamente spiegarci il comportamento di una persona dal fine che essa si prefigge di raggiungere, nel campo delle scienze questo porta a false conclusioni, anche se fornite da una certa apparenza di plausibilità. Infatti Aristotele lo usò per spiegare lo sviluppo degli animali e delle piante-concependo tale sviluppo come il perseguimento di un fine-, e per spiegare le leggi fisiche: ma sostenere che una pietra cade perché essa cerca il centro delle cose, non spiega assolutamente nulla. Le dottrine di Aristotele esercitarono una tale influenza nel corso dei secoli tanto che ancor oggi se ne trovano tracce nel nostro linguaggio quotidiano, anche se il comportamento o i fatti che ne derivano sono ben lontani dal pensiero originale aristotelico.

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August Rodin, La Mano di Dio, 1896, Parigi, Museo Rodin

La teoria aristotelica di forma e materia ha influenzato il mondo occidentale per secoli. La materia era la “sostanza” (letteralmente “ciò che sta sotto”), cioè il materiale base di cui ogni cosa è fatta; la “forma” dava invece identità alla materia in quanto cosa particolare. August Rodin (1840-1917) usò questa concezione quando rappresentò “La Mano di Dio” che forgia l’uomo: la forma- l’uomo- è potenziale nella creta, e nell’atto della creazione Dio la rende attuale.

Uno dei concetti filosofici fondamentali di Aristotele è che le cose sono quello che sono in virtù della loro potenzialità, cioè per il fatto di poter passare dalla semplice potenzialità alla realtà. Così, una ghianda è potenzialmente una quercia, poiché nelle condizioni adatte può svilupparsi in una quercia: ciò che la ghianda porta dentro di sé è la forma della quercia.

Infatti per lui ogni cosa consiste di materia, che è la “sostanza” informe e indifferenziata, alla quale la “forma” dà un’identità che fa sì che la cosa sia quello che è. La “forma” aristotelica deriva dall’Idea platonica, ma mentre in Platone le idee sono trascendenti, cioè al di sopra e al di là degli oggetti dei sensi, la forma di Aristotele è immanente, cioè insita negli oggetti stessi.

Aristotele è il primo filosofo a darci un compiuto sistema di logica. Accenni e tentativi in questo senso li troviamo anche prima di lui, ma non come una trattazione sistematica. Ed egli stesso non dà a questa parte della sua opera il nome di logica, un termine che verrà impiegato molto più tardi. Già Socrate aveva fatto rilevare che quello che noi dobbiamo fare è, nel parlare delle cose-cioè nelle nostre affermazioni-, cercare la Verità. La logica riguarda appunto il modo con cui noi parliamo, il linguaggio. Aristotele però, nello sforzo continuo di analizzare il linguaggio, fa spesso della pura e semplice linguistica.Cominciamo con l’enumerazione aristotelica delle categorie, questi vari possibili predicati della sostanza, che Aristotele definisce come termini che hanno un significato di per sé e che contrappone a quelle parole che hanno invece un significato solo nel contesto di una proposizione. Aristotele elenca dieci categorie: sostanza, qualità, quantità, relazione, spazio, tempo, azione, passione, e accanto a queste, il giacere e l‘avere, cioè la posizione e lo stato. Questi sono i predicati più generali possibili delle cose. La sostanza (ciò che è alla base, la forma immanente) è ciò di cui si parla, mentre le altre categorie esprimono in genere come di essa si parla. La logica aristotelica influenzò talmente i grammatici posteriori che noi parliamo anche oggi di sostantivi, le parole che funzionano in genere da soggetto in una proposizione. Per spiegare meglio la teoria delle categorie, prendiamo come esempio un libro (sostanza). Esso ha un peso (quantità), è interessante (qualità), appartiene a qualcuno (relazione), giace (posizione), è aperto (stato), sul tavolo (spazio), in questo momento (tempo), e, letto (passione), fornisce informazioni (azione). E’ un esempio che lascia vedere come Aristotele analizzava il linguaggio, il quale non è un fenomeno casuale, ma serve agli uomini per affrontare la realtà. E Aristotele conclude che il linguaggio riflette il mondo reale.

L’aristotelismo fu ripreso e sviluppato nelle diverse epoche da diversi movimenti dottrinali. I successori continuarono l’opera del filosofo greco soprattutto nel campo delle ricerche scientifiche e storiche. Tra questi ricordiamo Teofrasto di Eresso che coltivò la Botanica, Eudemio di Rodi, per la Storia delle Scienze, Stratone di Lamprasco in campo della Fisica..

Intorno al III secolo d.C. l’aristotelismo incomincia a perdere la sua autonomia speculativa, trovando i continuatori nelle scuole del Neoplatonismo, rifondendo in esse il pensiero e il messaggio di Aristotele. Altri illustri esponenti nel campo filosofico e scientifico, quali Galilei e Copernico rivisitarono il Cosmo aristotelico, inducendo l’uomo a cercare in sè stesso il proprio centro, e nella storia umana il suo effettivo mondo.

Il grande merito di Aristotele è comunque quello di aver divulgato una concezione che crede nei limiti dell’umano, riponendo la saggezza nella fedeltà all’Essere.

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Aristotele. Dettaglio della Scuola di Atene di Raffaello Sanzio, 1509, Musei Vaticani, Città del Vaticano

Gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia: mentre da principio restavano meravigliati di fronte alle difficoltà più semplici, in seguito, progredendo a poco a poco, giunsero a porsi problemi sempre maggiori: per esempio i problemi riguardanti i fenomeni della luna e quelli del sole e degli altri astri, o i problemi riguardanti la generazione dell’intero universo. Ora, chi prova un senso di dubbio e di meraviglia riconosce di non sapere; ed è per questo che anche colui che ama il mito è, in certo qual modo, filosofo: il mito, infatti, è costituito da un insieme di cose che destano meraviglia. Cosicché, se gli uomini hanno filosofato per liberarsi dall’ignoranza, è evidente che ricercano il conoscere solo al fine di sapere e non per conseguire qualche utilità pratica. E il modo stesso in cui si sono svolti i fatti lo dimostra: quando già c’era pressoché tutto ciò che necessitava alla vita ed anche all’agiatezza ed al benessere, allora si incominciò a ricercare questa forma di conoscenza. E’ evidente, dunque, che noi non la ricerchiamo per nessun vantaggio che sia estraneo ad essa; e, anzi, è evidente che, come diciamo uomo libero colui che è fine a se stesso e non è asservito ad altri, così questa sola, tra tutte le altre scienze, la diciamo libera: essa sola, infatti, è fine a se stessa”.

Aristotele, Metafisica (I,2,982b)

                                                                                    Lucica Bianchi