STEFANO TIRINZONI.Una vita per la montagna e per l’ambiente.

 

tirinzoni                                                                                                                                                                               Guido Combi

 

Questo è il titolo del volume che ho curato e in parte scritto e che la Fondazione Luigi Bombardieri di Sondrio ha presentato  all’ auditorium Torelli il 3 ottobre 2014.

La Fondazione ha voluto così ricordare il suo presidente prematuramente scomparso nel 2011.

Stefano Tirinzoni, nato a Sondrio nel 1949 e ivi deceduto nel 2011, aveva 62 anni e discendeva da una famiglia talamonese, di cui esistono ancora numerosi parenti.

Il nonno Eugenio fu direttore della Banca Piccolo Credito Valtellinese dal 1925 al 1963  e il prozio, fratello del nonno, Mons. Giovanni, fu arciprete di Sondrio dal 1929 al 1961.

Stefano, appena laureato in Architettura al Politecnico di Milano, nel 1972,  si trovò sulle spalle il peso dello studio tecnico del papà Enrico, ingegnere, anche lui prematuramente mancato.

Lo studio proseguì la sua attività,  per merito di Stefano, con la presenza importante del geometra Bruno De Dosso, che divenne suo stretto collaboratore come lo era stato del padre, e anche suo grande amico.

Da allora la sua vita è trascorsa tra lo svolgimento dell’attività professionale di architetto e l’impegno in varie associazioni con un ritmo intenso. Ovunque si è distinto per intelligenza, capacità organizzativa e per le proposte innovative che ha portato e condotto a termine. Per avere un quadro completo della sua vita abbiamo richiesto le testimonianze dei familiari, della moglie e della figlia, e di amici e collaboratori che lo hanno accompagnato e che con lui hanno lavorato nelle sue molteplici e varie esperienze a livello locale, nazionale e internazionale.

Perchè il lettore possa avere un quadro più preciso della sua personalità, che potrà essere più completo con la lettura del volume a lui dedicato, che si può richiedere gratuitamente alla Fondazione Bombardieri, qui mi limiterò ad alcuni accenni ai campi nei quali è stato presente con la sua intelligenza, la sua capacità propositiva, nei quali ha lasciato una impronta indelebile della sua personalità eclettica e poliedrica.

La mia può essere considerata una testimonianza diretta in quanto, per circa trent’anni, ho lavorato a stretto contatto con lui, prima nel Club Alpino Italiano, Sezione Valtellinese di Sondrio, e poi nella Fondazione Luigi Bombardieri.

Scorrendo l’indice del volume si individuano subito le associazioni  cui ha dedicato la sua passione e i temi importanti che ha affrontato e  sviluppato con intensa opera di divulgazione.

Una caratteristica che voglio subito mettere in evidenza, e che traspare dal titolo della pubblicazione, è il suo grande amore per la montagna, la sua e la nostra montagna valtellinese, per il suo ambiente, la sua gente, e in particolare per il paesaggio  alla cui protezione ha dedicato tante fatiche e che, in qualità di presidente della Fondazione Luigi Bombardieri, ha cercato di far conoscere con convegni e corsi di formazione rivolti in particolare agli insegnanti e agli studenti. Era convinto infatti che la conoscenza del paesaggio e l’amore per il nostro ambiente montano dovesse partire necessariamente dalla scuola, dovendo il messaggio essere rivolto alle generazione future che ora si stanno formando. Questo deriva dalla concezione  che l’ambiente è un bene affidato a noi  temporaneamente con l’obbligo di trasmetterlo, nel miglior stato possibile, a chi dopo di noi lo riceverà in custodia, così come hanno fatto i nostri padri con noi.

Stefano, alla fine della sua vita, ha espresso il suo grande amore per la montagna  affidando, con le sue ultime volontà, gli alpi Madrera, Baita Eterna e Pedroria,  di sua proprietà, al FAI (Fondo per l’Ambiente Italiano) di cui era stato fondatore in Valtellina.

La sua personalità eclettica lo ha portato a esprimere i suoi talenti anche in ambienti diversi da quello professionale come: la Fondazione Luigi Bombardieri, il Club Alpino Italiano, il FAI, il Lions Club, il Parco Regionale delle Orobie Valtellinesi, il Parco Nazionale dello Stelvio.

Il volume, introdotto da due epigrafi, dopo le prefazioni, inizia, si può dire, in termini poetici, con il ricordo in versi di cari amici  ed entra nel vivo con quelli della figlia Susanna e della moglie Tiziana Bonomi, che tratteggiano la sua personalità da un punto affettivo unico e ci fanno conoscere aspetti che Stefano, molto riservato per natura, non svelava facilmente.

E’ poi la volta della sua attività nella Fondazione Bombardieri di cui era presidente, presentata dal suo successore l’avv. Angelo Schena, che era anche cugino e grande amico, avendo condiviso con lui molti interessi: dalla montagna al volo, ai viaggi e che è stato suo successore in varie cariche nelle associazioni che Stefano ha presieduto.

C’è quindi il mio ricordo. Con lui, l’ultimo lavoro portato a termine, intensamente condiviso da tutti e due, è stato il volume “Alpi Orobie Valtellinesi, montagne da conoscere” che abbiamo concluso poco prima della sua dipartita e che ho presentato al pubblico pochi giorni dopo. Poco tempo prima che il male si aggravasse, era riuscito a  scrivere la prefazione del libro, che rappresenta il suo ultimo messaggio in tema di ambiente montano e di paesaggio.

E’ stato consigliere della Fondazione dal 1993, e presidente dal 1998. In qualità di presidente, ha saputo reinterpretare in modo originale e innovativo le finalità codificate dallo statuto del 1957, voluto dal fondatore Luigi Bombardieri, attuando una serie di incontri, convegni, corsi di formazione per le scuole e pubblicazioni sui temi della montagna e del suo ambiente.

Nel CAI Valtellinese è stato presidente dal 1984 al 1991 e anche qui ha operato in modo innovativo, continuando l’azione di rinnovamento iniziata dal suo grande amico Bruno De Dosso che l’aveva preceduto nella carica. E’ stato in questo periodo che è iniziata la nostra collaborazione, essendo stato io eletto vice presidente, e che è poi continuata fino  alla sua morte, per quasi trent’anni. Quando nel 1991, ha lasciato la presidenza per assumere incarichi a livello nazionale, mi ha indicato come suo successore. E così è avvenuto.

Nell’ ambito del Club Alpino Italiano, ha poi ricoperto incarichi importanti a livello nazionale come quello di Vice Segretario Generale e di membro del Comitato Direttivo Centrale.

E’ poi passato a rappresentare il CAI nazionale nell’UIAA (Unione Internazionale delle Associazioni Alpinistiche), prima nella Commissione Accesso e Conservazione e poi nel

Comitato Direttivo, portando contributi di pensiero e operativi importanti e molto apprezzati, come è testimoniato dai ricordi dei colleghi di varie nazioni che hanno lavorato con lui.

Del FAI (Fondo per l’Ambiente Italiano) è stato fondatore a Sondrio nel 1985 e capo della delegazione fino al 2002. In particolare, ha curato il restauro architettonico del Castello Grumello nel comune di Montagna.

Anche nel Lions Club Host Sondrio è stato presidente nel  2005-2006 e ha portato importanti contributi di pensiero.

Il volume tratta poi della sua attività professionale che lo ha visto impegnato in opere di recupero e di restauro di importanti edifici civili e religiosi a Sondrio e a Milano.

Nel campo della pianificazione territoriale ha steso il Piano Territoriale del Parco delle Orobie, nonchè i Piani Regolatori Generali di vari comuni valtellinesi, compreso quello di Talamona.

A Sondrio, tra le varie opere che sono accuratamente elencate nel volume, ha progettato e curato l’attuale sistemazione della Piazza Garibaldi, della Piazza Cavour, della Piazza Campello di Piazzetta Don Viganò; il restauro architettonico di Palazzo Sertoli, della Chiesa Parrocchiale dei Santi Gervasio e Protasio, della Cappella dell’Annunziata, in via Bassi.

Nel campo dei rifugi alpini, ricordo la capanna dedicata a Bruno De Dosso al Painale, il rifugio Donati al Reguzzo e soprattutto la ricostruzione della Capanna Marco e Rosa De Marchi – Agostino Rocca alla Forcola di Cresta Güzza a 3600 metri, appena sotto il Pizzo Bernina, l’unico 4000 delle Alpi Centrali, inaugurata nel 2003. Di quest’opera, vale la pena di leggere la relazione di Stefano e di compararla con quella della prima costruzione nel 1913, di Alfredo Corti. Tutt’e due sono riportate nella pubblicazione.

Dopo due ricordi particolari, ho poi riportato, sotto il titolo “Il pensiero”, una serie di scritti di Stefano e di discorsi pronunciati in particolare in occasione dell’inaugurazione di rifugi alpini, che mettono in luce, per quanto parzialmente, le sue concezioni relative all’ambiente montano e al paesaggio valtellinese in particolare.

Per avere un quadro generale più completo della sua personalità e delle sue opere nei vari campi, è necessaria, però, la lettura della pubblicazione che è distribuita gratuitamente dalla Fondazione L. Bombardieri di Sondrio, alla quale può essere richiesta direttamente o anche tramite la Biblioteca Comunale di Talamona.

(www.fondazionebombardieri.it).

Email: info@fondazionebombardieri.it

_______________________

Guido Combi: “ STEFANO TIRINZONI – una vita per la montagna e per l’ambiente”. 2014. Edizione: Fondazione Luigi Bombardieri- Sondrio. Stampa Bettini Sondrio

 

 

PERSONAGGI CHE HANNO RESO CELEBRI LE ALPI OROBIE

 talamona_01

Talamona, Il nostro paese, sorge ai piedi delle Alpi Orobie, sul conoide formato nei millenni dal Torrente Roncaiola che iniziando al Ponte dei Frati presso la chiesetta di San Gregorio, si estende verso nord, allargandosi  a est fino a incontrarsi con quello del Torrente Tartano e  ovest unendosi a quello minore del torrente Ranciga, arrivando a nord fino al Fiume Adda.

I nostri confini non raggiungono lo spartiacque  con il versante bergamasco, perchè sono  separati dalla Val Tartano, in particolare dalla Val Corta, e dalla Val Gerola.

Le nostre montagne, che abbiamo visto tanto protette e curate nelle norme degli antichi statuti, sono una conca che va da la costiera dei maggenghi Scalübi e Dondone  a est, fino al Pitalone  e la costiera di Baitridana che ci divide con la Valle di Albaredo a ovest, culminando  nel punto più a sud con il Monte Lago a 2353 m.

La  “nostra” parte  di Orobie è molto più “addomesticata” rispetto alle 14 valli che solcano da sud a nord la catena che vale la pena di conoscere per la loro bellezza unica.

Le valli e le cime principali delle Orobie, furono praticamente sconosciute al grande pubblico fino alla seconda metà del 1800. Gli unici a frequentarle erano gli abitanti locali e, nelle parti più alte, i pastori e i cacciatori.

Dal 1880, circa, in poi, furono progressivamente esplorate e descritte sulla stampa locale da eminenti personaggi che non si limitavano alla ricerca alpinistica, ma cercavano di conoscere soprattutto gli abitanti dei paesini che sorgevano nelle parti più interne e nascoste delle valli,  con i loro usi e costumi, lavoro e tutto il territorio.

Iniziamo dal professore che le ha esplorate maggiormente, studiate e fatte conoscere,  formando anche come Guida Alpina, un abitante di Agneda, un paesino in Val di Scais, che  poi operò anche in altre parti della Alpi, essendo molto stimato nel mondo alpinistico del Club Alpino Italiano.

 

BRUNO GALLI VALERIO

L’esploratore delle Alpi Orobie Valtellinesi

foto

                                                              

Nella storia della Alpi Orobie, soprattutto nel periodo a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, vi furono alcuni eminenti personaggi che con esse e con la gente che le abitavano ebbero un rapporto particolare di conoscenza e attaccamento. Esplorarono sistematicamente le valli, salirono le cime, valicarono i passi e scalarono le pareti e i canaloni, compiendo imprese memorabili.  In particolare, i primi  pionieri, se, come al solito, escludiamo pastori e cacciatori, furono: Bruno Galli Valerio, Antonio Cederna, Alfredo Corti e la guida Giovanni Bonomi.  Altri più tardi  le frequentarono con assiduità, le studiarono e aprirono nuove vie, come Bruno Credaro, Peppo Foianini e i fratelli Messa. Le Alpi Orobie, che, ancora fino verso la metà del secolo scorso, furono spesso chiamate Prealpi, probabilmente per la loro posizione spostata  verso Sud, rispetto alle Alpi Retiche, contrariamente al resto delle Alpi, non videro la presenza  esplorativa e la conquista sistematica da parte degli inglesi. La loro presenza, per altro sporadica, la troviamo solo nel 1894 con il grande alpinista D. W. Freshfield, che fu accompagnato in una lunga scarpinata, proprio da Bruno Galli Valerio sul Pizzo Redorta, come vedremo più sotto.

Bruno Galli Valerio fu, tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900, uno dei più  assidui frequentatori e certamente il più profondo conoscitore delle montagne valtellinesi. Noi però parleremo in particolare del suo rapporto con le Alpi Orobie Valtellinesi e con le genti che abitavano le loro valli, delle quali ci ha lasciato, nelle sue opere, dei ritratti e degli scorci di vita indimenticabili. Lasceremo al lettore il piacevole compito di approfondire questi aspetti nella pubblicazione dello stesso alpinista citata nella bibliografia.

Bruno Credaro, altro grande frequentatore e conoscitore delle Alpi Orobie   nella prima metà del novecento, scive di lui: “Il Galli Valerio era un ometto basso e asciutto, di quelli che vanno più a forza di nervi che di muscoli; aveva un profilo aquilino con una barbetta un po’ brizzolata che lo faceva assomigliare molto a Giuseppe Verdi… era un famoso camminatore”. Salì quasi tutte le cime delle valli Venina-Caronno, d’Ambria e del Liri e alcune della Val Malenco, come il Cassandra e il Giumellino, partendo direttamente da Sondrio e superando dislivelli fortissimi. “Il professor Bruno Galli Valerio era originario della Provincia di Como e quando decise di venire in Valtellina a passare le vacanze estive se ne innamorò. Dopo le prime passeggiate, nei cui resoconti sono prevalenti le descrizioni e le notazioni a carattere scientifico, le osservazioni dei fenomeni naturali come le rane e i tritoni del Lago della Casera e un uragano sul Meriggio, si dedicò poi brillantemente alla semplice descrizione delle varie località, delle loro attrattive e dei loro abitanti.

Il professore iniziò le sue passeggiate sui nostri monti nel 1888 e dallo stesso anno iniziò anche una assidua collaborazione con i giornali locali e in particolare con “La Valtellina”, che, soprattutto nel periodo estivo, ospitò i suoi articoli alpinistici. In questa sua attività divulgativa delle scoperte e delle notizie alpinistiche, si dimostrò molto più moderno di altri personaggi dell’epoca, come Alfredo Corti, che riservavano i loro scritti alle riviste specializzate, mentre lui aprì il dialogo con il più vasto pubblico di un giornale”. Forse, scrive ancora Giuseppe Miotti, perché non si sentiva un alpinista, come lui stesso affermò nel suo primo articolo: “Non sono un alpinista né mai mi sono piccato di esserlo. Sono semplicemente un dilettante di scienze naturali che ama le gite sui monti, perché su di essi si può studiare la natura in tutta la sua maestà”. Nel giro di pochi anni, dopo questo inizio tranquillo, divenne un frequentatore assiduo, delle nostre valli. In particolare con le sue peregrinazioni, le sue salite, le sue scarpinate nelle valli e sulle cime orobiche. Nel 1891, in estate, avvenne l’incontro con la “Guida Bonomi Seniore e di suo figlio” quando l’8 Settembre, con Antonio Facetti e Attilio Villa, Galli Valerio salì il Pizzo Porola e fece la sua prima traversata fra i bacini delle vedrette di Porola e del Lupo. E’ qui il primo accenno a quella che sarà la sua guida preferita, compagno e amico in tante scalate: “Era Giovanni Andrea, figlio della Guida Bonomi Seniore”, destinato a divenire in breve una delle più brave guide valtellinesi. Il loro rapporto durò fino al 1898, quando divenne meno intenso. Nel 1894, mantenendo fede ad una promessa fatta al giovane Bonomi in vetta al Rodes, Galli Valerio si fece accompagnare sulla Punta Scais, sulla quale, non sappiamo se volutamente o per mancanza di indicazioni, i due aprirono una nuova via. Nell’ Agosto dello stesso anno, fu la volta delle “Punte di Coca”. Nel 1894, l’inglese D. W. Freshfield, uno dei massimi alpinisti del momento, presidente dell’ Alpine Club e segretario della Geographic Society, trovandosi a passare da Sondrio, volendo conoscere le Alpi Orobie, volle farsi accompagnare in una ascensione sul Rodes. In un’epica ascensione, a causa di una ferita ad un piede, il Galli Valerio accompagnò il celebre alpinista, assieme alla sua Guida Francois Devouassoud e a Giovanni Bonomi, in cima al Pizzo Redorta, il 25 luglio.

L’esplorazione delle Orobie, delle valli e delle cime, proseguì, dal Legnone al Torena, con lunghissime camminate e ascensioni, sempre puntualmente riportate su “La Valtellina”, fino al 1910, aprendo numerose vie nuove.

I suoi articoli, fino a quel periodo, documentarono anche le sue ascensioni negli altri gruppi montuosi della Valtellina come quelli della Val Masino, del Disgrazia, del Bernina, della Val Grosina e dell’Ortles-Cevedale.

Fra le ascensioni che si susseguirono a ritmi impensabili e il suo lavoro di insegnante all’università di Losanna, il Galli Valerio trovò anche il tempo di scrivere un piccolo opuscolo dal titolo “Guida medica per l’alpinista” che venne pubblicato nel 1898 da Emilio Quadrio a Sondrio. Antonio Facetti (celebre alpinista) lo recensì sulla rivista del CAI e oltre ai dati salienti del volume rilevò che: “… l’autore, un appassionato alpinista, benché non socio del CAI, si augura che questo manualetto possa riuscire di qualche utilità”. Alla fine del secolo, come abbiamo accennato, si affievolì sempre più il suo rapporto con la Guida Bonomi, forse per adeguarsi alla moda del momento dell’alpinismo senza guide, contrariamente a quanto era avvenuto fin dalla nascita del CAI. Era nata intanto, in quegli anni una buona amicizia con un altro che diverrà un grande dell’alpinismo valtellinese: Alfredo Corti, che però era destinata a durare non molto. Compirono comunque qualche ascensione assieme con la Guida di Antonio Cederna, Luigi Valesini. A partire dal 1900, cambiò anche lo stile della sua collaborazione con “La Valtellina”. Più che prime ascensioni, l’autore racconta le sue lunghe peregrinazioni e la sua “immersione completa nel mondo delle Alpi, quasi una sua fuga dalla gente e dalla civiltà” come scrive ancora di lui Giuseppe Miotti. Nascono, in questo periodo, lunghi racconti di viaggio e descrizioni dei paesaggi, degli abitanti dei luoghi visitati. Come sognava le sue vacanze tra i monti come una fuga dalla vita convenzionale di tutti i giorni! Queste sue “cavalcate” si susseguirono fino alla vigilia della prima guerra mondiale, quando, come uomo di grande cultura e sensibilità, disapprovando l’entrata in guerra dell’Italia, esprimendo le sue idee, si trovò aspramente contestato in pubblico e dileggiato da un gruppo di giovani interventisti. Il giorno dopo una manifestazione sotto le sue finestre, partì per la Svizzera e non fece più ritorno in Valtellina, nonostante le preghiere di amici carissimi che lo andavano a trovare a Losanna. Morì nel 1943 a Losanna e pochi ricordarono la sua figura. Sul “Popolo Valtellinese” apparve un necrologio a firma A. P. (forse Amedeo Pansera?) che concludeva così: “… Da quasi trent’anni Bruno Galli Valerio non tornava tra noi; ma noi sappiano che, mentre i suoi occhi erano velati dalla morte hanno visto ancora, limpidi e puri, i profili delle sue montagne e li ha salutati sereno per l’ ultima volta. Quando era vivo e assente, abbiamo mantenuto con lui un contatto ideale per questa sua segreta passione: oggi che è morto ci sembra doveroso ricordarlo; anche, e soprattutto, a chi non lo ha conosciuto”.

I suoi scritti alpinistici pubblicati sul giornale “La Valtellina”, erano stati da lui riveduti e dati alle stampe in un volume “Cols e sommets” nel 1912 a Losanna in lingua francese. Il CAI Valtellinese nel 1998 ha provveduto alla traduzione del libro, per opera di Antonio Boscacci e Luisa Angelici, dandogli il titolo che lo stesso Galli Valerio aveva indicato di “Punte e passi”.

 

 

     Guido Combi (GISM) *

 

*Past president CAI Valtellinese

Bibliografia:

-Bruno Galli Valerio- Punte e passi – Ed. CAI Valtellinese Sondrio. 1998.

-G. Miotti, G. Combi, GL. Maspes -Dal Corno Stella al K2 e oltre, storia dell’ alpinismo dei valtellinesi. Ed. CAI Valtellinese Sondrio. 1996.

-G.Combi – Alpi Orobie Valtellinesi, montagne da conoscere. Ed. Fondazione Luigi Bombardieri Sondrio. 2011.