IT. ITINERARI TALAMONESI. CASA VALENTI

 

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TALAMONA 25 luglio 2015 una giornata alla scoperta del nostro patrimonio storico

 

LA STORICA DIMORA TALAMONESE APRE OGGI AL PUBBLICO LE SUE PORTE E IL SUO BAGAGLIO DI PERSONAGGI E DI VISSUTI

di Antonella Alemanni

Un itinerario artistico all’insegna della Storia alla scoperta dell’arte, della musica e delle tradizioni enogastronomiche valtellinesi. Così l’assessore per le politiche culturali Lucica Bianchi ha introdotto il nutrito evento che ha avuto luogo oggi a partire dalle ore 17 “e dove se non qui a Palazzo Valenti?” ha proseguito l’assessore, “uno dei notevoli esempi di architettura cinquecentesca valtellinese, rappresentativa per Talamona anche per capire il modo di essere talamonesi, il modo di pensare e di vivere il nostro paese”. Un percorso culturale reso possibile dalle competenze di Giampaolo Angelini e Simona Duca, studiosi appassionati e sensibili di storia locale, dalle esponenti dell’associazione Bradamante Elena Riva e Beatrice Pellegrini e dal maestro assaggiatore Renato Ciaponi per la degustazione finale di prodotti tipici valtellinesi “professionisti che per il loro bagaglio di conoscenza, per il loro vissuto personale, le loro esperienze e la preparazione professionale sono intimamente e profondamente legati a questa dimora” ha sottolineato l’assessore nel presentarli. “…siccome bellezza significa anche armonia” ha proseguito l’assessore “nel corso di questo percorso saremo accompagnati dal quartetto di fiati della filarmonica di Talamona”. Un percorso reso possibile però in primo luogo dalla famiglia Airoldi che detiene la proprietà e abita tuttora il palazzo, dalla disponibilità con cui ha deciso di condividere, almeno per questo giorno questo bene che ha l’inusuale caratteristica di essere un bene comune, ma nello stesso tempo anche privato. Ed è ringraziando le figlie della signora Adriana Airoldi (nipote diretta dell’ingegner Clemente Valenti purtroppo recentemente scomparsa) che l’assessore Lucica Bianchi ha concluso il suo intervento introduttivo cedendo la parola al sindaco Fabrizio Trivella che ha spiegato brevemente la genesi di questa iniziativa “il primo evento culturale organizzato sotto la nostra amministrazione, nato da un suggerimento della famiglia Airoldi desiderosa di porre all’attenzione dei Talamonesi questo patrimonio culturale e architettonico il cui valore, che tutti possiamo apprezzare, è stato in passato riconosciuto anche dalla soprintendenza ai beni culturali. Dietro suggerimento della famiglia Airoldi si è dunque mossa la macchina amministrativa con lo scopo di creare una scenografia e una coreografia che potessero dare un ulteriore valore a quest’opera. È stato così che si è pensato di creare questa giornata con l’obiettivo di promuovere il nostro territorio coinvolgendo tutte le eccellenze di Talamona, le eccellenze culturali radicate sul nostro territorio del quale hanno una profonda conoscenza e soprattutto che si spendono per il paese e per dare un ulteriore contesto abbiamo coinvolto anche la nostra banda che rappresenta già in sé un patrimonio d’eccellenza di Talamona. Il tutto con lo scopo di mettere in atto un primo tentativo di sinergia tra pubblico e privato proprio con l’obiettivo di valorizzare il territorio, perché saper valorizzare le nostre eccellenze e saperle anche promuovere è ciò di cui la nostra comunità ha realmente bisogno”. A questo punto la parola è passata alla signora Paola Airoldi che ha illustrato il profondo legame della sua famiglia con il palazzo “noi raccogliamo un’eredità” ha spiegato “dai nostri genitori e insieme a questa eredità il compito di conservarla sia per mantenerne l’abitabilità senza stravolgerne l’architettura sia esterna che interna, ma anche, come già faceva mia madre circondandosi di studiosi interessati, per portare avanti un’attività di recupero della storia legata a questa casa che è il passato della nostra famiglia, il suo patrimonio immateriale che comprende anche le famiglie che hanno preceduto la nostra nell’abitare questa casa. Quindi per noi c’è il senso di una continuità storica che non è soltanto una questione affettiva personale, ma un qualcosa che riguarda tutta la comunità perché ritengo che, per una comunità, la conoscenza delle proprie radici storiche sia fondamentale per la coscienza della propria identità individuale. Se per esempio un bambino non conosce la propria famiglia, l’identità dei suoi genitori gli risulterà poi molto difficile crescendo determinare la sua stessa identità. Se noi invece ci riappropriamo della nostra cultura e della nostra storia questo ci renderà più forti. In questo senso, osservando la facciata, che oggi appare molto deteriorata, ma che un tempo doveva essere splendida, non si può non pensare ai suoi committenti che sicuramente avranno voluto, tramite questi affreschi, celebrarsi come famiglia, celebrare la loro potenza e la loro ricchezza e che oggettivamente hanno fatto un regalo alla gente nei secoli a venire sino a noi, perché una facciata affrescata di tale fattura è molto difficile da trovare sul nostro territorio. Questa è dunque la sua ricchezza, ma anche il suo limite perché, essendo una facciata è un patrimonio facilmente visibile, ma nello stesso tempo facilmente deteriorabile. Parlando di arte storia e cultura io ho sempre inteso tutto questo non semplicemente come erudizione, ma come la possibilità di utilizzare questa conoscenza per godere della bellezza che l’arte comunica. Nel caso di questi affreschi, passarci vicino, osservarli e sapere quello che raccontano costituisce un valore rispetto ad una non conoscenza” dopo i necessari ringraziamenti a tutti coloro che non solo hanno contribuito a rendere possibile questa giornata (“che sia l’inizio di un percorso che continui e che attraverso lo studio del territorio ci permetta di capire chi siamo” ha ancora sottolineato Paola Airoldi) , ma che nel corso degli anni si sono impegnati nello studio e nella valorizzazione della facciata, ma anche dei documenti che sono stati di volta in volta ritrovati, è venuto il momento di entrare nel vivo di questa giornata.

La facciata ariostesca, immagini e poesia

Il primo intervento è stato quello di Beatrice Pellegrini ed Elena Riva. La prima, autrice di una tesi di laurea sugli affreschi della facciata di palazzo Valenti (che ha avuto modo di presentare nel corso di un passato evento culturale) ha descritto uno per uno gli affreschi della fila superiore della facciata, ciascuno corrispondente ad un canto dell’Orlando Furioso, magistralmente recitato da Elena Riva, che in questo senso già da qualche anno svolge la funzione di lettrice ufficiale dell’associazione Bradamante.

Ci troviamo di fronte a questo splendido palazzo del XVI secolo ha esordito Beatrice Pellegrini introducendo la sua presentazione appartenuto alla famiglia Spini fino al 1837 anno in cui la proprietà è passata alla famiglia Valenti che la detiene tuttora. La facciata del palazzo si può dividere in due registri di cui quello superiore è il meglio conservato. Vi si possono osservare sei affreschi a monocromo nei toni del bronzo ispirate alle vicende ariostesche. Mentre la lettura tradizionale vedeva e poneva il primo riquadro alla vostra sinistra oggi tenterò di proporvi una mia nuova interpretazione ponendo invece come primo riquadro quello alla vostra destra nonché il primo che si scorge salendo la stretta via che conduce dalla chiesa al palazzo.

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Come possiamo vedere il primo riquadro rappresenta una donna a cavallo che cerca di fuggire da un cavaliere ritratto in secondo piano. La scena è tratta dal primo canto dell’Orlando Furioso nel quale Angelica cerca di fuggire ai propri pretendenti, in questo caso da Rinaldo “che a piè venia verso di lei”

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Nel secondo riquadro una scena di lotta tra due cavalieri e l’interpretazione è stata resa possibile dal fatto che uno è senza elmo e dunque lo si è potuto ricondurre alla figura di Ferraù che nel poema, nel gesto di bere fa cadere il proprio elmo nell’acqua. Sullo sfondo scorgiamo ancora una volta Angelica in fuga

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Nel terzo riquadro ancora una volta vediamo un combattimento, questa volta a cavallo, nel quale, il cavaliere vincitore, come possiamo notare è rappresentato con tratti spiccatamente femminili sicuramente più delicati rispetto a quelli del suo avversario che presenta invece dei folti baffi. Ci troviamo di fronte a Sacripante che disarciona l’avversario Bradamante.

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Gli ultimi tre affreschi della facciata si svolgono nel secondo canto. Come possiamo notare, nel quarto riquadro è rappresentata ancora una scena di lotta nel quale il cavaliere e il suo prode destriero Baiardo scacciano con forza l’avversario mentre sullo sfondo vediamo altre due figure a cavallo che sono Angelica, che incontra l’eremita il quale, per salvarla ancora una volta dai pretendenti invoca un valletto rappresentato tra le fronde degli alberi.

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Il penultimo riquadro è caratterizzato invece da una figura centrale nella quale si riconosce Bradamante che erra trascinando il proprio cavallo. Con un po’ di difficoltà possiamo scorgere tra le fronde degli alberi un cavaliere che incede tacito solerte e pensoso e triste per aver perso la propria amata. Un altro particolare molto interessante è quello dell’alta rupe dalla quale si può scorgere l’Ippogrifo che fugge dalla propria dimora con il mago Atlante.

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Questi due protagonisti li ritroviamo anche nell’ultima scena affrescata dove Pinabello, riconosciuta l’acerrima nemica Bradamante, cerca di spingerla con un grosso ramo all’interno di una grotta. Quel che è interessante e che mi ha permesso di rivalutare l’intero ciclo è un particolare ora difficilmente visibile. Bradamante, in tutte le scene che troviamo in quest’ordine, è affrescata con un particolare molto interessante sullo sbuffo della manica, una testa leonina, un particolare che ha permesso una nuova identificazione e una nuova lettura.

Intervento di Giampaolo Angelini, docente all’università degli studi di Pavia

Il percorso conoscitivo di palazzo Valenti si è spostato a questo punto nel cortile interno che dà sui giardini dove, prima della visita guidata vera e propria all’interno delle varie stanze è stato possibile ascoltare un excursus dei principali personaggi e delle principali vicende legate alla storia di questa dimora, intervallati dagli intermezzi musicali del quartetto di fiati della filarmonica di Talamona. Il primo racconto ascoltato, una volta passati dalla pesante porta di ferro alla sinistra della facciata per chi viene da fuori è stato quello di Giampaolo Angelini, che ha dato inizio alla sua trattazione con una serie di ringraziamenti, in particolar modo alla signora Adriana Valenti-Airoldi “che negli ultimi decenni è stata l’anima di questa casa”.

Ci troviamo di fronte ad una dimora che è legata dal punto di vista storico-artistico in modo particolare al secolo XVI quando è stata decorata la grande facciata che dà sulla via Valenti. Però l’immagine che noi oggi abbiamo di questa dimora è un’immagine prevalentemente ottocentesca e delle vicende dei protagonisti che hanno animato questa casa dall’Ottocento in poi ci dirà meglio Simona Duca nel corso del suo intervento, in particolar modo del rilevante ruolo sociale dell’ingegner Clemente Valenti che ha dato il nome alla via che passa da questa casa. Ora però vorrei parlare brevemente di un aspetto della storia della famiglia Valenti a Talamona. I Valenti arrivano in questa dimora nei primi decenni dell’Ottocento lasciando una casa che ora ancora si trova all’inizio della via Torre che non è stata restaurata, ma che conserva il nome Valenti scritto a sanguigna sull’intonaco sopra il portone che in origine aveva anche un battente bronzeo a serpentello, simile a quello che si vede nel portale di questa casa. I Valenti arrivano in questa dimora perché, in particolar modo Giovanni Battista Valenti, il cui ritratto è esposto in casa, acquisiscono i beni degli Spini, un’antica famiglia originaria di Tartano che si è insediata a Talamona alla fine del Cinquecento e il cui coinvolgimento nella commissione della facciata non è ancora oggi ben chiaro, però la si può identificare come la famiglia legata alla storia di questa casa dal Cinquecento all’Ottocento, quando poi subentrano i Valenti in un momento che per la famiglia è significativo di affermazione sociale ed economica proprio attraverso questo passaggio di proprietà comprensiva di beni fondiari e immobili degli Spini un’importante famiglia esponente dell’aristocrazia locale. Un passaggio di proprietà che per i Valenti significa anche l’assunzione del notabilato di Talamona. Quasi da subito, almeno a partire all’incirca da Ciriaco e da Tommaso Valenti tutti gli esponenti della famiglia sviluppano un forte attaccamento alla memoria collettiva del paese un interessamento per la tutela del patrimonio artistico. Un interesse che ben si esprime attraverso la figura di Clemente Valenti, ingegnere che ha legato il suo nome alla fondazione della latteria e a varie iniziative sociali, ma anche agli scavi archeologici che hanno interessato l’area dell’attuale cimitero che viene costruito in quegli anni proprio su progetto dell’ingegner Valenti che disegna tra l’altro il modello del portale d’ingresso un po’ arcaico e poi si interessa personalmente degli scavi nel momento in cui emergono importanti rinvenimenti archeologici oggi conservati al museo civico di Sondrio perché Clemente Valenti ha segnalato a suo tempo questi ritrovamenti alle autorità provinciali in particolar modo al comitato archeologico e così facendo ne evita la dispersione. Un lavoro di non poca importanza non comune tra i notabili dell’epoca che quando si trovano di fronte a reperti che riemergono dal passato li disperdono oppure li acquisiscono per collezioni private. In questo caso invece Clemente Valenti si adopera affinchè questi reperti, testimonianza più antica della storia talamonese, divengano di pubblico interesse. Lo zio di Clemente, Tommaso, diventa arciprete di Bormio, nel 1842. Fervente patriota, (il patriottismo è un leitmotiv della famiglia Valenti) viene ricordato soprattutto per due motivi. Innanzitutto perché è dalla sua figura che sono cominciati i primi studi relativi alla storia di questa casa e i primi contatti con la signora Adriana, ma anche perché Tommaso è stato autore, nel 1881, degli SCHIZZI ARCHEOLOGICI SUL BORMIESE, il primo studio sistematico del patrimonio artistico della contea di Bormio, un testo ancora oggi di imprescindibile riferimento per la conoscenza di opere e di un territorio che poi il turismo e le successive edificazioni hanno profondamente segnato. Studi che comprendono non soltanto l’archeologia, ma tutto quanto concerne il patrimonio architettonico e artistico di quel territorio risalente all’età medievale. Dopo Tommaso Valenti altri suoi eredi sono consapevoli di essere in qualche modo tutori di un patrimonio collettivo che altrimenti sarebbe andato perso tenendo conto che la comunità talamonese si deve occupare anche di altri problemi, la sopravvivenza, la povertà, il lavoro e questo avrebbe probabilmente fatto dimenticare l’aspetto culturale. Un’altra figura molto importante nella storia della casa e della famiglia è Giovanni Battista che nel 1937-38 pubblica, sull’allora bollettino storico valtellinese, la prima notizia relativa agli statuti cinquecenteschi di Talamona, anche questo un fatto significativo di divulgazione e conservazione del patrimonio. Dopo Giovanni Battista a raccogliere questa eredità è stata la signora Adriana la quale, a partire dai suoi primi articoli sul bollettino storico valtellinese, di cui alcuni dedicati a Francesca Scannagatta, figura singolarissima di donna soldato di età napoleonica, aveva avviato una sorta di scandaglio degli archivi familiari sulla figura dei suoi antenati più importanti che sono stati citati. La sua attività ha ben incarnato questo percorso familiare di memoria collettiva attività lasciata come testimone anche agli attuali discendenti. In quest’opera di tutela delle memorie collettive i Valenti non furono soli perché in connessione con loro ha operato, sul doppio fronte delle attività sociali e della tutela del patrimonio artistico anche Giovanni Gavazzeni, conosciuto soprattutto come pittore ritrattista di soggetti sacri, autore anche della lunetta datata 1907 che si può vedere vicino all’ingresso e che proviene dalla cappella cimiteriale dei Valenti. Una lunetta che testimonia i rapporti tra Gavazzeni e la famiglia Valenti, anche di vicinato perché la casa del Gavazzeni stava nei pressi di quello che oggi è il palazzo Bertolini, ma che allora si chiamava casa Mazzoni e che è un’altra dimora storica importante del rinascimento valtellinese. Giovanni Gavazzeni, negli anni Ottanta-Novanta dell’Ottocento si prodiga su vari fronti, ad esempio quello della tutela dell’acqua potabile a Talamona e poi invita da Milano Vittorio Grubissì, un pittore divisionista mecenate e amico di Segantini, lo invita a visitare il suo studio e Grubissì arriva nel 1891 e di questa visita scriverà un resoconto dettagliato che descrive molto bene com’era Talamona a quei tempi, l’enorme distanza tra la stazione e il centro abitato con praticamente in mezzo il nulla, l’ora tarda, l’accoglienza richiesta nelle locande in attesa che Gavazzeni lo accogliesse nella sua dimora. L’attenzione di Grubissì non si concentra tanto sulle opere pittoriche del collega Gavazzeni, quanto sulla denuncia riguardo allo sfruttamento dell’acqua potabile a Talamona. Pubblica sul bollettino storico valtellinese il ritratto di un povero di Talamona, un ritratto fotografico, importante documento socio-etnografico. Gavazzeni inoltre tramite un suo scritto denuncia l’intenzione del prete di demolire la vecchia chiesa per costruirne una più ampia. Lo scritto, pubblicato nel 1894, si intitola VANDALISMO termine indicativo del carattere di Gavazzeni, una denuncia rimasta lettera morta, perché di li a trent’anni nel 1920 l’ampliamento della chiesa è stato fatto Don Cusini ha dato l’avvio ai lavori e in quell’occasione alcuni dipinti confluirono nella nuova costruzione mentre altri vennero dispersi. Nel 1900 Gavazzeni pubblica una serie di articoli in collaborazione col poeta morbegnese Guglielmo Felice Damiani che parlano dell’arte e della storia della Valtellina. Nove tappe e dunque l’intenzione non era quella di produrre un testo di studio quanto una descrizione della bassa Valtellina indirizzata ad un ampio pubblico perché, LA VALTELLINA, il giornale su cui questi articoli erano pubblicati, era un periodico molto letto all’epoca. Curiosamente in questi articoli non si fa cenno alla facciata di casa Valenti ed è a partire da questo periodo che gli affreschi conoscono un lungo oblio che termina solo nel 2001-2002 quando riprenderanno gli studi sulla facciata e in particolare sarà pubblicato da Adriana Valenti il primo studio a riguardo sul bollettino storico valtellinese. Non è ben chiaro il motivo per cui Gavazzeni non ha citato gli affreschi visto e considerato che inoltre ci passava di fronte tutti i giorni però in compenso cita altri dipinti. Uno si trova tutt’ora in via Coseggio di mezzo all’inizio della via raffigurante la Madonna col bambino e i santi Gerolamo e Giorgio, un dipinto cinquecentesco. L’altro dipinto citato con cui Gavazzeni chiude la sua descrizione di Talamona è una Madonna col bambino e i santi che si trova sempre in contrada Coseggio. Dipinti entrambi ricollegati alla scuola di Gaudenzio Ferrari e alle sue ramificazioni valtellinesi. Un dipinto, il secondo che ora non si può più vedere, perché negli anni Settanta, il proprietario di quel terreno lo privatizzò staccandolo dalla sua sede originaria. Una testimonianza di questo dipinto rimane oggi nella fotografia di Federico Zeri di Bologna una foto che Gavazzeni descrisse permettendoci così di conoscere un tassello del nostro patrimonio di cui si sarebbe altrimenti persa memoria. Tutto questo discorso per fare capire il senso del concetto di valorizzazione che non significa dare un valore, bensì riconoscere il valore che già le cose, i luoghi eccetera recano in sé. Un compito questo che non appartiene solo alle amministrazioni pubbliche e ai privati cittadini, ma al complesso della collettività. Iniziative come queste possono essere occasione di felici collaborazioni tra questi vari aspetti della vita talamonese.

Intervento di Simona Duca ex assessore alla cultura e docente di Storia all’Istituto Comprensivo Giovanni Gavazzeni, nonché esperta di Storia Locale

Simona Duca ha voluto cominciare il suo intervento con un ricordo personale della signora Adriana Valenti che ha conosciuto in tenera età, le ha regalato un libro (che Simona Duca ha mostrato commossa al pubblico) e l’ha spronata ad essere curiosa fino ad arrivare poi alla strettissima collaborazione nell’ambito del recupero delle memorie cui si è avuto già modo di accennare.

Questo palazzo è in primo luogo un’abitazione. Se prendiamo i documenti, a partire dal 1822, la descrizione di questa casa inizia con “abitazione civile in via Pianteina n°54”. Sottolineo in particolar modo la dicitura abitazione civile, questo perché, lo abbiamo visto dalla facciata rinascimentale, qui diventa ottocentesca e da questi dettagli capiamo come la storia di questa casa abbia percorso il tempo. Non c’è un elemento caratteristico unico. Ci sono invece tanti piccoli particolari che ci fanno capire che questa abitazione è stata vissuta. Questa casa ha visto la Storia, ha fatto la Storia, ma chi ha vissuto qua dentro prima di essere un personaggio è stato una persona. Tanti sono diventati personaggi storici sia fra gli Spini che tra i Valenti, ma tutti qua dentro per prima cosa sono state delle persone che hanno voluto condividere con tutti, in particolare con il territorio di Talamona, le bellezze e le ricchezze di questa casa e la spinta a migliorare, sicuramente dal punto di vista culturale, ma poi anche dal punto di vista sociale ed economico. Il primo personaggio che incontriamo e che ha probabilmente anch’egli calpestato questi luoghi, diversi all’epoca rispetto a come li vediamo adesso è Giovanbattista Spini che si può considerare un po’ il primo proprietario, il quale ha voluto lasciare la sua firma, che troviamo addirittura sui ferri da stiro, un segno che attesta come questa abitazione sia rappresentativa di cultura, ma anche di vita quotidiana. Facendo un salto temporale verso la fine del Settecento incontriamo don Celestino Spini che sposerà donna Francesca Scannagatta un po’ la Lady Oscar valtellinese. Persone che hanno vissuto la loro vita, l’hanno trasformata in Storia e ora ce la regalano. Dal 1822 fino alla metà del secolo la famiglia Valenti andrà a soppiantare la famiglia Spini. In particolare iniziando ad acquisire i beni degli Spini da Cosio fino ad arrivare a Tartano perché così vasti erano i possedimenti di questa ricca e nobile famiglia. Ecco dunque come nel nostro percorso storico si passa poi a Ciriaco Valenti e infine a Clemente. A questo proposito per dimostrare come questa casa parli da sola e come sia intrisa di sentimenti e di forti legami familiari intercorsi tra i suoi abitanti anche col territorio che li circondava ho qui una lettera di Ciriaco al figlio Clemente scritta quando quest’ultimo, negli anni Sessanta dell’Ottocento, periodo in cui era studente di ingegneria, ma anche periodo del Risorgimento e dei suoi fermenti, seguendo le orme dell’amico Giovanni Gavazzeni molla gli studi e va a combattere. Gavazzeni era partito nel 1859, Clemente Valenti parte nel 1866. Ed è proprio a questo periodo che risale questa lettera. Clemente Valenti era partito per la guerra senza avvisare nessuno a casa. i suoi familiari lo scopriranno dopo. Il padre manderà la missiva seguente (ne riporto ora il testo ndr)

 

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 Qui c’è tutto l’amore di un padre che sa che il figlio è in pericolo però lo sostiene. Tra le persone che sapevano che fine avesse fatto Clemente, c’era zio Tommaso, arciprete, ma un po’ sopra le righe, anziché trattenere il nipote a casa gli aveva detto “vai e fai fuori tutti gli austriaci”. La famiglia Valenti ci teneva davvero molto affinchè l’aspetto risorgimentale emergesse in una vita nuova per Talamona e per l’Italia che potesse davvero iniziare. Una volta tornato da soldato e terminati gli studi Clemente Valenti si è dedicato anima e corpo alla sua comunità, affinchè Talamona cambi volto. Talamona in questo momento storico è un paese rurale, un paese che da pochi anni è entrato a far parte dell’Italia unita, del Regno d’Italia, ma, così come tutto il resto dell’Italia, ha bisogno di unirsi e di creare davvero la nazione. Clemente Valenti si è prodigato in questo senso in tutti i modi possibili. Ha svolto la funzione di sindaco di Talamona, è stato vicepresidente del comizio agrario di Sondrio, si è interessato praticamente di tutto, in particolare insieme a personaggi come Luigi Torelli ha capito che questa casa poteva essere il trampolino di lancio per il miglioramento di tutta la società valtellinese. Ora qui noi vediamo questo luogo come abitazione, ma bisogna tener presente che questa abitazione ha attorno tutta una serie di strutture. Oltre la casa c’era in questa zona dei giardini, quella che per molti anni è stata la filanda. Questa casa era dunque già aperta alla realtà di Talamona, si interessava alla vita della comunità. Dare la possibilità alla gente di lavorare e commerciare i propri prodotti col comasco era già un passo in avanti, ma la carta vincente sarà nel 1879-1880 l’apertura della prima latteria sociale fortemente voluta da Clemente Valenti che ne ha allestito la prima sede nella zona delle cantine del palazzo e poi dai primi anni Novanta al pianterreno di quella che allora era casa Gavazzeni dove sorge tutt’ora. Una latteria dove non ci si limitava a far stare tutti insieme contadini e allevatori per produrre i loro formaggi. Clemente Valenti prendendo contatti anche con scuole di Lodi e Reggio Emilia ne volle fare un luogo d’eccellenza che divenne un punto di riferimento per tutte le latterie valtellinesi e in un certo senso anche di tutta Italia. Basti pensare che il regolamento scritto da Clemente Valenti è stato utilizzato anche a Eboli. Nel 1883 la latteria diventa anche scuola-regio osservatorio di caseificio da cui sono passati i migliori produttori di formaggio e burro per quelli che noi oggi chiameremmo stage o tirocini da cui poi i più bravi passavano in Svizzera per terminare gli studi. Dunque questa casa è stata il punto di partenza di un miglioramento sociale, economico e anche in un certo senso culturale perché, per diventare casari, gli aspiranti dovevano innanzitutto saper leggere e scrivere per tenere i registri, per apprendere tecniche più moderne che andavano studiate eccetera. Non per niente la sede della latteria è stata anche una delle prime sedi della scuola di Talamona, punto di riferimento nazionale anche per l’istruzione, aperta anche alle ragazze dal 1884. Clemente Valenti si rendeva conto dell’importanza dell’istruzione per le donne, che poi diventavano madri e trasmettevano ai figli cio che avevano appreso. Questa casa diventa in qualche modo anche la casa di tutte queste fanciulle studentesse (mentre i maschi trovavano alloggio nei dintorni), perché bisogna considerare che gli apprendisti provenivano da ogni parte d’Italia, qualcuno anche dalla Sardegna e dunque qui studiavano e anche vivevano per tutto il periodo dei loro studi. Una casa aperta a tutti dunque, fondata su legami d’affetto perché tutti coloro che l’hanno abitata, hanno voluto regalare a tutti quelli che sono passati di qua una parte della bellezza della casa, ma soprattutto l’invito a migliorare per far migliorare la vita di tutti e l’intero territorio.

Visita guidata e degustazione

Dopo il suo discorso all’esterno della casa Simona Duca ne ha proseguito alcuni aspetti durante la visita che ha guidato nelle stanze all’interno dove non è stato possibile effettuare riprese o scattare foto. Il seguente resoconto della visita guidata è un mio racconto personale basato nella prima parte su appunti presi con lo smartphone e poi su riprese audio annerite coprendo gli strumenti di ripresa con la mano. Sarà un racconto che contrariamente alle mie intenzioni risulterà scarno di descrizioni.

Essendo proibite infatti le riprese o le fotografie all’interno ne ho ragionevolmente dedotto che lo sia anche la divulgazione di descrizioni degli interni della casa. Mi limiterò dunque all’essenziale ricalcando, in questo senso, le parole di Simona Duca.

Dal cortile interno che dà sui giardini si entra in una cucina piccola, ma riccamente arredata attraverso una porta ottocentesca molto piccola in quanto probabilmente risalente all’epoca medievale, quando la casa era una struttura fortificata. In quei secoli Talamona veniva chiamato il paese delle torri. Pare che ce ne fossero moltissime, tutte torri di avvistamento, delle quali ora sopravvive solo quella che dà il nome alla via. Gli ambienti sono molto bui al loro interno, perlomeno in questa stanza, nonostante un’ampia finestra che sta alla sinistra della porta d’ingresso per chi viene da fuori e accanto alla quale troneggia un ampio camino che occupa gran parte dello spazio. Simona ha raccontato che la posizione del camino è stata voluta apposta in questo modo, perché d’inverno l’angolo camino finestra diventava angolo lettura. Le porte interne, tramite le quali si accede alle stanze attigue, sono di fattura rinascimentale, sia le porte che le ante della cucina. Il modello, racconta ancora Simona è fiorentino che fu oggetto di contesa tra due grandi artisti di quella città Brunelleschi (famoso per il cupolone) e Ghiberti (che pare, insistesse a operare seguendo ancora criteri medievali non apprezzando le novità introdotte per l’appunto da Brunelleschi e altri). Il discorso che faceva Simona sulla casa come scrigno di storia, ma nel contempo anche di vita quotidiana è ben espresso in questa stanza dove si trovano oggetti di uso quotidiano (come stoviglie da cucina in rame che occupano quasi tutta una parete, la parete sinistra per chi viene da fuori) ma anche collezioni di famiglia che sono dei veri brandelli di Storia. Berretti dell’epoca garibaldina e della Grande  Guerra nonché sciabole appartenute a Celestino Spini che fu combattente tra le file di Napoleone, dove si distinse per la grande umanità dimostrata in un contesto sostanzialmente di crudeltà dimostrato dalle truppe francesi e fu proprio in quell’occasione che conobbe la sua futura moglie, Francesca Scannagatta, combattente tra le file austriache. Una storia davvero molto interessante che Simona ha raccontato brevemente lasciando intendere che c’è molto più da sapere e che lei sa perché ha letto tutti i dettagli della faccenda negli archivi. In poche parole Francesca Scannagatta apparteneva ad una famiglia nobile di Milano, capitale del Lombardo-Veneto a quel tempo territorio austriaco cosa che faceva di lei un’antinapoleonica convinta. Era una personalità sopra le righe, mi pare d’aver capito, lontanissima dallo stereotipo della classica dama da salotto, amante delle armi e dell’equitazione, si faceva chiamare con un nome maschile Franz (se volessimo trovare un paragone storico più famoso, questo potrebbe essere la scrittrice francese George Sand il cui vero nome completo ora mi sfugge, ricordo solo Aurore, se non sbaglio). Franz aveva un fratello che invece delle armi e soprattutto di essere chiamato alle armi pare non fosse entusiasta e così quando arriva il momento di combattere Napoleone che fa il bello e il cattivo tempo in tutta Europa chi parte? Ovviamente Franz che, tenendo ben nascosta la sua identità di donna e dimostrando non poco valore sul campo di battaglia arriva a fregiarsi del grado di tenente. Qui il racconto di Simona diventa più vago. A un certo punto, non si capisce bene perché, Franz Scannagatta deve essere visitata da un medico che così scopre il suo piccolo segreto. Viene congedata dall’esercito, mantenendo tutti i suoi gradi e ricevendo persino una pensione. Come incontra Celestino Spini e come accade che un napoleonico e un’austriaca si innamorino si sposino e poi lei venga a vivere qui non si sa, Simona non ha raccontato dettagliatamente questa parte (o può essere che mi sia sfuggita?) e soprattutto come l’hanno presa le famiglie? Su questa storia ci si potrebbe scrivere un romanzo sopra, fare un film una telenovela… non nascondo quanto la cosa mi intrighi e come ad un certo punto mi sono messa ad osservare la casa con l’occhio di chi vorrebbe allestirvi un set cinematografico. Un film sulla casa Valenti sulla sua storia e i suoi abitanti girato nei suoi interni ancora così densi di storia sarebbe un film alla Luchino Visconti e non ci potrebbe essere modo migliore per valorizzare questo patrimonio. Ma ora torniamo al nostro racconto, a questa stanza che grazie a tutti questi cimeli riesce ad attraversare un arco di tempo piuttosto lungo dal Cinquecento alla Grande Guerra più o meno, cimeli tra cui ci sono anche cartine per avvolgere i proiettili, un ritratto di Garibaldi non autentico che però riporta una firma autentica del medesimo e ricordi del pittore Giovanni Gavazzeni. Lui e Clemente Valenti furono molto amici, dopotutto avevano un anno di differenza (Gavazzeni è nato nel 1841, Valenti nel 1842). I ricordi di Gavazzeni (sostanzialmente suoi dipinti autentici) più che qui si trovano in un’altra stanza, un piccolo salottino. Ogni villa o palazzo nobiliare che si rispetti ha la sua sala degli intrattenimenti. Per Casa Valenti questo salottino è la stanza degli intrattenimenti dove tra l’altro si faceva della musica come in ogni salotto nobiliare che si rispetti. E giusto per onorare la tradizione, è qui che il quartetto di fiati della filarmonica ha onorato gli astanti con un altro intermezzo musicale che va ad aggiungersi a quelli già eseguiti sotto la facciata e nel cortile interno che dà sui giardini “vorrei far notare che stanno suonando di fianco a un forte piano” ha detto Simona la quale, mentre si era appena entrati nel cucinino e stavano entrando anche i suonatori per preparare l’esibizione ha osservato “parlando del Valenti mi è sfuggita una cosa importante. È stato anche il fondatore della filarmonica”. Nel salottino si trova inoltre un’ulteriore testimonianza dei forti legami intercorsi tra gli abitanti della casa e l’intera comunità: in una vetrinetta si trovano statuine di un presepe (con particolare e giustificato orgoglio Simona ha indicato in particolar modo la Madonna restaurata da suo padre) che i Valenti avevano l’abitudine di allestire all’aperto in modo che tutti lo potessero visitare. Chissà che non sia nata così in questa casa la tradizione dei presepi di Talamona che ancora oggi ci caratterizza (come ha osservato Simona). In un angolo di questo salotto fa sentire la sua presenza anche lo zio Tommaso essendoci li posizionati oggetti di sua proprietà. “non si può non notare l’odore di questa casa, l’odore della Storia” ha fatto notare Simona. Io però non avrei avuto bisogno in realtà di questo appunto. In ogni dimora specie di una certa età l’odore è sempre la prima cosa che mi colpisce anche inconsciamente. Dal salottino degli intrattenimenti attraverso un piccolo corridoio si passa alla sala soggiorno con elementi della nostra epoca moderna incastonati tra mobili in stile forse impero o forse Luigi XVI, non che mi intenda di mobili in realtà. Bisogna ricordare che questa casa è tutt’oggi un’abitazione, non è una casa museo e questa zona soggiorno è la prima che si incontra salendo dal piano di sotto, sovrastata dallo stemma della famiglia Valenti, una stanza rappresentativa di tutta la casa l’ha definita Simona “con elementi religiosi e artistici di diverse epoche che però in una casa abitata dove sono stati voluti appositamente assumono oltre al valore artistico, quello affettivo dei ricordi, degli oggetti quotidiani che raccontano il vissuto”. Particolarmente interessanti si sono rivelati i manici degli ombrelli dalle forme fantasiose indicative proprio dello status nobiliare, segno di distinzione di una famiglia che ha segnato la storia di Talamona, ma ha lasciato la sua impronta anche nella grande Storia, ma che non si è mai distaccata emotivamente dalla popolazione. Questo non era un luogo dove si intrattenevano tra loro dei nobili, ma era un luogo per la gente ed è una cifra stilistica che non tutte le abitazioni nobiliari possono vantare. Essendo poi che Clemente Valenti ha fondato la filarmonica c’era la tradizione che ogni anno nei giardini si tenesse un piccolo concerto ad uso e consumo della famiglia e che i casari regalassero i loro prodotti a ricordo dell’operato di Clemente Valenti. Un altro particolare interessante di questa stanza sono le decorazioni alle pareti e la soffittatura a cassettoni sui quali si possono ancora osservare residui di dipinti a motivo floreale e frutti. Per l’ultima parte della visita guidata è stato necessario fare il percorso a ritroso, ritornare fuori nel cortile interno che dà sui giardini passando da una porta sovrastata dalla lunetta dipinta da Giovanni Gavazzeni e dalla porta che da sulle cantine purtroppo chiuse. “il portone che dà sull’ingresso non è originale” ha raccontato Simona “quello originale doveva essere molto più spesso perché aveva funzioni difensive. L’apertura originale era a ponte levatoio. Da questo ingresso si passava coi cavalli e le carrozze, i carri dei rifornimenti, la porta di servizio in un certo senso”. A questo punto la visita è tornata al punto di partenza, la facciata “della facciata mi piace ricordare un dettaglio” ha detto Simona. Il dettaglio da notare è osservabile mettendosi agli estremi della facciata e ha a che fare con la sua particolare prospettiva che rende merito agli affreschi, costruiti come una scenografia teatrale. “In qualsiasi punto ci si posiziona gli affreschi appaiono come delle cartoline” ha spiegato Simona “e sono un dettaglio talmente spiccato da impedire a occhio di farsi un’idea sulla reale prospettiva della casa, come se fosse un enorme telone dietro cui non c’è niente. Un gioco di prospettiva che non permette di comprendere la profondità e che esalta quella che dovrebbe essere la parte migliore della casa e che sicuramente lo era nelle intenzioni di chi questa facciata l’ha voluta. Un effetto creato perché la parete che sembra piatta e invece è leggermente concava (un po’ come le colonne del Partenone ad Atene, costruite leggermente storte di modo che da lontano sembrassero dritte ndr)”. Sotto la facciata c’è una porta che sembrerebbe esattamente al centro, ma in realtà non lo è, un effetto che deve dare un’illusione di perfetta simmetria a chi giunge dalla strada. Ed è nella stanza su cui dà quella porta che si è concluso il giro turistico. Una porta su cui spicca uno splendido batacchio originale di altri tempi a forma di serpente. Questa stanza in realtà è la prima che accoglie il visitatore e si caratterizza per la frescura nei mesi estivi. È in questa stanza e nella cantina attigua che è stata creata la prima sede della latteria. Ora qui spiccano delle foto degli affreschi e di scorci di Talamona con la villa com’è ora e com’era negli anni Venti, una foto che permette di notare la casa vecchia dei Valenti nei pressi della Torre. Su un’altra parete spicca una foto di Giuseppe Piazzi il mitico astronomo scopritore dell’asteroide Cerere, imparentato con la famiglia Valenti tramite una cugina entrata diventata Valenti per matrimonio. La cantina attigua purtroppo è rimasta chiusa al pubblico, ma Simona ha raccontato che vi si può trovare un testo del CINQUE MAGGIO trascritto a mano da Clemente Valenti, accanto ad un ritratto di Napoleone. Da questa visita emerge il ritratto di una dimora capace di parlare a chi sa ascoltarla, una dimora pervasa da un’atmosfera intima che ha saputo però anche aprirsi all’esterno. Una dimostrazione di questa apertura sta nella stanza che si trova proprio di fronte entrando in questa sorta di anticamera. Li è stato allestito lo spazio per la degustazione. Bresaola, bisciola, ricotta e due tipi di formaggio, bitto e semigrasso, un classico di tutti i rinfreschi legati ad eventi del genere. Non resta solo che farsi un ultimo giro. Ora l’atmosfera è quella di un ricevimento. Tutti sono ansiosi di scambiarsi impressioni riguardo a cio che hanno visto e sentito. Nei giardini i bambini giocano a rincorrersi e io mi immagino scene di altri tempi, dame fasciate in bustini stretti e gonne ampie che passeggiano scambiandosi confidenze riparandosi con ventagli e ombrellini, amori clandestini, baci nascosti tra il verde e magari anche qualche dramma chissà. Mi viene in mente che questi luoghi sono lo scenario perfetto per un romanzo sospeso tra lo stile deleddiano e quello dei cosiddetti feulietton. Ci dovrei passare un po’ di tempo e magari trovo qualche ispirazione più dettagliata. Infondo al vialetto dei giardini c’è pure una porta chiusa in stile giardino segreto sopra tre gradini che chissà quanti e quali misteri custodisce.  Per ora questa casa e le sue storie non mi sono ancora pienamente accessibili, chissà se avrò mai modo di approfondire tutto quel che ho ascoltato oggi. Di certo non accadrà ora e dunque mi avvio verso l’uscita, mentre il quartetto di fiati ancora suona. Lo sentirò ancora a una certa distanza sulla via di casa.