ASSOCIAZIONI E VOLONTARIATO: UNA RETE DI CITTADINANZA ATTIVA A TALAMONA

TALAMONA 14 novembre 2014 invito alla partecipazione popolare alla casa Uboldi

SPUNTI E CONFRONTO PER UNA COMUNITA’ SEMPRE PIU’ ATTIVA E SOLIDALE

cittadini

Talamona è una comunità di volontari. Si può dire che questa è la migliore definizione per questo angolo di Mondo. Sono più di una trentina i gruppi attivi a livello culturale, sociale, di memoria storica e quant’altro. L’incontro organizzato questa sera alla casa Uboldi a partire dalle ore 20.30 ha avuto come scopo principale quello di fare il punto su questa realtà, dando poi il via ad una discussione partecipata di tutta la popolazione (la cui effettiva partecipazione è stata solo discretamente ampia). I punti fondamentali sui quali è stata posta l’attenzione sono stati principalmente questi: il ruolo del volontariato nel contesto sociale, l’effettivo rapporto tra volontariato e cittadinanza attiva (ovvero come, attraverso il volontariato si può partecipare attivamente alla vita della comunità fino ad inserirsi ad un livello nazionale ed internazionale) e soprattutto il rapporto tra volontariato e istituzioni (in primo luogo le amministrazioni locali che, insieme con le associazioni di volontariato sono i principali punti di riferimento per la cittadinanza attiva). A condurre questo importantissimo forum, oltre ad ex membri della precedente amministrazione comunale, sono stati soprattutto Patrizia Bavo e Norberto Riva, due punti di riferimento nella realtà del volontariato in terra di Valtellina. Il discorso è partito da una considerazione tanto semplice quanto spesso difficilmente attuabile: associazioni di volontariato e istituzioni devono poter comunicare tra loro in modo lineare e trasparente poiché perseguono praticamente gli stessi obiettivi, cioè offrire dei servizi che si occupano della popolazione e del bene comune. In questo senso volontari e istituzioni costituiscono una sorta di ossatura comunitaria che a livello di volontariato si fa particolarmente forte in quanto gli intenti non sono (o non dovrebbero essere) viziati da intoppi burocratici o interessi personali come invece capita in ambito di istituzione  politica. Ma affinchè si possa garantire lo svolgimento dell’attività di volontariato è necessario che l’istituzione valorizzi (a volte anche con veri e propri sostegni economici) queste associazioni che solo così possono dare spazio ai servizi offerti. Dunque fino a che punto le istituzioni devono finanziare le associazioni e in che misura? Ha senso che le associazioni di volontariato chiedano finanziamenti alle istituzioni? Questo argomento ha diviso il pubblico della serata, composto in larga parte da esponenti delle associazioni di volontariato talamonesi o che gravitano intorno a Talamona che hanno avuto modo di parlare della loro attività (per esempio associazioni che operano nel campo del sociale come il Gruppo della Gioia e l’AUSER con vari sostegni alle persone diversamente abili e alle loro famiglie, sostegni che vanno dal trasporto all’animazione e come l’US TALAMONESE associazione che a Talamona promuove lo sport, calcio e pallavolo). C’è stato chi ha detto che chiedere finanziamenti alle istituzioni è corretto nel momento in cui l’associazione stessa opera con strutture di proprietà del comune coprendo servizi che graverebbero altrimenti sul comune stesso, mentre negli altri casi dovrebbero essere le associazioni stesse ad auto amministrarsi (come nel corso degli anni ha fatto ad esempio il Gruppo della Gioia organizzando tra le altre cose pranzi e cene sociali e spettacoli teatrali). C’è stato chi ha sottolineato una certa ignoranza nell’ambito delle tematiche di cui le associazioni si occupano, come è il caso dell’ANFAS che sostiene bambini autistici e nella persona del suo presidente Guido Mazzoni ha sottolineato come il tema dell’autismo non sia ben conosciuto in Valtellina cosa che determina un’inadeguatezza delle competenze messe in campo per affrontarlo. Ma prima del lungo dibattito che ha tenuto impegnato il pubblico fino a tarda ora è stato necessario introdurre il discorso generale. Il compito di aprire la questione è toccato a Patrizia Bavo la quale particolarmente sottolineato cio che si diceva poc’anzi e cioè che il volontariato non è una realtà che può agire in sé per sé ma tenere conto e interagire con altre realtà politiche, istituzionali ed economiche. Come può il cittadino che vuole essere attivo farsi effettivamente portatore di interessi che sono sia personali, ma che riguardano in qualche modo la comunità, come può far si che l’attenzione di soggetti importanti ricada su determinate tematiche, come può evitare di disperdere le energie di tutto cio che viene fatto? È importante porre l’attenzione su tutto questo, perché i cittadini devono sapere che il loro ruolo non è soltanto quello di lamentare mancanze e problemi, ma hanno anche il diritto e il dovere di proporre delle soluzioni. Tutto questo diventa molto più facile se ci si trova inseriti in associazioni e si comprende come muoversi. Bisogna innanzitutto sapere come si colloca il volontariato in relazione a tutti gli altri soggetti con cui si deve andare ad interagire, bisogna sapere (come ha poi spiegato Norberto Riva con l’aiuto di una presentazione interattiva) che il volontariato si colloca nell’ambito del cosiddetto terzo settore a metà strada tra soggetti che perseguono (o dovrebbero perseguire) interessi pubblici e quelli che pur mantenendosi nella legalità (purtroppo non sempre in realtà) perseguono finalità di lucro per interessi privati come le imprese, le banche d’affari, la finanza. Il terzo settore comprende invece le banche e le cooperative sociali e tutte quelle associazioni che ufficialmente o non ufficialmente (nel senso che si costituiscono semplicemente con l’impegno dei partecipanti senza nessuna registrazione) perseguono interessi pubblici attraverso l’opera di privati che disciplinano la loro opera attraverso uno statuto dove si deve dire ben chiaro che, indipendentemente dal fatto di avere o meno una registrazione ufficiale, di avere o meno l’intenzione di pagare i propri membri, l’associazione in sé non deve avere scopi di lucro e tutti i componenti devono cooperare insieme sul modello (certo non preso alla lettera) degli insetti sociali. Bisogna anche sapere che una registrazione ufficiale costituisce una maggiore possibilità di iterazione con le istituzioni, maggiori possibilità di essere consultati nel caso in cui le istituzioni, più probabilmente il comune che è l’ente più vicino al cittadino, si occupa delle tematiche di cui si occupano anche le associazioni essendo una collaborazione di più enti sullo stesso tema una possibilità in più di occuparsene nel modo migliore. Bisogna sapere tutto questo perché la cittadinanza attiva e in generale una maggiore consapevolezza è un passo imprescindibile per costruire una vera democrazia. Non si dice forse che libertà è partecipazione? Antonella Alemanni

IL TEMPO DELLA SCUOLA

TALAMONA 25 ottobre 2014 alla Casa Uboldi si segue la crescita dei figli

 

SECONDO INCONTRO FORMATIVO TENUTO DALLA DOTTORESSA MAURIZIA BERTOLINI

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Fare i genitori è il mestiere più difficile del mondo si dice, ma anche ricco di stimoli. Dall’incontro precedente è emerso che non è possibile inseguire un’idea di perfezione, ma bisogna puntare tutto sulla relazione, su cio che passa tra noi e i nostri figli. Tutto cio diventa ancora più importante in un momento cruciale come quello dell’ingresso alle scuole elementari, un momento di passaggio che rappresenta un primo distacco del bambino dai genitori verso la conquista della propria autonomia. Un momento carico di tensione, che per fortuna, con gli strumenti della psicologia formativa, si può riuscire ad affrontare. Ed è stato appunto questo l’obiettivo della nuova tavola rotonda svoltasi oggi pomeriggio alla Casa Uboldi a partire dalle ore 15.30, un corso di formazione tenuto dalla psicologa Maurizia Bertolini, ma anche un momento di confronto cui hanno preso parte otto mamme e un papà, desiderosi di imparare ad essere al meglio possibile un sostegno per i loro figli in questo momento delicato. Un incontro durante il quale sono state prese in esame e discusse le problematiche più comuni quando si parla di figli e scuola. Gli errori commessi dagli insegnanti e quelli commessi dai genitori, le dinamiche di rapporto sbagliate che si vengono a creare tra questi riferimenti entrambi importanti per la crescita del bambino e persino la possibilità di non mandare i figli a scuola e occuparsi della loro istruzione all’interno della famiglia. Questo è stato uno dei primi argomenti emersi ed è stato particolarmente interessante, soprattutto perché credo che siano veramente in pochi a sapere che la legge italiana consente anche questa possibilità (io stessa non lo sapevo, ma certo in età scolare mi sarebbe piaciuto usufruirne). Bisogna sapere che la legge italiana prevede si l’obbligo di istruire ed educare i figli, ma non l’obbligo di mandarli a scuola. Le famiglie che ne hanno la possibilità possono autonomamente (o magari organizzandosi in gruppi composti da più famiglie che condividono tutte le spese) provvedere in modo alternativo alla scuola ad istruire i propri figli, purché, in un modo o nell’altro, lo facciano. C’è chi è contrario per principio alla scuola, a mandarvi i bambini (io negli anni lo sono diventata, ma è stato sorprendente scoprire di non essere sola in questo) e ha dichiarato di voler seguire questa soluzione, che pare non preveda neanche un esame finale obbligatorio, cosa che suscita non poche perplessità (come si può dunque attestare che la formazione è effettivamente avvenuta?), ma per parlare di cio probabilmente occorrerebbe un incontro a parte e questo pomeriggio dunque non è stato possibile approfondire più di tanto l’argomento anche perché la maggior parte dei genitori si è dichiarata tradizionalista. “l’esperienza della scuola e della condivisione coi coetanei è un momento fondamentale per la crescita del bambino che non è bene togliere” ha affermato qualcuno. Ed ecco che parlando di scuola tradizionale sono pian piano emerse tutte le tematiche cui si accennava poc’anzi, ciascuna proposta dai presenti. C’è chi ha detto di aver messo a confronto i suoi figli tra loro oppure con quelli di altri ed ha avuto l’occasione di capire di aver sbagliato perché ogni bambino ha le sue caratteristiche peculiari e nemmeno i gemelli sono esattamente uguali caratterialmente. C’è chi, essendo sia madre che insegnante, ha potuto portare un’esperienza di vita da entrambe le prospettive e ha potuto far notare come a volte le madri si dimostrino poco collaborative con gli insegnanti, non riescono ad accettare le osservazioni su eventuali limiti e mancanze del figlio, eventuali problematiche individuali e proposte di trovare insieme delle soluzioni. C’è chi si è dimostrato scontento degli insegnanti del figlio in quanto capita che ci siano insegnanti che non sanno rapportarsi agli scolari, non tengono conto del fatto che, come si diceva prima, ogni bambino ha le sue peculiarità. Questo fa molto pensare. Forse anche per gli insegnanti servirebbero incontri simili a questi. Per quegli insegnanti che non rispondono al modello di come un bravo insegnante dovrebbe essere, cioè una figura che sa tirar fuori il meglio di ogni bambino con dolcezza e pazienza in base al potenziale di ognuno. Molto più spesso però sono le madri stesse che tendono ad ingigantire le cose a vedere nel figlio delle problematiche che magari non sussistono. Una situazione classica è il figlio che torna a casa da scuola e non racconta al genitore la sua giornata e in generale tende ad essere silenzioso. In questo caso molti genitori credono che il figlio abbia un disagio e non si fanno nemmeno venire il dubbio che possa trattarsi di una questione di carattere come invece, molte volte, effettivamente è. Partendo dal presupposto ormai assodato pienamente, che, per fare il genitore, non è possibile contare su ricette o manuali di istruzioni ben codificati della serie se-succede-questo-fai-così-se- tuo-figlio-dice-questo-tu-rispondigli-quest’-altro, bisogna però sempre tener conto dell’importanza di saper instaurare un giusto dialogo con i figli, perché in questo modo sono loro stessi a parlare tranquillamente di disagi e bisogni evitando in questo modo parecchie problematiche e pensieri di cui i genitori molto spesso si caricano stando soli con se stessi senza confrontarsi. Problematiche come ad esempio i conflitti che si vengono a creare tra i bambini, la nascita e la rottura di importanti legami di amicizia che proprio in questa fascia d’età si affrontano per la prima volta. Bisogna comunque pensare che molto spesso i bambini possono tirar fuori risorse inaspettate, che loro non vivono sempre le situazioni come le vivremmo noi e bisogna chiedersi quanto di nostro, di aspettative, paure e preoccupazioni varie proiettiamo su di loro. Bisogna anche pensare che, laddove le problematiche ci sono, costituiscono un banco di prova per i bambini in primo luogo, per la loro crescita. In questo caso è più che mai fondamentale conoscere i figli saper parlare con loro e soprattutto saperli ascoltare perché i più fragili potrebbero richiedere di essere seguiti maggiormente, ma questo non vuol dire che bisogna impedir loro di vivere di fare esperienze, comprese esperienze di sofferenza o esperienze che a tutta prima possono sembrare insormontabili. Esempio classico: i compiti. Tutti i bambini se ne sono lamentati almeno una volta nella vita, ma quanto spesso si osserva che sono i genitori stessi a redarguire le maestre per il fatto di assegnarne troppi? Questo non va bene perché i compiti sono cio che permette al bambino di capire che nella vita bisogna avere degli scopi da raggiungere e che l’unica via lecita per farlo è quella dell’impegno e della determinazione anche di fronte agli ostacoli. Se i genitori per primi dimostrano ansia di fronte alle difficoltà, un figlio che potrebbe mai imparare? Bisogna considerare che la scuola moderna si sta mostrando sempre più variegata nei programmi formativi proposti e che tali programmi non sempre prevedono necessariamente una gran mole di compiti a casa. detto cio bisogna sapere che per tutto è necessaria la giusta misura. Eccessiva apprensione ed affetto è una modalità che può rivelarsi dannosa quanto l’eccessiva indifferenza. Se è necessario, perché questo è infondo il compito di ogni genitore, seguire i propri figli, accompagnarli nella crescita, amarli, sostenerli, occuparsi della loro istruzione ed educazione è anche vero che non è possibile avere sempre tutto sotto controllo non si può pensare di capire già dai primi anni come sarà la vita dei nostri figli, come loro stessi si evolveranno, quali talenti svilupperanno, quali inclinazioni e desideri manifesteranno. Non si possono avere rigide aspettative su di loro. Bisognerebbe pensare ad un bambino come ad un seme. Egli ha già in sé il progetto di cio che sarà. Nessuno neanche il bambino stesso conosce questo progetto all’inizio. Il compito di chi si occupa dei bambini è aiutare i bambini a scoprirlo e creare le condizioni affinchè poi venga fuori. Queste condizioni non sempre comportano situazioni piacevoli. Ognuno cerca il suo spazio nel mondo, ma nel farlo non bisogna invadere quello di un altro ed è necessario che i bambini lo sappiano, che sappiano che per imparare molto spesso è necessario sbagliare, soffrire e far soffrire. Questo è vero anche e soprattutto per i genitori. Ed è a questo punto che la dottoressa Bertolini ha citato Kahlil Gibran, un poeta libanese che nella sua opera più celebre IL PROFETA ha mirabilmente infuso una grande sapienza nel trattare varie questioni della vita tra cui appunto i rapporti genitori-figli. “i genitori” dice Gibran in questo suo splendido libro che considero una lettura da fare nella vita, fondamentale “sono come archi e i figli sono le frecce scagliate dall’arco. Non appartengono a noi ma ci passano attraverso” “ma affinchè passino attraverso” ha aggiunto la dottoressa Bertolini “lo spazio non deve essere ne tanto stretto da soffocare e fare male, ne tanto largo da non essere nemmeno percepito” ancora una volta ci vuole la giusta misura dunque. Ma come si può essere dei buoni archi per i nostri figli. Come si può ben insegnare loro, comunicare con loro? Bisogna comunicare dal basso verso l’alto in modo distaccato oppure bisogna ridurre il più possibile le distanze? Bisognerebbe riuscire ad insegnare loro e a comunicare i nostri messaggi senza essere troppo duri, sapendoli accompagnare con la giusta fermezza. L’approccio giusto si può trovare soltanto riprovando tante volte e soprattutto imparando ad ascoltare sapendo che i bambini, come tutti del resto, sono persone in divenire, i loro desideri e le loro idee possono cambiare nel tempo, ma se li si ascolta spesso sono loro stessi a fornirci le risposte che andiamo cercando, le soluzioni ai problemi che ci poniamo. Bisogna considerare che anche la società stessa è in divenire fornisce in continuazione un’enorme quantità di stimoli differenti e ormai in questo marasma i figli, ma anche i genitori si trovano soli, i genitori in particolar modo non vengono sostenuti e vengono messi costantemente in discussione. Si è già avuto modo, nel corso del precedente incontro di riflettere su come è cambiata la struttura sociale nel corso del tempo, si è già avuto modo di notare come una volta un bambino veniva preso in carico dall’intera comunità sociale e come invece oggi per i più giovani vengono a mancare i punti di riferimento e questo non fa che aumentare le paure dei genitori circa la possibilità che i figli possano ricorrere in devianze o in situazioni spiacevoli. Ed è in queste situazioni che il confronto il dialogo, a scuola e in famiglia, la partecipazione attiva dei bambini alla loro educazione diventa fondamentale, diventa fondamentale che al bambino venga chiesto “cosa ne pensi?” che la scuola si avvicini alle esigenze del bambino senza pretendere che sia la scuola ad adattarsi, che tutti scuola e famiglia in un meccanismo ben oliato sappiano riconoscere comportamenti e situazioni critiche e sappiano capire perché un bambino si comporta in un determinato modo, magari chiedendoglielo. È importante che venga rispettata la natura del bambino, le sue esigenze è più che mai importante il confronto diretto. Lo è in questi primi anni di età scolare e lo sarà ancor più negli anni a seguire. Ma di questo se ne parlerà nel prossimo incontro. Non mancate!

Antonella Alemanni