AMORE E PSICHE

“L’amore ci avviluppa sempre: siamo noi, con il nostro atteggiamento verso esso, a trasformarlo in fuoco oppure in luce.” 
Jean Guitton

 

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Antonio Canova, Amore e Psiche, 1788-1793. Marmo bianco, 155 cm. Musee du Louvre, Parigi

Amore e Psiche è un gruppo scultoreo realizzato da Antonio Canova tra il 1788 e il 1793, esposta al Museo del Louvre a Parigi. Ne esiste una seconda versione (1800-1803) conservata all’Ermitage di San Pietroburgo in cui i due personaggi sono raffigurati in piedi e una terza (1796-1800), sempre esposta al Louvre, in cui la coppia è stante. Delle tre versioni, la prima, cronologicamente parlando, è la più famosa e acclamata dalla critica. Da segnalare che presso Villa Carlotta a Tremezzo è visibile una replica della scultura commissionata ad Antonio Canova dal principe russo Yussupoff (oggi conservata al museo Ermitage di San Pietroburgo) eseguita tra il 1818 e il 1820 da Adamo Tadolini, derivata dal modello originale che lo stesso Canova aveva donato all’allievo prediletto Tadolini con l’autorizzazione di trarne quante copie ne volesse. L’opera rappresenta, con un erotismo sottile e raffinato, il dio Amore mentre contempla con tenerezza il volto della fanciulla amata, ricambiato da Psiche da una dolcezza di pari intensità. L’opera rispetta i canoni dell’estetica winckelmanniana, infatti, le figure sono rappresentate nell’atto subito precedente al bacio, un momento carico di tensione, ma privo dello sconvolgimento emotivo che l’atto stesso del baciarsi provocherebbe nello spettatore. Questo è il momento di equilibrio, dove si coglie quel momento di amoroso incanto tra la tenerezza dello smarrirsi negli occhi dell’altro e la carnalità dell’atto. Le due figure si intersecano tra di loro formando una X morbida e sinuosa che dà luogo ad un’opera che vibra nello spazio. La scultura è realizzata in marmo bianco, levigato e finemente tornito, sperimentando con successo il senso della carne, che Canova mirava a ottenere nelle proprie opere. La monocromia, in contrasto alla drammaticità e al pittoricismo barocco, è un canone del neoclassicismo che Canova riprende per menomare la carica espressiva. L’opera Amore e Psiche del 1788 è un capolavoro nella ricerca d’equilibrio. In questo squisito arabesco, infatti, le due figure sono disposte diagonalmente e divergenti fra loro. Questa disposizione piramidale dei due corpi è bilanciata da una speculare forma triangolare costituita dalle ali aperte di Amore. Le braccia di Psiche invece incorniciano il punto focale, aprendosi a mo’ di cerchio attorno ai volti. All’interno del cerchio si sviluppa una forte tensione emotiva in cui il desiderio senza fine di Eros è ormai vicino allo sprigionamento. L’elegante fluire delle forme sottolinea la freschezza dei due giovani amanti: è qui infatti rappresentata l’idea di Canova del bello, ovvero sintesi di bello naturale e di bello ideale. La scena, tratta dalla leggenda di Apuleio, appartiene alle allegorie mitologiche della produzione del Canova e per queste radici si accomuna al gruppo di Apollo e Dafne del Bernini, benché si differenzi dalle intenzioni di quest’ultimo (che desiderava suscitare stupore e meraviglia), allorché in Amore e Psiche si percepisce la tensione verso la perfezione classica ed una protesta contro la finzione, l’artificio ed il vuoto virtuosismo barocco. Ciononostante, quando l’opera venne esposta venne giudicata troppo barocca e berniniana, come era già accaduto per Ebe, criticata perché si poggiava su una nuvola.

 

Lucica Bianchi

 

ANTONIO CANOVA. NOBILE SEMPLICITA’ E QUIETA GRANDEZZA

Antonio Canova nacque a Possagno, in Veneto, nel 1757.  Nel 1779 si trasferì a Roma dove risiedette per quasi tutta la vita.  Morì a Venezia nel 1822.

 

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Autoritratto, 1792

Fu grandissimo scultore, completando la grande tradizione italiana iniziata con Donatello e proseguita con Michelangelo e Bernini.  Egli mise in pratica i principi neoclassici di Winckelmann.  Per realizzare le sue opere partiva da una serie di bozzetti che realizzava in creta; da essi poi i suoi assistenti traevano un calco in gesso in base al quale essi sbozzavano il marmo: il loro lavoro si arrestava solo quando pochi strati di materia separavano l’abbozzo dallo stato definitivo.  Solo a questo punto interveniva Canova che terminava l’opera. La sua più grande abilità era nel trovare “la nobile semplicità” e la “quieta grandezza”, valori fondamentali dell’arte antica.

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Ballerina con le dita sul mento

E’ per questo motivo che tutte le sue sculture vengono lavorate fino all’estremo grado di finitura, levigate fino a che il marmo opaco diventa lucido, ed è in questa finitura che risiede la poetica del maestro, oltre che negli effetti di grande luminosità ed ombreggiatura. Egli si impegna nella creazione di una forma pura in cui si incarni l’ideale neoclassico del “bello”, forma da cui siano bandite le passionali torsioni barocche, gli elementi eccessivi ed estranei alla composizione, i panneggi superflui, mostrando i sentimenti senza affettazioni.

 

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Perseo trionfante brandisce la testa di Medusa

Il Neoclassicismo si rifaceva all’arte dell’antichità classica, specie a quella greca.  Il termine fu coniato nell’800 con senso dispregiativo, per indicare un’arte fredda e accademica. Questa corrente artistica ebbe come sede privilegiata Roma, dove c’erano inesauribili fonti d’ispirazione classica; il suo massimo teorico fu il tedesco Winckelmann che però non vide mai un originale greco, ma solo copie romane.Per la prima volte la storia dell’arte antica venne studiata sia dal punto di vista cronologico, smettendo di considerarla un tutto omogeneo, sia del punto di vista estetico. Winckelmann sosteneva che la grandezza e la bellezza erano nate in Grecia e che gli artisti dovevano imitare gli antichi (l’imitazione è ovviamente qualcosa di diverso dalla copia: imitare significa rifarsi, ispirarsi a un modello; copiare invece vuol dire realizzare un’opera identica all’originale). Winckelmann ritiene che le principali caratteristiche della scultura greca sono la semplicità e la quieta grandezza, e che mai uno scultore dovrà mostrare forti passioni o eventi tragici mentre accadono ma un attimo prima o dopo, quando il tumulto dei sentimenti non c’è più o si è ormai allentato.

 

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Canova, Paolina Borghese,1804-08

Paolina Bonaparte era la moglie del principe Borghese e la sorella di Napoleone.  Antonio Canova la rappresenta come Venere vincitrice con in mano il pomo della bellezza, donatole da Paride: una piccola mela dove c’era scritto “alla più bella”.Canova era il più famoso scultore dell’epoca ed è per questo che il principe Borghese lo sceglie come autore del ritratto della moglie, che era famosa per essere una donna molto bella e spregiudicata.La dea sembra fatta di carne: il busto sollevato è appoggiato su due cuscini che, sebbene di marmo, sembrano di seta; la donna è spogliata fino all’inguine mentre la parte inferiore è coperta da un drappo che dona al ritratto una notevole carica erotica, molto più forte di quanto sarebbe stata se Paolina fosse stata completamente nuda ed inoltre ne mette in risalto il seno, il busto, le braccia, il collo e la testa.  La mela è soprattutto un elemento geometrico, una sfera che è messa in rapporto con la rotondità dei seni. Nelle statue di Canova la figura si “chiude” su se stessa al contrario di quelle di Bernini le cui immagini comunicano con lo spazio circostante.L’opera non è un oggetto immobile, ma piuttosto “fermato”.  Canova usava un sistema di pulitura (lucidatura del marmo) particolare: passava sulla pietra “l’acqua di rota”, cioè l’acqua che si faceva colare sulla mola per non surriscaldare i ferri da arrotare.  Quest’acqua rossastra serviva a dare al marmo un colore più rosato.Canova aveva una profondissima conoscenza del marmo, ed in particolare di quello di Carrara.  Pensava che il colore candido di questo materiale andasse attenuato e che i pori del marmo andavano “chiusi”, dando alla luce una superficie su cui riflettersi.  Per attenuare il bianco Canova usava la cera, colorandola a volte, conferendo alle parti d’incarnato delle sue statue una lieve apparenza di vita. Chiunque veda questa statua solo in fotografia non può comprendere cosa siano le sculture di Canova: guardandola dobbiamo rifarci al momento in cui lo scultore la modellò sul cavalletto girevole, plasmandola in modo che questa non avesse un punto di vista privilegiato: la forma invitava l’osservatore a cambiare posizione, a mutare il suo punto di vista.Sotto questa scultura era nascosto un macchinario che la faceva ruotare su se stessa, suscitando grande meraviglia fra gli osservatori che, anziché girare intorno alla statua, potevano ammirarla “muoversi” da sola.

Lucica Bianchi